lunedì 24 novembre 2025

Il prigioniero


C’è trepidante attesa sul mercato librario francese. Il 10 dicembre uscirà l’attesissimo Diario di un prigioniero (Journal d’un prisonnier). Si potrebbe supporre che si tratti di un detenuto con una palla al piede, soprattutto perché è appena uscito nelle sale francesi l’adattamento cinematografico del racconto di Jean Valjean, creato dalla penna di Victor Hugo. La vicenda di un uomo uscito di galera dopo una condanna ventennale ai lavori forzati a causa di un furto commesso per fame (*).

E invece le memorie di prigionia che stanno per uscire per i tipi delle edizioni Fayard – il marchio è stato recentemente acquisito dal multimiliardario di estrema destra Vincent Bolloré – riguardano un ex galeotto che ha trascorso non più di venti giorni nel prestigioso carcere di La Santé a Parigi, nutrendosi quasi solo di yogurt.

Si tratta del marito di Carla Bruni, condannato a cinque anni di carcere per corruzione internazionale e finanziamento politico illecito, che ha iniziato a scontare la pena il 21 ottobre. Sebbene sia riuscito a evitare l’incarcerazione immediata dopo il verdetto (come è avvenuto per i suoi coimputati, l’intermediario Alexandre (Ahmad) Djouhri e il banchiere 81enne Wahib Nacer, rilasciato il 28 ottobre), il tribunale non gli ha permesso di attendere il processo d’appello (le udienze sono previste da marzo a giugno) in libertà e nemmeno agli arresti domiciliari (**).

Il prigioniero, meno di tre settimane dopo, il 10 novembre, è stato rilasciato dalla Corte d’Appello di Parigi, che ha stabilito che non rappresentava un rischio di fuga e lo ha posto sotto sorveglianza giudiziaria. I giudici di primo grado avevano giustificato l’ordine di custodia cautelare immediata con la “gravità eccezionale” dei reati.

Al povero Nicolas, questo il nome del marito della Bruni, sono state imposte alcune dure condizioni. La più importante, e decisamente disumana, fu che non gli fu permesso di incontrare di persona il ministro della Giustizia in carica, Gérald Darmanin, durante il periodo precedente al processo. Darmanin, ex collega di partito di Nicolas, gli ha comunque fatto visita in carcere il 29 ottobre, durante la sua fulminea detenzione.

Il settantenne ha maturato profonde intuizioni filosofiche durante la sua prigionia. “Simile a un soggiorno nel deserto”, scrive su X, “la prigione rafforza la vita spirituale interiore” (A l’image du désert, la vie intérieure se fortifie en prison). Dunque, Nicolas dovrebbe rimpiangere che il suo periodo dietro le sbarre sia stato troppo breve perché potesse davvero beneficiare di questo vantaggio.

(*) A firma del regista Éric Besnard, con protagonista Grégory Gadebois, già col. Hubert- Joseph Henry nel film di Polanskiy L’ufficiale e la spia.

(**) L’imprenditore libanese Ziad Takieddine ha raccontato più volte di aver trasferito milioni di dollari su un aereo privato da Tripoli all’aeroporto Le Bourget e di averli consegnati al braccio destro di Sarkozy, Claude Gueant (già ministro dell’Interno e segretario generale della presidenza della repubblica, per l’affare libico è stato condannato ad un anno). In particolare, Takieddine era un concorrente di Djouhri nel commercio di armi e nella mediazione in Libia.

Il nome di Ziad Takieddine evoca un altro affaire, quello dei sottomarini della classe Agosta, uno scandalo che coinvolse le presidenze di François Mitterrand e Jacques Chirac. Il più pulito ha la rogna. 

domenica 23 novembre 2025

In ordine sparso

 

I cosiddetti “bambini nel bosco”. Sono diventati un caso mediatico, ecco perché se ne occupano i magistrati e, quel che è peggio, i politicanti (“politica” è un termine nobile, non si pratica da decenni). Che cosa vorrebbero farne di quei bambini? Separarli per darli in adozione ad altre famiglie? Follia. Siamo sicuri che i bambini delle periferie, di certi quartieri, o di certi “campi”, vivono in condizioni migliori? Sono felici quei “bambini nel bosco”, che non è poco. E sicuramente anche in quelle condizioni cresceranno meglio di tanti altri bambini dotati di tutti i comfort (o presunti tali). La questione dell’istruzione? Basterebbe una maestra di sostegno a domicilio qualche ora la settimana. Il resto, se quei bambini hanno una buona predisposizione, verrà da sé.

I sedicenti leader europei, l’ho già detto (sempre per ciò che vale, ovvio), non vogliono ammettere la sconfitta. La loro sconfitta. È una questione di orgoglio (non solo). Dell’Ucraina non gliene importa nulla, anzi, gliene importa “il giusto”. I 28 punti sono una resa ... ai punti, ovvio. E però sono convinti che la continuazione della guerra in Ucraina sia preferibile a una pace in cui l’Ucraina debba fare delle concessioni. Ma anno dopo anno, mese dopo mese, sarà sempre peggio. Basta morti e distruzioni. Pensare che la Russia possa stare fuori dell’Europa è da sconsiderati. Quando i cinesi avranno preso, di fatto, il potere in Europa, ne riparliamo. Stupidi.

Le teologhe femministe? Basta, non se ne può più di questa gente che ti parla a bassa voce e con un tono da crema calda. Vanagloriose e furbe, elaborano meticolosamente la loro narrazione e non perdono mai l’occasione di proclamare in lungo e in largo che sono le autentiche interpreti della Verità rivelata.

Lockdown per ricchi.

sabato 22 novembre 2025

Il rettile

 

Quando tutto è valore, denaro, un valore d’uso diventa il suo opposto, contraddice il semplice buon senso: nessun valore è più valido. Uno scontro di valori. Un esempio? La vita, che dovrebbe essere il valore supremo. Ci definiamo pro-life, ma allo stesso tempo fabbrichiamo e vendiamo armi da fuoco sempre più letali. Un altro? Ci definiamo democratici, ma facciamo tutto il possibile per danneggiare gruppi di persone che lottano per la propria libertà, popoli che lottano per la propria terra e indipendenza. Ma perfino l’argomento sesso. Solo se accompagnati dai genitori. Loro di sesso e affettività ne sanno, eccome. Interroghiamo il ministro sulle sue competenze di genitore, sulla educazione ricevuta, l’ambiente familiare, la sua formazione, scolastica e professionale, sui suoi “valori”. Turbato davanti a lesbismo e omosessualità. A disagio davanti all’articolo tre. Come dice ministro? Ah, il codice genetico non accetta parità. Il maschio è maschio e la donna è sempre un po’ mamma e un po’ troia, vero? Tranne la sua di mamma; tranne la sua di moglie. Va bene, buttiamola sul biologico. Lei sa che cos’è il codice genetico? Se lo sapesse non lo tirerebbe in ballo. Tutti i primati derivano dai rettili, e lei un po’ rettile è rimasto.

venerdì 21 novembre 2025

Un fenomeno meramente superficiale

 

La disuguaglianza è considerata un fatto naturale, e la prosperità è ben meritata se il singolo individuo ha dimostrato spirito imprenditoriale e audacia. La ricchezza, concentrata nelle mani di pochi eletti, è cresciuta fino a raggiungere proporzioni quasi inimmaginabili, mentre la povertà si diffonde inesorabilmente verso la classe media. I leader politici si rendono sicuramente conto che il perdurare di questa tendenza minaccia seriamente la stabilità di una società che produce un simile fenomeno, ma se ne fottono per varie ragioni.

La ricchezza dei miliardari nei paesi del G20, come Oxfam ha ora comunicato al mondo, è aumentata di 2,2 trilioni di dollari in un anno: del 16,5%, da 13,4 trilioni a 15,6 trilioni di dollari. Si replica che questo aumento da solo sarebbe sufficiente a far uscire dalla povertà 3,8 miliardi di persone. Da qui la richiesta di una “tassazione efficace” dei super-ricchi del mondo. E una miriade di libri inutili da Stiglitz a Piketty (per citare) che ci vogliono spiegare l’origine della disuguaglianza moderna.

Su una maggiore tassazione si può essere d’accordo, ma la questione reale non viene con ciò affrontata in radice. È vero che negli ultimi decenni i paesi industrializzati dell’OCSE hanno sistematicamente abbassato le aliquote fiscali più alte rispetto al livello a metà degli anni ‘60, avviando così una massiccia ridistribuzione del reddito e della ricchezza verso la cima della piramide sociale che continua ancora oggi. E ciò rivela chiaramente nell’interesse di chi è stata e continua a essere condotta la politica.

Il diavolo continua a cagare sul mucchio più grande: i ricchi fanno i ricchi, ossia i propri interessi, discutere su ciò è sterile. L’eccesso di ricchezza di pochi eletti è un sintomo di sovraccumulazione cronica, non un segno di successo, bensì di crisi. Pertanto, criticare i ricchi non è un errore, ma soffermarsi solo su tale aspetto significa criticare in modo inadeguato il capitalismo concentrandosi su un fenomeno meramente superficiale.

Il 3 dicembre di dieci anni fa, scrivevo: «il fatto che si rimproveri ai ricchi la loro ricchezza dà il senso del generale disorientamento. Sarebbero dunque i “ricchi” la causa dei problemi, e non dunque essi stessi il prodotto di determinati rapporti sociali. È questo il volgare e imbarazzante modo di concepire lo scontro di classe con le categorie politico-sociologiche del cambriano».

Ecco dunque la differenza tra una critica laterale del sistema rispetto a una critica radicale del modo di produzione capitalistico. È la differenza tra Marx e Proudhon, tra un socialismo rivoluzionario e un socialismo piccolo-borghese (alla Bertinotti, tanto per intenderci), per tacere di quel socialismo liberale (???) che piace a Bersani & C.. Le riforme (le “lenzuolate”), i miglioramenti che si svolgono sul terreno dei rapporti di produzione borghesi, non cambiano nulla nel rapporto fra capitale e lavoro salariato, ma, nel migliore dei casi, diminuiscono le spese che la borghesia deve sostenere per il suo dominio.

Chi ha perso la faccia

 

Come previsto, quasi quattro anni or sono, né i russi hanno vinto, né gli ucraini hanno perso definitivamente. Chi ha perso per sempre sono quelle centinaia di migliaia di giovani e meno giovani che sono morti a causa di una guerra demenziale voluta e provocata non si sa bene da chi, poniamo dal destino cinico e baro.

Ieri era prevista in Ucraina una delegazione statunitense di alto rango. Ufficialmente, la delegazione era lì per informarsi sulle capacità produttive ucraine di droni. Ufficiosamente avrebbe dovuto presentare alla cricca di Kiev il piano, negoziato ufficiosamente tra l’amministrazione Trump e i rappresentanti russi, per porre fine alla guerra (dubito ci sarà mai una fine duratura).

Si sa poco sul contenuto del piano negoziato tra Steve Witkoff, in rappresentanza degli Stati Uniti, e Kirill Dmitriev, rappresentante russo per gli investimenti esteri. Washington intende convincere Kiev a cedere definitivamente il controllo delle regioni di Luhansk e Donetsk alla Russia. Questa dovrebbe pagare una quota, ancora da negoziare, per le risorse minerarie catturate. Gli Stati Uniti sarebbero pronti a riconoscere la sovranità russa sulla Crimea.

Meno chiare sono le condizioni politiche che circondano il piano: la parte della regione di Donetsk che sarà evacuata dall’Ucraina verrà smilitarizzata, impedendo alla Russia di stazionarvi truppe. Le forze armate ucraine saranno ridotte da circa un milione di effettivi a 400.000 soldati e sarà loro vietato possedere armi di distruzione di massa o armi a lungo raggio. Inoltre, nessuna truppa straniera dovrà essere stazionata sul suolo ucraino.

Si tratta di una resa degli ucraini. Del resto non sono in condizione di porre condizioni. Il fatto che la delegazione statunitense inviata a Kiev sia composta da tre generali statunitensi di alto rango è probabilmente inteso a evidenziare che la situazione militare dell’Ucraina è disperata. Era chiaro fin dall’inizio che sarebbe stata una follia pensare di sconfiggere la Russia.

Come concessione chiave a Mosca, gli Stati Uniti avrebbero promesso il “completo ritorno della Russia nell’economia globale”, ovvero la revoca delle sanzioni. Sul piano politico, ed economico, a perdere questa guerra e la faccia sarà la UE e i suoi proconsoli.

Trump, anche se non ha letto Kissinger, se l’è fatto raccontare.

giovedì 20 novembre 2025

Il futuro prossimo del libro

«La borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali» (K.M.).

Sono sempre di meno quelli che ricordano l’odore delle vecchie tipografie. E il rumore: quello ritmato delle linotype, la monotonia di una Roland, lo sbuffare di una “platina” Heidelberg o lo sferragliare di un “mezzo elefante” Nebiolo. Archeologia. Venne la fotocomposizione e prevalse l’offset. Addio vecchio e malsano piombo, basta con esami periodici della piombemia. Oggi si avvelena più la mente che i polmoni.

Nessuna tipografia, di allora e di oggi, stamperebbe una sola copia di un libro. Ma nemmeno 50 o 100 copie. E però presto avremo un modello di stampa on demand ad alte prestazioni che avrà un impatto duraturo sul mercato e stabilirà nuovi standard in termini di efficienza, flessibilità e ottimizzazione dei processi. Questo è almeno il peana degli enfatici che non si sono mai sporcate le manine in una tipografia.

L’obiettivo, dicono sempre questi Superman del capitalismo, è ottimizzare la catena del valore del settore librario, alleggerire il carico di lavoro degli editori (che delicatezza umanitaria!) e rendere disponibile ai lettori una varietà di titoli (specialmente di merda) ancora maggiore nel più breve tempo possibile. Cosa si nasconde dietro queste promesse altisonanti?

Print-on-demand significa stampare solo su richiesta specifica. Se un titolo è fuori catalogo, le librerie ti dicono che è disponibile, forse, solo sul mercato dell’usato. In un futuro prossimo, un addetto di una libreria (piuttosto un “assistente automatico”) risponderà: “Il libro richiesto, sebbene fuori catalogo, sarà pronto per il ritiro domani mattina dalle 10”. Dio, che goduria! Anzi, “te lo spediamo a casa”. Doppio orgasmo in “terapia tapioco”.

L’ordine di stampa verrà generato con un clic del mouse, ma probabilmente non ci sarà bisogno nemmeno di quello. Una macchina da stampa digitale completamente automatizzata, ricevuto l’input via Proxima Centauri, produce una singola copia, che viene poi spedita al negozio o direttamente al cliente durante la notte. Prezzo non modico, immagino, almeno finché non si costituirà adeguato background digitale dell’opera richiesta.

L’avessero raccontato anche solo 40anni fa, avrebbero vinto a man bassa il Premio Hugo. Anche oggi, per i piccoli editori, ristampare un titolo esaurito è fuori discussione, e anche i costi unitari per le piccole tirature sono troppo elevati. La stampa-on-demand è una pratica comune per gli album fotografici personalizzati. Ecco, prevedo che la cosa funzionerà esattamente in tal modo anche per la stampa dei libri.

Gli editori si trovano ad affrontare la sfida di qualunque capitalista non monopolista, ossia di poter solo stimare le vendite effettive di un libro. Nessuno sa se una nuova uscita sarà un flop o un bestseller. Un libro di Veltroni può vendere infinitamente di più di Das Kapital, e ciò prova il fatto che anche una merda può avere florido mercato. A volte, il successo commerciale di un libro diventa evidente solo con la seconda o la terza ristampa. A volte, dopo decenni, come Moby Dick. Ma non ci sono più le balene di una volta.

In generale, maggiore è la tiratura, minore è il costo unitario di stampa per libro, questo è ovvio. Ma che si tratti di un libro di cucina o del capolavoro di Melville, si tratta comunque di una merce, quindi di un valore di scambio che prescinde dal suo valore d’uso effettivo. Le tirature sono diminuite, così come il numero complessivo di nuove uscite. Tirature inferiori comportano costi unitari più elevati, il che rende la merce-libro più costosa e può ridurre i profitti.

Gli editori si assumono il rischio principale, poiché i fornitori di servizi e gli stampatori devono essere pagati prima che un libro possa essere venduto. Le spese di distribuzione, stoccaggio e vendita all’ingrosso sono del 15% circa, e possono arrivare fino al 30% dei costi totali. Nel tempo prevedo che anche la figura dell’editore subirà radicali trasformazioni. Forse sarà mandato a spasso pure lui.

Dunque il modello di business è chiaro: espandere la capacità di stampa riducendo al contempo i costi del personale, con la produttività per addetto che farà un altro balzo in avanti. Ulteriore disoccupazione e drastica perdita di qualità professionali. I sistemi di stampa, già ora, sono facili da usare in modo che anche dei pischelli senza aver frequentato scuole di grafica e lungo tirocinio lavorativo possono essere formati rapidamente.

Si perderanno definitivamente secoli di esperienza e arte tipo-litografica, come del resto è già avvenuto per molte altre tipologie professionali (pensiamo, per esempio, ai fotografi). Aumenterà l’investimento di capitale, e dopo le piccole tipografie, scomparse da tempo, anche quelle medio-grandi dovranno fare i conti con la composizione tecnica del proprio capitale investito.

«Il capitalismo, nel suo stadio imperialistico, conduce decisamente alla più universale socializzazione della produzione; trascina, per così dire, i capitalisti, a dispetto della loro coscienza, in un nuovo ordinamento sociale, che segna il passaggio dalla libertà di concorrenza completa alla socializzazione completa.

Viene socializzata la produzione, ma l’appropriazione dei prodotti resta privata. I mezzi sociali di produzione restano proprietà di un ristretto numero di persone. Rimane intatto il quadro generale della libera concorrenza formalmente riconosciuta, ma l’oppressione che i pochi monopolisti esercitano sul resto della popolazione viene resa cento volte peggiore, più gravosa, più insopportabile» (V .I.U.).

Safari

Ogni notte si fa più pesante con l’attesa del giorno seguente. In questa stagione poi ... E penso a quando eravamo bambini: sapevamo che i nostri genitori avevano dei progetti. Vedevamo nei loro occhi aspettative più grandi, più consapevoli e più distanti delle nostre. Non le capivamo tutte, ma le sapevamo.

A che punto è questa guerra, e quell’altra? E la prossima, dove? Non sappiamo più bene cosa stia succedendo. Ora ci raccontano di cecchini a Sarajevo nel weekend. Pagavano per uccidere. Sparare sui civili, donne e bambini compresi, come se si trattasse di una battuta di caccia. Uccidere gli anziani era gratis. Questa cosa, se fosse vera, sarebbe enorme.

I cani sono migliori degli umani. Certo, abbaiano, sbavano e puzzano, come gli umani del resto, ma loro non hanno bisogno di molto; una palla o un giocattolo li tiene occupati all’infinito. A volte piccoli litigi tra loro, ma è raro. Di diverse linee e razze, il più delle volte vanno d’accordo e si divertono insieme, ci danno meravigliose lezioni di vita.

Anche ciò che avviene a Gaza e in Cisgiordania è safari. Come già il 7 ottobre 2023 a parti invertite. Mi chiedo: com’è possibile che la popolazione ebraica di Israele accetti che il proprio governo compia, in suo nome, un genocidio? Com’è stato possibile che in due anni, nelle manifestazioni di piazza contro Netanyahu, la gran parte dei cittadini israeliani abbia chiesto a gran voce la fine della guerra a Gaza unicamente in nome della liberazione degli ostaggi?

In fondo, proveniamo da una mentalità preistorica piuttosto simile: i cani con il branco e noi con la tribù. Loro, i cani, aiutano persone di ogni classe sociale, genere ed età, di ogni estrazione religiosa e sessuale, e persino con diverse convinzioni politiche.

Com’è possibile che la popolazione russa accetti che il proprio governo, in suo nome, continui una guerra contro una popolazione che fino a qualche decennio fa era parte della popolazione russa? Com’è stato possibile che dal 2014 la popolazione ucraina abbia accettato che il proprio governo, in suo nome, iniziasse una guerra contro una popolazione con la quale condivideva la stessa nazionalità e la stessa lingua?

Grandi cimiteri sotto la luna, scriveva Bernanos a proposito della guerra civile spagnola. Chi legge più Bernanos? Qualche mese fa ho letto i diari di Luca Pietromarchi, e mi chiedevo: come poteva, questo galoppino che per conto di Galeazzo Ciano sovraintendeva l’organizzazione della cooperazione bellica italiana, descrivere in modo così asettico ciò che avveniva in Spagna?

Pietromarchi inframmezzava il suo racconto tra quello di una cena e la recensione di un film che aveva visto. E però in seguito la repubblica italiana “nata dalla resistenza” gli conferì l’incarico di ambasciatore. Tante storie come la sua. Dunque, perché dovrei meravigliarmi di Sarajevo, di Gaza e di molto altro? La storia non si ripete mai uguale, ma la strage è la stessa.

Era il XX secolo, quando le principali nazioni europee si univano con fervore al governo di un Duce, di un Führer o di un Caudillo. Ma ora, nell’epoca dell’intelligenza artificiale? Sembra il delirio di un guidatore al buio con gli occhi iniettati di sangue. 

mercoledì 19 novembre 2025

Sangue operaio

 

Mentre ferve la polemica sulla candidata al Quirinale (sembra sgradita all’attuale titolare del Soglio Presidenziale stesso), si chiude definitivamente la vicenda della giovane apprendista operaia Luana D’Orazio, mamma di un bambino, la quale nel 2021 fu stritolata in un “orditoio”. Una morte orribile che vide i due titolari dell’azienda, indagati per omicidio colposo e rimozione dolosa delle cautele antinfortunistiche, patteggiare una pena rispettivamente ad un anno e sei mesi e due anni. Con la condizionale, ovviamente.

Li chiamano “incidenti sul lavoro”, vengono raccontati in tono drammatico e fatalista, puntando sull’accettazione sociale (uno scherzo del destino). In realtà sono omicidi premeditati e più in generale crimini contro l’integrità fisica e mentale dei lavoratori.

Nel corso dell’inchiesta, l’ingegner Carlo Gini, consulente della pubblica accusa, documentò che il macchinario era impostato per lavorare senza il sistema di sicurezza: “La macchina presentava una evidente manomissione con un altrettanto evidente nesso causale con l’infortunio”. Senza quella manomissione del macchinario, i vestiti di Luana non si sarebbero impigliati nell’orditoio.

Di questo tipo di “manomissioni” ne ho viste centinaia, moltissime dita e mani tranciate, in un paio di casi entrambe le mani e parte degli avambracci troncati di netto sotto le presse. Sempre lo stesso motivo: le “sicurezze” vanno disattivate altrimenti rallentano l’intensità del ritmo del lavoro e fermano la produzione troppo spesso.

Le nozioni di produttività e di efficienza economica non sono concetti asettici e neutrali, ma risultano inestricabilmente dall’interazione combinata di tecniche di produzione e dominio.

Anche quando si parla di “comportamenti a rischio” da parte dei lavoratori, si trascura il fatto che i lavoratori sono spesso esposti a rapporti di lavoro precari (apprendisti, giovani poco qualificati, neoassunti, lavoratori temporanei), il che riduce significativamente la loro consapevolezza dei rischi e riduce anche l’autonomia nello svolgimento del lavoro, rendendo impossibile esercitare il loro diritto di recesso da una situazione che hanno ragionevoli motivi di ritenere rappresenti un pericolo grave e imminente per la loro vita o la loro salute: “o così, oppure stai a casa”.

Pertanto, la questione degli omicidi e infortuni sul lavoro si pone come un problema politico e sociale, prima ancora che giudiziario. In tutti i casi, compreso quello di Luana, i procedimenti si concludono con blande condanne e secondo una logica assicurativa, ossia di mero risarcimento monetario del “danno”.

I responsabili sono certamente i padroni e i loro complici sono facilmente individuabili a livello politico, ossia tutti quelli che favoriscono o accettano passivamente che l’organizzazione del lavoro sia e resti il prodotto di un sistema di potere a spese del sangue operaio.


martedì 18 novembre 2025

Il pollo fritto e la prossima crisi finanziaria

 

Il ristorante Kkanbu Chicken di Seul è un locale molto modesto dove si mangia prevalentemente una delle specialità ... americane: il pollo fritto. Un posto dove eviterei di mangiare, dunque. Alla fine di ottobre, ad un tavolo stavano seduti a sorseggiare birra e mangiare pollo fritto tre poveracci: l’amministratore delegato di Nvidia, con il vicepresidente di Samsung Electronics e l’amministratore delegato di Hyundai Motor Company. È bastato questo perché nel giro di pochi giorni il prezzo delle azioni dei ristoranti e dei fornitori di pollo fritto sudcoreani schizzasse fino al 20%.

Questo aneddoto illustra ciò che tutti sanno: gli speculatori investono in qualsiasi cosa abbia a che fare con l’intelligenza artificiale e in qualsiasi cosa anche lontanamente correlata al clamore suscitato dall’AI. La qual cosa potrebbe ricordare cosa accadde tra il 1997 e il 2000 con la cosiddetta bolla delle dot-com, ossia la bolla legata alle società del settore “internet”.

Anche allora, gli speculatori avevano scommesso sulla formazione di nuovi mercati, sull’aumento della produttività e sui relativi profitti alla luce delle innovazioni tecnologiche. Allora come oggi, aspettative gonfiate hanno portato a investimenti esagerati, sullo sfondo dell’attuale crisi di accumulazione di capitale, di cui ho scritto più volte, ad esempio in un post di nove anni fa dal titolo: La tendenza storica dell’accumulazione capitalistica.

La crisi dell’accumulazione capitalistica costituisce la base di un’economia di bolla divenuta cronica a partire dagli anni Ottanta. Il plusvalore prodotto è divenuto così piccolo, relativamente al capitale complessivo accumulato, che non è più sufficiente a valorizzare l’intero capitale, facendogli compiere il necessario salto di composizione organica.

In altri termini: contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i tassi di profitto non sono più sufficienti a valorizzare l’intero capitale, in quanto il capitale costante (macchinari, materie prime, ecc.) è cresciuto a dismisura rispetto a quello variabile (ossia rispetto al capitale investito in forza-lavoro), e perciò la crescita viene ripetutamente forzata attraverso la speculazione: prima con la bolla delle dot-com, poi con la bolla immobiliare e infine con la bolla di liquidità gonfiata dalle banche centrali durante gli anni dei tassi di interesse zero.

Invece di risolvere la crisi, queste bolle non fanno altro che rinviare le conseguenze dell’eccesso di capitale che non trova adeguato impiego nella produzione. L’intelligenza artificiale appare come l’ultimo tentativo di mascherare questo problema strutturale con un nuovo mito del profitto: un’ultima, grandiosa promessa che il capitale fittizio accumulato possa ancora essere trasformato in profitti reali.

Il successo dell’AI non può nascondere il fatto che i ricavi non tengono il passo con gli investimenti e molti sistemi sono tecnicamente immaturi. Circa il 95% delle aziende non ha ancora registrato un aumento misurabile di profitti o ricavi, nonostante gli investimenti miliardari. L’80% delle aziende non vede alcun contributo materiale ai propri profitti derivante dall’uso dell’intelligenza artificiale generativa.

Attraverso fondi indicizzati e altre strategie passive, quantità sempre maggiori di denaro affluiscono nelle società di intelligenza artificiale. Gli indici azionari sono in aumento e il capitale è prontamente disponibile. Per sostenere queste elevate aspettative con una crescita tangibile, le società di IA stanno sempre più incanalando questo denaro a basso costo in accordi tra loro, scambiando miliardi di dollari in chip e servizi cloud, essenzialmente acquistando i propri ricavi futuri.

Questo crea l’impressione di una crescita enorme, anche se una parte di questa crescita viene semplicemente ridistribuita all’interno del settore. La speculazione è intrappolata in una sorta di circolo vizioso che si autoalimenta.

Già a metà ottobre, la Banca d’Inghilterra e il Fondo Monetario Internazionale, tra gli altri, avevano lanciato l’allarme per una brusca correzione del mercato. In pratica si osservava che l’euforia che circondava l’IA stava spingendo gli speculatori verso una pericolosa frenesia; tutti sono consapevoli del pericolo, “ma non riescono a uscirne”. È vero: è un disastro incombente, ma nessuno osa andarsene: chi lo fa potrebbe perdere l’occasione, e dunque finché il denaro continuerà a fluire in borsa, nessuna azienda, nessun investitore si tira indietro.

L’80% dei profitti generati sui mercati azionari statunitensi nel 2025 è stato realizzato da aziende di intelligenza artificiale. Il mercato azionario guidato dall’intelligenza artificiale sta attraendo denaro da tutto il mondo: nel secondo trimestre del 2025, fondi esteri per un valore di 290 miliardi di dollari sono confluiti in azioni statunitensi, rappresentando circa il 30% del mercato, un livello mai visto dalla Seconda Guerra Mondiale.

La bolla dell’intelligenza artificiale è 17 volte più grande della bolla delle dot-com e quattro volte più grande della bolla dei mutui subprime, il cui scoppio ha innescato la crisi finanziaria del 2008.

Mi pare di aver detto tutto l’essenziale che c’è da dire. Poi vedrete che gli “esperti” avranno da dire molto di più, ignorando però la causa fondamentale, che, come detto, non riguarda semplicemente la “speculazione”, ovvero la crisi all’interno della sfera della circolazione (benché il fenomeno “crisi” si manifesti in tale ambito), bensì riguarda la crisi storica dell’accumulazione capitalistica.

Tutto in un titolo

 

Altre armi e nuovi finanziamenti. Il consigliere di Zelensky, Mykhailo Podoliak, in un’intervista televisiva ha affermato che la corruzione è un “segno distintivo di qualsiasi economia sviluppata”, e dunque deve essere accettata come tale.

Questi signori, invece di promuovere una mediazione, di cercare una soluzione a un conflitto che da più di dieci anni vede soffrire e morire civili innocenti (e decine di migliaia di soldati uccisi o traumatizzati da entrambi le parti), insistono nel voler mandare altre armi nella scellerata illusione di sconfiggere la Russia, che, ci ricordano, non ha mai smesso di essere il regno del Male.

Questa loro determinazione alla guerra è ben più di un equivoco che potrebbe essere corretto con una chiara analisi delle circostanze reali. Così intelligenti, baluardi di democrazia e di questo sistema, si sono costruiti una coscienza che definire semplicemente falsa non rende giustizia della loro natura e del gioco insano di cui sono, allo stesso tempo, pupari e infime marionette.

Si dichiarano fautori di armoniosi rapporti sociali e di vacuità redistributive, ma in ogni aumento di imposte che li riguardi vedono violato e insultato il diritto al rendimento. E dunque non è difficile immaginare i loro ululati se i denari per le armi e altro fossero tratti direttamente dai loro conti correnti e non dal comune calderone erariale.

Arriverebbero al punto di mandare i loro figli e nipoti a morire per Kiev (fingendo fosse Danzica e Putin un altro Hitler) pur di potersi gloriare di avere avuto ragione.

I portuali di Genova del Collettivo Autonomo dei Lavoratori Portuali (CALP), già dal 2014, intercettano e bloccano le spedizioni di container di armi prodotte in Italia. Nel maggio scorso hanno bloccato l’invio di razzi prodotti in zona Bergamo ai terroristi con a capo il criminale ricercato Netanyahu. Purtroppo CGIL e UIL fanno da spettatori. Come meravigliarsi della crisi del sindacato?

lunedì 17 novembre 2025

Solo una pausa

 

Come altri sopravvissuti, ho visto scomparire intorno a me tutto ciò che era stata la mia vita, incapace di usare tutte quelle meravigliose invenzioni del XXI secolo che mi permetterebbero di riconoscermi in quest’epoca e in questa dimensione ipertecnologica. E dunque che senso dare alla vita se non hai nulla da condividere con qualcuno e nulla da attendere?

Molte persone non riescono a leggere più di qualche riga alla volta, e anche in tal caso solo se accompagnate da immagini. La maggior parte non sa scrivere, tantomeno in corsivo e non senza commettere marchiani errori. Il linguaggio si è impoverito, limitato a circa trecento parole e altrettante emoticon, abbreviazioni e misteriose onomatopee.

Si comunica usando schermi di tutte le dimensioni, senza i quali non si può più abitare il mondo. Bambini e adolescenti, coccolati come prìncipi dai genitori, ma spesso anche gli stessi adulti, sono sopraffatti dal flusso di immagini e suoni senza i quali si sentono incapaci di sopravvivere, si perdono in una profusione di mondi virtuali e non riescono più a distinguerli dalla realtà.

È un fatto statistico e sociologico che, mentre il tasso di natalità in occidente crolla, il numero di idioti, degenerati e imbecilli è in costante aumento. Ne è un esempio il capo del Paese ritenuto il più potente del mondo, un pagliaccio sociopatico che governa a suon di insulti, bugie e tweet provocatori. Non va meglio altrove, con tiranni che perpetrano massacri sempre più ampi, e altri pazzi fanatici che aprono il fuoco con i kalashnikov sui nemici del loro profeta e si fanno esplodere in luoghi affollati.

Quanto alla salute del pianeta, i Poli si stanno sciogliendo, l’Amazzonia e il bacino del Congo perdono migliaia di alberi ogni giorno, la California brucia una stagione dopo l’altra, il permafrost siberiano si sta squagliando, rilasciando ogni sorta di batteri, virus e gas pericolosi. L’Africa, infiammata dal sole, dalla fame, dalle guerre e dalle dittature, sta riversando nel Mediterraneo sciami di migranti non di rado destinati ad annegare.

Questi disastri, anche quelli che potrebbero essere scambiati per naturali, come desertificazione, siccità, incendi o inondazioni, hanno spesso e in gran parte una causa umana. Tuttavia, salvo che per le vittime dirette, questi eventi estremi accadono nella sostanziale indifferenza del resto del mondo. Perché dovremmo preoccuparci di persone che soffrono e muoiono a migliaia di chilometri?

Un giorno toccherà a noi gridare la nostra solitudine e la nostra angoscia, chiedere aiuto ai nostri simili che, a loro volta, non faranno un plissé, in virtù del principio che vivono lontani da questi drammi e ne sono temporaneamente risparmiati.

Scaccio questi pensieri. Il futuro appartiene al socialismo. Non è obsoleto, come si compiacciono ripetere quei fottuti ammiratori del capitalismo, che hanno tutto il proprio interesse a non vedere come questo sistema dimostri ogni giorno la sua incapacità di risolvere i problemi fondamentali se non creandone di nuovi e di più gravi. Certamente abbiamo subito una sconfitta devastante, ma nonostante tutto c’è ancora gente che aspetta solo di riprendere la lotta per un socialismo degno di questo nome. La vecchia talpa non ha smesso di scavare, s’è solo presa una pausa.

venerdì 14 novembre 2025

Fischiare è un diritto

 

Mancano i medici e gli infermieri, dicono c’è pure carestia di preti, dove mai finiremo di questo passo? C’è una certa preoccupazione per il successo elettorale e la sordida sfrontatezza dei partiti populisti e di estrema destra un po’ dovunque. Questi fornitori di droghe pesanti si presentano in questo modo: prima l’Ungheria; prima la Francia; prima la Germania; ovviamente prima l’America, e non manca chi rivendica il primato della Lombardia e perfino del Veneto. Com’è potuto succedere? Tra cent’anni i sopravvissuti se la chiederanno ancora la ragione del successo di tale follia e dei suoi complici.

Ai miei tempi, invece, le questioni e le passioni sociali erano ben altre, a cominciare dalle Brigate Biancorosse. Ci si azzuffava per Paolino Rossi, buonanima. Svenduto al Perugia! Roba da non credere. Quelli delle Brigate facevano il saluto in manette mentre li portavano in tribunale. Certo, dovevano averla combinata grossa, qualche scontro con quelli del Padova, che chiamavano dell’Autonomia Padovana. Stefano Cappellini, vicedirettore del quotidiano la Repubblica, a quell’epoca stava seduto nel vasetto a far i suoi bisognini, ma è anni che quelle antiche gesta le spiega urbi et orbi come le avesse avute davanti agli occhi.

L’è proprio vero che è cambiato il mondo. La verità è diventata solo un’ipotesi tra le altre, più precisamente meno attraente delle altre. Non è casuale che Repubblica stampi meno di 60mila copie. E la meravigliosa catastrofe continua, continua ancora, inesorabilmente. Altri tempi quelli di Scalfari, che in prima pagina citava una poesia di Bertold Brecht. Non leggeva mai un libro, solo i risvolti di copertina, al massimo recensioni e prefazioni, però in quel gennaio del 2015 citò una strofa di Brecht stampata sulla copertina di un librino edito da Einaudi:

I lavoratori gridano per avere il pane
I commercianti gridano per avere i mercati
Il disoccupato ha fatto la fame.
Ora fa la fame chi lavora.
Le mani che erano ferme tornano a muoversi: torniscono granate.

Lungimirante ‘sto cazzo di Brecht. Pure quel Scalfari, in cima alle stesse barricate: «... se la domanda non riprende, [...] le imprese non hanno alcun motivo per assumere. Oppure assumono per incassare i benefici che quella legge prevede ma dopo un anno licenziano i neo assunti o addirittura li conservano ma trovano un qualsiasi pretesto per licenziare i lavoratori che da tempo sono in quell’impresa». Sante parole quelle di Scalfari, un vero compagno, uno tosto che invocava «nuovi modi di produrre, nuovi modi di distribuire».

Era ancora lui, il nostro compagno Scalfari a scrivere, nero su bianco: «... la narrazione serve a guardare il passato e a raccontarlo con gli occhi di oggi ricavandone un’esperienza da utilizzare per agire sul presente e costruire il futuro». Lo sapeva raccontare il passato, altro che questi copia-incolla di oggi.

Un compagno, Scalfari, ma tendenzialmente un po’ falso, diciamocelo. E, del resto, nella sua vita privata confermava quotidianamente la sua doppiezza. Aggiungeva: «Un altro modo di far aumentare la produttività e la competitività è la diminuzione del costo del lavoro tutelando però il salario netto dei lavoratori». E ci diamo anche le stock options a ‘sti lavoratori.

Ad ogni modo, anche gli ex fascisti imboscati come Scalfari seppero poi darsi un’aura di perbenismo liberale: altra classe rispetto alla dispnea del presente. E dire che son passati solo dieci anni da allora, non un secolo. Oggi abbiamo un Benito Maria Ignazio, che, dall’alto scranno nel quale è assiso, ricorda al CT della nazionale di calcio che “fischiare è un diritto”. Vedete a che punto siamo precipitati? C’è bisogno d’un fascista per ricordarcelo!

Garcia Márquez aveva ragione: una buona vecchiaia è semplicemente un patto onorevole con la solitudine.

Il terrorismo israelita non conosce tregua

 

Nel caso ci fossimo stancati di seguire quello spettacolo: da quando è entrato in vigore il cessate il fuoco, un mese fa, gli attacchi degli israeliti hanno ucciso almeno 242 palestinesi e ne hanno feriti 622. In due soli massacri, il 19 e il 29 ottobre, sono state uccise 154 persone, ben oltre un terzo delle quali bambini. Gli assassini sionisti sono ancora di stanza in territorio palestinese, coprendo circa 33 chilometri quadrati oltre la “linea gialla” concordata nell’accordo. I terroristi con la svastica israelita hanno violato l’accordo di cessate il fuoco almeno 282 volte dal 10 ottobre al 10 novembre, con attacchi aerei, di artiglieria e sparatorie dirette. Hanno sparato contro i civili 88 volte, bombardato Gaza 124 volte.

Blocco sistematico delle consegne di cibo, forniture mediche e carburante per le strutture sanitarie. L’UNICEF segnala che i terroristi israeliti stanno bloccando una campagna di vaccinazione infantile contro la poliomielite, il morbillo e la polmonite. Da agosto, sono stati negati i permessi di importazione per 1,6 milioni di siringhe e frigoriferi necessari per conservare le dosi di vaccino. Il COGAT (Coordinator of Government Activities in the Territories), agenzia di terroristi israeliti, sedicente responsabile della gestione delle questioni civili nei territori palestinesi occupati, motiva che si tratterebbe di “beni a duplice uso”, ovvero che possono essere utilizzati anche per scopi militari, dunque di voler garantire che Hamas non “sfrutti cinicamente” gli aiuti umanitari per il proprio rafforzamento militare.

Secondo un’inchiesta della BBC, i terroristi israeliti hanno distrutto più di 1.500 edifici a Gaza dall’inizio del cessate il fuoco. L’analisi di recenti immagini satellitari mostra che “interi quartieri controllati” dai terroristi israeliti sono stati rasi al suolo in meno di un mese. Tuttavia, il numero effettivo di edifici distrutti potrebbe essere “significativamente più alto”, poiché BBC Verify, l’unità investigativa, non disponeva di immagini satellitari per alcune aree. L’inchiesta si basa, in parte, su video verificati pubblicati sui social media dai terroristi israeliti, che mostrano “demolizioni controllate e la rimozione di edifici con bulldozer”. Secondo un portavoce dei terroristi israeliti, questi quartieri sono interamente “infrastrutture terroristiche”. Eitan Shamir, un ex capo dei terroristi israeliti, ha dichiarato alla BBC che la distruzione non costituisce una violazione dell’accordo di cessate il fuoco e che loro possono fare ciò che vogliono nel territorio che controllano.

Weihnachtsgeschenk

 

Già in anni più pacifici degli attuali, scrivevo: attenti che la leva militare è stata solo sospesa, non abolita. Ma di ciò che scrivo e vaticino a chi vuoi interessi ... È solo questione di tempo e di motivazioni, vorrei dire di “attrattività”, ma la leva militare tornerà. Gli alpini finalmente avranno degli eredi ai quali passare la damigiana.

Intanto la Germania apre la strada. Il governo tedesco si era impegnato con la NATO ad aumentare la Bundeswehr di 260.000 soldati effettivi e circa 200.000 riservisti entro il 2035. Di conseguenza, il piano del governo specificava un obiettivo compreso tra 255.000 e 270.000 soldati effettivi. Per incoraggiare i giovani a “servire il proprio Paese”, si punta sul “volontariato attraverso una maggiore attrattività”, ovvero sullo stipendio. I volontari che prestano servizio militare riceveranno circa 2.600 euro lordi al mese. Chi si impegna a prestare servizio per più di dodici mesi riceverà anche un sussidio per la patente di guida.

Direi che le premesse sono buone, la Germania e le sue offerte stipendiali decisamente “attrattive”. Basterà allargare le maglie dell’acquisizione della cittadinanza tedesca e migliaia di giovani europei, compresi molti italiani, potranno finalmente accedere a un salario dignitoso e a un lavoro meno faticoso del cameriere.

Tuttavia, se non dovessero bastare i volontari a riempire i ranghi, il Bundestag avrà la possibilità di attuare una “coscrizione obbligatoria” per colmare il divario. Con quale criterio selettivo? Assolutamente “casuale”! Una lotteria nazionale.

Si prevede l’utilizzo di un questionario. A partire dal prossimo anno, tutti i diciottenni saranno contattati e invitati a fornire informazioni sulla loro disponibilità e idoneità al servizio militare. Le ragazze potranno rispondere facoltativamente alle domande della Bundeswehr, mentre i ragazzi sono tenuti a farlo. Democraticamente e con un occhio alle pari opportunità.

Posso già immaginare il tipo di domande del questionario maschile, per esempio: Sei fisicamente in forma?
Sì
No
Solo dopo tre birre

Oppure: Sei di estrema destra?
Sì
No
Non sono né di sinistra né di destra. Sieg Heil!

E ancora: Sei disposto a obbedire incondizionatamente?
Sì, sergente!!!
No, la mia obbedienza ha un prezzo.
Bau, bau!

Infine: Siamo nel 2030. Un drone russo ti ha appena divelto una gamba sul fronte orientale. Come reagisci?

Continuerò a servire la Germania con una gamba sola.

Farò una diretta TikTok in cui saluterò i miei follower.

Mi arrendo.

Tranquilli, anche se i ventriloqui italiani non ve l’hanno detto, la legge deve ancora essere approvata dal Bundestag, il che è previsto per l’inizio di dicembre. Weihnachtsgeschenk.

giovedì 13 novembre 2025

La sfratto a Zelensky

 

Lo scandalo di corruzione non riguarda il “tesoriere” di Volodymyr Zelensky. Riguarda Zelensky stesso. La novità non è costituita solo dal fatto che le autorità anticorruzione ucraine abbiano preso provvedimenti contro l’imprenditore Timur Mindich, politicamente ben inserito. Che avessero nel mirino l’ex socio in affari di Zelensky era noto almeno dall’estate. La perquisizione del suo appartamento di Kiev, apparentemente sotto controllo, è stata effettuata a seguito di un’operazione di intercettazioni telefoniche in corso da oltre un anno e mezzo. L’operazione è stata condotta con il pretesto di un danno da allagamento – reale o simulato? – nell’appartamento al piano superiore, il cui proprietario avrebbe anche precedenti penali.

L’Ufficio Nazionale Anticorruzione (NABU) stima i danni fino a 100 milioni di dollari. Non è una cifra insignificante, ma rappresenta solo lo 0,1% della spesa finanziaria che l’Occidente sostiene ogni anno per mantenere l’economia ucraina pronta alla guerra. Ciò dimostra che la corruzione in quanto tale non è apparentemente il problema. Che via sia una corrutela comune in Ucraina è noto fin dall’indipendenza del Paese; può essere considerata “prezzata”. Sebbene si possa trovare particolarmente riprovevole trarre profitto personale da una guerra, si tratta di una mera lamentela patriottica che non dovrebbe offuscare il giudizio di chi analizza gli eventi.

Bisognerebbe piuttosto abbandonare un aggettivo che verrà senza dubbio ripetuto fino alla nausea: che gli investigatori ucraini anti-corruzione siano “indipendenti”. No, non lo sono. Possono essere indipendenti dal governo statale ucraino, ma certamente non dai suoi finanziatori occidentali, che hanno strappato alla controparte ucraina la creazione e il mantenimento di queste istituzioni. In estate, l’UE ha minacciato di interrompere il sostegno finanziario a Kiev se Zelensky avesse insistito nel subordinare le due agenzie alla sua amministrazione.

Il rifiuto ostinato di Zelensky a tutti i compromessi per porre fine alla guerra sta probabilmente innervosendo alcuni dei suoi sostenitori occidentali (vedi contatti sottobanco di Londra con Mosca, ma anche di Parigi e perfino Meloni si defila). Il presidente ucraino è rimasto senza parole. Per la prima volta ha annullato il suo grido di battaglia serale alla nazione.

E ora il dettaglio più interessante: Mindich è stato avvisato la notte prima del raid ed è riuscito a lasciare l’Ucraina. A quanto pare, l’avvertimento proveniva dall’interno dell’agenzia anticorruzione stessa. Questo è un doppio messaggio: Mindich, non si tratta principalmente di te. Anche se non ti farebbe male spifferare qualcosa. Ma il tuo capo, che abbiamo usato e ha fatto il suo dovere, ora può andarsene.

mercoledì 12 novembre 2025

Alla ricerca del silenzio perduto

 

Diffido dei lettori onnivori, di quelli che ingoiano un libro dopo l’altro. Vedendo i libri che si sono accumulati intorno a me nel corso di una vita, si potrebbe pensare che lo sia anch’io, ma non è vero. Anche se ho letto libri abitualmente tutti i giorni, li ho letti lentamente. Alcuni li ho centellinati, riletti più volte, integralmente e di più ancora a pezzi e brandelli. E dalla mia lista mancano autori altrimenti famosissimi presso il piccolo mondo culturale del XXI secolo, e che però non leggerò mai.

Dopo decenni, ho acquistato una copia del quotidiano la Repubblica, perché mi aveva catturato la réclame del suo inserto: dedicato a Marcel Proust. Ma non è vero, non c’è nessuna cattura, men che meno qualcosa che possa bruciare il mio torpore autunnale. Ci sono solo due articoli, il primo di Daria Galateria, che non dice niente sull’amore per un’epoca di cui monsieur Proust custodiva con tanta cura meticolosa il ricordo e i sogni, che divennero più importanti della sua vita stessa. Anzi, trovo l’articolo reticente per quanto riguarda il ruolo di André Gide e di Gaston Gallimard in relazione alla vicenda della pubblicazione del primo volume della Recherche.

Il secondo articolo, a firma di Melania Mazzucco, merita ancor meno considerazione. Prova a darci l’idea delle scintille di colore e di gioia che nascono dalla lettura di un buon libro, ma senza riuscirci poiché balbetta frasi predigerite e la sua prosa si trasforma in un inutile elenco telefonico di ciò che lei ha letto o sostiene di aver letto.

Concludo che in questi decenni, non avendo acquistato Repubblica, non ho perso nulla non leggendo gli articoli di tanti intermediari e prestanome.

martedì 11 novembre 2025

C’è bisogno di ben altro

 

Nel XVIII e XIX secolo, l’Europa conobbe uno sviluppo senza precedenti grazie all’ascesa del capitalismo. A ciò si aggiunse un ulteriore affinamento del concetto di progresso. L’idea che lo sviluppo dell’umanità progredisse non era semplicemente concepita come un’inevitabile sequenza graduale, ma si presumeva che questo processo realizzasse una predisposizione originaria dell’umanità.

Questa visione era spesso legata a una teleologia, ovvero al presupposto di un obiettivo predeterminato dello sviluppo, solitamente concepito come un processo di perfezionamento (l’influenza del cristianesimo non si può escludere, ma non fu comunque decisiva). Un approccio più appropriato di questa visione deterministica assolutizzata è quello di partire dalla premessa di condizioni concrete e sostanziali dei processi storici, di campi di possibilità e di una moltitudine di fattori condizionanti. Discorso troppo ampio da fare qui.

Karl Marx presupponeva “fasi naturali di sviluppo” che non potevano “né essere saltate né eliminate per decreto”. Allo stesso tempo, Marx ed Engels contrastavano una filosofia della storia deterministica, poiché le astrazioni (della storia) non forniscono affatto “una ricetta o uno schema secondo cui le epoche storiche possano essere accuratamente delimitate”.

Ciononostante, all’interno del movimento operaio e nell’intellighenzia (sia riformista che rivoluzionaria) si diffuse una nozione deterministica di una successione graduale e progressiva di formazioni sociali. Non c’è nulla che abbia illuso quanto la convinzione di seguire la corrente. Lo sviluppo tecnologico era visto come il gradiente della corrente con cui si pensava di seguire il corso delle cose.

È un errore, pur nella mutata situazione, in cui si tende ad incorrere anche oggi nella cieca fiducia nella tecnologia e i suoi “miracoli”. Un errore antico quello delle utopie del progresso, che ci ha condotto non di rado sull’orlo dell’abisso.

Nessuno nega che molto è cambiato in meglio negli ultimi decenni e secoli e molte dimensioni del progresso hanno migliorato la vita in ampie parti del mondo, e dunque tanto più la precarietà, bassi salari, povertà e mancanza di prospettive dovrebbero essere concetti estranei nella nostra epoca. Nessuno dovrebbe temere di perdere il lavoro o di non avere un reddito sufficiente per una vita dignitosa. Solo con questo progresso sociale stabile e generalizzato il capitalismo del XXI secolo potrebbe vantare di essere un sistema migliore di altri (*).

Invece assistiamo a una generale regressione: molte delle conquiste sociali di mezzo secolo fa o sono state annullate di fatto o stanno per esserlo. Inoltre e troppo spesso il progresso a cui si allude tende a distruggere troppe risorse o a essere utilizzato per legittimare il potere.

Un programma politico per essere credibile non può più puntare semplicemente a riformare questo sistema, tantomeno solo a livello nazionale, poiché è dimostrato che ogni cosa produce determinazioni di livello globale e questo sistema non può garantire generali condizioni sociali nelle quali non si debba temere disoccupazione, precarietà, povertà e mancanza di prospettive. Dunque c’è bisogno di ben altro di una “sinistra di governo”.

(*) Per altri versi e guardando all’insieme del mondo Friedrich Engels osservava che nella sua epoca “ogni progresso è allo stesso tempo una relativa regressione, in cui il benessere e lo sviluppo di alcuni prevalgono sulla sofferenza e la repressione di altri”. Questa è una posizione materialista e dialettica. Friedrich Nietzsche invece diceva che il progresso era “semplicemente un’idea moderna, cioè un’idea falsa”. Questa è una posizione idealistica e semplicisticamente nichilista: gli antibiotici e le otto ore di lavoro invece di dodici non sono solo un’idea, tantomeno falsa.

lunedì 10 novembre 2025

Un passo falso?

 

Ieri è comparso, sul Sole 24ore, un articolo dal titolo Terre rare, il passo falso della Cina, scritto dal direttore dell’Institute for European Policymaking – Università Bocconi. È un articolo senza una fonte, che, in sintesi, sostiene come gli Stati Uniti importino dalla Cina una quantità importante di terre rare (dice: il 70%), relativamente lavorate, ma si tratterebbe di una quantità trascurabile in termini di valore, mentre Pechino sarebbe tributaria degli Stati Uniti per metalli rari lavorati ma a più alto valore. E ciò costituirebbe l’arma a doppio taglio in mano alla Cina. Vedo, di seguito, di precisare un po’ le cose.

Nel paradigma neoliberista della globalizzazione, il raggiungimento della sicurezza dell’approvvigionamento delle risorse naturali è stato relegato alle forze di mercato, portando a una crescente internazionalizzazione dei mercati, a una maggiore finanziarizzazione e a una riconfigurazione delle catene di approvvigionamento orientata alla massimizzazione dei profitti e del valore per gli azionisti.

Ultimamente le cose sono cambiate piuttosto bruscamente: le potenze occidentali hanno preso coscienza della loro dipendenza dalla Cina nell’ambito dei minerali oggi considerati “critici”. Diversi governi hanno quindi riconosciuto i limiti di una strategia di approvvigionamento basata sul libero mercato.

La Cina controlla in media due terzi della produzione o raffinazione di minerali critici chiave come litio, grafite, cobalto, nichel e rame, nonché una quota superiore al 90% per le terre rare (i “minerali critici”, che sono una sessantina, non includono combustibili come petrolio, gas, carbone o uranio. Sono altresì esclusi anche acqua, ghiaccio, neve o varietà comuni di sabbia, ghiaia, pietra, pomice, cenere e argilla).

Le terre rare sono costituite da 17 elementi con proprietà fisiche e chimiche che li rendono componenti essenziali di alcune delle tecnologie più cruciali al mondo, quali i microchips. I microchips traducono gli impulsi elettronici in istruzioni che i dispositivi devono seguire. Sono il fondamento dell’elettronica, consentendo il funzionamento dei nostri cellulari, computer, aerei, satelliti, eccetera.

Nel 2024, il 70 % delle terre rare importate e quasi l’intera capacità di raffinazione mondiale (circa il 90 %) erano ancora concentrate in Cina. Questa dipendenza cresce ulteriormente per gli elementi “pesanti”, indispensabili per magneti ad alte prestazioni, sensori militari e guida autonoma.

Secondo l’United States Geological Survey, dal 2020 al 2023, gli Stati Uniti hanno importato almeno 29 materie prime minerali dalla Cina (*). Per quanto riguarda le terre rare (composti e metalli), la dipendenza totale degli USA dalle importazioni era dell’80%, con un consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina del 56%.

Con l’amministrazione Trump, gli Stati Uniti puntano a una diversificazione delle fonti di approvvigionamento e alla reindustrializzazione. Questo approccio, tuttavia, soffre di diverse debolezze abbastanza tipiche, che riguardano un cambiamento fondamentale nel paradigma economico, un riconoscimento insufficiente dell’entità e della natura del predominio cinese, obiettivi eccessivamente ambiziosi ma scarsamente definiti.

Un esempio è significativo e riguarda il nichel, un materiale critico: sebbene la quota della Cina nelle esportazioni di nichel raffinato a livello mondiale si aggiri intorno al 20%, questa cifra riflette solo una frazione del suo predominio.

In effetti, gli investimenti cinesi nella tecnologia di lisciviazione acida ad alta pressione (HPAL) hanno radicalmente trasformato il settore, rendendo sfruttabili le vaste riserve indonesiane. In seguito al divieto imposto da Giacarta sulle esportazioni di minerale grezzo negli anni 2010, gli investitori cinesi hanno stabilito una presenza duratura nelle operazioni di lavorazione e raffinazione del nichel in Indonesia.

Il risultato: nel 2023, Ford ha stretto una partnership con Vale Indonesia e Zhejiang Huayou Cobalt Co., un’azienda cinese, per sviluppare un impianto di lavorazione del nichel. Questo accordo illustra il dilemma che si trovano ad affrontare i gruppi industriali occidentali: finanziare un progetto di nichel senza un partner cinese sta diventando sempre più difficile, in quanto dispongono di tecnologia, competenza e capacità di esecuzione a basso costo superiori.

La resilienza americana per quanto riguarda i minerali critici si basa quindi su un paese dell’ASEAN, una filiale canadese di un gruppo brasiliano e un’azienda privata cinese (a tale proposito, sarebbe interessante raccontare la vicenda esemplare della Magnequench la filiale strategica della Ford acquisita a suo tempo da un fondo di investimento chiamato Sextant, in realtà di proprietà di due società cinesi, guidate da due generi di Deng Xiaoping).

E del resto gli Stati Uniti non sono soli in questa situazione. I dati che vengono non di rado presentati dalla stampa, come l’articolo del Sole 24ore più sopra citato, mascherano un altro tipo di predominio cinese: quello sui prodotti manifatturieri derivati da questi minerali essenziali, che spaziano dai magneti in terre rare ai veicoli elettrici e ai prodotti di tecnologia verde.

La concentrazione delle importazioni è in aumento in tutto il mondo da decenni, con il numero di prodotti provenienti da una gamma limitata di fornitori superiore del 50% all’inizio degli anni 2020 rispetto alla fine degli anni 1990. Secondo l’OCSE la quota della Cina sulle importazioni globali è aumentata dal 5% al 30% negli ultimi 25 anni, mentre il contributo combinato di Stati Uniti, Germania e Giappone è sceso dal 30% al 15%.

Più nello specifico, l’Unione Europea importa oltre il 90% dei suoi magneti ad alte prestazioni in terre rare dalla Cina, così come gli Stati Uniti. L’entità del predominio cinese deriva dal fatto che non si limita all’estrazione: si estende dalla separazione e raffinazione delle terre rare agli ecosistemi industriali che le integrano nei prodotti derivati.

È in questo contesto che Trump ha ammesso il delicato equilibrio di potere in atto, di fronte ai giornalisti nello Studio Ovale della Casa Bianca il 25 agosto, alla presenza del presidente sudcoreano Lee Jae-myung: “Se non ci forniscono magneti, dovremo imporre loro dazi del 200% [...] abbiamo un enorme potere su di loro, e loro hanno un certo potere su di noi grazie ai magneti”.

Se proprio si voleva evidenziare, nell’articolo del Sole 24ore, l’arma a doppio taglio in mano a Pechino, si doveva rilevare che le terre rare rappresentano un’eccezione alla regola. Uno studio, anche se non recentissimo, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, ha stimato che la Cina dipende dalle importazioni per oltre il 50% di 19 dei suoi 42 minerali non energetici, tra cui minerale di ferro e rame, ma anche cobalto, litio, berillio, niobio, minerale di cromite, metalli del gruppo del platino (platino, palladio e rodio) e tantalio.

Tuttavia, è essenziale tenere presente che il comportamento internazionale della Cina deriva anche dalle realtà economiche e politiche interne. Il caso dell’antimonio è eclatante a questo proposito. La produzione interna di antimonio sarebbe diminuita negli ultimi anni, mentre il suo prezzo è salito alle stelle (con un aumento del 250% solo nel 2024). Alcuni sostengono che le restrizioni cinesi all’esportazione di antimonio potrebbero non essere state mirate tanto a un pubblico internazionale quanto a garantire un approvvigionamento sufficiente per l’industria manifatturiera nazionale.

Gli articoli giornalistici unilaterali, sprovvisti di fonti, non consentono di comprendere appieno l’importanza dell’interconnessione economica nelle catene di approvvigionamento minerario critiche. A tale scopo serve una disposizione più sfumata e meno ideologica, multidimensionale, a riguardo delle questioni geopolitiche e, in questo caso, alle catene di approvvigionamento. Un approccio che tenga conto dei molteplici attori e strutture, che comprenda anche i flussi di investimento, gli assetti proprietari, l’innovazione, le infrastrutture e i trasporti, gli ecosistemi industriali, le borse dei metalli, eccetera. Sono articoli, tipo questo del Sole 24ore, con confronti quantitativi dell’impiego delle terre rare strampalati, che servono forse ad altri scopi, che però non sono né scientifici e nemmeno informativi.

(*) Secondo l’United States Geological Survey i minerali critici includono (la lista non è completa):

Ittrio (Dipendenza totale dalle importazioni: 100%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 93%)

Mica, foglio (Dipendenza totale dalle importazioni: 100%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 79%)

Abrasivi, ossido di alluminio (Dipendenza totale dalle importazioni: 95%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 61%)

Bismuto (dipendenza totale dalle importazioni: 89%, consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 60%)

Abrasivi, carburo di silicio (Dipendenza totale dalle importazioni: 69%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 69%)

Terre rare (composti e metalli) (Dipendenza totale dalle importazioni: 80%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 56%)

Antimonio (Dipendenza totale dalle importazioni: 85%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 54%)

Arsenico (Dipendenza totale dalle importazioni: 100%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 52%)

Grafite (Dipendenza totale dalle importazioni: 100%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 43%)

Pigmenti di ossido di ferro (dipendenza totale dalle importazioni: 87%, consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 38%)

Diamante (graniglia, polvere, polvere) (Dipendenza totale dalle importazioni: 47%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 36%)

Composti di magnesio (dipendenza totale dalle importazioni: 52%, consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 32%)

Tantalio (Dipendenza totale dalle importazioni: 100%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 22%)

Gallio (Dipendenza totale dalle importazioni: 100%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 19%)

Barite (Dipendenza totale dalle importazioni: 75%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 19%)

Mica, rottami e scaglie (dipendenza totale dalle importazioni: 41%, consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 16%)

Tungsteno (dipendenza totale dalle importazioni: 50%, consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 14%)

Germanio (Dipendenza totale dalle importazioni: 50%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 12%)

Fluorite (Dipendenza totale dalle importazioni: 100%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 8%)

Le importazioni dalla Cina rappresentavano meno del 5% del consumo statunitense di: granato, scorie di ferro e acciaio, alluminio, perlite, bromo e talco. Gli Stati Uniti importano anche cesio, rubidio, scandio e pietre ornamentali dalla Cina, ma non sono disponibili dati percentuali specifici.