giovedì 29 giugno 2017

Quella che passa per essere la sinistra …



... è in rotta in tutta Europa. Anche in Inghilterra, dove un nuovo illusionista ha spostato un po’ di voti, governano i conservatori. In Germania la SPD è solo una gruccia alla quale la Merkel appende il suo tailleur pastello, e ad ogni elezione è una batosta. In Francia i socialisti (si fanno chiamare così) hanno subito una débâcle senza ritorno. In Italia la sinistra è semplicemente morta pur in assenza di un necrologio che ne annunci i funerali. Chi non vuol farsi prendere in giro non va a votare.

La sinistra, quella italiana, non ha mai fatto davvero i conti con il proprio passato. L’ha semplicemente rimosso. Né ha mai intrapreso una seria analisi sui limiti del riformismo alla luce delle contraddizioni del capitalismo globale. Anzi, ha sposato in pieno la tesi del neoliberismo: la gestione razionale del capitale giustifica le riduzioni di posti di lavoro e nel suo successo sta la possibilità di un aiuto pubblico agli esclusi. Salvo ora mettere in mostra qualche tardiva e sporadica resipiscenza. Che si traduce nella vaga denuncia delle disuguaglianze, cosa che riesce meglio a don Ciccio papa.

Elenco alcuni dei nodi inestricabili, problemi complessi della società attuale che non possono essere risolti nell’ambito del riformismo e in quello degli stati nazionali: la disoccupazione di massa, l’immigrazione, il cambiamento climatico, lo sfruttamento delle risorse naturali, la nuova corsa agli armamenti. Sono questioni gravi ed urgenti tra loro connesse e che non troveranno mai risposte adeguate su scala nazionale e nemmeno a livello di singola area economica.

La disoccupazione non crea solo un problema di reddito, se lo ficcassero bene in testa, ma un modello di società, intessuta di rinunce e frustrazioni, sempre più squilibrata e ghettizzata. Serve una riduzione netta del tempo di lavoro e una nuova rimodulazione delle attività nell’arco della vita. Tutto ciò non può essere frutto delle decisioni di un solo paese. C’è dunque da chiedersi, ma solo retoricamente, di che cazzo parlino ai vari summit internazionali.

Sull’immigrazione vediamo bene come si sta comportando l’Unione europea (Spagna e Francia manco ne vogliono sapere): compra tempo e scarica su altri il problema. Tra morire di disperazione in Africa e tentare la sorte attraversando il Mediterraneo è evidente quale sia la scelta di un ventenne. Orde di rottami umani s’accampano e sopravvivono come possono, organismi privati li vanno a prelevare fin sulle coste libiche e altri organismi privati ne gestiscono la miseria. Gli Usa alzano muri e seppelliscono cadaveri, quando li trovano.

Anche sul fronte del cambiamento climatico ognuno va per la sua strada, e per quanto riguarda lo sfruttamento delle risorse naturali c’è solo lotta e competizione, com’è normale che sia in un mondo dominato dalla legge del profitto. Parlare di cooperazione in ambito capitalistico è semplicemente illusorio. Per quanto poi riguarda il disarmo, stiamo, per contro, assistendo a una nuova corsa in senso opposto che nessuno sembra in grado di poter e voler fermare.

Non è vero che ciò che è meglio per il capitale lo è anche per la società nel suo insieme. L’era dei grandi profitti ci propone scenari apocalittici. Non è vero che a decidere è il mercato. A dominare il mercato è il monopolio e l’oligopolio. La crescita economica significa ormai la crescita dei benefit dei manager. Non è vero che la gestione privata è meglio di quella pubblica, basti vedere che cosa succede con le banche. Non è vero che la ricchezza può essere distribuita meglio se essa resta sotto il saldo controllo di pochi.


Il capitalismo opera su scala globale e in tempo reale. I partiti politici operano a livello nazionale o regionale. In Italia non riusciamo nemmeno a darci una legge elettorale, figuriamoci il resto.

9 commenti:

  1. La socialdemocrazia, anche quando si propone di far pesare la volontà dei popoli (vedi Corbyn), non è in grado di rappresentare un’alternativa alla barbarie del capitalismo. Solo il socialismo/comunismo può affrontare e sconfiggere il mostro trifauce, costituito da sfruttamento, fascismo e guerra, che sta divorando la società europea e sta massacrando i paesi emergenti, ricchi di materie prime, per saccheggiarli e ridurli a bolge infernali.
    I predoni capital-imperialisti si sono divisi il lavoro: in Italia, in Grecia, in Spagna macelleria sociale; in Siria, in Libia, in Iraq, in Somalia, in Afghanistan macelleria umana. Si tratta di una politica del ‘doppio binario’ perseguita con lucida follia ed attuata con i metodi più spietati (è infatti il ‘nuovo fascismo’ che avanza) dalle oligarchie industriali e finanziarie che stanno divorando il proletariato e il ceto medio europeo.
    In questo senso il presidente della Bce, Draghi, non rappresenta l’Europa, ma l’‘establishment’ finanziario occidentale e, in primo luogo, i finanzieri e i banchieri di Wall Street che hanno provocato il disastro al quale lui dovrebbe porre rimedio. È la dittatura terroristica aperta dei gruppi più reazionari, più sciovinisti e più imperialisti del grande capitale finanziario, cioè il fascismo, il mostro che il proletariato deve conoscere e analizzare per imparare a combatterlo e riuscire a sconfiggerlo. Per questo è urgente e indispensabile ricostruire il partito comunista. Perché ad azioni e idee duramente di destra non si può rispondere con azioni e idee blandamente di sinistra, ma solo con azioni e idee duramente di sinistra. Il socialismo/comunismo è, oggettivamente, all’ordine del giorno. Prima lo si capirà, traendone tutte le necessarie conseguenze, e meno sofferenze saranno necessarie alla società umana per liberarsi dai mali che l’affliggono. La radice di tutti i mali, infatti, non è la mancanza di diritti, ma il capitalismo. Ecco perché l’unica alternativa è rappresentata dal socialismo/comunismo.

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  2. e però i termini socialismo/comunismo non godono buona salute, perciò insisto sul fatto che non sono stati fatti i conti con il passato, con quel sedicente comunismo che altro non fu, sostanzialmente anche se schematicamente, che la variante asiatica di trasformazione di paesi semifeudali in economie industriali.

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    1. Condivido in toto. Il problema più grosso è oggi è risultare credibili verso le masse quando si parla di socialismo/comunismo. Il fatto che non si siano fatti i conti credo sia stato funzionale al voltafaccia riformista-neoliberista. E' stata rimozione freudiana... e in fondo che ci vuole a scegliersi come simbolo un albero di ulivo e a dire che i comunisti non esistono più?

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  3. Mi scusi, Olympe, Lei conosce (e ha letto) il saggio di Lenin "Lo sviluppo del capitalismo in Russia"?

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    1. anche se molto tempo fa ho letto tutte le opere più importanti di Lenin, compresi gli scritti economici, i quaderni filosofici e l'illeggibile Materialismo ed empiriocriticismo

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  4. Se ha letto tutte le opere più importanti di Lenin, dovrebbe sapere che Lenin nella sua monumentale ricerca economico-statistica sullo sviluppo del capitalismo in Russia risolve in modo netto l'alternativa che Marx aveva posto a proposito della possibilità che la Russia passasse dalla comunità contadina al comunismo. Marx aveva ammesso tale possibilità e richiamato l'esigenza (non di un'applicazione schematica della concezione stadiale ma) di uno studio diretto delle specifiche realtà storiche. Per Lenin, quindici anni dopo, in seguito all'accertamento diretto e specifico dello sviluppo economico russo a partire dall'affermazione dell'economia mercantile nelle campagne, nell'artigianato e nella manifattura, quella possibilità è ormai caduta. La tesi che Lenin documenta e dimostra è che lo sviluppo del capitalismo in Russia non è solo oggettivamente necessario, ma è un fenomeno progressivo. In questo senso, Lenin sottopone ad una critica spietata quella che egli definisce la reazione romantica, utopica e moralistica, in sostanza reazionaria, alle contraddizioni di tale sviluppo: è la critica del sismondismo, base teorica delle concezioni populiste non solo allora ma anche oggi. Per Sismondi ciò che genera le crisi economiche e che deve essere evitato è la sproporzione tra la produzione e il consumo; sennonché l'economista svizzero non si rende conto che questa contraddizione esiste nella realtà e scaturisce dall'essenza stessa del capitalismo, cioè dalla dinamica dell'accumulazione e della correlativa riproduzione allargata, per cui all'estensione del mercato dei mezzi di produzione non corrisponde l'estensione, bensì la contrazione, del mercato dei beni di consumo. La ricerca economica di Lenin (1898) era pertanto la risposta scientifica al problema della funzione del proletariato e del suo partito in un periodo di agitazioni, di scioperi operai e di crescente interesse degli intellettuali per il marxismo (il POSDR non a caso si costituisce proprio nel 1898). Quindi, dal punto di vista qualitativo la Russia non era più un paese semifeudale: la definizione che Lenin darà più tardi del socialismo (soviet + elettrificazione) è una sintesi perfetta di quella situazione storica. Per quanto riguarda, infine, l'opera filosofica di Lenin, "Materialismo ed empiriocriticismo", dico soltanto questo: per lei sarà illeggibile, ma per me è una cannonata.

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    1. la situazione economica in russia stava cambiando, non era più largamente feudale ma non era ancora sviluppata, perciò ho usato il termine "semifeudale". e che lo fosse non ci sono dubbi. io poi non ho mai sostenuto che si potesse saltare la fase capitalistica (la critica di lenin vs populisti), al contrario ho sempre sostenuto che la storia non fa salti. i soviet sono stati affossati già all'epoca di lenin e l'elettrificazione non basta per fare il socialismo.

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  5. Sullo stato della "sinistra" in Italia le segnalo l'intervista ad Angela Marcianò su Repubblica (cartaceo) di venerdì 30. Da brividi prolungati.
    Che poi, a pensarci bene, non è tanto perché fa parte della segreteria PD, insegna all'Università...
    Alessandro

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