Il recente saggio di Luciano Canfora, La scopa di don Abbondio, ha per tema,
come rivela il sottotitolo, Il moto
violento della storia, ossia i processi storici del mutamento sociale. Un
librino, questo, che ha la pretesa dell'obiettività ma che la dice lunga sul peso della concezione idealistica della
storia anche presso storici di vaglia come l’Autore.
Apre con una citazione tratta da Guerra e Pace, laddove Tolstoj, scrive Canfora, «coglie meglio di
chiunque la difficoltà insita nel tentativo, che di continuo compiamo, di
comprendere i ‘fatti storici’»:
«Per la mente umana –scrive Tolstoj – è inconcepibile
l’assoluta continuità del moto. All’uomo divengono comprensibili e leggi di
qualsiasi moto solo quando esamina delle unità arbitrariamente scelte di questo
moto; [ed è] da questa arbitraria divisione del moto continuo in unità
discontinue che scaturisce la gran parte degli errori».
Chiosa Canfora: «Intende: errori di comprensione dei
fatti storici. E si riferisce all’immenso continuum delle volontà dei singoli,
che costituiscono il vero (e difficilmente decifrabile) tessuto della storia.
«Il moto dell’umanità – osserva Tolstoj –, scaturente
da un’infinita quantità di volontà personali, si compie continuamente». E
perciò deduce che “La comprensione delle leggi di questo moto è lo scopo della
storia»; «leggi – ribadisce Tolstoj – del moto continuo, somma di tutte le
volontà degli uomini». E poi: «La somma delle volontà degli uomini ha
prodotto sia la rivoluzione che Napoleone, e soltanto la somma di queste
volontà li ha tollerati e annientati.»
Conclude Canfora: «Anche Tolstoj, dunque, perde la
sfida con se stesso e si concentra sui destini e le volontà dei singoli. Compie
la stessa operazione di ritagliare una “unità arbitraria”, sia pure
anti-eroica. Ma la sfida resta in piedi. E il cimento è, per chi tenta di
capire, immettersi, a proprio rischio, nella “assoluta continuità del moto”.
Donde la domanda, legittima: di quale genere di moto si tratti».
Moto storico a spirale, sostiene Canfora, e in ciò ha
buon gioco sul mero volontarismo tolstojano. Tornare indietro e ricominciare “a
grado a grado”. Ciò che viene dopo non cancella del tutto ciò che è avvenuto
prima, e altri truismi del genere. Delle rivoluzioni dice ciò che è inevitabile
dire, e insomma ramazza i fatti di superfice e ne fa il solito mucchio condito
da erudite citazioni.
Scrive che (il giovane) Marx azzardava le sue analisi “con tono spavaldo” (sic!), formulando “ingenui auspici”. Rimprovera al Marx quarantenne di credere in uno sviluppo unidirezionale (ascendente) della società borghese, di negare, già nelle prime righe del Manifesto, il persistere di forme di schiavitù vera e propria (*). Il che non è assolutamente vero, poiché Marx si riferisce al carattere generale della società moderna, «dove [la borghesia] ha raggiunto il dominio». Già ben prima del Manifesto, ossia nei Manoscritti del 1844, solo per citare un esempio, scriveva: «Ricordiamo solo di passaggio la tendenza al monopolio da parte dei proprietari fondiari nei confronti della proprietà fondiaria di paesi stranieri, donde hanno origine per esempio le leggi sul grano. Cosi pure sorvoliamo sulla servitù della gleba del Medioevo, sulla schiavitù nelle colonie, sulla miseria dei contadini, dei braccianti in Gran Bretagna».
Scrive che (il giovane) Marx azzardava le sue analisi “con tono spavaldo” (sic!), formulando “ingenui auspici”. Rimprovera al Marx quarantenne di credere in uno sviluppo unidirezionale (ascendente) della società borghese, di negare, già nelle prime righe del Manifesto, il persistere di forme di schiavitù vera e propria (*). Il che non è assolutamente vero, poiché Marx si riferisce al carattere generale della società moderna, «dove [la borghesia] ha raggiunto il dominio». Già ben prima del Manifesto, ossia nei Manoscritti del 1844, solo per citare un esempio, scriveva: «Ricordiamo solo di passaggio la tendenza al monopolio da parte dei proprietari fondiari nei confronti della proprietà fondiaria di paesi stranieri, donde hanno origine per esempio le leggi sul grano. Cosi pure sorvoliamo sulla servitù della gleba del Medioevo, sulla schiavitù nelle colonie, sulla miseria dei contadini, dei braccianti in Gran Bretagna».
Quanto al processo ascendente, ebbene sì, ma non all’infinito,
non privo di contraddizioni. Scriveva Marx nel Capitolo VI inedito:
«Così si produce una rivoluzione
economica completa; essa da una parte genera per prima le condizioni reali del
dominio del capitale sul lavoro, gli dà forma adeguata e compiuta, dall’altra
crea nelle forze produttive del lavoro, nelle condizioni di produzione e nei
rapporti di circolazione da essa sviluppati in antitesi al lavoratore, le
condizioni reali di un nuovo modo di produzione destinato a sopprimere la forma
antagonistica del modo di produzione capitalistico, e perciò getta le basi
materiali di un processo di vita sociale diversamente organizzato, quindi di
una formazione sociale nuova.
È questa una visione radicalmente
diversa da quella degli economisti borghesi, che, impigliati come sono nelle
rappresentazioni capitalistiche, vedono come si produce entro il rapporto capitalistico, ma non come questo rapporto è
prodotto e come, nello stesso tempo, si sprigionano dal suo seno le condizioni
materiali della sua dissoluzione, sopprimendo così la sua giustificazione storica in quanto forma necessaria dello sviluppo economico, della produzione della
ricchezza sociale.»
Non solo una visione radicalmente diversa da quella
degli economisti borghesi, ma anche da quella degli storici borghesi!
*
Quale rapporto stabilì Marx tra il suo metodo
scientifico e la storia? Il metodo scientifico che procede dall’astratto al
concreto, che “sale dal più semplice al più complesso”, che opera secondo
modelli, riflette o meno il movimento storico reale?
Posta in altro modo, la questione si presenta così:
l’indagine scientifica deve o meno ripercorrere il processo di sviluppo storico
del suo oggetto, e, eventualmente, in quali termini? La risposta non è per
nulla scontata, ed infatti Marx risponde: «Ça
dépend», dipende!
In alcuni casi, “il
cammino del pensiero astratto che sale dal più semplice al più complesso”
corrisponde “al processo storico reale”. In
altri, no. E poiché non necessariamente vi è corrispondenza tra successione
storica ed ordinamento logico delle categorie, sarebbe «dunque
inopportuno ed erroneo disporre le categorie economiche nell’ordine in cui esse
furono storicamente determinante. La loro successione è invece determinata
dalla relazione in cui esse si trovano l’una con l’altra nella moderna della
società borghese.»
A tal proposito, Engels osserva:
«La critica dell'economia, anche dopo
che era stato acquisito il metodo, poteva ancora essere intrapresa in due modi:
storicamente o logicamente. Poiché nella storia, come nel suo riflesso
letterario, l'evoluzione va pure, in sostanza, dai rapporti più semplici ai
rapporti più complicati, lo sviluppo storico-letterario dell'economia politica
offriva un filo conduttore naturale a cui la critica poteva aggrapparsi, e in
sostanza le categorie economiche sarebbero apparse anche in questo caso nello
stesso ordine che nello sviluppo logico. […] La storia procede spesso a salti e a zigzag, e si sarebbe dovuto
tenerle dietro dappertutto, il che avrebbe obbligato non solo a inserire molto
materiale di poca importanza, ma anche a interrompere spesso il corso delle
idee. Inoltre non si può scrivere la storia dell’economia senza quella della
società borghese, e il lavoro non sarebbe mai arrivato alla fine perché mancano
tutti i lavori preparatori. Il modo
logico di trattare la questione era dunque il solo adatto. Questo non è
però altro che il modo storico, unicamente spogliato della forma storica e
degli elementi occasionali e perturbatori. Nel modo come incomincia la storia,
così deve pure incominciare il corso dei pensieri, e il suo corso ulteriore non
sarà altro che il riflesso, in forma astratta e teoricamente conseguente, del
corso della storia; un riflesso corretto, ma corretto secondo leggi che il
corso stesso della storia fornisce, poiché ogni momento può essere considerato
nel punto del suo sviluppo in cui ha raggiunto la sua piena maturità, la sua
classicità.»
Il metodo
logico è, dunque, la chiave per la comprensione dello sviluppo storico: esso va al nucleo strutturale dello sviluppo
storico consentendone un’analisi attenta, scientifica e sistematica. Ecco
perché Marx afferma: «Per sviluppare le leggi
dell’economia borghese non è quindi necessario scrivere la storia reale dei
rapporti di produzione».
Il criterio logico di disposizione delle categorie
economiche non è soggettivo.
La logica
dialettica di Marx è una logica oggettiva e materialistica.
«Come in generale in ogni scienza
storica e sociale, anche rispetto al procedere delle categorie economiche va
sempre tenuto ben fermo che – sia nella
realtà, che nella testa – il soggetto, la società borghese nel nostro caso, è
dato; e che, dunque, le categorie esprimono – di questa determinata società,
di questo soggetto – forme d’esistenza determinata, determinazioni
d’esistenza e, spesso, solo singoli lati; ancora, che questa società, pure dal
punto di vista scientifico, in nessun modo inizia laddove inizia il suo
discorso su di essa in quanto tale. »
*
Della crisi storica del capitalismo, e delle sue cause, nel librino di
Canfora non c’è traccia. Né menziona la lotta di classe, se non per denunciare
quanto sia diventata dura ed estesa la schiavitù moderna, né il ruolo della
tecnologia quale sovrana del processo lavorativo, eccetera. Ciò che realmente
gl’interessa è mettere alla berlina Marx sulle questioni che più hanno rilievo.
Perciò mi chiedo per quale motivo Canfora accetti di vestire i panni di un
Achille Loria dei nostri giorni (**). Forse il successo mediatico ed editoriale,
il fatto che un pubblico semicolto accorra a frotte alle sue conferenze può
fargli credere di poter trattare Marx come un suo pari?
(*) Scrive Canfora a p. 39: «È una vicenda [la guerra civile americana] che Marx seguirà da giornalista e che potrebbe aver scosso l'ingenua, o meglio astrattamente eurocentrica, sua visione dello sviluppo storico (affidata ai primi righi del Manifesto), che relegava la schiavitù tra i modi di produzione inerenti ad un passato remotissimo». Totalmente falso.
(**) F. Engels, nella Prefazione al III Libro: « L’Italia è la terra della classicità. Dalla grande epoca in cui spuntò sul suo orizzonte l’alba della civiltà moderna, essa ha prodotto grandi caratteri, di classica ineguagliata perfezione, da Dante a Garibaldi. Ma anche l’età della decadenza e della dominazione straniera le ha lasciato maschere classiche di caratteri, fra cui due tipi particolarmente elaborati: Sganarello e Dulcamara. La loro classica unità noi la vediamo impersonata nel nostro illustre Loria.»
E' uscito un nuovo anticoncezionale ?
RispondiEliminanon so di preciso dove ...
EliminaOlympe, bella, il post dopo ha un errore nel titolo
RispondiEliminaah, non ci fossi tu. grazie di quore
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