Liebknecht
mi ha appena fatto un bello scherzo. Ha preso dalla mia introduzione agli
articoli di Marx sulla Francia dal 1848 al 1850 tutto quanto poteva servirgli a
sostegno della tattica ad ogni costo pacifica e contraria alla violenza che gli
piace predicare da qualche tempo, e soprattutto in questo momento in cui a
Berlino si preparano delle leggi repressive. Ma questa tattica io la raccomando
solo per la Germania d’oggi e, anche
qui, con considerevoli riserve. Alla Francia,
al Belgio, all’Italia, all’Austria questa tattica non si adatta nella sua
interezza e, per la Germania, può divenire inapplicabile domani (Lettera di
Engels a Lafargue del 3 aprile 1895, MEOC, vol. L, p. 493).
Credo che Luciano Canfora abbia ben sintetizzato la
situazione storica nella quale ci troviamo impantanati quando scrive di sistema
dominato da “un’oligarchia dinamica
incentrata sulle grandi ricchezze ma capace di costruire il consenso e farsi
legittimare elettoralmente tenendo sotto controllo i meccanismi elettorali” (La democrazia, p. 331).
Ecco dunque che in un periodo di stasi delle lotte
sociali e di estrema confusione ideologica è già importante non assecondare il
sistema nella sua principale forma di legittimazione, cioè quella elettorale.
Del resto, per una qualsiasi iniziativa politica – individuale, di gruppo, di
massa – che non voglia sguazzare nella palude esistente, il punto di partenza essenziale non può
essere altro che quello di contrastare le idee e le pratiche riformistiche. È
poco, troppo poco? Non è questo il punto. Ciò costituisce il primo necessario passo
di un lungo percorso: smettere di credere o far finta di credere che prima o
poi le strutture del sistema capitalistico e i suoi meccanismi del controllo
siano suscettibili di una reale trasformazione avanzata e democratica
attraverso il voto. Non si può prescindere, in questa fase, dalla lotta ideologica
contro chi propaganda un’immagine della vecchia società che può svilupparsi nella
nuova per via pacifica. Che non possa essere così l’abbiamo sperimentato,
laddove ciò che con le lotte è stato conquistato sul piano delle riforme è
stato poi, mutata la congiuntura storica, prontamente revocato con la strategia
del carciofo: una foglia alla volta.
L’"Introduzione" engelsiana al saggio di Marx, "Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850", opportunamente antologizzato da Liebknecht per renderlo ben accetto alla censura del governo tedesco nell'imminenza del dibattito parlamentare sul rinnovo della legislazione antisocialista, non può essere assolutamente interpretata nel senso di una rinuncia alla concezione rivoluzionaria. Diversamente dalla direzione della SPD che generalizzò la tattica basata sul suffragio universale, per Engels questa poteva valere, per l'appunto,
RispondiElimina«solo per la Germania attuale, ed anche per essa solo con notevoli riserve». Per la direzione della SPD l’obiettivo era unicamente quello di ottenere la maggioranza in parlamento; Engels invece partiva, sì, dalla premessa della inarrestabile crescita della socialdemocrazia, ma escludeva esplicitamente che «il partito socialista potesse ottenere la maggioranza e prendere il potere». Egli sapeva che era una semplice illusione pensare che le classi dominanti avrebbero assistito passivamente all’ascesa del movimento operaio (e l’esperienza storica del colpo di Stato cileno del 1973 e della rivoluzione portoghese del 1975 gli ha dato completamente ragione). Ancora prima di una possibile maggioranza socialista esse sarebbero intervenute con la violenza e questo avrebbe condotto la socialdemocrazia dal «terreno della maggioranza elettorale al terreno della rivoluzione». D’altra parte, l’ipotesi di un passaggio pacifico al socialismo non era nuova, giacché‚ lo stesso Engels l’aveva già contemplata nella "Critica al programma di Erfurt" (1891) relativamente alla Gran Bretagna, agli Stati Uniti e alla Francia e Marx l’aveva formulata relativamente alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti negli anni attorno al 1870. Va osservato, peraltro, che le concezioni di Marx ed Engels si distinguono dalle concezioni dei riformisti innanzitutto perché, mentre per questi le forme di passaggio pacifico al socialismo rappresentano l’evoluzione “normale”, per i due fondatori del socialismo scientifico tali forme erano considerate possibili solo in «casi del tutto eccezionali», in alcuni paesi e in certi periodi in cui si trovavano riunite condizioni particolarmente favorevoli. Inoltre, tali condizioni, lungi dal garantire un passaggio pacifico (poiché le classi dominanti potevano sempre reagire con la violenza), ne indicavano solo la possibilità. Ma le concezioni di Marx ed Engels si oppongono radicalmente al riformismo innanzitutto perché affermano il carattere “inorganico” della rivoluzione, ossia il fatto che, a un dato momento, la crescita, più o meno pacifica della lotta di classe deve condurre ad una “rivoluzione”, ad un “salto di qualità”, caratterizzato dalla assunzione del potere da parte della classe operaia che se ne serve per eliminare la borghesia da tutte le posizioni economiche e politiche dominanti. Si tratta di una rivoluzione politica e sociale che è completamente esclusa dal riformismo (anche nelle sue espressioni più avanzate). Questo, infatti, concepisce lo sviluppo del socialismo come un processo “interno” alla società capitalistica, obliterando il fatto che in ogni società divisa in classi antagoniste necessariamente si avrà una classe dominante e una classe dominata; laddove ciò che costituisce una rivoluzione e dà un preciso contenuto storico a questa parola è appunto il passaggio del potere dalla classe dominante alla classe dominata, la quale se ne serve contro la prima.
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EliminaAlassio, 1968, i ragazzi sparavano l'Internazionale a tutto volume sotto lo studio di Carlo Levi.
EliminaLevi scendeva e domandava: "ma cos'è, per voi, la rivoluzione?" e quelli, insolenti: "il passaggio del potere da una classe all'altra", allora Levi: "Penso invece che sia un radicale cambiamento di qualità di quello che si usa chiamare Potere". E se ne andava.
beh la tecnica carciofo funziona benissimo. poi ci aggiungi un bel lavaggio del cervello all'insegna dell'ode al libero mercato, et voilà che siamo tutti proletari liberisti. il carciofo purtroppo nel mentre ce lo hanno infilato dove non batte il sole, ma sono dettagli di poco conto.
RispondiEliminaGent. Olympe, tecnicamente se ci fosse una differenza, ti domando: è preferibile non recarsi alle urne o andarci ed annullare la scheda?
RispondiEliminaRoberto
una differenza c'è, per quanto le schede bianche e nulle non rientrino nel computo dei voti validi
Eliminal'astensione è un'altra cosa ed è valutata anche diversamente dal punto di vista politico
In sostanza, non recarsi alle, ha molto piú peso che recarsi per annullare la scheda.
EliminaErrata Corrige: non recarsi alle urne.
EliminaP.S: la mia era una domanda.
Saluti