Tutto quello che abbiamo fu scelto da mani devote (*).
L’acquisto del libro di Charles Freeman, Il cristianesimo primitivo, sono trenta denari buttati al vento, anzitutto a causa del pacifico disinteresse dell’autore per il metodo critico e la sua totale adesione alla più schietta concezione idealistica della storia. Egli, infatti, occupandosi del cristianesimo primitivo (I - V secolo), dà subito per scontato ciò che invece dovrebbe dimostrare. Inoltre, su un punto cruciale di tale storia, non ha nulla da dirci, almeno esplicitamente, e cioè sui motivi di strategia politica ed economica che hanno portato il cristianesimo a diventare religione dell’Impero e cioè religione universale. Ci offre invece una congerie d’ipotesi elencate minuziosamente per centinaia di pagine a proposito dei presunti evangelisti, del presunto san Paolo e via discorrendo, ipotesi tutt'altro che verificate e che hanno solo un’importanza collaterale, “sovrastrutturale”, per così dire.
A questo punto non si è più nell’àmbito della critica storica, ma in quello della mitologia e della filosofia. Tuttavia, seguendo l'autore su questa strada, c’è da chiedersi, per esempio, perché Freeman non affronti mai esplicitamente la questione della realtà storica di Gesù e del suo entourage. Se tale questione sia importante o secondaria ai fini della “credenza salvifica” è cosa che attiene eminentemente la disputa religiosa, ma essa rappresenta un presupposto decisivo per il tipo d’indagine storica intrapresa da Freeman. Presupponendo invece come già risolta positivamente la questione, avvalorandola aprioristicamente, poi si finisce inevitabilmente per coltivare la menzogna, a chiedersi “in quale località potrebbe aver scritto Matteo” e cose di questo genere.
Ed infatti Freeman solo nel terzo capitolo, per qualche riga, a pagina 25, accenna alla questione raccontandoci che “Gesù crebbe quasi certamente nel piccolo villaggio di Nazaret …”. Quali le prove archeologiche portate dall’autore a suffragio dell’esistenza di un centro abitato chiamato Nazareth negli anni del principato di Ottaviano? Nessuna. Sostiene invece l’autore che “recenti scavi” indicano una comunità in grado di mantenersi autonomamente […] da non essere isolata dal mondo”. In nota è citato il lavoro di Seán Freyne ( Jesus, a Jewish Galilean: a new reading of the Jesus-story, un titolo che è tutto un programma), il quale scrive, a proposito dell'attuale Nazareth: "... recent excavations in the grounds of the Scottish Hospital suggest that Nazareth was a farming settlement in the Roman period. The excavated farm shows considerable human development in term of watch-towers, terracing, grape presses and a fiel irrigation system" (p. 44). Nessuna notizia archeologica ha provato l’esistenza di una località chiamata Nazareth in epoca augustea (un'iscrizione, di assai controversa interpretazione, ritrovata in altro sito negli anni cinquanta del XX sec., ma più tarda dell'epoca in argomento, farebbe riferimento, citando un elenco di sacerdoti, a Nazareth o a qualcosa interpretato per Nazareth). Né l'A.T., né Giuseppe Flavio, né il Talmud, ne fanno cenno. Molto discusso, per motivi linguistici, è anche il legame stabilito tra il toponimo e l’espressione “nazareno”.
Ad ogni buon conto, ammesso che in quel periodo vi fosse un centro della Galilea chiamato Nazareth, quali prove abbiamo che il presunto Gesù “crebbe” in tale villaggio? Non vi sono iscrizioni o testimonianze letterarie; ne parlano i Vangeli, ma non si tratta di documenti di rilevanza storica probante, essendo peraltro di redazione dubbia e assai tarda, i quali hanno subito rimaneggiamenti e aggiunte almeno fino all’epoca di Eusebio, anzi, soprattutto in quel periodo (“la sistematizzazione della dottrina della Chiesa” a cui Freeman allude semplicemente).
Quindi, come se nulla fosse, Freeman aggiunge: “l’unica fonte ebraica dell’epoca a dar conto di Gesù fu Giuseppe Flavio”. Posta per autentica la testimonianza flaviana, non è un po’ poco per affermare che “Gesù crebbe, quasi certamente nel piccolo villaggio di Nazaret”? Anche perché Giuseppe Flavio, come detto, non ne fa menzione! Eppure Freeman scrive che “quasi certamente ……".
Giuseppe Flavio non è solo l’unica fonte ebraica che parla di Gesù, ma l’unica fonte in assoluto, sempre se il brano di Flavio è dato per autentico. Le citazioni di Tacito e consimili, che opportunamente Freeman tace ma che sono tanto care agli apologeti cristiani, sono delle vere sciocchezze che nulla hanno a che vedere con un esame critico obiettivo.
L’autenticità del brano in cui Giuseppe Flavio parla di Gesù, è giudicata quanto mai controversa dai più eminenti specialisti. Per un’infinità di motivi che non è possibile qui riferire per esteso. Charles Freeman sorvola sul fatto, e questo dà la misura dell’accuratezza e serietà con cui si occupa della materia. Né si perita, a vantaggio del lettore, di riportare il breve testo flaviano. Ecco cosa scrive (avrebbe scritto) Giuseppe Flavio:
Allo stesso tempo, circa, visse Gesù, uomo saggio, se pure lo può chiamare uomo; poiché egli compì opere sorprendenti, e fu maestro di persone che accoglievano con piacere la verità. Egli conquistò molti Giudei e molti Greci. Egli era il Cristo. Quando Pilato udì che dai principali nostri uomini [Giudei] era accusato, lo condannò alla croce.
Coloro che fin da principio lo avevano amato non cessarono di aderire a lui. Nel terzo giorno, apparve loro nuovamente vivo: perché i profeti di Dio avevano profetato queste e innumerevoli altre cose meravigliose su di lui. E fino ad oggi non è venuta meno la tribù di coloro che da lui sono detti Cristiani. (Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, Utet, vol. II, pp. 1116-17).
Non serve essere dei filologi per capire che si tratta di una maldestra interpolazione. Basti dire che ad un ebreo, soprattutto a un discendente di una delle più nobili famiglie sacerdotali, non verrebbe mai in mente di attribuire ad un uomo un carattere soprannaturale. Ed è singolare, per un giudeo della posizione di Giuseppe Flavio non chiedersi per quale ragione Gesù fu accusato dai “principali nostri uomini” e condannato a morte. L’accusa non può essergli sfuggita, poiché relativa al fatto che Gesù, stando ai Vangeli, si sarebbe proclamato “re dei Giudei”. Inoltre, tutta la manfrina della resurrezione è questione molto più tarda a Giuseppe Flavio. Soprattutto non risponde a verità la vulgata (1 Cor 15,3) che le scritture ebraiche parlino della resurrezione di un Messia (Is 53,2-1; Zc 12,10) e, infatti, Freeman lo scrive, ma facendolo dire all'imperatore Giuliano (p. 311).Oltrettutto c'è da chiedersi perché sia Girolamo che Fozio, ma anche Giustino Martire, Teofilo Antiocheno, Melitone di Sardi, Minucio Felice, Ireneo, Clemente Alessandrino, Giulio Africano, Pseudo-Giustino, Tertulliano, Ippolito, Origene, Metodio e Lattanzio, ognuno dei quali mostra familiarità con le opere di Giuseppe Flavio, non menzioni questo fondamentale passo. Insomma non esistono citazioni anteriori al IV secolo.
«Falsificazioni letterarie abbondavano nella letteratura greca e romana, e libri religiosi pagani, ebraici e cristiani, venivano spesso messi in circolazione sotto il nome di qualche antico personaggio illustre. Appena gli Ebrei impararono abbastanza il greco, cominciarono a fabbricare testi di famosi autori greci che glorificavano il popolo eletto. Già nel 150, i cristiani avevano confezionato le minute del processo a Gesù. Durante la grande persecuzione del 211, le autorità romane fabbricarono falsi atti dello stesso processo. Un secolo più tardi, Agostino conosceva le lettere apocrife di Gesù nelle quali questi appariva come un mago» (Elias J. Bickerman, Quattro libri stravaganti della Bibbia, Pàtron 1979, p. 144).
Anche quando Freeman arriva al punto centrale della questione (cap. XXII), che tratta del rapporto tra cristianesimo e Costantino (ed Eusebio), egli perde l’occasione per dire come stanno effettivamente le cose, e scrive, seguendo la stessa motivazione apologetica che ne diede Eusebio, che le scelte di politica religiosa costantiniana sarebbero “segno di devozione cristiana”. Le cause e motivazioni di ordine politico ed economico sono accennate solo indirettamente, il lettore le può cogliere solo in controluce: “La Chiesa continuò ad assistere i poveri e fu utilizzata dallo Stato a tale scopo …”. Quindi è ammessa “l’importanza primaria [del] ruolo degli imperatori nella sistematizzazione della dottrina della Chiesa”. Cosa questo significhi in concreto, l’autore non lo dice, perché altrimenti salterebbe tutta la sua arbitraria e sofisticata ricostruzione (scopiazzata da altri autori), a cominciare proprio da Gesù di Nazareth. Il suo apporto originale alle questioni trattate è nullo e bene ha fatto l’Einaudi a cambiare il titolo originale dell’opera (Una nuova storia del cristianesimo primitivo), dato che di nuovo non c’è nulla.
[*]Elias J. Bickerman, Gli Ebrei in età greca, Il Mulino, p. 144.