Questo mattina su radiotre ho seguito il dibattito su
(neo)fascismo e antifascismo. Anche interventi di buon senso, per carità, nei
quali viene citata la distinzione tra il rigurgito odierno e il fascismo
storico, e quindi la mancanza di “educazione alla democrazia”, il disagio
sociale con accompagno di sfiducia nelle istituzioni, l’immigrazione e via di
seguito. Si è udito anche un cenno – mero omaggio alla “complessità” del tema –
alla “crisi” e all’incapacità di risposta da parte della politica e delle
istituzioni. La parola “capitalismo”, al solito, è bandita. Come se la crisi e ciò che ne consegue fosse causa di un
virus proveniente da Marte e del quale non è creanza parlare in pubblico e in termini
espliciti.
È nota a tutti l’ouverture de Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte, nella quale Marx, si
richiama a un passo di Hegel, laddove il filosofo di Schdùagert osservava che tutti
i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per
così dire, due volte. Marx chiosa che Hegel aveva dimenticato di aggiungere che
la prima volta si presentano come tragedia, la seconda volta come farsa. Nel
caso del fascismo si potrebbe, alla luce dei fatti, sostenere che la farsa del
nuovo impero mutava ben presto in disfatta e immane tragedia.
La borghesia ha sempre buon gioco nel cambiare nome e
forma alla propria dittatura (*). Con ciò non voglio sostenere che le libertà nella
società democratica borghese siano da disprezzare, tutt’altro. Esse sono da tenere
in massima considerazione, tuttavia non va trascurata l’effettualità dei rapporti
sociali, e anzitutto il rapporto di proprietà del capitale sulla forza-lavoro,
che si distingue solo per la forma da altre più dirette forme di asservimento
del lavoratore. Una forma prodotta sempre di nuovo e che prescinde da quale sia lo statuto giuridico e politico-sociale di
riferimento.
Infatti sbaglia chi, alla luce della Costituzione, pretenda di caratterizzare tale
rapporto sussumendo lavoratore e capitalista in un rapporto di parità, facendo
in tal modo l’apologia di un’uguaglianza solo fittizia e dissolvendo la
differenza specifica.
(*) Dopo la rivoluzione del luglio 1830, il banchiere
liberale Laffitte si lascia sfuggire: “D'ora innanzi regneranno i banchieri”.
Sta accompagnando il suo compare, il duca di Orléans, cioè Luigi Filippo, in
trionfo all'Hôtel de Ville, centro del movimento repubblicano. Durante tale visita, Luigi Filippo s'impegnò a rispettare i diritti
costituzionali e, col tricolore in mano, si affacciò alla finestra insieme al
veterano della Rivoluzione francese Lafayette, che lo abbracciò presentandolo
al popolo come "re cittadino" e definendo il suo regno la migliore delle repubbliche!
Nel 1847 Parigi insorge contro la monarchia di Luigi
Filippo, il quale difenderà “la migliore delle repubbliche” fucilando migliaia
di operai. L’insurrezione si trasforma in rivoluzione e finalmente, nel febbraio
1848, è proclamata la seconda repubblica. I francesi per la prima volta possono
votare, ed eleggono presidente il nipote di Napoleone. Il quale, ironia della storia,
si chiama come i monarchi dell’ancien régime: Carlo Luigi. Con un colpo di
Stato, si fa incoronare imperatore. Addio repubblica e suffragio universale. A
comandare, comunque e sempre, è la borghesia, qualunque sia la frazione vincente.
Il fascismo è l'Essenza del capitalismo.
RispondiEliminano, in senso astratto è proprio la democrazia borghese. la quale però in momenti di crisi si ribalta, mantenendo le medesime premesse, in fascismo
Elimina