Con lo sviluppo tecnologico e tecnico aumenta la produttività
del lavoro, ossia con la stessa quantità di forza-lavoro, impiegata per lo
stesso tempo, oggi vengono prodotte molte più merci di una data tipologia (auto,
frigoriferi, sex toys, ecc.) rispetto a – poniamo – mezzo secolo fa, eccetera.
E però la giornata lavorativa normale è rimasta
sostanzialmente invariata (*). La disoccupazione, l’esercito industriale di
riserva di marxiana memoria, un tempo modulata e funzionale al ciclo del
capitale, è oggi un dato strutturale permanente e in gran parte svincolato dal
ciclo.
L’ideologia borghese ha tutto l’interesse di
capovolgere la realtà, ossia di far apparire la persistente disoccupazione di
massa, e il suo incremento, come causa dello sviluppo tecnologico e tecnico, e non come
causa del modo nel quale viene impiegata la forza lavoro nel processo
produttivo capitalistico.
Non dunque lo sviluppo tecnologico e tecnico, ma il modo di
produzione capitalistico sta creando le condizioni per un aumento considerevole
di un proletariato sempre più ai margini della società, con conseguenze anche
sul piano delle dinamiche politiche ed elettorali, la crisi del welfare, ecc.
*
L’aumento della produttività della forza-lavoro si
traduce in una minore quantità di nuovo valore per unità di prodotto e, nel
complesso, in una minore quantità di nuovo valore (e non semplicemente "aggiunto" !!!) in rapporto all’insieme
del capitale investito. Ciò crea crescenti difficoltà di valorizzazione al
capitale. Pertanto non è, di per sé, lo sviluppo tecnologico a essere causa
della crisi, come l’ideologia borghese ha buon gioco nel far credere, ma la
sempre più accentuata divaricazione tra valore d’uso e valore di scambio.
Come diceva quell’ipocondriaco di Treviri, il limite
al capitale è il capitale stesso.
(*) Qui si fa astrazione, per comodità espositiva, da
altre condizioni e considerazioni, sul tipo, per esempio, dell’intensità di
sfruttamento della forza-lavoro (intesa di livello costante).