martedì 21 maggio 2019

La mattina della presa della Bastiglia



Il nome del sociologo Jean Ziegler mi riporta a un passato per molti aspetti remoto ma ancora ben vivido nella memoria. Ricordo, per esempio, che la Rai, nel 1975, verso la mezzanotte del giorno di Ferragosto (!), trasmise un documentario che aveva ad oggetto proprio un lavoro di Ziegler sul ruolo delle multinazionali. Sempre in quell’anno lessi un suo libro, I vivi e la morte, su un tema molto diverso, quello dei cimiteri, che ha sempre avuto per me un fascino particolare, e non mi serve chissà quale pseudo dottrina psicanalitica per comprenderne le motivazioni. Molto anni dopo pubblicò La Svizzera lava più bianco, sul ruolo della Svizzera nel riciclaggio dei capitali “sporchi”.

Ritrovo Jean Ziegler citato in un post di Malvino, che riporta un estratto da un’intervista fatta al sociologo svizzero in merito al suo ultimo saggio (Was ist so schlimm am kapitalismus. Antworten auf die Fragen meiner Enkelin). Nel rispondere alle domande dell’intervistatrice (e della nipote Zohra), Ziegler osserva: “Ogni cinque secondi, un bambino sotto i dieci anni muore di fame. Secondo le Nazioni Unite, questo mondo potrebbe nutrire normalmente 12 miliardi di persone. Quasi il doppio della popolazione mondiale. Quando un bambino muore di fame è perché viene ucciso, e nessuno scende per strada per questo. Ein Skandal!”.

Ziegler rileva che le 500 maggiori società multinazionali hanno il controllo del 52,8% del prodotto nazionale lordo mondiale, dunque hanno un potere che nessuno su questo pianeta ha mai avuto. Il capitalismo, secondo il sociologo, è responsabile non solo della morte per inedia e malattie di milioni di bambini, ma anche del cambiamento climatico che sta sconvolgendo il pianeta. La sua proposta: “O distruggiamo il capitalismo o ci distruggerà” (Entweder wir zerstören den Kapitalismus, oder er zerstört uns).


Nelle parole di Ziegler non si ravvisa alcun richiamo all’aspetto reale delle immanenti contraddizioni del capitalismo, egli da un lato denuncia l’aspetto morale ed etico che emerge da tali contraddizioni, e dall’altro esprime un rifiuto del sistema, ritenuto non riformabile, richiamando la necessità che esso venga “distrutto”, senza peraltro indicare come ciò possa avvenire, salvo guardare alle generiche rivolte di piazza dei nostri giorni.

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Malvino coglie la distanza che separa la realtà della denuncia dalla indefinita proposta di Ziegler. Pare di capire, non solo da questo post, che Malvino non sia tra gli estimatori del capitalismo; tuttavia, alla luce dell’esperienza del Novecento, egli se lo tiene stretto poiché teme l’incognita che si cela dietro il proposito di “distruzione” del capitalismo. A tale proposito, egli punta il dito anche contro un’altra e conseguente affermazione di Ziegler. Quando viene chiesto al sociologo “Che cosa avverrà dopo il capitalismo?”, Ziegler risponde: “Questo è il grande mistero. La mattina della presa della Bastiglia, nessuno sapeva quale nuova società sarebbe emersa dalle rovine della monarchia”.

Chiosa icastico Malvino: “Bell’esempio del cazzo, faccio tra me e me, nessuno lo sapeva quella mattina, certo, ma noi lo sappiamo, eccome: al posto di un re si ebbe un imperatore”.

La mattina della presa della Bastiglia, le masse, spinte in avanti dall’incalzare degli avvenimenti e dalla carestia, non sapevano quale nuova società sarebbe emersa dalle rovine della monarchia, ma la monarchia già sapeva della rivoluzione, e avrebbe temuto per la propria sorte. E non erano poi così pochi coloro che avevano prefigurato il grande mutamento sociale, anche se non avrebbero saputo dire nulla a riguardo del dettaglio. Basta prendersi la briga di leggere il Contrat social di Rousseau, ossia quello che, lui morto da tempo, diverrà il programma di base dei giacobini (*).

La fine della monarchia assoluta, del feudalesimo e degli anacronistici privilegi era data per scontata quale esito di un processo storico innescato da lungo tempo. Del resto, che cosa era accaduto il 6 maggio 1789 in una sala dell'Hôtel des Menus-Plaisirs, a Versailles? E il 17 e il 20 giugno? E il 7 luglio, quando fu eletto un comitato per l'elaborazione della Costituzione, mentre il 9 l'Assemblea nazionale si proclamò Assemblea nazionale costituente? L'Ancien Règime era stato giuridicamente distrutto prima di quel fatidico mattino del 14 luglio.


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Che al posto di un re si ebbe poi un imperatore (cui seguirono altri monarchi), è un dato di fatto. Al punto in cui s’era giunti dopo la vittoria della borghesia e l’instaurazione del suo ordine economico e sociale, dopo che la Rivoluzione aveva imposto la moderna idea di nazione, aveva un’importanza relativa chi dormisse a Fontainbleau.

Né, del resto, Napoleone può essere paragonato ai Capeto o ai fantocci che poi hanno preso il suo posto, nipote compreso. I biografi che danno troppo spazio alle sue campagne non aiutano a veder chiaro, scriveva Jacques Benville.

Con la rivoluzione, il consolato e l’impero, l’architrave dell’edificio internazionale non era stato solo incrinato, ma compromesso per sempre. Le nuove costituzioni, il codice civile, l’abolizione lla disuguaglianza tra eredi e del maggiorascato, il ridimensionamento del ruolo della Chiesa cattolica, la fine dei principati ecclesiastici, il nuovo assetto europeo che veniva a prendere forma con e dopo le guerre napoleoniche, insomma lo smottamento del vecchio equilibrio europeo, quello uscito nella guerra dei Sette anni e costruito soprattutto dalla politica del cancelliere austriaco Kaunitz, l’emergere infine della Prussia e della Russia quali nuovi attori europei, e dunque l’esistenza in Europa di un altro centro di gravitazione diverso da quello del passato, tutto ciò la Rivoluzione francese e Napoleone non l’avevano fatto nascere, ma l’avevano reso possibile.

Pertanto, a mio avviso, ciò che è avvenuto nel 1917 e negli accidentati sentieri del Novecento, merita una più attenta riflessione e giudizi meno affrettati. Per quanto riguarda il domani, da un lato vi è la certezza, non astratta ma basata sull’effettiva dinamica delle sue immanenti contraddizioni, che il modo di produzione capitalistico se non sarà superato ci distruggerà. Dall’altro lato, dobbiamo avere la consapevolezza che per evitare la catastrofe verso cui stiamo precipitando, è necessaria una rivoluzione epocale, che chiude l’epoca dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Per impedirlo, non ci sarà arma militare ed ideologica che non verrà impiegata da parte delle classi dominanti, non c’è violenza, strage o genocidio che non saranno tentati.

(*) Il nome di Rousseau è citato ogni giorno, ma pochi l’hanno effettivamente letto, specie “tra i cervelli piccoli e vuoti”, che essendo vuoti “non v’incontra conoscenza alcuna che le sia d’ostacolo” (Taine, Le origini … II, 97).


3 commenti:

  1. Nè L'Einaudi nè lo Ziegler citati da Malvino pare a mio avviso facciano dichiarazioni eclatanti.(già sentito)
    L'Einaudi poi pare anticipare o posticipare Popper ,in qualche misura..boh!
    Peccato che la via tortuosa a Ziche e Zaghe virtuosa ,conducente da qualche parte,chissà perchè ,poi, penda sempre da una stessa parte !
    Vado a rileggermi Esopo .

    caino

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  2. L'attuale capitalismo ha alle sue spalle ben due guerre mondiali e ha di fronte a se la terza. A confronto, le campagne napoleoniche sono state soltanto un'inezia. Peccato che non riesco a pubblicare la Seconda guerra mondiale, ma da qualche parte ho già scritto che la prima e la seconda guerra mondiale hanno lasciato un chiaro messaggio: le nuove armi con le quali le hanno concluse sarebbero diventate le principali armi della guerra successiva.

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  3. Tutto molto giusto e molto logico, però, se ci si fermasse sempre a soppesare tute le possibili conseguenze di ogni possibile azione, non si farebbe mai niente.

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