venerdì 2 novembre 2018

Un'importante analogia


Il 13 ottobre 1918, i plenipotenziari austriaci ebbero carta bianca e presero contatti con lo stato maggiore dell’esercito italiano per intavolare trattative d’armistizio. Avevano fretta: volevano che la cessazione delle ostilità avvenisse con la linea del fronte qual era in quel momento. La controparte aveva invece tutto l’interesse per procrastinare tale momento. Aveva bisogno di tempo per un’offensiva che le consentisse, prima di firmare, di sfondare le linee nemiche ed arrivare ad occupare quanto maggior territorio possibile.

L'offensiva prese avvio solo il 24 ottobre, causa le piogge e il Piave in piena (*). La solita improvvisazione, i primi insuccessi e gravi perdite. Infatti le truppe imperiali, nonostante fossero ridotte letteralmente alla fame, resistettero senza cedere il passo fino al successivo 29, allorquando la manovra italiana sul basso Piave sfondò le linee nemiche e raggiunse Serravalle e Ceneda, due borghi dalla cui unione poi prese il nome Vittorio Veneto.

Il 3 novembre, in località Mandria, nei pressi di Padova, l'Austria-Ungheria firmò la resa. Essa recava la clausola che stabiliva il termine delle ostilità tra le parti alle ore 15 del giorno successivo. Ciò per dare modo alle truppe italiane di sbarcare a Trieste e di penetrare in profondità nel Trentino e nella Valle dell'Isarco.

Ciò che accadde nei decenni successivi in Italia, in Europa e nel resto del mondo, fu conseguenza di quella strage e dei trattati di pace che ne seguirono. Non credo azzardato affermare che fu, in ultima analisi, lo sviluppo del capitalismo ad imporre quella guerra, senza  la quale gli assetti territoriali, statuali e politici, sociali ed economici, non sarebbero mutati. Non a caso il Novecento è stato definito come il secolo americano, cioè il secolo della potenza capitalistica più forte.

La produzione di merci, come ogni altra forma di produzione, ha le sue leggi specifiche, immanenti, inseparabili da essa. Queste leggi si attuano malgrado tutto e tutti come leggi coattive, sconosciute ai più. Esse agiscono ciecamente e si attuano senza i produttori e contro di essi, come leggi naturali della loro forma di produzione.  


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La vittoria recò beneficio soprattutto alla monarchia sabauda. Solo perdendo la guerra sarebbe stato possibile, non senza gravi pericoli, sbarazzarsi di essa. Così come stava avvenendo in Germania, in Austria e nell’impero ottomano, e prima ancora in Russia. I gravi pericoli, sul piano sociale, presero corpo ugualmente. La paura presso la borghesia e i proprietari agrari fu grande nel famoso biennio rosso (1919-’21). Il fascismo si rivelò la supposta giusta, non già per riportare la “pace sociale” già ristabilita nel 1921 con degli accordi, ma per togliersi dalle palle i partiti di sinistra e i sindacati, faccenda sempre cara al padronato.

Senza l’appoggio concreto di un determinato blocco sociale, ossia degli industriali e degli agrari, delle gerarchie militari e dei vertici amministrativi dello Stato, il fascismo avrebbe avuto un destino di fenomeno marginale. Mussolini, senza il placet della monarchia, non sarebbe mai diventato capo del governo. La marcetta su Roma contava qualche decina di migliaia di camice nere, armate per lo più di fucili da caccia, manganelli e qualche rivoltella. La monarchia non aveva nulla da temere da Mussolini, in tal senso era stata ben rassicurata.

Mussolini, per tutta la durata del suo mandato da capo del governo, almeno settimanalmente doveva recarsi nell’ufficio del monarca e battere i tacchi. Governò molto, ma non ebbe mai nelle sue mani un potere reale, come del resto ebbe a sottolineare lo stesso Hitler. Tanto è vero che al momento opportuno bastò una fronda di palazzo, pochissimi carabinieri e un’ambulanza, per porlo in condizioni di non nuocere.

La monarchia lo cedette ai servizi segreti tedeschi in cambio del lasciapassare per Ortona e quindi per Brindisi. Divenne ostaggio dei tedeschi non tanto per far combattere i fascisti al loro fianco, quanto per non avere nei territori occupati tutti gli altri contro. La monarchia s’era sfilata, era passata al fianco di quelli che fino al giorno prima erano i nemici dell’Italia. Era ben chiaro che se fosse rimasta al fianco dei tedeschi, avrebbe condiviso la sconfitta e sarebbe immancabilmente uscita di scena. Si parò il culo, contando sulla smemoratezza cronica di molti italiani e sulla garanzia di continuità con il passato che essa prometteva loro. Non mancò molto che al referendum del 1946 il colpaccio le riuscisse. In tal caso si sarebbe aperto uno scenario assai pericoloso.

Tra i primi anni Venti del Novecento e i nostri lustri recenti si può cogliere una prima importante analogia: il fallimento della sinistra. Allora la sinistra fallì perché non seppe approcciare un compromesso in chiave antifascista e per la stabilità del sistema vigente; attualmente perché essa è indistinguibile dalla destra, la quale al momento ha facile gioco nel lusingare la platea con promesse che non può mantenere.

(*) L'offensiva era prevista per il giorno 16, ma causa le piogge e il Piave in piena essa fu rinviata. Tale rinvio non fu gradito al governo, incalzato dagli alleati, che decise di rimuovere Diaz e mettere al suo posto il generale Giardino. A tale decisione si oppose il re, il quale invitò il presidente del consiglio Orlando a un sopralluogo presso il fronte per verificare di persona l'effettiva impossibilità di lanciare l'offensiva causa le condizioni meteo.  

6 commenti:

  1. Aggiungerei qualche cosa in più se mi è concesso. Il partito socialista di allora tranne i cosiddetti riformisti era ingenuamente convinto di poter conciliare sia la rivoluzione sia il parlamentarismo sia lo stato sabaudo; quelli che oggi si presentano come sinistra, io li definirei "sinistri figuri" hanno coscientemente smantellato quel poco di buono che la resistenza aveva prodotto. Oggi il fascismo, in salsa diversa dall'orbace del ventennio, allevato premurosamente dai mass-media (Salvini e Renzi provengono da quei canali) e quindi dai padroni del vapore, si appresta a creare una società basata su una feroce diseguaglianza e sfruttamento!

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    1. non vorrei contraddirla, ma erano i socialisti alla Turati che volevano conciliare sia sul piano tattico e sia su quello strategico. ho un dubbio, un serio dubbio, mi chiedo sempre se ciò sarebbe bastato.
      quanto a Salvini & C. non si apprestano a "creare una società basata su una feroce diseguaglianza e sfruttamento", poiché essa esiste già. essi rispondono ad una situazione contingente, che il blocco sociale di potere sa sfruttare.

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  2. Anche il gruppo dei terzisti con Serrati in testa politicamente fece il gioco alla fine dei fascisti e paralizzò la possibile resistenza. Salvini e company cambieranno le leggi eliminando le poche guarentigie di stampo liberale rimaste!

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    1. sono uccellini di passo, dietro l'angolo della crisi può nascondersi il peggio

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  3. gestire la crisi internazionale dei profitti alla sinistra (Renzi, Tsipras, Holland ecc) non è riuscito; allargando ulteriormente il concetto di sinistra Obama ha fatto meglio -ma lui aveva la FED in sintonia; anche alla destra non riuscirà per niente facile

    il vecchio fascismo incrementava la forza empirica dell'economia con quella ideologica, fortemente organizzativa dal punto di vista sociale ma che, lungi dal segnare il primato della politica e dello stato sull' economia, ne segnava il definitivo funerale.

    le destre (ma non sono certo del termine) di adesso per ora cercano di trattenere a livello locale quel pò di ripresa dal 2008, sospettando che festa sta finendo, con annesso corollario di ossessione sicuritaria, incentivo alla paura ecc ma non di pose "dialetticamente" anti-borghesi come fu necessario negli anni 30

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    1. pose che comunque sono nel nucleo della efficace quanto bugiarda contrapposizione elite/popolo

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