sabato 12 dicembre 2015

Defezioni dalla realtà


Di seguito riporto uno stralcio dell’entusiastico post scritto da un insegnante di scuola futurista:

«Io credo che ci sia stato un momento in cui anche noi, a scuola, abbiamo pensato che la tecnologia avrebbe risolto tutto. Magari non tutto, non esageriamo: ma diciamo parecchio, abbastanza da far cambiare le cose più importanti e quindi da rivoluzionare, in fondo in fondo, tutto […].

Poi la tecnologia è finalmente arrivata. Non dappertutto, non in modo uniforme, non probabilmente come l’avevamo auspicata. Però è arrivata, e per esempio io uso a scuola il registro elettronico, e nel mio istituto c’è il wifi in tutte le aule con accesso garantito a tutti gli insegnanti, e ci sono classi della cosiddetta «generazione web» che non adottano nemmeno più i libri in formato cartaceo, e ci sono pure le Lim (lavagne interattive multimediali, per i due o tre che sono rimasti a non saperlo…) su cui proiettare grafici o navigare il web insieme a tutta la classe, alla ricerca dell’immagine di un autografo di Leopardi o di un’intervista a David Foster Wallace. E il mio istituto prevede di collegarsi in rete in fibra ottica nel giro di un paio di anni, pensate un po’. Il futuro, tanto atteso, è arrivato.»

Il profilo dell’entusiastico prof mi pare sia sufficientemente tratteggiato, a cominciare dalla citazione di David Foster Wallace, non prima della leccatina di pragmatica a Giacomino nostro. Il futuro, dice, è arrivato. Il registro elettronico anzitutto. La velocità di esecuzione di questo operazioncina è in diretto rapporto con l’efficienza, parametro insindacabile di valutazione. Tutto è accelerato, non solo nell’apprendimento, ma persino nello svago, più breve anche il gusto delle cose, forse un giorno anche la gestazione nelle donne. Poi seguono altre considerazioni e distinguo del figo prof: conserviamo anche la lavagna tradizionale, si sa mai possa servire a scrivere una parolaccia al volo. Ma sì, suggerisco, conserviamo anche qualche libro come oggetto vintage.



L’orgasmo per le nuove tecnologie dev’essere l’effetto dell’ennesima riforma, quella detta della “bona scuola”. Potenza e tempo, componenti del lavoro meccanico, e fottiamocene del resto. Chissà se tra autografi e deliri criptografici nel web, il nostro prof avrà modo di segnalare ai suoi studenti che il futuro riserva loro, salvo eccezioni, tre opzioni: disoccupazione di lungo corso, precariato, emigrazione. Oppure desterà la loro attenzione sui significati unilaterali del dominio, i linguaggi del controllo sociale che hanno il marchio inconfondibile dell’oppressione, della sofferenza, della morte? Senza esagerare prof, lasciamole languire tranquille le loro coscienze, poi semmai potranno seguire, come ultima opzione, l’esempio di Foster Wallace.

*

Il futuro è dunque arrivato a scuola e disegna la sua caricatura nel web, ma ora vorrei intrattenermi sul presente a proposito di tecnologie e sul rapporto contraddittorio che esse generano nella produzione della vita reale.

Lo sviluppo delle nuove tecnologie ci ha portando con grande rapidità in un mondo sotto molti aspetti affatto nuovo e anche migliore. Pensiamo solo ai risultati nella diagnosi, prevenzione e cura delle malattie, oppure alla rivoluzione di Internet nella comunicazione, all’inedita capacità produttiva raggiunta dal lavoro umano. E tuttavia la tecnologia segue le linee di sviluppo del capitale, di per sé non ci consentirà di superare nemmeno una delle contraddizioni alla base della società di classe, e anzi sotto decisivi profili non fa che divaricare ed esacerbare tali contraddizioni (*).

Nonostante i progressi scientifici e tecnologici, l’esigenza dominante resta quella di aumentare sempre più la produzione per motivi di valorizzazione del capitale, la quale si traduce nell’assoluta irrazionalità di produrre per consumare e di consumare per distruggere. E tutto ciò in una società dove aumentano le disuguaglianze e dove l’esclusione si ripresenta con caratteri e ampiezze che si credevano superati.

Non è forse un anacronismo e un brutale disprezzo per le condizioni di vita delle persone che l’innovazione tecnologica per motivi di profitto produca una sempre più alta disoccupazione (decine di milioni nella sola Europa) e precarizzazione del lavoro, e ciò per il semplice motivo che una ripartizione razionale del lavoro in una società capitalista è semplicemente un nonsense?

Fu Kant, certamente non un nostro contemporaneo, ad asserire che ogni essere umano dovrebbe essere trattato come un fine e non come un mezzo. E tuttavia nonostante gli incredibili progressi nel frattempo raggiunti in ogni sfera dell’attività umana rispetto alle epoche paleotecniche, gli stessi miglioramenti nelle forme più degradanti dello schiavismo, i lavoratori del XXI secolo sono trattati in buona sostanza alla stregua di secoli addietro, ossia come una materia prima da sfruttare, da utilizzare fino all’esaurimento.

Non c’è un solo momento del discorso neuropatico dei media in cui il lavoratore non sia visto ossessivamente dal lato del suo costo (sempre troppo elevato) e della sua produttività (sempre troppo scarsa). Ciò si associa col disprezzo per i diritti e i modi di vita che siano visti in contrasto o d’intralcio con le esigenze di sua maestà il mercato, oppio di vecchi e nuovi credenti.

Gli uomini in carne ed ossa non sono più nulla, ciò che conta è solo l’Uomo Economico! Nati liberi ed uguali. Liberi d’impiccarsi all’albero delle illusioni, ma uguali a chi? I padroni conoscono una sola libertà, la loro, compresa quella empirica di licenziare. Vogliono schiavi obbedienti e zitti, costretti dallo stato di bisogno a sottomettersi con qualsiasi contratto, salario e orario, allo scopo di non intralciare il sacro diritto dell’impresa di essere competitiva sul mercato.

Persino quei lavoratori usciti dal ciclo produttivo per età sono ormai rappresentati nel discorso pubblico come meri parassiti, come un costo sociale che è necessario tagliare. Possono mostrare le teorie di zombie tra i capannoni dell’Expo, ma vedo nelle vie delle città sempre più numerosi i reietti che si trascinano, e le mense di carità che segnano il tutto esaurito, e quella che un tempo fu la classe media fare sempre più i conti con una dura realtà, il diffondersi della paura, il calo drastico della natalità, le dissipazioni, la deformità dell’ambiente urbano, l’arte e l’architettura surrogati dalla banalità di mercanti, lo spettacolo mediatico calibrato sulla stupidità di massa. Tutti segni inequivocabili del declino in corso e delle tragedie che ci aspettano. Questo è il presente dei padroni del mondo. Se invece vogliamo attribuire scopi diversi all’esistenza e aspirare a una società a dimensione umana, per i padroni non deve esserci più posto.

(*) Oggi i padroni del mondo parlano tanto di ricerca e tecnologia, ma non è stato sempre così. La preparazione scientifica non veniva valorizzata nell’ambito della fabbrica. Di seguito alcuni esempi di scuola che riguardano la chimica e che perciò conosco direttamente, ma se ne potrebbero fare moltissimi altri: Solvay fece fortuna con il suo famoso procedimento per la produzione della soda, ma non sapeva nulla di chimica, e così Krupp, lo scopritore dell’acciaio di fusione, e pure Hancock, pioniere del caucciù. Era gente pratica che si vantava della propria ignoranza scientifica. Bessemer, inventore di parecchie cose oltre al processo per la fabbricazione dell’acciaio che porta il suo nome, inciampò nella sua grande invenzione per aver usato del ferro con un basso titolo di fosforo. Fu solo quando constatò che il suo metodo non funzionava con i minerali europei (con un tenore di fosforo molto alto) che si rese conto delle ragioni chimiche del processo.

Il progresso tecnologico è molto più indietro di quanto invece potrebbe esserlo se non vi fosse il segreto industriale che ritarda la diffusione delle conoscenze, così come il sistema dei brevetti che impedisce o ritarda l’introduzione di perfezionamenti e applicazione nuove. Poi vi sono motivi militari che se da un lato spingono la ricerca dall’altro ne impediscono la diffusione: la storia di internet in tal senso è esemplare. In questo sistema economico è impossibile una pianificazione sul piano generale: ognuno fa per sé ed è giudice di se stesso. E ciò vale ovviamente anche per il lavoro laddove si procede in assenza di ogni piano. Pensiamo solo quali conseguenze comporta la cosiddetta “mobilità del lavoro” che sconvolge ogni stabile relazione sociale e disorganizza la vita famigliare. L’economia, così fondamentale per lo sviluppo e l’equilibrio sociale, è lasciata procedere alla cieca.


8 commenti:

  1. "Il progresso tecnologico è molto più indietro"

    io questo non lo so, so che il feticismo tecnologico si tiene per mano col conservatorismo tecnologico e tocca per ora combattere su entrambi i lati della barricata

    quello che invece immagino è che se il progresso stesso non affondasse le sue radici nel Capitale concentrato, dove da una parte si ammassano mezzi di produzione e dall'altra "operatori" (operai, tecnici, ricercatori e teorici) avulsi dal progetto complessivo al quale lavorano -anche quando in presenza di altissima specializzazione, il corso del apparato tecnico-scientifico sarebbe diverso: diverse le macchine, diverso il fine, diversa la ricerca.
    persino l'apparato non sarebbe più tale: i saperi sarebbero concepiti a partire dalla loro inter disciplinarietà e quindi troverebbero la loro ontologica -ma mai espressa- unitarietà.
    non si avrebbe neppure il conservatorismo tecnologico che condiziona in questi giorni le decisioni dei paesi emergenti in merito alle emissioni ecc ecc

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    1. pensa solo a quanto siamo indietro per quanto riguarda il trasporto veicolare, ma anche per quanto riguarda l'astronautica si sono persi decenni e le cose non vanno affatto bene come invece sembra

      per il resto il tuo commento è da cornice

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    2. Milioni di pannelli solari con un'efficenza di conversione (ossia: la capacità di convertire in energia elettrica la luce solare) oramai obsoleta devono essere smaltiti prima che nuovi pannelli con un'efficenza di conversione superiore e certificata da anni da vari organi scientifici istituzionali europei ed asiatici, facciano la loro comparsa sul mercato.
      E intanto il pianeta febbricitante, deve aspettare le esigenze di sua maestà Le Capital!

      Saluti

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  2. in merito al progresso trattenuto e/o deviato per motivi meramente capitalistici, si pensi soprattutto a tutte le procedure mediche che se pure "scoperte" o (anche "anticamente note" , sono state escluse dalla medicina moderna perche' non generatrici di grandi profitti.

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  3. La cosa buffa è che in realtà il registro elettronico, a detta di molti insegnanti veri, non la macchietta renziana citata all'inizio del post, complica pesantemente molte operazioni. "Era meglio quello vecchio" è un commento assai diffuso.

    In non pochi casi l'adozione di nuove tecnologie che dovrebbero velocizzare il lavoro comporta di fatto un aumento REALE della produttività minimo, o vicino allo zero, a fronte di un impegno di tempo ed energia più gravoso da parte del lavoratore. Dove lavoro io ormai ogni sei mesi si inventano nuove regole, che vanno studiate, testate ed applicate, per promuovere il "paperless", l'abolizione della carta a favore del "tutto elettronico". Eppure io non vedo girare meno carta di prima.

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    1. infatti, a livello globale il consumo di carta è in aumento. non in europa però, laddove è invece in aumento il consumo di carta igienica di lusso, stabile quella standard, in diminuzione quella economica. la francia è in controtendenza, salvo nell'ultimo mese.

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  4. A proposito di certificazioni ISO 9001...2010 Odissea nello spazio..mi ricordo di aver lavorato quasi un anno..per certificare producendo un volume di carta enorme per sapere al volo dove era stipata per esempio la carta igienica..per certificare qualsiasi cosa memorizzata nei Pc serviva un documento cartaceo allegato se ben ricordo..
    Si può risolvere il problema,portandosi la carta igienica sul lavoro da casa.

    Caino

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