È importante sottolineare che Marx non era un profeta
(aborriva essere considerato tale), e fu assai avaro di parole sul futuro
della società post capitalista. Certo, sosteneva il superamento della società di
classe in una società di liberi ed uguali, dunque la piena socializzazione
dell’essere umano, ma era molto cauto nel prefigurare il futuro e in nessuna
sua opera ne tratteggia la struttura, e tanto spesso criticava il socialismo
utopico per le previsioni idealistiche. Infatti, se tutte le idee sono un
prodotto della realtà sociale contemporanea (fatto al quale spesso non si dà
gran peso), allora una proiezione dettagliata di queste idee in un futuro
lontano tende a costrutti immaginari privi di fondamento reale.
In ciò Marx era pienamente d’accordo con Hegel, il
quale osservava che “è tanto sciocco supporre
che una filosofia vada di là del mondo che le è contemporaneo, tanto quanto
supporre che un individuo possa uscire fuori dal suo tempo”.
Anche per quanto riguarda le idee sulla rivoluzione,
quelle di Marx sono una diretta conseguenza della sua posizione materialistica
generale sullo sviluppo storico; egli riteneva cioè che lo sviluppo della
società seguisse il processo delle trasformazioni della sua base economica,
delle sue forze di produzione e dei corrispondenti rapporti di proprietà (*).
Mi rendo conto che simili questioni suscitino un
debole interesse e solo presso rare persone, tanto più in un’epoca che evoca
aspettative definitive che giungano a velocità elettronica, anche se poi molto
spesso queste risposte si rivelano per essere illusorie e insoddisfacenti, e
non deve dunque stupire che tutto quello che vediamo intorno a noi non fa che
decadere e andarsene.
*
Affermare che Karl Marx scriveva in un’epoca molto
lontana dagli odierni sviluppi, è una giusta per quanto banale osservazione,
che però conduce sovente a una conclusione assolutamente sbagliata: cioè a
ritenere che l’analisi marxiana “poteva essere molto
valida al tempo in cui egli visse, ma sarebbe una forzatura volerla ritenere
valida per il XX secolo e tanto più per quello attuale”.
È vero che allora si viaggiava prevalentemente in
carrozze trainate da cavalli, le imbarcazioni a vela non erano ancora del tutto
estinte, e tuttavia Marx poteva osservare nel 1848 che il soggiogamento delle
forze naturali, le macchine, l'applicazione della chimica all'industria e all'agricoltura,
la navigazione a vapore, le ferrovie, i telegrafi elettrici, eccetera,
costituivano uno sviluppo delle forze produttive che non aveva precedenti nei
secoli passati. Era l’epoca nella quale, per dirla con Hobsbawm, trionfava la
società borghese, si consumava cioè il dramma del progresso: massiccio,
illuminato, sicuro e soddisfatto di sé, ma soprattutto inevitabile.
E proprio alla luce di quanto stava tumultuosamente
accadendo, Marx da un lato poneva attenzione sull’intero processo
storico-sociale e il passaggio da una data formazione economico-sociale ad
un’altra (materialismo storico), dall’altro, nello specifico, il suo oggetto
d’indagine divenne “il modo capitalistico di produzione e i rapporti di
produzione e di scambio che gli corrispondono”, e non esclusivamente
l’Inghilterra, che pure fu, nella sua epoca e di questo oggetto, la “sede
classica”.
Su tale aspetto non s’insisterà mai abbastanza, ma in
ogni modo non c’è da aspettarsi gran cosa da chi affronta gli scritti marxiani
in modo occasionale e superficiale (come nel caso della tesina della
studentessa che m’è capitata tra i piedi oggi).
*
Quanto agli sviluppi del capitalismo, nessuno si
aspettava un’inversione di tendenza, nemmeno Marx, che pure aveva sperato tanto
nella rivoluzione del 1848, ma poi aveva dovuto prendere atto, soprattutto
attraverso i suoi studi, a cominciare dagli anni Cinquanta, che la questione
riguardava il “lungo periodo”. Infatti, ebbe a scrivere:
«Una
formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze
produttive a cui può dar corso, nuovi e superiori rapporti di produzione non
subentrano mai prima che siano maturate in seno alla vecchia società le
condizioni materiali della loro esistenza».
E proseguiva:
«Ecco perché
l'umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a
considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo
quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono
in formazione.»
*
Sul fatto poi che Marx non ci abbia lasciato una
teoria dello Stato e delle classi sociali, ebbene si tratta di una tesi assai
ripetuta quanto infondata. Tantomeno questo fatto è da collegarsi alla sua
morte prematura (1883), ossia al fatto, per esempio, che l’ultimo capitolo del
terzo libro de Il Capitale, quello
sulle classi sociali, s’interrompa dopo poche righe. Va osservato che il terzo
libro fu scritto, in realtà, per primo, cioè prima ancora della stesura del
primo libro de Il Capitale.
Sulla teoria dello Stato e delle classi sociali Marx ci ha lasciato una gran mole di riflessioni e analisi, non solo incidentali, a partire dal Manifesto, poi con Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, quindi con il Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte e in numerosi altri scritti. Del resto non era questo tema di carattere sociologico una sua priorità, e lasciò ad Engels occuparsene più dappresso.
Sulla teoria dello Stato e delle classi sociali Marx ci ha lasciato una gran mole di riflessioni e analisi, non solo incidentali, a partire dal Manifesto, poi con Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, quindi con il Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte e in numerosi altri scritti. Del resto non era questo tema di carattere sociologico una sua priorità, e lasciò ad Engels occuparsene più dappresso.
(*) Nella Prefazione a Per la critica dell’economia politica, Marx scrive: «A un dato punto del loro sviluppo, le forze
produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di
produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto
l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l'innanzi s'erano mosse.
Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in
loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale. Con il
cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la
gigantesca sovrastruttura. Quando si studiano simili sconvolgimenti, è
indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle
condizioni economiche della produzione, che può essere constatato con la
precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose,
artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini
di concepire questo conflitto e di combatterlo. Come non si può giudicare un
uomo dall'idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca
di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa; occorre invece
spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il
conflitto esistente fra le forze produttive della società e i rapporti di
produzione.»
Come sempre, per giustificare da parte del Potere lo sfruttamento delle persone, si critica la mancata indicazione di un'alternativa. Ma l'alternativa c'è.Si tratta di inverare il motto: Proletari di tutto il mondo UNITEVI. Spetta ai Proletari trovare il modo
RispondiEliminaVabbè, ma darci un'idea anche approssimativa di come sarà fatta questa alternativa non sarebbe male, giusto per non essere con Lenin nel 1917 e doversi trovare in un gulag nel 1925.
Elimina
Eliminaahah, detto così si potrebbe dedurre allora che la colpa è dei proletari che non hanno ancora trovato il modo.