venerdì 30 novembre 2018

A mano libera



Se questi sono i librai, figuriamoci gli altri. E gli altri sono questi qui sotto:


Ieri pomeriggio su radiotre il conduttore che intervistava il critico d’arte Flavio Caroli ne storpiava il nome, tanto che l’interessato doveva correggerlo. Lo stesso conduttore se ne venne fuori con un’opera dipinta da Raffaello nel 1574 (sic!), tanto che lo stesso Caroli emise un: “Nooo!”.

E veniamo all’inserto del Corriere della sera, diretto da una delle migliori intelligenze italiche, il quale informa di come stiamo messi male a 370° (cit.) in questo meraviglioso paese:




Per soprammercato il povero Gramsci non può nemmeno rigirarsi nella tomba ("Cinera Gramsci").



domenica 25 novembre 2018

Domanda e risposta


Venerdì a tarda sera, sul canale televisivo Nove, un certo Scanzi ha intervistato Pierluigi Bersani, ex segretario del Partito democratico e fondatore del disciolto partito Liberi e uguali, cioè di quel partito che si proponeva di andare “nel bosco per recuperare pezzi del popolo di sinistra” e vi ha invece trovato la Boldrini e Grasso. Bersani, giammai comunista, poiché il comunismo è quello dei gulag, amava definirsi liberale fino a pochi mesi or sono. Ora si dichiara socialdemocratico, che è un bel passo avanti.

Le interviste televisive ai politici avvengono tutte con la stessa modalità: domandina innocua del giornalista, comizietto libero e spontaneo dell’intervistato. Bersani sostiene e ripete che bisogna creare una “cosa” nuova, tornare alle radici popolari, di sinistra. Un rassemblement largo e plurale per fermare la destra, questo è il claim. Per tornare a fare cosa? Il riformismo di prima, o rivisto e corretto, comunque un riformismo che aggiusti qualcosa qui e ora e poi prometta qualcosa più in là?

Bersani è fuori tempo massimo se pensa di recuperare il voto sulle promesse di una più equa distribuzione della spesa pubblica o sulle “lenzuolate”. Il Novecento ci ha mostrato alcune cose che non dovremmo ignorare, per esempio che il “popolo” non è né di sinistra né di destra. Sta con chi sa illuderlo meglio, e non c’è miglior illusionista di chi gli promette tutto e subito.

In soldoni: chi lavora vuole pagare meno imposte, chi non lavora vuole un reddito. Le due cose sono inconciliabili, anche perché saranno sempre di meno coloro che avranno un lavoro, tanto più se si tratta di un impiego stabile. I conti non tornano, la mucca in corridoio si farà mungere per un turno elettorale o due. E poi? Questo è il timore di Bersani, l'unica cosa che mi sento di condividere.

venerdì 23 novembre 2018

L’uno e l’altra


Target 2 è un gioco, molto simile al gioco dell’oca, oppure una piattaforma elettronica per il regolamento dei pagamenti in euro tra i Paesi della Ue? L’uno e l’altra. Ovvero la piattaforma si comporta come un gioco. Pericoloso.

Supponiamo che un’azienda italiana acquisti della merce da un’impresa tedesca per un valore di 100 €, saldando con un bonifico. Il trasferimento del corrispondente importo avviene elettronicamente. Poniamo dalla banca italiana Intesa (BI), la quale chiede alla Banca d’Italia (BdI) di disporre il saldo dal proprio conto di riserva che essa vi detiene. A sua volta la BdI chiede alla Banca Centrale Europea (Bce), della quale le banche centrali dei paesi europei sono divenute, con l’unione monetaria, semplici succursali, di effettuare il trasferimento, tramite sistema Iterlinking (rete telematica che collega i sistemi di pagamento fra il sistema bancario nazionale e la Bce), di 100 € presso la Bundesbank (Buba), e da questa alla banca presso cui l’impresa tedesca ha il conto, per esempio Deutsche Bank (DB).

Vi sembra assurdo? Non ha importanza. Ciò che conta è che dal conto dell’azienda italiana sono registrati a debito 100 €, e nel conto dell’impresa tedesca è accreditato un pari importo. L’operazione di pagamento tra le due società è andata a buon fine.

Senonché la BdI, che detiene presso la Bce un proprio conto di riserva, si vede addebitare 100 €. Sembra ancora più assurdo? Tranquilli, Salvini e Di Maio (quando avrà finito di stampare tessere) ci spiegheranno il perché e il percome. Poi Enrico Mentana ci apparecchierà una maratona. Dopo le elezioni europee. Per ingannare l'attesa Giovanni Floris riassumerà in dieci puntate la differenza tra promesse elettorali e voto di scambio.

Attualmente, a seguito di questi pagamenti Target 2, la Banca d’Italia si trova ad avere un passivo Target 2 di circa 500 miliardi di euro. La Germania, dal canto suo, è arrivata a luglio scorso a registrare un credito di 976,3 miliardi di euro nei confronti degli altri paesi (Italia e Spagna su tutti).

Target 2, piattaforma elettronica per il regolamento dei pagamenti in euro tra i Paesi della Ue, non fa che registrare i rapporti di forza economici (surplus commerciale), ed ecco quindi spiegato il perché alla fine del giro i 100 € pagati dall’azienda italiana a quella tedesca in realtà figurano a debito dell’Italia.

Funziona così da una decina d’anni. Prima, i saldi T2 dei Paesi erano intorno allo zero, e questo avveniva perché gli istituti commerciali (Intesa - Deutsche Bank ecc.) si scambiavano direttamente fra loro moneta elettronica (riserve bancarie, per essere più esatti) sul mercato interbancario, un’operazione che andava ad annullare i trasferimenti T2.

Semmai vi prendeste la briga di saperne di più, cliccate qui.

giovedì 22 novembre 2018

Un unico scopo lo anima


Nessuno crede che lo sviluppo storico segua una linea retta e continua. Nondimeno i fatti storici dimostrano un accrescimento che se non altro è dato dall’aumento demografico e dunque dalla crescita della produzione e degli scambi. In altri termini, si tratta dello sviluppo delle forze produttive, cioè di quelle forze del lavoro sociale che sole possono fornire, in prospettiva, la base materiale di una libera società umana (*).

Sappiamo che l’essenziale si presenta sempre in forma specifica. E l’essenziale, per quanto riguarda questo discorso, è prima di tutto il processo d’industrializzazione che alla lunga s’impone e supera necessariamente la produzione artigianale. Proprio per questo le idee di un ritorno a una decrescita felice (Marx le definiva robinsonate) sono utopistiche (**).

Se la produzione non avesse creato la base materiale per soddisfare non solo i bisogni sociali ma per assicurare, con il suo plusprodotto, tutti gli strumenti necessari alle attività non strettamente produttive, non vi sarebbe stato sviluppo umano. Nel creare il fondamento materiale di tutte le attività non direttamente produttive e la soddisfazione di tutti i bisogni non materiali, la produzione ha avuto e continuerà ad avere un ruolo fondamentale.

Per i “marxisti” d’antan è appena il caso di ricordare che in tutto il passato storico, e cioè fino agli albori del XX secolo, le trasformazioni dei rapporti economici si sono realizzate spontaneamente. Ciò non significa, a priori, che tali rapporti non possano essere trasformati con la lotta di classe, anzi. A ben vedere è proprio questo uno degli aspetti essenziali e decisivi delle trasformazioni storiche; tuttavia ciò non è mai avvenuto e mai accadrà sulla base della semplice azione consapevole e variamente motivata degli individui. Non con esiti stabili e positivi. Infatti, tale aspetto della dinamica storica, la trasformazione dei rapporti di produzione, deve sempre scaturire dallo sviluppo delle forze produttive. Il movimento storico non è quello del salto della quaglia.

domenica 18 novembre 2018

I padroni d’allora e di sempre


Nella generalizzazione teorica che segue, va tenuto conto che essa si esprime necessariamente con concetti attraverso i quali si cerca di dare conto della sostanza generale di una quantità di fenomeni storici che altrimenti analizzati in profondità e ampiezza non troverebbero posto in un post.

*

Partiamo da degli esempi concreti.

Cuba, dopo la rivoluzione castrista, si trovò ad affrontare problemi economici di difficile soluzione, e non solo a causa del blocco economico e commerciale decretato dagli Usa, che ebbe comunque effetti assai negativi e persistenti. Due problemi assillavano in particolare la dirigenza del paese: le scarse risorse disponibili per gli investimenti da un lato e la scarsa produttività del lavoro dall’altro. Va tenuto presente che all’interno del gruppo dirigente, per dirla sbrigativamente, vinse la linea che puntava prevalentemente sullo sviluppo dell’agricoltura (Castro), mentre uscì sconfitta quella che puntava sull’industrializzazione (Che Guevara).

Per ottenere capitali e dunque anzitutto valuta da destinare agli investimenti si puntò sulla vendita dei tradizionali prodotti dell’agricoltura (canna da zucchero, tabacco) e della zootecnia (un cospicuo patrimonio bovino), nonché sugli aiuti economici e tecnici dei paesi del blocco sovietico e della Cina. Prima dall’allora lo zucchero veniva acquistato dagli Stati Uniti d’America a un prezzo di favore; in seguito venne venduto ai paesi “fratelli” a un prezzo notevolmente inferiore a quello di favore.

venerdì 16 novembre 2018

L'uomo misterioso: le basi ideologiche della pizza all'ananas


«Tra 2007 e 2016, nel più generale arretramento dei paesi avanzati e dell’area euro, l’Italia ha quasi dimezzato la sua quota della produzione industriale mondiale al netto del costo dei fattori (capitale e lavoro) impiegati per realizzarla».

Che cosa significa “quota della produzione industriale mondiale al netto di capitale e lavoro impiegati per realizzarla”? Può significare solo una cosa in termini di produzione: il plusprodotto; vale a dire, in termini di valore, il plusvalore. E allora perché non chiamarlo così?

La risposta è molto semplice: perché siamo una rivista di sinistra che, partendo dalle parole di Gramsci, s’incarica di fare “una spietata autocritica della nostra debolezza, bisogna incominciare a domandarsi perché abbiamo perduto, chi eravamo, cosa volevamo arrivare”. Insomma una rivista, sorella di quella “americana” con lo stesso nome (Jacobin), che sente il bisogno, sempre usando le parole gramsciane, “di fissare i criteri, i principi, le basi ideologiche della nostra critica”. 

E che cosa c’è di meglio per “una rivista marxista ma non propagandistica”, nel perseguire tale nobile scopo, che usare la terminologia e i modi empatici della pubblicistica borghese? Quindi parlare di economia e crisi per 140 pagine senza mai nominare il “plusvalore”, e al più chiamarlo “valore aggiunto”?

Nell’intervista al fondatore, direttore ed editore della Jacobin americana, Bhaskar Sunkara, questi precisa su quali letture è avvenuta la sua conversione al marxismo “non propagandistico”, ossia leggendo "le opere di socialisti democratici come Michael Harrington e Ralph Miliband, e alla fine anche lo stesso misterioso Karl Marx". E che cosa ha appreso dall'uomo misterioso? Ecco le esatte parole di Sunkara:

“… mi ha fornito gli strumenti per capire come mai le riforme conquistate all’interno del sistema capitalistico fossero così difficili da sostenere, e sul perché ci sia così tanta sofferenza in società così piene di abbondanza. Alla fine ho combinato il mio cuore socialdemocratico e il mio cervello ancora confusamente marxista nell’idea politica che sostengo oggi: un radicalismo consapevole delle difficoltà del cambiamento rivoluzionario e, allo stesso tempo, di quanto profonde possano essere le conquiste delle riforme”.

Al “cervello ancora confusamente marxista” di Bhaskar Sunkara, combinato con il suo “cuore socialdemocratico”, il misterioso Marx ha fornito precisamente questa basilare nozione: quanto profonde possano essere le conquiste del riformismo!

E, del resto, che cosa aspettarsi dall’ex vicepresidente dei Socialisti Democratici d'America? È dunque partendo da questi riferimenti che si vorrebbero “fissare i criteri, i principi, le basi ideologiche della critica” della sinistra critica-critica ma non propagandistica italiana.

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N.B. : il Democratic Socialist of America (DSA), fin dalle sue origini è stato nient'altro che una fazione del Partito Democratico.  

mercoledì 14 novembre 2018

In lode alla pubblica informazione



Quale grado di autonomia può avere un quotidiano, ossia a chi risponde? Alla proprietà, non c’è dubbio, essendo quella editoriale un’attività economica come un’altra. Stesso discorso vale per i canali televisivi, che, quando sono pubblici, rispondono ai vincitori politici di turno. Che qualsiasi buon giornalista possa sottrarsi ai desiderata del padrone lasciamolo dire a Dietlinde Gruber, e sia lasciato credere a chi vuole essere preso per il culo.

Sennonché l’informazione incide in modo decisivo nella formazione della cosiddetta opinione pubblica, e dunque è chiaro il motivo politico sul perché un’attività economica con bilanci perennemente in rosso interessi tanto i capitani coraggiosi dell’imprenditoria e della finanza, ma anche, per fare un esempio di rilievo, la Chiesa cattolica e altri gruppi di potere e di pressione.

L’informazione è un ganglio vitale di questo sistema dominato da “un’oligarchia dinamica incentrata sulle grandi ricchezze ma capace di costruire il consenso e farsi legittimare elettoralmente tenendo sotto controllo i meccanismi elettorali” (Luciano Canfora, La democrazia, p. 331). Non avrei saputo dire meglio.

Uno dei problemi più antichi del mondo


«Il giorno che cambiò tutto gli faceva così male un molare che credeva di impazzire. Era rimasto a letto tutta la notte e aveva ascoltato la sua affittacamere russare nella stanza accanto. Verso le sei e mezzo, quando diede un’occhiata stanca alla luce dell’alba, trovò la soluzione a uno dei problemi più antichi del mondo.

Barcollava per la stanza come un ubriaco. Doveva scriversela subito, non poteva dimenticarla. I cassetti non volevano aprirsi, di colpo la carta si era nascosta, il pennino si era spezzato e faceva delle macchie, e per giunta era inciampato nel vaso da notte colmo. Ma, dopo mezz’ora di scarabocchi, tutto fu scritto su fogli spiegazzati, sui margini di un libro di greco e del tavolo. Posò il pennino. Respirò a fatica. Si rese conto di essere nudo, si stupì della sporcizia sul pavimento e della puzza. Si sentì raggelare. Il mal di denti era insopportabile.

martedì 13 novembre 2018

Sfida imperiale


Il Sole 24ore ha pubblicato un lungo estratto della prefazione di Romano Prodi a un libro dell’economista Ignazio Musu sulla Cina. Romano Prodi conosce bene la Cina con la quale ha stretti rapporti.

Apre citando Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi, dicendo che in Cina si sta facendo l’esatto contrario di quanto raccomandava il principe di Salina. In Cina non si cambia tutto per lasciare tutto com’è, come accadeva (e accade) a Palermo (a Roma, soggiungo, nemmeno si finge); a Pechino si lascia tutto com’è ai vertici del potere politico per cambiare in modo radicale, veloce e senza precedenti tutta la Cina.

Questo sostiene il professor Prodi, il quale c’informa che la Cina è prima per “reddito prodotto”. Sapevamo. Bisognerebbe aggiungere che ha anche più del quadruplo della popolazione statunitense e quasi il triplo di quella della UE. Vero che verso la fine dell’articolo chiarisce che il reddito pro capite cinese è “una frazione di quello americano”.

D’interesse è invece la notizia che il divario salariale tra Cina e Italia s’è drasticamente ridotto. Sapevamo anche questo, del resto i salari netti italiani sono al palo da tempo immemorabile. Prodi ci dice che in Cina è in atto una dura lotta contro l’endemica corruzione. E anche questo è noto. Infine scrive che la Cina ha bisogno di riforme, dalle banche alla sanità pubblica passando per la scuola. Non accenna a diritti civili e amenità del genere.

Altro fugace accenno di Prodi riguarda la situazione demografica cinese, presente e futura. Su quest’aspetto il libro di Kissinger sulla Cina è molto esaustivo. Soggiungo una cosa che non è mero dettaglio: la Cina appartiene ai cinesi. I bianchi negli Usa entro pochissimi anni saranno una minoranza. Avere lo stesso colore della pelle non è fondamentale, ma averlo diverso non è nemmeno nulla. Né in Europa, come sta emergendo, e tantomeno negli Usa, dove la cosa è nota da molto tempo.

Insomma, Prodi non ci dice nulla che non possiamo apprendere da altre fonti, che non sia già opinione comune. Soprattutto non può dirci ciò che più c’interessa o dovrebbe interessarci, poiché è un economista e dunque esula dalle sue competenze informarci a che punto è nell’Impero di Mezzo la preparazione per affrontare la guerra con l’Impero americano.

lunedì 12 novembre 2018

Uno splendido libro



Oggi ho ricevuto uno splendido libro, con delle magnifiche illustrazioni, ottimo per grafica e stampa. Il suo prezzo è giustificato. Se proprio un rilievo posso fare all'edizione è quello relativo al tipo di carta impiegato per la stampa del testo, cioè quella patinata, che non sopporto. Va detto, però, che non si sarebbe potuto fare altrimenti, posto che le illustrazioni devono seguire via via il testo e non possono essere raggruppate in un unico blocco. Stampate nella pattinata bianca i loro colori rendono molto di più, anche se va osservato che, per quanto riguarda il testo, la carta avoriata consente allo sguardo di posarsi più morbido, e dunque all’occhio di stancarsi di meno.

sabato 10 novembre 2018

Il germe


Anche ufficialmente la sinistra s’è squagliata, non esiste più. A tal proposito sono state dette parole inequivocabili. E, del resto, esse seguono con notevole ritardo i fatti. Perché la sinistra non è morta di recente, ma da decenni. Quanto meno dall’indomani dello scioglimento (di ciò si è trattato) del Pci, cioè del partito che aveva ancora un sentimento popolare d’ispirazione socialdemocratica.

Senza farla sofisticata: è stato messo in piedi un cartello elettorale del quale facevano parte ex comunisti (??) pentiti e abiuranti (valga per tutti l’esempio di Veltroni), liberali (ipse dixit) come Bersani, oggi sedicente socialdemocratico, ex democristiani come Franceschini e Bindi, ex radicali borghesi come Rutelli, e altri bisognosi di trovare nuove fonti di sussistenza. Solo per citare i meno peggio, ossia evitando di scrivere il nome del più vanesio e scoreggione di tutti.  

Ora dicono di voler recuperare consensi cantando stonati la filastrocca del bel tempo antico, paventando i pericoli della destra fascistoide. Ebbene, non si può diventare di “sinistra” dopo che per decenni s’è aderito al più stucchevole dei pragmatismi borghesi. Men che meno marxisti, un repêchage peraltro che nemmeno è nei loro pensieri. E però oggi – il tempo s’incaricherà di darmi ragione, ahimè inutilmente – solo andando sulle perdute tracce del marxismo è possibile imbastire qualcosa che non sia la fotocopia dei populismi di destra variamente declinati.

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venerdì 9 novembre 2018

Che dirà allora ?


Il 9 novembre 2011, Presidente del consiglio italiano era Berlusconi, quello che sorrideva sempre. Pensavamo di essere messi male. Ed effettivamente non s'era messi bene. Il debito pubblico italiano era di 1.900 miliardi di euro, al 120,1% del Pil. Quel giorno Mario Monti veniva nominato senatore a vita. Quattro giorni dopo gli fu affidato l'incarico di formare il nuovo governo. Ci lasciò ad aprile 2013 con 128 miliardi di ulteriore debito. In quei giorni Grillo pronosticava che l'Italia sarebbe fallita in autunno. Il governo Letta aggiunse al debito una mancia di 65 miliardi. Il Grande Rottamatore, da par suo, altri 122. L'attuale governo, il governo del popolo, riuscirà a battere ogni record. Che dirà allora Grillo?



giovedì 8 novembre 2018

Figure da cioccolataio


Questa mattina, a Radiotre, nella trasmissione Prima pagina (rubrica Filo diretto), condotta questa settimana da un giornalista del Sole 24ore, ha telefonato la madre di un lavoratore della Pernigotti di Novi Ligure (Piemonte, ditelo al vicepremier), la quale descriveva la ormai nota situazione nella quale si trova suo figlio e gli altri lavoratori dello stabilimento di proprietà di una multinazionale turca, la quale ha deciso di chiudere l'azienda e dunque di licenziare. La signora ha sottolineato l’aspetto umano della situazione e ha chiesto al conduttore: “Cosa può dire una madre, tutte le madri, a un figlio che viene privato in modo così repentino e ingiusto di un diritto sacrosanto per cui s’era impegnato e sacrificato?”.

Il conduttore, tale Giuseppe Chiellino, non ha trovato di meglio che consigliare: “Se fossi al posto di suo figlio cercherei di guardare altrove, di guardare al futuro invece di difendere il passato”, dunque di trovarsi un altro posto di lavoro nel distretto dolciario di Novi Ligure, o presso la Ferrero di Alba. Sono poi seguite altre telefonate che contestavano la risposta data dal conduttore alla signora Lucia di Novi. Il signor Chiellino non ha trovato di meglio che opinare che non si può limitare la circolazione dei capitali (insomma, la solita poesia).

La difesa dell'azienda nella quale fino a ieri sera s'è lavorato, diventa già da subito la difesa del passato (la difesa di un giornale con decine di milioni di debiti è invece faccenda diversa)! Questo il mantra dei galoppini della tirannia del mercato.

Pur non volendo cadere nella semplificazione erronea d’identificare tout court la condizione attuale dei salariati con forme anteriori di oppressione socio-economica, non può tuttavia essere ignorato che di questi salariati, benché restino formalmente lavoratori liberi, e ovunque si rivolgano, ci si prenderà gioco di loro, poiché ovunque regna il capriccio del “mercato”, ovvero del capitale, e l’incertezza che s’accompagna alla necessità di mettersi in vendita per sopravvivere.

Le generazioni future, quando non saranno più dominate dalla falsa coscienza borghese (quella che vive tra le delizie e prova disagio per la miseria che opprime i poveri, ma difende l’esistente come il “minore dei mali”), guarderanno alla moderna schiavitù salariata con l’orrore con il quale noi oggi consideriamo la condizione della servitù antica, cioè a quella dei lavoratori “non liberi”.

Il carattere illusorio delle libertà che la società attuale pretende di rappresentare è provato dal fatto che, nonostante ogni evidenza contraria, per la prima volta nella storia la maggior parte degli schiavi di questa società credono di essere persone libere (nel corpo e nella mente).

mercoledì 7 novembre 2018

Quello che vorresti sapere sugli Usa e la televisione censura


Le due persone più ricche negli USA - Jeff Bezos e Bill Gates - possiedono quasi la stessa quantità di ricchezza della metà più povera della popolazione.
Il 5 percento più ricco della popolazione statunitense possiede il 67 percento della ricchezza. Il 60 percento più povero possiede l'1 percento della ricchezza.
Gli americani più ricchi vivono in media 20 anni in più rispetto ai loro connazionali più poveri.
Il 70 per cento degli americani ha meno di $ 1.000 in risparmi.
Le banche hanno pignorato oltre 7 milioni di case dal 2004.
Ci sono 554.000 senzatetto ogni notte.
In gran parte di 10 stati, le donne devono percorrere oltre 160km per l'accesso all'aborto, che è minacciato dalla maggioranza più a destra della Corte Suprema da cento anni a questa parte.
Il 3 per cento degli adulti americani – 6,8 milioni di persone – sono in prigione o in carcere o in libertà vigilata.
Ci sono 1,2 milioni di poliziotti negli Stati Uniti, quasi come la popolazione dello Stato del New Hampshire.
La polizia ha ucciso 15.000 persone dal 2000.
Ci sono 55.000 bambini attualmente in centri di detenzione minorile.
Un terzo degli Stati ha una forma di prigionia per i debitori, dove i poveri sono rinchiusi per il mancato pagamento di multe o debiti.

martedì 6 novembre 2018

Diritti inalienabili


Al di fuori della società l’essere umano non esiste; nella realtà l’esistenza umana è possibile solo nella società. L’uomo è nel senso più letterale un animale sociale, e soltanto nella società può isolarsi. Altrimenti si tratta di una rarità, di un assurdo, di una specie di Tarzan, di una scimmia tra le scimmie.

Pertanto, se l’essenza umana non è qualcosa di astratto e immanente al singolo individuo, ciò vale anche per i “diritti” del singolo individuo. Al di fuori della società all’individuo non sono riconosciuti diritti, né del resto attribuiti doveri. Si tende a dimenticare che anche il diritto del più forte è un diritto, e che tale forma di diritto continua a vivere sotto altra forma anche nel nostro benamato “Stato di diritto”.

È un fatto casuale che un individuo nella realtà storica concreta appartenga alla classe degli schiavi o, per contro, alla classe dei proprietari di schiavi. A loro volta le classi sociali sono espressione di determinati rapporti sociali, nel senso che ciò che le distingue è il loro posto nell’ambito della produzione sociale e in conseguenza il loro rapporto con i mezzi di produzione.

È un’evidenza che non ha bisogno di discussione il fatto che ogni formazione sociale, e dunque ogni forma di produzione, genera i suoi peculiari rapporti giuridici, la sua peculiare forma di governo, ecc.. Il singolo ed isolato cacciatore – scriveva Marx – con cui cominciano Smith e Ricardo, appartengono alle immaginazioni prive di fantasia che hanno prodotto le robinsonate del XVIII secolo.

Formazione sociale e individuo concreto sono termini che non si oppongono solo se si tiene conto che il concreto divenire della materia sociale li implica vicendevolmente. Viceversa, voler ridurre tout court l’essere sociale all’individuo astratto, dotato di diritti inalienabili e predefiniti, è un errore del riduzionismo, quando non si tratti di peggio.


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Scrive nel suo blog un signore molto ricco di spirito: “l’individuo dovrebbe poter essere sovrano sul proprio corpo e sulla propria mente”. Vorrei vedere chi non è d'accordo. Però questo vale come auspicio, ma purtroppo non è così. E perché non sia così è scritto chiaro nel presente post. Forse il salariato non è sovrano del proprio corpo? E però deve vendere la propria forza-lavoro a un padrone in cambio dei mezzi per la propria sopravvivenza. Lo statuto dei lavoratori della società di mercato va paragonato al servaggio, essendo i lavoratori (soggetti concreti, non astratti) legati, quando va molto di lusso, esclusivamente a un'impresa e al suo buon andamento. Hai voglia di essere sovrano del tuo corpo se non hai di che mantenerlo. 

Ed è sovrano l'individuo (non quello astratto ma quello concreto) delle “proprie” idee? Nel mio post parlo di rapporti sociali e classi sociali, ossia di determinazioni concrete, reali, perciò l’equiparazione – che io mai ho fatto – di società e comunità, non c’entra nulla.  

lunedì 5 novembre 2018

Effetti collaterali





Una delle più massicce e gravi distruzioni di opere d’arte dell’epoca moderna è poco nota, e per alcuni aspetti ancora "segreta". Non quella del sacco di Roma del 1527, non le distruzioni perpetrate durante la guerra dei Trent’anni, né quella causata dall’incendio del Real Alcázar di Madrid, nel  1734; nemmeno le distruzioni causate dai vendicativi bombardamenti aerei austriaci su Venezia nella prima guerra, o quelle degli austro-tedeschi dopo Caporetto nei territori occupati. E infine non si tratta nemmeno delle innumerevoli distruzioni provocate dai bombardamenti a tappeto del secondo conflitto mondiale. Tale distruzione avvenne invece tra il 6 e il 18 maggio 1945, in una Berlino arresasi già da giorni, dov'erano cessate le ostilità belliche e si attendeva la formale resa di quello che fu il Reich hitleriano.

I danni maggiori riguardarono il settore della pittura: si trattò di ben 434 opere, prevalentemente di grandi dimensioni (quelle di più piccolo formato erano state trasferite in una miniera di potassa), fra le quali 158 dell’arte italiana, 89 olandese, 54 fiamminga, 67 tedesca, oltre a molti altri capolavori d'arte spagnola, francese, inglese, statue in bronzo e innumerevoli altri oggetti d’arte. Dipinti di Raffaello, Caravaggio (tre opere), Botticelli, Jacopo e Giovanni Bellini, Veronese (cinque opere), Sebastiano del Piombo, Filippino Lippi, Ghirlandaio, Guercino, Gozzoli, Signorelli, Beccafumi, Canaletto, Tintoretto, Tiziano, Tura, Jan Brueghel, van Dyck, Rubens, Cranach (tre opere), Murillo, Goya e molti altri (qui una lista).

Durante il conflitto, centinaia di dipinti, disegni e statue erano stati posti al riparo dai bombardamenti in una torre, nota come la Flaktürm Friedrichshain (realizzata nell’omonimo parco, ora quartiere residenziale prestigioso), e appunto in quel maggio 1945 perirono in un incendio o risultano comunque scomparsi. Probabilmente tutto iniziò, paradossalmente, a causa di un fulmine che colpì alcuni grossi cavi elettrici. La situazione in sé grave e l’incuranza delle truppe sovietiche d’occupazione fecero il resto. Poi, il mese successivo, si tentò con un comunicato stampa di addossare la responsabilità dell’incendio alle Ss (non immuni, anche in quei giorni, da altri misfatti).

Tuttavia vi sono molti elementi (e prove) per far ritenere che molte opere siano state in realtà trafugate (e poi perite in gran parte nell'incendio di un deposito). Si pensi, tra l’altro, che per quanto riguarda i libri, il bottino totale dei sovietici è stimato in circa sei milioni di volumi. Ma non solo i sovietici, anche gli altri occupanti non furono da meno, e gli elenchi delle opere recuperate in Germania non furono compilati con lo scrupolo necessario. E ciò pare non fosse casuale. Insomma, si tratta di un pezzo di storia in gran parte ancora da scrivere.

*

Le Flaktürme (al singolare Flaktürm) sono delle mastodontiche torri, costruite durante la seconda guerra mondiale a Berlino, Amburgo e Vienna su progetto dall’architetto berlinese Friedrich Tamms (1904-1980). Per la loro costruzione furono impiegati lavoratori forzati da tutta Europa. Le torri di Amburgo e Vienna sono entrate del novero dei monumenti storici, mentre quelle di Berlino non esistono più. Una delle torri di Vienna ospita l’acquario marino della città, mentre un’altra è utilizzata come deposito dal MAK, il museo di arte applicata.

Ne furono costruite di tre tipologie, per esempio a Vienna sono disposte a coppie in tre punti della città. Le coppie sono formate rispettivamente da una torre più alta, circa 40 metri (la Friedrichshain berlinese era alta 75 metri), allora fornita di artiglieria contraerei (la dizione "contraerea" è sbagliata), ed una più bassa, predisposta all’elaborazione dati. Il raggio d’azione dell’artiglieria, con pezzi da 105 e 128, era di 21 km, e l’altezza massima di tiro 15 km, mentre potenti radar potevano localizzare i bombardieri nemici fino a 80 km di distanza. I muri hanno uno spessore tra i 2,5 e i 3,5 metri di cemento armato, e ogni torre aveva il suo generatore di emergenza e un approvvigionamento idrico autonomo attraverso pozzi profondi, vi erano piccoli ospedali e in alcune torri fabbriche e depositi di munizioni (nella Friedrichshain non vi erano esplosivi).

Oltre alla funzione di postazioni contraerei, consentivano l’eventuale rifugio di diverse migliaia di persone. Inoltre ospitavano, come detto, molti tesori artistici e culturali, come nello Zoobunker, una delle tre Flaktürme  di Berlino, dove furono custodite alcune parti dell'altare di Pergamo e il cosiddetto il tesoro di Priamo per proteggerli dalla distruzione.

venerdì 2 novembre 2018

Un'importante analogia


Il 13 ottobre 1918, i plenipotenziari austriaci ebbero carta bianca e presero contatti con lo stato maggiore dell’esercito italiano per intavolare trattative d’armistizio. Avevano fretta: volevano che la cessazione delle ostilità avvenisse con la linea del fronte qual era in quel momento. La controparte aveva invece tutto l’interesse per procrastinare tale momento. Aveva bisogno di tempo per un’offensiva che le consentisse, prima di firmare, di sfondare le linee nemiche ed arrivare ad occupare quanto maggior territorio possibile.

L'offensiva prese avvio solo il 24 ottobre, causa le piogge e il Piave in piena (*). La solita improvvisazione, i primi insuccessi e gravi perdite. Infatti le truppe imperiali, nonostante fossero ridotte letteralmente alla fame, resistettero senza cedere il passo fino al successivo 29, allorquando la manovra italiana sul basso Piave sfondò le linee nemiche e raggiunse Serravalle e Ceneda, due borghi dalla cui unione poi prese il nome Vittorio Veneto.

Il 3 novembre, in località Mandria, nei pressi di Padova, l'Austria-Ungheria firmò la resa. Essa recava la clausola che stabiliva il termine delle ostilità tra le parti alle ore 15 del giorno successivo. Ciò per dare modo alle truppe italiane di sbarcare a Trieste e di penetrare in profondità nel Trentino e nella Valle dell'Isarco.

Ciò che accadde nei decenni successivi in Italia, in Europa e nel resto del mondo, fu conseguenza di quella strage e dei trattati di pace che ne seguirono. Non credo azzardato affermare che fu, in ultima analisi, lo sviluppo del capitalismo ad imporre quella guerra, senza  la quale gli assetti territoriali, statuali e politici, sociali ed economici, non sarebbero mutati. Non a caso il Novecento è stato definito come il secolo americano, cioè il secolo della potenza capitalistica più forte.

La produzione di merci, come ogni altra forma di produzione, ha le sue leggi specifiche, immanenti, inseparabili da essa. Queste leggi si attuano malgrado tutto e tutti come leggi coattive, sconosciute ai più. Esse agiscono ciecamente e si attuano senza i produttori e contro di essi, come leggi naturali della loro forma di produzione.  


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