sabato 6 dicembre 2025

L'attesa

 


Le nostre ferite quotidiane assumono spesso la forma dell’esaurimento. Esaurimento su tutto, corsa senza fine su una specie di tapis roulant. Come possiamo rimanere connessi alla realtà, alle sue immagini, alle sue reti, senza crollare? Lo so, lo sappiamo, la prima domanda che ci dovremmo porre è: ma chi ci obbliga a correre? Poi, chi trae beneficio dal farci correre dietro a noi stessi in questo modo, anche se ci sfinisce? Eh, già rispondere a questo significa rimettersi sul tapis roulant. E invece scelgo di fermarmi, di tirare il fiato mettendomi in una attesa tranquilla e senza ansia, a -6° nella stazioncina di Niendorfer. 

giovedì 4 dicembre 2025

La chimica della geopolitica

 

Forse sapete già tutto sul terbio, tuttavia lo racconto lo stesso. È il cugino, da parte di padre svedese, di erbio, itterbio e ittrio. È un drogante, migliora le proprietà di vari materiali. Per procurarselo bisogna rivolgersi ai cinesi e ci vogliono mesi, mentre i perfidi statunitensi se lo procurano dalla stessa fonte in poche settimane. Da quanto precede, avrete capito che: 1) il terbio appartiene al gruppo delle terre rare (lantanidi); 2) che la chimica riguarda la competizione geopolitica e commerciale, dunque non è come la fisica teorica, diventata un ramo della teologia.

Il processo di estrazione di terre rare non è solo economicamente costoso, ma ha anche gravi conseguenze ambientali. Ciò solleva la questione della sostenibilità delle energie rinnovabili, che si basano su tecnologie che consumano grandi quantità di metalli.

Ieri, la Commissione Industria dell’UE ha presentato a Bruxelles nuovi piani per l’approvvigionamento di terre rare (RESourceEU). A tale riguardo, sta circolando un rapporto allarmante dell’agenzia di stampa statunitense Bloomberg. Secondo il rapporto, le aziende statunitensi stanno giocando duro nella lotta per l’accesso alle terre rare, eliminando sempre più i concorrenti europei che potrebbero esaurire queste materie prime insostituibili nel giro di pochi mesi. Bloomberg basa le sue conclusioni sulle dichiarazioni di trader di materie prime e imprenditori con una visione diretta dell’attività di mercato.

Il piano presentato dalla Commissione Industria prevede investimenti dedicati per “catene del valore integrate delle materie prime critiche con l’Ucraina, i Balcani occidentali e il suo vicinato meridionale”. Insomma, nelle trincee ghiacciate gli ucraini non stanno soffrendo e morendo per nulla.

Inoltre, “l’UE sostiene l’Alleanza per la produzione di minerali critici del G7, guidata dal Canada”. Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ha accelerato le guerre per le risorse. Washington ha messo gli occhi sulle risorse minerarie della Groenlandia, così come lo scazzo con Ottawa riguarda soprattutto le terre rare e non la pesca del salmone. Il Canada possiede ingenti giacimenti di terre rare e intende dedicarsi non solo all’estrazione, ma soprattutto alla lavorazione.

Anche un certo numero di paesi africani ha iniziato a lavorare su progetti a diversi stadi, tra cui il Sudafrica (Progetti Glenover e Phalaborwa), l’Angola (Progetto Longonjo), il Madagascar (Tatalus), il Malawi (Kangankunde, uno dei più grandi giacimenti di terre rare al mondo), il Mozambico (Projet Xiluvo REE), la Namibia (Lofdal Heavy), l’Uganda (Progetto Makuutu), e la Tanzania (il Progetto Ngualla).

L’accordo di pace tra la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda, del 27 giugno 2025, garantisce agli Stati Uniti l’accesso a diversi siti di estrazione del litio. E tuttavia, nell’ambito della Belt and Road Initiative, i colossi industriali cinesi, come Zijin Mining, stanno già sfruttando siti chiave, tra cui la più grande riserva di litio al mondo a Manono , nel sud-est della RDC.

L’’Europa, un erbivoro in un mondo di carnivori, sta diventando sempre più “introspettiva” (pensa alle sanzioni alla Russia), mentre le economie del Mediterraneo orientale e meridionale diventeranno il fulcro principale per la crescita del commercio e degli investimenti africani. Il presidente turco Erdoğan ha già effettuato 60 visite ufficiali nel continente tra il 2002 e il 2024.

Ma non solo. Anche l’Australia, sebbene sia già il secondo produttore mondiale di terre rare, si impegna costantemente a sviluppare nuove fonti per ridurre il predominio cinese, in linea con gli interessi di Washington. Alcune società australiane sono attualmente attive nei progetti, per esempio in Tanzania (progetto minerario Ngualla con la società Peak Rare Earths).

Il Giappone, da parte sua, sostiene progetti africani sulle terre rare dal 2010, ad esempio in Namibia e Sudafrica, attraverso la Japan Oil, Gas and Metals National Corporation.

La Cina è il principale importatore mondiale di minerali di terre rare, con quasi 130.000 tonnellate. Questa dipendenza è spiegata da limitazioni geologiche: Pechino non possiede tutti i 17 elementi delle terre rare. Il suo vero potere risiede nella raffinazione (oltre il 90% della capacità globale). Il potere non deriva solo dal possesso delle risorse, ma anche dalla capacità di controllarne l’estrazione e le tecnologie ad esse associate. In altre parole, la Cina non possiede tutto, ma nulla le sfugge.

La Cina, nel corso degli anni si è offerta come partner chiave per l’Africa. Offre investimenti e finanziamenti nelle infrastrutture in scambio di risorse e diritti di esplorazione mineraria ed energetica nel continente africano.

Nelle profondità abissali del Pacifico si cela un tesoro ambito: noduli polimetallici, ricchi di cobalto, nichel e altri minerali. Queste risorse sono oggi al centro delle ambizioni geopolitiche globali. La zona di Clarion-Clipperton, che si estende per 4,5 milioni di chilometri quadrati tra le Hawaii e il Messico, è particolarmente apprezzata. Si ritiene che le sue riserve di nichel e cobalto superino quelle presenti sulla terraferma, aprendo la prospettiva di una vera e propria “corsa agli abissi”.

Nel 2025, la Cina ha ottenuto l’autorizzazione dall’Autorità Internazionale dei Fondali Marini per avviare i test di estrazione. Nel frattempo, il Giappone prevede di lanciare la sua più ambiziosa missione mineraria in acque profonde nel 2026, con l’obiettivo di estrarre giacimenti a una profondità di 5.500 metri vicino all’atollo disabitato di Minami-Torishima (vicino Iwo Jima).

Non esiste transizione verde, né internet, né nanoricerca medica, né armi avanzate, né intelligenza artificiale, né praticamente nessuna soluzione tecnologica senza le terre rare. Insomma, le questioni geoeconomiche sono un po’ più complesse di come ci vengono di solito presentate dai media.

mercoledì 3 dicembre 2025

Quello che Gruber e i suoi amichetti tacciono o minimizzano

 

Nel 2025 i terroristi con la svastica israeliana hanno assassinato più palestinesi nella Striscia di Gaza che nei due anni precedenti. È stato l’anno con il numero più alto di vittime dall’inizio dell’occupazione nel 1967. Questa è la conclusione di un rapporto pubblicato lunedì da The Platform, un’alleanza di 13 organizzazioni ebraiche per i diritti umani.

Oltre 70.000 morti nella Striscia di Gaza sono stati ufficialmente registrati per nome e cognome. Almeno 10.000 corpi sono ancora sepolti sotto le macerie e vengono faticosamente recuperati. Secondo i dati forniti dagli stessi assassini, circa l’80% delle vittime erano civili. Però si sta ancora discettando sulla cittadinanza onoraria a Francesca Albanese, rea di dire ciò che pensa e rappresenta la realtà di questo sterminio.

Circa un milione di palestinesi sono stati sfollati dalle loro case nella Striscia di Gaza nel 2024, e sono saliti a quasi due milioni nel 2025: circa il 90% della popolazione totale. La distruzione nella fascia costiera ha raggiunto una portata inimmaginabile: interi quartieri, l’intero sistema di approvvigionamento idrico, l’agricoltura, ospedali, asili, scuole, università ed edifici amministrativi sono stati distrutti.

Secondo il rapporto delle di 13 organizzazioni ebraiche per i diritti umani, a luglio 13.000 bambini erano gravemente malnutriti. Ad agosto, secondo la principale classificazione internazionale della sicurezza alimentare (IPC), Gaza City è stata dichiarata in stato di carestia. A ottobre, 461 persone erano morte di fame, tra cui 157 bambini.

Il rapporto evidenzia anche i massacri nei centri di distribuzione alimentare gestiti dalla Gaza Humanitarian Foundation (GHF), sostenuta da Stati Uniti e Israele. 2.306 persone sono state uccise in questi punti di distribuzione da terroristi ebrei o mercenari locali e straniere della GHF, molte delle quali colpite deliberatamente: uomini, donne e bambini. Quasi 17.000 sono rimasti feriti.

l rapporto mette a nudo anche la situazione in Cisgiordania: nel 2023 e nel 2024 sono stati documentati almeno 1.200 attacchi da parte dei coloni contro i palestinesi, nel 2025 è iniziata una vera e propria espulsione di massa. Quarantaquattro comunità palestinesi sono state distrutte e “sostituite” da nuovi insediamenti ebraici. Quasi 3.000 persone sono state sfollate, tra cui 1.326 bambini. Secondo il rapporto, il 2025 segna la transizione dalla discriminazione istituzionalizzata a una nuova politica di espropriazione. I sionisti stanno inventando nuove narrazioni storiche ed espropriando terreni appartenenti ai palestinesi.

Nel frattempo, le carceri israeliane sono diventate luoghi di tortura sistematica. Almeno 98 palestinesi vi sono morti; sono stati torturati a morte, non hanno ricevuto cure mediche e non hanno ricevuto cibo a sufficienza in condizioni disumane. Il numero dei prigionieri è salito a oltre 9.000, 3.577 dei quali sono in “detenzione amministrativa”, ossia senza accusa né condanna.

Israele vuole creare l’impressione che la storia e l’archeologia del Paese siano esclusivamente ebraiche, ogni memoria della cultura palestinese viene sistematicamente cancellata. A febbraio, l’UNESCO, la Banca Mondiale e altri hanno stimato che oltre il 53% dei siti culturali e del patrimonio culturale della Striscia di Gaza fosse stato distrutto o danneggiato; a ottobre, l’organizzazione delle Nazioni Unite ha pubblicato un elenco di 114 siti interessati.

Ecco le cifre che i giornalisti grandi firmei non ci danno. A cominciare da quella madonna invetriata della Gruber. Tutto ciò a confronto di una ragazzata, ossia qualche cestino rovesciato e un paio di scritte nella redazione di un quotidiano.

Il rapporto delle 13 organizzazioni ebraiche per i diritti umani conclude: “I crimini contro l’umanità sono ormai diventati una realtà quotidiana, su cui nessuno indaga e per i quali nessuno è ritenuto responsabile”. Vai Gruber, indaga sui siti porno.

Le questioni decisive

 

Quando ci chiedono di votare per le elezioni politiche o per le europee, ce lo chiedono per tener bassi i nostri salari e le pensioni, per tagliare la spesa sociale.

Lo ha detto l’ex presidente del Consiglio Mario Draghi, che attualmente è un consulente della UE dopo essere stato per anni presidente della Banca centrale europea e, prima ancora, governatore della Banca d’Italia. È sufficiente ascoltare l’audizione di Draghi in merito al Rapporto sul futuro della competitività europea tenuta nel marzo scorso:

«Siamo sicuri che vogliamo mantenere questo surplus commerciale con il resto del mondo? O piuttosto non è meglio sviluppare la domanda interna, non trascurare le nostre infrastrutture, spendere per la ricerca, per l’innovazione, per il clima?»

E ancora: «[...] noi abbiamo contratto i bilanci pubblici, abbiamo sacrificato la spesa pubblica, abbiamo compresso i nostri salari, anche perché in quegli anni noi pensavamo che eravamo in competizione con gli altri paesi europei quindi tenevamo i salari più bassi come uno strumento di concorrenza. Nel frattempo, abbiamo continuato a diventare sempre più poveri rispetto agli Stati Uniti che non avevano questo surplus (commerciale) quindi forse non era la strada giusta.»

Più sibillino ma non meno verace: «Quando dico concorrenza sleale non parlo di una concorrenza che si basa sui dazi, sulle tariffe, sui sussidi, ma anche su una artificiosa compressione della domanda interna con dei salari deliberatamente bassi

Dunque le scelte economiche della UE hanno mutato radicalmente il ruolo e la prospettiva dell’Europa intera, ma in particolare di alcuni Paesi. Hanno inciso sui redditi e sui consumi, creato disparità e precarietà, favorito l’immigrazione di manodopera e la delocalizzazione industriale, avuto effetti sulla demografia e tanto altro. Si dirà che ciò è ampiamente risaputo, e però sentirlo confermare da un euroburocrate del calibro di Draghi fa comunque un certo effetto.

Dov’è il dibattito politico e democratico, le riflessioni sul comportamento dei protagonisti stessi di quella stagione? Per quanto ci riguarda direttamente, non è stato solo Berlusconi – e ora i fascisti – ad aver mutato il profilo esistenziale del Paese e il suo sistema politico, qui c’entra in pieno il modello europeista/liberista fatto proprio dall’accozzaglia di ex piciisti pentiti e democristiani recidivi.

Ma si può essere più gradualmente ipocriti di così?

E ciò che è avvenuto sul fronte economico e sociale, sta avvenendo per quanto riguarda la politica estera, laddove la UE dimostra di essere un consorzio di Stati accomunati dall’ossessione per la Russia. Anche in questo i popoli dell’intera Europa, mai stufi di subire, hanno deposto il proprio onore e la propria dignità ai piedi di quest’ordine.


Dunque è Putin che minaccia!

Nelle cancellerie della coalizione occidentale ha finito per prevalere la volontà, mai del tutto sopita, di regolare una volta per tutte i conti rimasti in sospeso dalla caduta del Muro: fin dal 2014 trasformare l’Ucraina in un avamposto in cui dissanguare l’eterno rivale che s’immaginavano collassasse economicamente con le sanzioni. Una storia può ricordarcene un’altra.

I persuasori, quelli più abili con i loro dosaggi sottili, sono diventati ginnasti di ciò che è considerato giusto dire e pensare. Sono l’emblema dell’indicibile declino dell’Occidente, così orgoglioso della sua civiltà, amano spogliarsi di ogni pudore e mostrare la loro merce grezza: la guerra buona contro quella cattiva, magari anche preventiva, i morti giusti e quelli che fanno solo statistica. Ma che balla, questi ladri sull’uscio che aspettano che tu esca.

La guerra non è semplicemente un’eventualità, ma è insita nella contesa capitalistica tra gli Stati, le grandi potenze se la giocano per il primato mondiale. Di fronte all’ulteriore rischio che questa guerra si trasformi in uno scontro fuori controllo, il problema della pace e del disarmo diventa la questione decisiva.

E però l’idea stessa di pace deve essere ridefinita. La pace non può essere ciò che le potenze imperiali e sub-imperiali ne fanno oggi: un mezzo di guerra, una pace che interrompe la guerra solo per armarsi e rilanciarla. La parola d’ordine deve essere “guerra alla guerra”, ma ciò non basta. La pace richiede la pacificazione della realtà. E la realtà ha bisogno di essere reinventata, e c’è un solo modo per farlo.

martedì 2 dicembre 2025

"Un serio conflitto moderno"

Secondo i nuovi dati pubblicati ieri dallo Stockholm International Peace Research Institute, i ricavi derivanti dalla vendita di armi e servizi militari da parte delle 100 maggiori aziende produttrici di armi sono aumentati del 5,9% nel 2024, raggiungendo la cifra record di 679 miliardi di dollari.

Le prime tre società sono neanche a dirlo statunitensi, e ben cinque tra le prime sei società, l’altra, la quarta in classifica, è inglese. Nelle prime venti, otto sono statunitensi, ben cinque sono cinesi e una russa. La Leonardo, gruppo italiano, si piazza a un più che onorevole 12° posto, seguita dal colosso Airbus (Airbus Defence & Space), una società transeuropea che nel settore degli armamenti produce velivoli militari, missili, vettori spaziali e sistemi di difesa avanzati.

La Rheinmetall tedesca è “solo” al 20° posto, il cui fatturato derivante da armi e equipaggiamenti è aumentato del 47% nel 2024, e ciò dice qualcosa sulle nuove linee guida dell’economia tedesca.

Cito segnatamente l’esempio della Rheinmetall, perché chiarisce bene gli interessi industriale e commerciali connessi con la guerra in Ucraina. Infatti, il forte incremento del fatturato della Rheinmetall, è quasi interamente dovuto alla crescente domanda di veicoli blindati e munizioni legata alla guerra in Ucraina.

Sono quattro le aziende tedesche produttrici di armi che figurano tra le prime 100: oltre a Rheinmetall, si tratta di Thyssen-Krupp, Hensoldt e Diehl. Quest’ultima è riuscita ad aumentare il proprio business nel settore degli armamenti del 53%. Mentre nel fango ghiacciato delle trincee ucraine si spara e si muore, gli azionisti delle società di armamenti, al calduccio tra lenzuola di seta, sognano dividendi da favola.

I ricavi delle 26 aziende dell’Europa occidentale presenti nella lista sono aumentati complessivamente del 13%, raggiungendo circa 151 miliardi di dollari (circa 130 miliardi di euro). Ma anche i satrapi dell’industria statale russa non se la passano male. Nonostante le sanzioni, i ricavi delle due società russe quotate, Rostec (conglomerato statale della difesa con più di 400 aziende: aerei, carri armati, veicoli di fanteria, obici, sistemi di guerra elettronica, droni e molto altro) e OSK/USC, sono aumentati del 23%.

Il boss di Rostec, Sergej Viktorovich Čemezov, ex uffciale del KGB, anche lui come Putin di stanza nella Germania Est (abitavano nello stesso condominio di Dresda), dichiara in un’intervista tutta da leggere: “Un serio conflitto moderno richiede ancora molte armi”. Tra una sparata e l’altra, Sergej e la sua famiglia si sono fatti un gruzzolo offshore, incluso lo yacht “Valerie”, 85,1 metri, 6 ponti, piscina sul ponte sole, zona spa con hammam (specie di sauna), eliporto, 22 membri di equipaggio. La barchetta era intestata alla figlia Anastasia Ignatova (*).

L’Ucraina è il terreno di battaglia ideale per sperimentare le nuove armi, lì la carne umana non ha prezzo, nel senso che è gratis.

(*) Seguendo le vicende pregresse (ITERA) e successive, ossia della società ARETI (è ITERA scritto al contrario) Internationl Group, con sede in Svizzera, fondata da Igor Makarov nel 2015 (investimenti in vari settori nell’Europa occidentale, negli Stati Uniti, in Canada e nell’Asia centrale), si possono apprendere notizie molto interessanti. Anche la seconda moglie del citato Čemezov, Ekaterina Iganatova, aveva una forte partecipazione nell’ex società Itera Oil and Gas Company, fondata nel 1992 con sede a Jacksonville, in Florida. Nell’ultima dichiarazione patrimoniale pubblica di Sergej Chemezov del 2019, era incluso il reddito annuo di Ekaterina di 24 milioni di dollari (un’inezia). Seguendo in rete il nome di Ekaterina Ignatova Čemezov, si arriva a una galassia di legami societari. Stessa cosa per i figli di Sergej.

La proprietà del Valerie viene attribuita al miliardario e pregiudicato ucraino Rinat Akhmetov, il quale in realtà è proprietario di un altro yacht, Luminance. Inaftti, il Valerie è sotto sequestro a Barcellona causa sanzioni. Del resto, accedere al database del Registro dei proprietari dei 1.656 superyacht, che sono 747 (tra l’altro proprietari di 600 jet privati), costa 145 euro. Non me la sento, ho altri impegni di spesa per questo mese.

lunedì 1 dicembre 2025

L'aria che tira

 

«Attacco preventivo? Sarebbe un’azione difensiva!». Un uomo virile. Non si lascia mettere i piedi in testa. Dice quello che pensa, difende i nostri valori e la sua voce va controcorrente. Questi stronzi rossi/russi usano il passato per umiliare la nostra gente, per farci tacere. Questi borghesi di sinistra stanno calpestando la nostra patria, privi di forza e orgoglio. Probabilmente froci, trans, arcobaleni: è la loro tendenza. Muscoli e pelle flaccidi, usano parole ridicole, il cui costo è sostenuto da uomini come l’ammiraglio.

In giro c’è quest’aria fetida qui, di gente che non merita nemmeno di essere insultata. Il tizio è solo uno di quei fanatici della guerra che hanno seguito dei corsi alla birreria di Monaco, perciò serve le sue stronzate alla spina. Una carriera come esperto di birra. Il guaio è che gli paghiamo lo stipendio e poi la pensione.

Al povero Severgnini, che indossa un caschetto bianco sopra una faccia al latte di soia, sfugge e sfuggirà per sempre che il XX secolo è cambiato con il fascismo/nazismo. È cambiato nel campo di Ebensee, direbbe mio nonno. Poi con l’Armata Rossa, altrimenti il giornalista specializzato in storie romantiche scriverebbe su fogli tipo La difesa della razza. Poi è cambiato ancora con la lavatrice e altre cosucce, tipo le lotte agrarie e operaie.

Il Grande Feticcio

 

Nell’inserto culturale del Sole 24 ore di ieri, compare una recensione, a firma di Carola Barbero, del libro di Carlo Paolucci: Nati cyborg.

Si parla di intelligenza artificiale, si citano due classici esempi: quello che ha protagonista lo scacchista Garri Kasparov e quello di Lee Sedol, entrambi sconfitti nel loro gioco da una macchina. Non entro nel merito di questi frusti esempi.

Mi ha colpito in particolare una frase della recensione, che viene posta come centrale a riguardo del libro recensito e più in generale dello statuto dell’essere umano. Questi, si dice, “non è un soggetto autosufficiente a cui ora arriva un concorrente [l’AI], ma un essere intrinsecamente ibrido, che da sempre delega a ciò che umano non è – utensili, lingaggio, tecnologie – funzioni decisive della propria attività cognitiva”.

L’errore radicale di questo tipo d’approccio sta proprio nel fatto di considerare il linguaggio (umano!) alla stregua di qualsiasi altro strumento tecnologico, e anzi di considerarlo non propriamente umano, ossia come qualcosa di artificiale, di “esterno” all’umano. Ciò significa, innanzitutto, non comprendere che il linguaggio è tipicamente ed esclusivamente umano. Tutti gli altri animali sono capaci di un linguaggio genetico, ma solo gli esseri umani di un linguaggio extragenetico. Dunque il linguaggio come un prodotto storico-sociale e non semplicemente evolutivo. La differenza è sostanziale e assoluta.

Il linguaggio è la coscienza dell’uomo; non è, né sarà mai, la coscienza di qualsiasi macchina.

“Il linguaggio è antico quanto la coscienza, il linguaggio è la coscienza reale, pratica, che esiste anche per gli altri uomini e che dunque è la sola esistente anche per me stesso” (Marx- Engels, L’ideologia tedesca).

Distinguere il linguaggio umano dalla coscienza, farne un semplice strumento al pari di altre tecnologie, è assurdo. È come definire l’uomo “a toolmaking animal”, un animale che fabbrica strumenti. Dove va a finire la sua comprensione della natura e il dominio di essa attraverso la sua esistenza di corpo sociale?

Quando si sostiene che anche noi come ChatGPT ci limitiamo “al già detto ... attingendo senza sosta a un’enciclopedia di enunciati preesistenti”, significa non aver capito nulla, ma proprio nulla, di ciò che distingue l’essere umano da qualsiasi altro animale o strumento (e in definitiva non aver capito nemmeno che cos’è ChatGPT). Qualsiasi macchina non ha nemmeno la coscienza di una mucca, è semplicemente capacità scientifica oggettivata, nient’altro.

Attribuire alla IA “forme inedite di astuzia e creatività” è semplicemente una alienazione feticistica della tecnologia. Siamo passati, non da oggi, dall’alienazione extraterrena a quella terrena. Quella odierna, che riguarda l’IA, è solo un ulteriore capitolo di tale processo. Assume un carattere mistico, domina come una potenza estranea, diventa la sintesi concreta di tutte le alienazioni.

domenica 30 novembre 2025

Viaggio filologico nella notte

Ho digitato una frase tratta dal romanzo di Céline: “quando i grandi di questo mondo si mettono ad amarvi, è che vogliono ridurvi in salsicce da battaglia”. Che c’entra Garibaldi? Dialogo con Luigi Capeto? Buio, mistero.

Non c’è l’ho con la tecnologia, nemmeno con sta pseudo intelligenza artificiale. È che spesso, troppo spesso, si tratta di un guazzabuglio. Il passo di Céline, quasi per intero, recita così:

«Ve lo dico io, gentucola, coglioni della vita, bastonati, derubati, sudati da sempre, vi avverto, quando i grandi di questo mondo si mettono ad amarvi, è che vogliono ridurvi in salsicce da battaglia... È il segnale... È infallibile. È con l’amore che comincia.»

È molto attuale il realismo di Céline .

Il titolo del libro di Céline, Viaggio al termine della notte, è preso da una strofa di una canzone: «Notre vie est un voyage / Dans l’Hiver et dans la Nuit /Nous cherchons notre passage / Dans le Ciel où rien ne luit» (La nostra vita è un viaggio / in Inverno e nella Notte / noi cerchiamo la strada / in un Cielo senza luce»).

Leggo da Wikipedia che Cèline pone la frase in esergo al romanzo, cosa esatta, “attribuendola all’ufficiale svizzero a capo delle guardie di Luigi XVI, Thomas Legler, al tempo della rivoluzione francese; in realtà, Legler era nato nel 1782 e cantò quella canzone, datata erroneamente da Céline al 1793, mentre era al servizio di Napoleone Bonaparte come guardia svizzera, durante la battaglia della Beresina del 1812 (Canto della Beresina)”.

Quei coglioni che lavoravano per Gallimard (editore che rileverà i diritti dell’opera negli anni Cinquanta), com’era già successo con il primo volume della Recherche, persero un’altra occasione: non s’accorsero che cosa avevano tra le mani e dunque il romanzo di Céline venne prima pubblicato da Robert Denoël (Denoël et Steele) nell’ottobre 1932. Tra parentesi e salvo la memoria non m’inganni, Cèline cita un solo scrittore nel suo libro: Proust (*).

Nell’edizione italiana, quella di Corbaccio del 1933, Thomas Legler non è citato. La strofa è attribuita alla “Canzone delle Guardie Svizzere, 1793”. Anche nell’edizione originale francese è stampato questo riferimento: “Chanson des Gardes suisses, 1793”. Dunque: da dove nasce la storia di Thomas Legler? Non certo da Céline.

In una notte di fine novembre del 2025, scopro, con sconcerto e disappunto, che nella mia biblioteca domestica non c’è una copia recente del romanzo di Céline, ma solo la prima edizione Corbaccio datata “31 maggio 1933”. Siccome ho la certezza di non aver letto il romanzo su tale edizione, mi chiedo infruttuosamente: a chi ho prestata la copia più recente del libro? Ah, dovrei chiederlo al dottor Alois A..

Leggo su Wikipedia che quest’opera di Céline è “un cupo, nichilistico romanzo in cui si mescolano misantropia e cinismo”. Dunque, la descrizione del generale sadico e dell’ipocrita piccolo borghese, suo complice, sarebbero “cinismo”? Da non credere: quando non si vuol capire un cazzo e si è prigionieri di un pregiudizio. Quella di Céline è una critica molto radicale (sennò che critica sarebbe?) di ogni eroismo militare, di ogni decoro piccolo-borghese (compreso quello proustiano). Innovativo, tuttavia mantiene un legame molto forte con la tradizione del romanzo francese del XIX secolo. In una lettera a Eugène Dabit, Céline scrive: “Non ho bisogno, vecchio mio, di lucidare il mio Destino per renderlo letterario, la vita mi serve oltre ogni aspettativa”.

Fortunato chi deve ancora leggere le due maggiori opere di Céline (Viaggio e Morte a credito).

(*) Nel 1922, Gallimard ha pubblicato una nuova edizione dal titolo Guerre, edizione curata da P. Fouché. Non l’ho letto. I critici definiscono l’edizione frettolosa (senza tener conto delle varianti, senza stabilire un apparato critico, e senza nemmeno utilizzare la trascrizione di Jean-Pierre Thibaudat). Guerre (titolo redazionale) è un romanzo inedito, scritto tra la pubblicazione di Voyage au bout de la nuit e quella di Mort à crédit (1936), più precisamente nel 1934? La questione del titolo, quella della datazione e quella dello statuto stesso del testo riguarda un’opera indipendente o piuttosto una bozza del Voyage? Sarebbe necessario analizzare la carta utilizzata, l’inchiostro impiegato da Céline, eccetera. Tutta roba seria. Una cosa mi pare certa, l’edizione di Guerre è il solito sfruttamento commerciale di uno dei più grandi scrittori del XX secolo. Nel 2031, le opere pubblicate di Céline entreranno finalmente nel pubblico dominio. Céline ha scritto anche altro di molto buono (facilmente reperibile), e anche Bagatelle, una cosa indigeribile, non perché antisemita, ma perché letterariamente è una ciofeca.

Céline mi ricorda anche Gianfranco Sanguinetti, un suo pamphlet in risposta a Bollati di Saint Pierre: «Lei si vanta ben a torto di conoscermi, Bollati, allorché non è nemmeno capace di riconoscere Céline da Stendhal! [...] Lei è un imbecille, Bollati di Saint Pierre, e la sua cultura ordinata e progressista non conosce Céline, ma in compenso conosce così bene Stendhal da non distinguerlo dal “reazionario” autore di Voyage au bout de la nuit. Come se fosse la cultura ad essere ontologicamente “reazionaria” o “progressista”, e non l’uso che se ne fa! In mano a lei non solo il mio libello, ma i Manoscritti del ‘44 diventano un’opera reazionaria, perché, se non ha capito il mio, sarà impossibile che comprenda quelli». Un’altra epoca, altri personaggi. Ora, prevalentemente, solo “coglioni della vita”. 

sabato 29 novembre 2025

Operazione Mida

 

Non occorrono grandi studi per camminare sulle corde emotive della storia e capire in quale direzione questa sta andando. Per quanto riguarda l’Ucraina è sufficiente tener d’occhio la cronaca criminale. Mentre a qualche chilometro i soldati muoiono nella fanghiglia gelata, a Kiev la borghesia rimasta a casa fa grandi affari e riempie i locali notturni: le mani dappertutto, sui culi e nelle tasche. Ciò significa che la guerra sta finendo o perlomeno deve finire al più presto (non ovviamente per i coglioni pro-Ucraina).

Domenica scorsa, Andriy Yermak, capo di gabinetto dell’Ufficio di presidenza dell’Ucraina, ha guidato la delegazione ucraina ai negoziati a Ginevra. Ieri mattina, l’Ufficio Nazionale Anticorruzione (NABU) e la Procura Specializzata Anticorruzione (SAP) hanno annunciato un’irruzione nel suo appartamento nel distretto governativo di Kiev. Nel pomeriggio, Yermak, ex produttore cinematografico e avvocato esperto di media, membro del Consiglio per la sicurezza e la difesa nazionale dell’Ucraina e presidente della sede di coordinamento per gli affari umanitari e sociali, ha presentato le sue dimissioni al suo amico di lunga data Zelenskyj (*).

L’Operazione Mida, un nome che è già di per sé eloquente, riguarda il più grande scandalo di corruzione che ha coinvolto il governo della premier Yulia Svyrydenko e del presidente Volodymr Zelensky, è stata resa pubblica dal NABU e dal SAP il 10 novembre. Ancora a luglio, Zelenskyj aveva tentato di estromettere NABU e SAP. A seguito di proteste in Ucraina e all’estero, entrambe le agenzie hanno potuto continuare il loro lavoro.

Il nuovo caso è solo l’ultimo di una serie che a corrente alternata ha colpito negli ultimi anni il governo, l’amministrazione e i settori economici e industriali, in primis quello militare: anche Oleksiy Reznikov, solo per citare uno dei nomi più noti, ministro della Difesa sino al 2023, era stato costretto alle dimissioni dopo ripetuti scandali che avevano interessato le forze armate. Due ministri, quella dell’Energia Svitlana Hrynchuk e quello della Giustizia German Galushchenko, sono stati costretti a farsi da parte dopo essere finiti nei radar del NABU. La corruzione è rimasta in sostanza un problema irrisolto in Ucraina, dove oligarchia e clientelismo sono assi portanti del sistema. L’Ucraina è attualmente al 105esimo posto al mondo nella classifica stilata da Transparency International.

Il 10 novembre, il capo di NABU, Alexander Abakumov, aveva annunciato in televisione la conclusione dell’Operazione Mida, che ha svelato le corruzioni all’interno di Energoatom, la società statale ucraina per l’energia nucleare, per ottenere tangenti pari al 10-15% del valore dei contratti. Gli investigatori hanno sostenuto che la rete ha riciclato circa 100 milioni di dollari. Abakumov ha dichiarato che, insieme a SAP, avevano raccolto più di mille ore di materiale audio che dimostravano l’esistenza di una organizzazione criminale di alto rango operante nei settori dell’energia e della difesa.

Il capo dell’organizzazione criminale era Timur Mindich (anche lui amico di lunga data dell’ex-attore specializzato in fallofonie e diventato presidente), comproprietario della casa cinematografica Kvartal 95 dello stesso Zelenskyj, oltre che proprietario di un immobile da 6 milioni di dollari in Svizzera. Poche ore prima che la banda venisse scoperta, era fuggito in Israele con un altro noto corruttore. La soffiata è arrivata dall’alto.

Il parlamento ucraino aveva già chiesto le dimissioni di Yermak; il suo nome appare spesso nelle registrazioni dell’inchiesta. È scomparso dalla scena pubblica per diversi giorni ed è ricomparso solo quando Trump ha attirato l’attenzione sul suo piano di pace, il 20 novembre. Più di recente, l’ex ministro della Difesa Rustem Umerov, che faceva parte della delegazione a Ginevra, è stato convocato dagli inquirenti per corruzione.

L’effetto dell’Operazione Mida non è solo giudiziario, bensì politico e si inserisce nel duello interno che è venuto in questi mesi in superficie, ma che in realtà è sempre stato sottotraccia: da una parte il presidente e il suo cerchio magico; dall’altra gli altri poteri forti, sia quelli interni, come quello capitanato dall’ex presidente Petro Poroshenko, che quelli più legati ai circoli occidentali, statunitensi ed europei. Bisogna anche tener conto delle tensioni fra il nuovo capo di stato maggiore, Oleksandre Syrsky, e il ministro della difesa, Rustem Umerov. Insomma, mentre il fronte ucraino sta cedendo in più punti, a Kiev è in atto una lotta di potere senza esclusione di colpi.

La Commissione europea, che teme che l’Ucraina diventi insolvente entro la metà del 2026, ieri ha rilasciato una dichiarazione a Bruxelles attraverso la portavoce Paula Pinho, affermando, con sprezzo del ridicolo, di considerare le perquisizioni nell’ufficio di Yermak come un segno dell’efficacia delle misure anticorruzione nel Paese. Motivo per dare altri soldi alla cricca di Kiev.

(*) L’Ufficio del Presidente dell’Ucraina, è un organismo istituito di consulente permanente dal Presidente dell'Ucraina ai sensi dell’articolo 106, comma 28, della Costituzione dell’Ucraina. L’Ufficio è composto dal capo dell’Ufficio del Presidente dell’Ucraina, dai vice capo, dal capo di Gabinetto, dal primo assistente del Presidente, dai consiglieri, dai consiglieri autorizzati, dal segretario stampa, dai rappresentanti del Presidente, dal gabinetto del Presidente, dal gabinetto del capo dell’Ufficio, dai Servizi, dalle Direzioni e dai Dipartimenti. La sede centrale è nella centralissima via Bankova (via della Banca) 11 a Kiev.

venerdì 28 novembre 2025

Sonnambuli

Non c’è uno di noi che non abbia avuto almeno un nonno antifascista e partigiano. Sembra che nell’Italia di allora esistessero solo antifascisti e partigiani. Mio nonno non è stato partigiano, perché non se lo poteva permettere. Nel senso che doveva provvedere a una famiglia numerosa della quale era l’unica fonte di sostentamento. E però, come altri, non se ne stette proprio inerte, per cui l’hanno rinchiuso nel carcere di Santa Maria Maggiore, a Venezia. Nonostante le suppliche di mia nonna, i tedeschi lo spedirono in villeggiatura all’estero, dalla quale tornò minato irrimediabilmente nella sua salute. Fu lui la prima persona, quando avevo cinque o sei anni, a parlarmi dei fascisti. Io non capivo chi fossero, e tantomeno capivo chi fossero i partigiani, che nella mia ingenuità infantile identificavo nei “giapponesi”, senza avere anche in tal caso la minima idea di chi fossero questi ultimi. La cosa che più mi stupiva del suo racconto, era il fatto che secondo lui i fascisti esistevano ancora e invece partigiani non più. Non comprendevo come ciò fosse avvenuto, perché erano scomparsi i partigiani? Il nonno tagliava corto e mi diceva che i partigiani erano scomparsi perché credevano di aver vinto contro i fascisti. Non riuscivo a venire a capo di tale enigma e mi ci volle qualche anno prima che la faccenda mi diventasse chiara. Da allora non ho più avuto dubbi sul perché i fascisti ci sono ancora e perché i partigiani sono scomparsi. Perché i fascisti hanno vinto.

giovedì 27 novembre 2025

Questa sinistra vittoriosa

 

Ciò che allontana le persone è semplicemente ciò che pensano e ciò in cui credono. E da dove viene questa roba? Dal sistema economico e finanziario che ha promosso le industrie della comunicazione sostenendo la proliferazione e la mobilità delle reti, creando una società dell’intrattenimento, nella quale siamo trascinati in una spirale di stupidità, inseguendo come criceti che corrono su una ruota una quantità astronomica di “notizie” di scarsa qualità (eufemismo).

Se controlli la comunicazione, direttamente o con l’intimidazione, è chiaro che controlli il processo politico e il consenso. Si dirà che giornali e tv hanno perso rilevanza, che è roba di fascia geriatrica. Non è così. La maggior parte delle notizie veicolate e amplificate dai social ha come base ciò che viene pubblicato dalla stampa e trasmesso dalle tv.

Per una analisi più soggettiva, va rilevato che non c’è nessuno, o quasi, che nella stampa o in tv abbia il coraggio di dire le cose per come sono, di chiamarle con il loro nome. Nessuno, per esempio, afferma che il riarmo e la guerra sono mezzi per sfuggire alla cronica crisi economica dell’Occidente. La coalizione pragmatica ed elettorale tra Partito Democratico e Movimento Cinque Stelle, ha forse una posizione chiara e univoca sulla questione della guerra e della pace?

Oppure, nel rispondere a una domanda su questo o quel personaggio politico non c’è nessuno che evochi la parola “fascista”. Pierluigi Bersani arriva a dire che questi nostalgici vengono “da quella roba là”. A quale legame storico allude? Oltre non va, non s’azzarda a dare del fascista a gente che siede nei più alti scranni della repubblica e però esibisce con orgoglio il busto di Mussolini. Come se questi non fosse stato il maggior alleato di un certo Adolf Hitler!

Mai una parola sulle forze sociali ed economiche che spingono verso questa deriva populista, autoritaria e fascista. Quali interessi economici e finanziari sono coinvolti in questa situazione di crisi ormai avanzata? E anche quando si fa menzione della disuguaglianza sociale o della crescita dell’oligarchia miliardaria, sembra si parli degli omini verdi di Marte.

Negli ultimi due decenni, i governi che si sono succeduti hanno fatto sì che i salari in Italia fossero tra i più bassi d’Europa e, nonostante l’inflazione, in termini di potere d’acquisto siano inferiori a quelli di 20 anni fa. Lo dice la CGIL, che però ha ripreso le sue vecchie pratiche, ovvero negozia contratti quadriennali pessimi per i lavoratori che prevedono aumenti salariali irrisori.

La sinistra liberale e democristiana rimane intrappolata nel sistema esistente, non ne mette in discussione la logica. Nulla da dire sulla trasformazione tecnologica capitalista e la reale sottomissione della forza-lavoro attraverso la disoccupazione e il precariato strutturale, la competizione permanente tra i lavoratori (immigrazione e delocalizzazione, dequalificazione), eccetera. Il campo largo, per farne cosa?

Presentano il mercato, ossia il capitalismo, come un ordine naturale della società, intriso di coerenza ontologica (la catallassi di Hayek!). Ci parlano di democrazia, che è una parola vuota quando la stragrande maggioranza della popolazione non conta nulla. Di libertà, che è una parola falsa quando si è obbligati a lavorare per la sopravvivenza arricchendo chi a suo capriccio ti sfrutta o ti licenzia. Questa è violenza consolidata.

Questa sinistra, non meno della destra, è contraria ad ogni forma di azione collettiva che sollevi interrogativi sul sistema. È contro qualsiasi sfida politica al capitalismo, contro ogni progetto di trasformazione basato sul superamento dell’impresa capitalista e il suo mercato. Riconosce come sacre le ragioni dell’accumulazione privata (salvo una più equa distribuzione: sono dei pagliacci), ed è consustanziale al potere del neocapitalismo globalizzato, alla guerra economica e sociale condotta dalle élite dominanti negli ultimi decenni, che ha distrutto e liquefatto l’ordine che un tempo tollerava le conquiste dello Stato sociale.

mercoledì 26 novembre 2025

[...]

 

Dopo aver riflettuto, ho deciso di non usare la trascrizione della mia cartella clinica nel post che sto scrivendo. Nonostante si tratti di trascrivere un’anamnesi breve, sincera e schietta, non penso interessino le mie patologie, che spaziano dalle notti insonni a certe giornate di noia.

Il mio medico era all’antica, scriveva le ricette con una penna a sfera finché non glielo hanno impedito. Negli ultimi anni, prima della pensione, fu costretto a dotarsi di computer e stampante, e ciò solo, mi diceva, per scrivere delle ricette. Lo faceva ribollire dentro.

Passavamo un’oretta assieme nel suo ambulatorio. Fuori, ad aspettare, quasi mai c’era qualcuno la sera tardi. Mi raccontava qualche sua storiella, vera o verosimile che fosse. Il suo modo di narrare mi intrigava. La prendeva alla lontana e, quando sembrava che si fosse perso nel discorso, in un lampo arrivava alla diagnosi: il mondo è sempre più di merda.

Mi raccontava anche cose più amene, di quando era stato in marina. I marinai, mi diceva, non soffrivano mai di mal di gola. E spiegava il perché di questo insolito fenomeno constatato in due anni di ferma come sottotenente medico.

A me non interessava fosse un bravo clinico, solo che non facesse difficoltà nel prescrivermi ciò di cui ho bisogno per affrontare la vita, dunque assai poco e sempre la solita mercanzia. Anche per i farmaci è tutta una questione di valore aggiunto.

È morto l’estate scorsa per un infarto all’età di 68 anni, poco dopo la pensione. Ricordo la cupa processione dei partecipanti al funerale, quasi tutte persone dalla settantina in su. La figlia, dietro la bara, era seguita da un flusso laminare di Opium di Chanel, di modo che l’incenso tardava ad attecchire.

Il medico che lo ha sostituito, con la faccia immersa nel suo computer, ha l’elocuzione pontificante di un prete nel suo confessionale. Cos’è questa nuova voce che si gonfia nel parlarmi? È consapevole del posto al vertice della gerarchia stabilita tra medico e paziente. Ha sempre una diagnosi pronta, vuole dimostrarmi rapidamente il suo sapere e potere. A trent’anni crede perfino di conoscere che cos’è il mal di vivere.

martedì 25 novembre 2025

Un fronte di resistenza

 

Il liberalismo ha assorbito i suoi avversari, dimostrando che altre forme politiche e sociali non possono sostituire quella della democrazia rappresentativa di mercato. Una diagnosi che sembrava inoppugnabile. Ci sono voluti circa vent’anni perché la concezione liberal- liberista del mondo (condivisa dalla corrente social-liberale) iniziasse a mostrare le corde. La violenza del processo di globalizzazione ha esacerbato le insopportabili contraddizioni tra sfruttatori e sfruttati nei paesi capitalistici centrali, e tra questi e le periferie.

Questa situazione si riverbera inevitabilmente nella “crisi della democrazia”, laddove il sistema rappresentativo non regge più laddove almeno la metà dell’elettorato non va al seggio. Non cambia nulla e “loro” fanno finta di niente. Il principio democratico è salvo. Tuttavia si crea nella società un fronte di resistenza passiva, che man mano diventa maggioritario. Anche così, però, non cambia nulla. E allora cosa si fa, chi osa mettere a rischio la propria libertà e incolumità personale? Ci vuole una motivazione forte per farlo.

Una motivazione ideologica, per esempio. Ma dove scovarla di questi tempi in cui tutti gli dèi e gli ideali sono nel fango degli altari e della storia? Benedetto Croce, nella sua Storia dell’Europa del XIX secolo, ci disse che l’era delle rivoluzioni politiche è finita e appare come una parentesi sanguinosa e inutile nella storia umana, una sospensione ingiustificabile del normale corso degli eventi, che implica solo una rivoluzione tecnologica permanente nel quadro del mercato globale e delle sue strutture giuridiche e politiche (*).

Un primo grosso ostacolo alla formazione di un movimento rivoluzionario di massa è certamente da ricercare nel passato immediato, ed è il fallimento della rivoluzione comunista nella sua forma sovietica, che non può essere facilmente o rapidamente dimenticato, tanto pesante è stato il prezzo pagato in errori e orrori. Un terrore strutturale che portò il regime alla feticizzazione di un’organizzazione militarizzata e gerarchica che sostituì l’iniziativa popolare, con l’eliminazione fisica dei suoi avversari reali o immaginari.

Se oggi una motivazione ideologica non c’è, allora sono necessarie condizioni individuali estreme, che, sommandosi, diventino motivazioni di massa. Loro, i manipolatori, lo sanno. Hanno dalla loro parte la statistica e altri strumenti per una sorveglianza capillare, che li allerta quando il vaso di Pandora sta per traboccare. Intervengono con misure mirate perché il malcontento sociale non trabocchi in disperazione e dunque in azione aperta e violenta.

Se la democrazia elettorale è un bluff, se lo stato sociale è diventato troppo costoso per le classi dirigenti (la dottrina dello stato minimo), se il compromesso tra le classi è in bilico, non resta che predisporre misure preventive, politiche e no, tantopiù che il ticchettio della bomba sociale è in sincrono con la bolla finanziaria.

Lo Stato è allineato a funzioni di controllo politico sulle popolazioni, modifica le regole della legalità perché non si vuole lasciare spazio a fermenti sociali “pericolosi”. La fobia per la sicurezza è all’ordine del giorno, ben alimentata dai media. È una operazione psicologica che viene sostenuta nella concreta tolleranza di azioni criminogene diffuse da parte di bande di grassatori e di spostati (per contro sono vietati i raduni giovanili).

Si raccomanda alle plebi di tenere scorte di denaro e di cibo, si alimenta il panico per un’imminente invasione russa, e così le ultime manovre della NATO si sono concentrate sulla guerriglia urbana in “ambienti ostili”. Per tacere di ciò che sta avvenendo nelle metropoli statunitensi.

Dunque, per concludere, è vero che capitalismo ha cancellato non solo il feudalesimo, ma anche il comunismo sovietico e tutte le forme immaginate di socialismo. È però si sta facendo strada, anche se lentamente, una rottura ontologica nel nostro rapporto con la realtà del capitalismo, il quale, com’è noto, riconosce solo la legge del suo spietato dinamismo strutturale, che non rispetta nulla e nessuno, se non la sua stessa legge, che si manifesta nella ricerca senza fine del più alto tasso di profitto. Un disincanto che svaluta ogni valore sociale ed umano che pretende di essere sacro, e ciò fa intravvedere la possibilità e anche la necessità del cambiamento.

(*) Non è casuale che la sinistra parlamentare italiana sia stata sempre crociana (se non nelle parole, certamente nei fatti) o stalinista, ma non marxiana. Per dirla con Rossana Rossanda: «Eravamo sempre là, al crocianesimo di ritorno nella formazione del gruppo dirigente comunista». E del resto, scriveva sempre Rossanda, Marx «nessuno lo leggeva”» (La ragazza del secolo scorso, p. 301).

L’assalto al quartier generale

 

Per un paio di giorni ci terranno occupati con altro, tuttavia l’esito del conflitto in corso in Ucraina ci riguarda da vicino fin troppo. Non ne sembriamo consapevoli e sbucciamo piselli come nulla fosse.

A seguito dei colloqui tra i rappresentanti di Stati Uniti, Ucraina e alcuni Stati membri dell’UE a Ginevra, sono state apportate modifiche a dir poco significative al piano di Donald Trump per porre fine alla guerra in Ucraina.

Questo piano attualmente esiste solo sulla carta, e senza l’accordo della Russia sul nuovo piano, il piano rivisto di Trump non è altro che aria fritta. La nuova bozza non include più gli obiettivi politici centrali della Russia, come l’esclusione dalla NATO, la limitazione delle dimensioni delle forze armate ucraine e la messa al bando dei gruppi fascisti in Ucraina. Il nuovo piano omette inoltre qualsiasi garanzia sullo status della lingua russa in Ucraina.

Quanto poi alla questione dei territori, siamo lontani anni luce da un accordo. Dunque sembra dubbio (eufemismo) che la Russia sia disposta ad accettare questa base negoziale dato l’attuale stato del conflitto. E allora a che cosa serve tutta questa manfrina? È solo propaganda, per addossare la responsabilità del rifiuto del piano alla Russia. Bisogna essere dei disonesti per non ammetterlo.

Inoltre, e questo ci riguarda da vicino, l’esito di Ginevra potrebbe rappresentare un successo per l’UE nella sua lotta con gli Stati Uniti per il riconoscimento come forza politica, soprattutto perché Trump l’aveva già designata come il più importante contributore finanziario.

Il vantaggio della bozza originale, quella di Trump, era che affrontava i principali obiettivi politici della Russia: dalla rinuncia all’espansione della NATO alla creazione di una nuova architettura di sicurezza europea e all’estensione dei più importanti accordi sul controllo degli armamenti. Il punto debole, molto debole, era dato dal fatto che rinviava sine die la questione territoriale. La nuova bozza su questo punto è addirittura peggiorativa e inaccettabile per la Russia.

Si potrebbe persino parlare di sabotaggio della pace. Ma una cosa è chiara: Volodymyr Zelensky può vivere tranquillamente con il “piano di pace” rivisto. Prolungherà la guerra e non dovrà più affrontare la minaccia di nuove elezioni, che molto probabilmente perderebbe. Il ritorno della pace in Ucraina è impossibile se gli ucraini non daranno l’assalto al proprio quartier generale.

lunedì 24 novembre 2025

Mario Draghi, l’architetto delle illusioni

 

Quante cose si sono dette e scritte sul famoso summit avvenuto nel 1992 sul panfilo Britannia, evento simbolico che ha dato il via alla massiccia stagione di privatizzazioni delle aziende statali che operano in settori assolutamente centrali per la consistenza economica, come le grandi banche, l’IRI, l'Eni e Telecom Italia.

Ieri, sul Sole 24 ore (e dove sennò?) ne ha parlato Giovanni Tamburi, “imprenditore- investitore innamorato delle imprese e delle strategie”. Ma soprattutto componente “della prima commissione presieduta da Luigi Cappugi, espressione del ministero del bilancio guidato da Paolo Cirino Pomicino durante l’ultimo governo Andreotti, [il quale] conserv[ò] la posizione durante il governo di Giuliano Amato, che portò avanti con grande decisione il progetto di privatizzare tutto il possibile”. Dunque, un tizio che le cose le ha viste da vicino, tanto è vero Tamburi partecipò all’organizzazione della crociera sul Britannia: “Il Britannia attraccò a Civitavecchia, Mario Draghi direttore generale del Tesoro salì a bordo, lesse agli investitori stranieri il discorso sul programma di privatizzazione e scese subito dallo yacht”.

Che un simile evento sia avvenuto su una nave privata battente bandiera straniera è già di per sé sintomatico, perciò che Draghi sia sceso dal battello subito dopo aver descritto il piano di svendita, come s’affretta a precisare Tamburi, è un’espressione che ha il fetore di una excusatio non petita. L’epoca era quella del Trattato di Maastricht, della liquidazione di un modello economico a forte impronta pubblica che, a causa del patronage politico, era fuori dalla logica economica, tanto che era opinione generalizzata che non si poteva evitare un ampio processo di privatizzazione.

Le motivazioni alla base della vasta operazione di privatizzazione erano queste: il settore pubblico era diventato una palude d’interessi politici e di intrecci corruttivi; la privatizzazione avrebbe contribuito ad attenuare l’entità del debito pubblico che negli anni Ottanta appariva fuori controllo, un punto questo su cui insisteva particolarmente l’Unione Europea (accordo Andreatta-Van Miert); inoltre, si pensava esistesse in Italia una riserva di imprenditorialità che con le privatizzazioni avrebbe avuto occasione di dispiegarsi senza ostacoli.

Questi propositi mercatisti andranno in grandissima parte delusi. Pur essendo l’Italia quasi in testa alle classifiche per valore delle privatizzazioni operate dal 1985 al 2000, con i ricavi di esse il debito pubblico venne appena scalfito. Inoltre, la decisione di destinare i proventi delle privatizzazioni alla riduzione del debito pubblico piuttosto che agli investimenti si è rivelata contraddittoria. Quanto all’imprenditoria privata, essa si è dimostrata incapace di svolgere un ruolo strategico e aggregante. La vicenda dell’acciaieria di Taranto e dei Riva è ampiamente nota, così come quella dei Benetton, che hanno puntato senza riserve alla rendita con le autostrade. Discorso a parte meriterebbe la vicenda dei cosiddetti “capitani coraggiosi”, che conquistano la Telecom con un leverage.

Storicamente lo Stato ha compensato un capitalismo privato che, in momenti chiave dello sviluppo del Paese, ha dimostrato una mancanza di coesione e privilegiato guadagni a breve termine. Il disimpegno pubblico è stato disastroso per l’industria italiana. Le multinazionali straniere hanno acquisito aziende anche in settori strategici un tempo considerati vitali (informatica, prodotti chimici, elettronica di consumo, alta tecnologia e siderurgia). La presenza di capitali stranieri non è di per sé problematica. Tuttavia, sorgono problemi quando gli interessi strategici di un Paese sono subordinati a potenze straniere. Il trasferimento di aziende nazionali a proprietà straniera implica una perdita di controllo su decisioni cruciali: l’ubicazione dei siti produttivi (leggi occupazione), la ricerca, la distribuzione degli utili e il reinvestimento.

La fine del modello di economia mista (che andava riformato, non annientato), unita al calo della domanda interna a causa della compressione dei salari (a vantaggio delle rendite finanziarie e delle imprese esportatrici), ha portato a una riduzione ancora più drastica delle dimensioni aziendali. Ciò che è rimasto sul territorio ha subito un inesorabile declino e dimostra che il capitalismo italiano ha bisogno del sostegno statale per prosperare. Inoltre, va ricordato che l’Italia è uno dei pochi paesi europei ad aver ridotto il numero dei suoi dipendenti pubblici facendo ampio ricorso a pratiche di esternalizzazione per i servizi pubblici locali, in particolare nei settori dei trasporti, della sanità e dell’istruzione.

Che più della metà dell’elettorato non si rechi alle urne, non è un fatto incidentale.

La guerra continua

 

Hanno messo le manacce loro al cosiddetto piano in 28 punti di Trump. Avranno l’alibi che è la Russia a non voler accettare il piano riscritto radicalmente secondo i desiderata del capo dell’intelligence militare ucraina Kyrylo Budanov (presente a Gnevra). Basta leggere, per esempio, l’articolo 20 per avere chiaro che non vogliono la pace, laddove si legge che saranno “possibili scambi territoriali” ma da concordare successivamente. Non solo, l’articolo 13 prevede che “L’Ucraina sarà completamente ricostruita e risarcita economicamente anche tramite beni sovrani russi che resteranno congelati fino a quando la Russia non compenserà i danni causati all’Ucraina”.

Tutto è stato deciso con la partecipazione dell’Ucraina, ma senza la partecipazione della Russia. Vogliono la guerra. L’avranno.

Il prigioniero


C’è trepidante attesa sul mercato librario francese. Il 10 dicembre uscirà l’attesissimo Diario di un prigioniero (Journal d’un prisonnier). Si potrebbe supporre che si tratti di un detenuto con una palla al piede, soprattutto perché è appena uscito nelle sale francesi l’adattamento cinematografico del racconto di Jean Valjean, creato dalla penna di Victor Hugo. La vicenda di un uomo uscito di galera dopo una condanna ventennale ai lavori forzati a causa di un furto commesso per fame (*).

E invece le memorie di prigionia che stanno per uscire per i tipi delle edizioni Fayard – il marchio è stato recentemente acquisito dal multimiliardario di estrema destra Vincent Bolloré – riguardano un ex galeotto che ha trascorso non più di venti giorni nel prestigioso carcere di La Santé a Parigi, nutrendosi quasi solo di yogurt.

Si tratta del marito di Carla Bruni, condannato a cinque anni di carcere per corruzione internazionale e finanziamento politico illecito, che ha iniziato a scontare la pena il 21 ottobre. Sebbene sia riuscito a evitare l’incarcerazione immediata dopo il verdetto (come è avvenuto per i suoi coimputati, l’intermediario Alexandre (Ahmad) Djouhri e il banchiere 81enne Wahib Nacer, rilasciato il 28 ottobre), il tribunale non gli ha permesso di attendere il processo d’appello (le udienze sono previste da marzo a giugno) in libertà e nemmeno agli arresti domiciliari (**).

Il prigioniero, meno di tre settimane dopo, il 10 novembre, è stato rilasciato dalla Corte d’Appello di Parigi, che ha stabilito che non rappresentava un rischio di fuga e lo ha posto sotto sorveglianza giudiziaria. I giudici di primo grado avevano giustificato l’ordine di custodia cautelare immediata con la “gravità eccezionale” dei reati.

Al povero Nicolas, questo il nome del marito della Bruni, sono state imposte alcune dure condizioni. La più importante, e decisamente disumana, fu che non gli fu permesso di incontrare di persona il ministro della Giustizia in carica, Gérald Darmanin, durante il periodo precedente al processo. Darmanin, ex collega di partito di Nicolas, gli ha comunque fatto visita in carcere il 29 ottobre, durante la sua fulminea detenzione.

Il settantenne ha maturato profonde intuizioni filosofiche durante la sua prigionia. “Simile a un soggiorno nel deserto”, scrive su X, “la prigione rafforza la vita spirituale interiore” (A l’image du désert, la vie intérieure se fortifie en prison). Dunque, Nicolas dovrebbe rimpiangere che il suo periodo dietro le sbarre sia stato troppo breve perché potesse davvero beneficiare di questo vantaggio.

(*) A firma del regista Éric Besnard, con protagonista Grégory Gadebois, già col. Hubert- Joseph Henry nel film di Polanskiy L’ufficiale e la spia.

In un angolo nascosto del cimitero di Pere-Lachaise a Parigi si trova la tomba di Jean Valjean, il protagonista del libro. In un luogo deserto, vicino a un vecchio muro, sotto un grande tasso – scrive Hugo – c’è una lapide senza nome. A nessuno verrà in mente di andarla a cercare perché non è vicina ad alcun sentiero e l’erba lì attorno cresce folta e bagna i piedi. Al massimo, quando c’è un po’ di sole, andranno a visitarla le lucertole.

Un certo numero di persone, alcune o moltissime, avranno provato almeno una volta a rintracciare quel vecchio muro, quell’albero e quella lapide senza nome. Sarebbe come cercare la tomba di Madame Bovary. 

(**) L’imprenditore libanese Ziad Takieddine ha raccontato più volte di aver trasferito milioni di dollari su un aereo privato da Tripoli all’aeroporto Le Bourget e di averli consegnati al braccio destro di Sarkozy, Claude Gueant (già ministro dell’Interno e segretario generale della presidenza della repubblica, per l’affare libico è stato condannato ad un anno). In particolare, Takieddine era un concorrente di Djouhri nel commercio di armi e nella mediazione in Libia.

Il nome di Ziad Takieddine evoca un altro affaire, quello dei sottomarini della classe Agosta, uno scandalo che coinvolse le presidenze di François Mitterrand e Jacques Chirac. Il più pulito ha la rogna. 

domenica 23 novembre 2025

In ordine sparso

 

I cosiddetti “bambini nel bosco”. Sono diventati un caso mediatico, ecco perché se ne occupano i magistrati e, quel che è peggio, i politicanti (“politica” è un termine nobile, non si pratica da decenni). Che cosa vorrebbero farne di quei bambini? Separarli per darli in adozione ad altre famiglie? Follia. Siamo sicuri che i bambini delle periferie, di certi quartieri, o di certi “campi”, vivono in condizioni migliori? Sono felici quei “bambini nel bosco”, che non è poco. E sicuramente anche in quelle condizioni cresceranno meglio di tanti altri bambini dotati di tutti i comfort (o presunti tali). La questione dell’istruzione? Basterebbe una maestra di sostegno a domicilio qualche ora la settimana. Il resto, se quei bambini hanno una buona predisposizione, verrà da sé.

I sedicenti leader europei, l’ho già detto (sempre per ciò che vale, ovvio), non vogliono ammettere la sconfitta. La loro sconfitta. È una questione di orgoglio (non solo). Dell’Ucraina non gliene importa nulla, anzi, gliene importa “il giusto”. I 28 punti sono una resa ... ai punti, ovvio. E però sono convinti che la continuazione della guerra in Ucraina sia preferibile a una pace in cui l’Ucraina debba fare delle concessioni. Ma anno dopo anno, mese dopo mese, sarà sempre peggio. Basta morti e distruzioni. Pensare che la Russia possa stare fuori dell’Europa è da sconsiderati. Quando i cinesi avranno preso, di fatto, il potere in Europa, ne riparliamo. Stupidi.

Le teologhe femministe? Basta, non se ne può più di questa gente che ti parla a bassa voce e con un tono da crema calda. Vanagloriose e furbe, elaborano meticolosamente la loro narrazione e non perdono mai l’occasione di proclamare in lungo e in largo che sono le autentiche interpreti della Verità rivelata.

Lockdown per ricchi.