giovedì 8 febbraio 2018

Parlare di corda in casa dell’impiccato




Non voglio negare che le preoccupazioni espresse sul futuro del lavoro e sull’impreparazione ad affrontarlo non siano giustificate, a parte il modo totalmente ideologico con il quale tali preoccupazioni sono abitualmente spiattellate al pubblico.

Proprio nel modo di affrontare tale tema risulta completamente assente, cioè rimossa, l’altra faccia della questione, che riguarda il presente e il domani poiché rappresenta la reale e fondamentale questione sulla quale, si voglia o no, ci si dovrà confrontare.

Posto che molti lavori saranno sostituiti sempre più dalle macchine, va da sé che non è più tanto il lavoro a presentarsi come incluso nel processo di produzione, quanto piuttosto l’uomo a porsi in rapporto al processo di produzione come sorvegliante e regolatore.
 
E da ciò si deduce che non appena il lavoro in forma immediata ha cessato di essere la grande fonte della ricchezza, il tempo di lavoro cessa e deve cessare di essere la sua misura, e quindi il valore di scambio cessa di essere la misura del valore d’uso.

È un dato di fatto, questo, che si sta già palesando, come dimostrano, tra l’altro, certe dottrine, non nuove e anzi vecchie come il cucco, sulla decrescita. Percependo il mutamento in atto, tali dottrine lo inquadrano nella continuità sostanziale del sistema economico vigente. Altro accenno, che coglie tale dinamica, è presente indirettamente nei programmi politici che prefigurano il cosiddetto reddito di cittadinanza e simili.

Pertanto, in forme varie, in modo confuso ed oscuro, viene a porsi, in termini economici e storici, la questione del superamento di un sistema economico basato sul profitto per il profitto, sull’estorsione del plusvalore per il plusvalore.

In altri termini, se il pluslavoro della massa ha cessato di essere la condizione dello sviluppo della ricchezza generale, così come il non-lavoro dei pochi ha cessato di essere condizione dello sviluppo delle forze generali della mente umana, diviene conseguente che la produzione basata sul valore di scambio crolla (e, innanzitutto, il rapporto di scambio tra capitale e forza-lavoro).

Sia il lavoro nella sua determinazione di merce e sia il tempo di lavoro immediato quale misura della ricchezza, raggiunge i suoi limiti storici. Si tratta di pensare il superamento del modo di produzione capitalistico come passaggio ad un nuovo stadio dell’evoluzione umana: controllo cosciente delle forze della natura e della materia sociale; trasferimento alle macchine della materialità del lavoro; assunzione collettiva del lavoro creativo, di progettazione di finalità e di direzione del processo di lavoro automatico autoregolato.

Nel dibattito sulle nuove tecnologie, del tutto ideologico (vedi Davos, ma non solo), queste questioni non sono nemmeno sfiorate, poiché sarebbe come parlare di corda in casa dell’impiccato. Sarà la necessità storica ad imporsi, come sempre in modo violento e traumatico.

7 commenti:

  1. Dalle nostre comuni parti si dice: A ti o sà sì. E poi, con aria di condiscendenza apparentemente bonaria: El ghe xe rivà ciò.
    Ma non ti devi offendere, perché è apprezzabile che tu non stia seduta su convinzioni datate.
    Tu capisci che questo supera la teoria del plusvalore, ivi incluso il postulato, mai veramente fattosi teorema, del capitale costante che non crea valore.
    Eppure, il diffondersi delle aziende non manifatturiere, che primeggiano nelle classifiche di fatturato e profitti (bisognerà ricominciare a usare i termini), il parallelo diffondersi della disoccupazione e l'acquisito primato dell'impiego pubblico non solo nella sicurezza, ma anche nella remunerazione: tutto questo e molto altro, unito ai progressi tecnologici, poteva essere non solo previsto, ma anche usato come ulteriore leva previsionale.
    Poiché gli estremi si toccano, rimane vera, o almeno assai probabile, la conclusione ultima, che tu classifichi come "violenta e traumatica". Sia pure a seguito di un processo storico diverso dal previsto.

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    1. dalle mie parti si dice: o ti sa o ti tasi.
      vale per lei e per tutti quelli come lei

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    2. Io infatti non so. Però un'alternativa al tacere c'è: cercare di imparare. Allora, me la spieghi una cosa? la formula Pv=L-V vale anche se L è minore di V?

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  2. Buongiorno, chiedo scusa per l'intromissione ma vorrei provare a rispondere, nel mio piccolo, al sig. Erasmo.
    Consideriamo dunque la formula:
    Pv = L - V
    dove:
    L = quantità di lavoro impiegata in una certa produzione
    V = lavoro necessario alla riproduzione della forza-lavoro

    quantità tutte > 0.

    Si ha così: Pv = pluslavoro = L - V
    Lei chiede se tale formula sia valida anche nel caso in cui L < V. Ebbene sì, io credo che la formula rimanga valida e questo perchè L non potrà essere mai < V dato che L incorpora già V essendo il lavoro impiegato in una certa produzione corrispondente proprio alla somma del lavoro necessario e del pluslavoro.

    Saluti

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    1. rispondo a lei e non al pesce in barile (mi pare di essere all'asilo mariuccia). laquestione è stata trattata in questo blog in numerosissimi post, tra i quali:

      http://diciottobrumaio.blogspot.it/2015/04/perche-cala-il-prezzo-delle-uova.html

      http://diciottobrumaio.blogspot.it/2016/02/se-il-pesce-non-abbocca-non-e-colpa-del.html

      http://diciottobrumaio.blogspot.it/2016/02/potrebbe-sorgervi-la-domanda.html

      http://diciottobrumaio.blogspot.it/2016/10/la-tendenza-storica-dellaccumulazione.html

      http://diciottobrumaio.blogspot.it/2013/03/la-legge-piu-importante.html

      http://diciottobrumaio.blogspot.it/2015/07/limone-e-liquirizia.html

      Saluti a lei e grazie del commento.

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    2. Grazie mille Olympe, molti li ho già potuti studiare (e gustare) il giorno stesso della loro pubblicazione. Purtroppo nel dibattito sulle questioni economiche si è persa di vista l'importanza del concetto di "valore" quale rapporto sociale, quale base indiscutibile dell'economia-politica. Purtroppo il marginalismo sta vincendo la sua battaglia ideologica laddove l'idea balzana che "il valore delle merci" sia soggettivo ha assunto l'importanza di una legge, sebbene si tratti di una povera sciocchezza. Questo è ciò che viene insegnato nelle università: quando si dice "imprimere un segno".
      Grazie ancora per il suo quotidiano impegno e per lo spazio che ha voluto concedermi.

      Saluti

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    3. che "il valore delle merci" sia soggettivo, e che il capitale costante sia produttivo di valore (ex novo) come sostiene Erasmo.
      il suo commento mi rincuora e forse fa bene anche alla salute
      cordialmente

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