martedì 24 giugno 2025

Il punto in comune tra Trump, Putin, Netanyahu e Khamenei

Si va a dormire con una data situazione internazionale in essere e dopo poche ore questa situazione è già radicalmente mutata. Di questa imprevedibilità, del repentino mutamento di umori e atteggiamenti politici, si ebbe riscontro già negli anni Trenta del secolo scorso, senza però l’incalzante ritmo attuale.

Il 18 giugno, il quotidiano conservatore The Jerusalem Post, in una lettera aperta a Donald Trump, lo esortava: “Creare una coalizione in Medio Oriente per la spartizione dell’Iran e incoraggiare piani a lungo termine per un Iran federalizzato o diviso”.

Questo per dare l’idea di che cosa frulla per la testa dei sionisti, altro che la fiaba della bomba iraniana: spartirsi l’Iran e le sue risorse, prendere il controllo diretto dello Stretto di Hormuz – attraverso cui transita circa il 20% del petrolio mondiale – e di un bel pacchetto di forniture alla Cina.

Pare, da ciò che si apprende in queste nostre ore notturne, che tale progetto di cambio di regime sia stato, almeno per il momento, posto in stand-by. Le Borse internazionali non mancheranno di festeggiare e specie alcuni speculatori di trarre nuovi vantaggi.

Già relativamente alleati dalla caduta dell’URSS, Russia e Iran si sono avvicinati molto durante la guerra in Ucraina. Il 17 gennaio scorso hanno firmato un trattato di partenariato strategico che incoraggia l’assistenza economica, ma non prevede alcuna clausola di difesa reciproca, a differenza di quella che lega la Russia alla Corea del Nord.

L’unica cosa che interessa ai russi, non potendo fare altro dal momento dei loro attuali impegni militari, è che non ci sia troppa destabilizzazione nel Caucaso e che non vengano a mancare pezzi di ricambio iraniani per i loro droni.

Sempre sullo scacchiere del Grande Medio Oriente, il criminale sionista Netanyahu, attaccando la Repubblica Islamica dell’Iran, ha relegato in secondo piano tutto ciò di cui è accusato nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania.

Se la guerra condotta da Netanyahu contro l’Iran dovesse avere successo (sul “cessate il fuoco” trumpiano sono leciti dubbi), chi avrà l’audacia di chiedere che venga portato davanti a un tribunale internazionale colui che ha compiuto l’impresa erculea di sconfiggere i mullah e liberare il popolo iraniano?

Ancora una volta, i palestinesi fungono da variabile di adattamento per manovre politiche che vanno oltre il loro conflitto con Israele. Se domani il regime di Teheran crollasse, Netanyahu passerebbe da criminale di guerra a liberatore da un giorno all’altro. Ciò sarebbe a malapena credibile, ma non impossibile.

Ricordo, per esempio, che i soldati americani e britannici avevano affettuosamente soprannominato Zio Joe un certo Iosif VissarionoviDugavili. A letto e in guerra tutto è lecito, sostengono in molti (prevalentemente maschi).

Anche Libano, Siria e Arabia Saudita sono segretamente felici di vedere i loro avversari sciiti polverizzati dalle bombe. Ognuno fa i propri calcoli, tra le colonne del credito e del debito: cosa guadagno e cosa perdo sostenendo, silenziosamente, la strategia di Netanyahu?

Tuttavia queste sono solo ipotesi, tentativi di svuotare il mare con una cannuccia, poiché nessuno di noi sa veramente dove saremo domani e anzi già nelle prossime ore. Nemmeno Trump, Netanyahu, Putin, Xi Jinping o la Guida Suprema iraniana. Questo è l’unico punto che abbiamo in comune con loro.

lunedì 23 giugno 2025

Oggi lo sanno tutti

 

«Ripeto: l’Iran non è l’Iraq di Saddam, sia sul piano della capacità militare che relativamente alla sua posizione geo-strategica. Tutte le osservazioni secondo cui il ritardo degli attacchi militari di Trump contro l’Iran aprirebbe la strada verso la pace commettono l’errore di separare le azioni di Trump dalla crisi di fondo che ha guidato la politica estera americana per 30 anni. Nulla di ciò che è accaduto negli ultimi due giorni cambierà gli obiettivi militari degli Stati Uniti. Gli stessi imperativi geopolitici che hanno causato la crisi di questa settimana ne porteranno di nuovi

Questo è ciò che scrissi più di cinque anni fa e che ricalca quanto già scrivevo il 5 marzo 2012 con il titolo “Rinviata la terza o quarta guerra mondiale” (*). In un altro post, del 3 gennaio 2020 e dal titolo “Un film visto un secolo fa”:

«La più grave sconfitta patita dagli Usa nel dopoguerra sul piano geo-strategico, ancor più di quella patita nel sud-est asiatico negli anni Settanta, è stata la perdita del controllo sull’Iran. Oggi la più grave sciagura che possa capitare agli Usa e ai suoi alleati sarebbe un conflitto armato con l’Iran. Al Pentagono conoscono la geografia politica e anche quella fisica, perciò non ignorano che l’Iran rappresenta uno dei più essenziali cardini strategici dell’equilibrio mondiale.»

E proseguivo così: «È sufficiente un’occhiata a una carta geografica per rendersi conto che le più grandi riserve petrolifere mondiali sono localizzate tutt’intorno all’Iran, un paese che ha migliaia di chilometri di coste sul Golfo Persico e su quello di Oman, divisi dallo Stretto di Hormuz. Confina con la Turchia, l’Iraq, l’Azerbaijan, l’Armenia, il Turkmenistan, l’Afghanistan, e a sud-est con il Pakistan, è a contatto diretto con il Mar Caspio e non dista molto dal Mar Nero.

«L’Iran ha una superficie pari a Regno Unito, Francia, Spagna e Germania messi assieme, con quasi 80 milioni di abitanti. Un paese che dal punto di vista orografico è tutt’altro che una landa semi-desertica, ma uno dei più montuosi del mondo, con vette che sfiorano i seimila metri, tanto che a un’ora d’auto da Teheran la borghesia persiana va a sciare. Il nord del paese è ricoperto da foreste con un clima molto piovoso, un territorio ideale per la difesa da attacchi esterni e per praticarci la guerriglia.»

E difatti, oggi, Washington non ha invaso l’Iran ma lo bombarda da 18.000 piedi. Si dice che si punti a un cambio di regime a Teheran, e per una volta tanto questa tesi corrisponde al vero. Nel quadro strategico complessivo gli Stati Uniti non possono permettersi di avere un Iran ostile in prospettiva di una guerra con la Cina. L’obiettivo principale della strategia statunitense è sempre e comunque quello: la Cina. Questione di vita o di morte.

In un post del 18 maggio 2019, osservavo: «Emmanuel Macron si è lamentato del siluro americano all’accordo nucleare iraniano (l’Iran è la seconda economia nel Medio Oriente, quarto produttore di petrolio al mondo e secondo per riserve di gas naturale, 80 milioni di abitanti di cui più del 60% sotto i 30 anni). In un vertice UE della scorsa settimana in Romania, ha dichiarato: “Innanzitutto, l'Iran non si è ritirato da questo accordo. Secondo, se l’Iran si ritira da questo accordo, sarà responsabilità degli Stati Uniti”. Nel gennaio 2019, Francia, Germania e Regno Unito hanno costituito INSTEX, Instrument for Support of Trade Exchanges, uno special purpose vehicle (SPV) per permettere alle proprie aziende di fare affari con l’Iran senza incorrere nelle sanzioni statunitensi. È stato progettato con lo scopo di convincere il governo iraniano a non affossare l’accordo sul nucleare concluso nel 2015. Lo SPV ha sede a Parigi ed è diretto dal tedesco Per Fischer, che in precedenza ha ricoperto il ruolo di direttore di Commerzbank.»

Nello stesso post: «L’Istituto Internazionale di Studi Strategici di Londra, certo una fonte non indipendente, stima in 110 miliardi di dollari gli investimenti necessari all’Europa per lo sviluppo di capacità navali e 357 miliardi per prepararsi alla guerra contro la Russia. Per quale motivo l’Europa dovrebbe fare la guerra alla Russia non è detto nel documento dell’IISS.» Oggi lo sanno tutti.

(*) Come passa il tempo, era il 2012, ma il tema anche allora era esattamente quello di oggi: «Il generale Norton Schwartz (cognomi così sono un prerequisito per fare carriera) ha detto che i piani d’attacco sono pronti e sono stati inviati a chi di dovere. Oggi l’incontro tra Obama e Netanyahu. Il paradosso è che – a differenza d’Israele – l’Iran è firmatario del trattato di non proliferazione e, per il momento, e nel suo programma non c’è violazione. A confermarlo, secondo l’articolo del NYT, è l’intelligence che negherebbe che ci siano in corso programmi di armi nucleari. Cosa dire? Se l’Iran vendesse carrube alla Cina invece che petrolio forse gli Usa userebbero una tattica diversa.»

domenica 22 giugno 2025

La pallottola doveva disporre diversamente

 

Dobbiamo riconoscergli una qualità che non è così comune in politica: mantiene le sue promesse. E con una rapidità notevole. Epurazioni gigantesche nell’amministrazione federale, tagli al bilancio della sanità, dell’istruzione e dei programmi sociali, sia nazionali che internazionali, espulsioni di uomini, donne e bambini senza preoccuparsi se siano illegali o no, calci in culo alle università considerate covi di comunisti, i marines a sedare i manifestanti che protestavano contro le sue politiche, ha dichiarato guerra economica alla Cina e all’Unione Europea, lanciato un’offerta pubblica di acquisto molto ostile per Panama e il suo canale, annunciato la sua intenzione di annettere Canada e Groenlandia, eccetera. Provateci voi. Non ha derubato i suoi elettori, che ricevono generosamente ciò per cui hanno votato, senza inganni sulla merce come usa invece qui da noi.

L’unica défaillance è l’impegno a porre fine a tutte le guerre. Lì, raggiunge chiaramente i suoi limiti, per quanto alti possano essere. Il premio Nobel per la pace che sogna è ben di là della sua portata, ma non disperi perché è stato dato ad altri figli di puttana.

Questo scrivevo ieri sera, ma oggi le cose sono cambiate. Non solo, come si temeva, Trump non ha alcuna intenzione seria di mettere fine alle guerre, ma ha deciso di prendere parte in prima persona a quella iniziata per interposta persona tra lo Stato sionista e quello sciita di Teheran. C’è da chiedersi se Trump o qualsiasi altro presidente sia realmente in grado di mettere fine a una qualunque guerra se non dopo tanto tempo e nell’impossibilità di vincerla. C’è dell’altro, molto “altro” ancora e non si tratta di semplice “imperialismo”.

Andrej Gromyko, nelle sue memorie, scriveva:

«[...] vorrei rievocare un episodio: mi trovavo nel settembre 1963 a New York per l’Assemblea generale delle Nazioni unite, dove era giunto anche il segretario di stato Rusk per incontrarmi e parlarmi a nome di Kennedy. Ed ecco che cosa mi disse: “Il presidente è favorevole alla ricerca di strumenti per migliorare le relazioni con l’Unione Sovietica e per raggiungere la distensione”.

«Egli mi propone quindi di andare da qualche parte fuori città e proseguire la conversazione. Capii subito che dietro questa proposta si celava qualcosa di importante e acconsentii. Uscimmo da New York ciascuno per proprio conto.

Giunti al posto indicato, Rusk mi espose un’interessante idea del presidente: “Kennedy” disse “sta riflettendo alla possibilità di una riduzione delle truppe americane nell’Europa occidentale”.

Ne parlammo a lungo, passeggiando. La comunicazione di Rusk era di indubbio e notevole interesse. Era una notizia inattesa e anche, per così dire, sensazionale. Certo, il presidente era giunto a questa conclusione non d’improvviso, ma dopo serie riflessioni.

[...] Ma solo pochi giorni dopo la pallottola di un assassino doveva disporre diversamente».

Memorie, Rizzoli, 1989, pp. 130-31. Scriveva ancora Gromyko: «E non si può fare a meno di rilevare la straordinaria coincidenza tra l’idea di Kennedy e quanto dichiarato dal presidente Roosevelt alla conferenza di Jalta: “Gli Stati Uniti adotteranno ogni ragionevole misura per tutelare la pace, ma non al prezzo di mantenere un grosso esercito in Europa, a tremila miglia dagli Usa. L’occupazione americana sarà pertanto limitata nel tempo”».

sabato 21 giugno 2025

Le guerre di ieri, di oggi, di sempre

 

Era l’America bianca, egocentrica e dominatrice del mondo, quella della classe media, che idolatrava il successo sociale attraverso il lavoro più della ricchezza dei banchieri di Wall Street. Venne il Vietnam, il Laos e la Cambogia, e quella stessa classe media prese a gridare davanti alla Casa Bianca: “Hey, hey Lyndon B. Johnson, how many kids did you kill today?”.

È quello di allora uno slogan evergreen: quanti bambini avete ucciso ieri e nei giorni precedenti a Gaza, a Teheran, a Tel Aviv, a Kiev, a Donec’k e altrove? Ovunque sia arrivata la zampata vampiresca il conteggio dei torti e delle ragioni è sempre dispari. Per un verso o per l’altro trovano sempre delle buone ragioni per uccidere. Prese una per una sono formidabili, supportate da asettiche slide che ne dimostrano l’inesorabile necessità. Inutile insistere, hanno ragione.

Allora fregava un cazzo dei bambini asiatici che morivano sotto le bombe ad Hanoi e mitragliati lungo il Mekong; quello che non volevano vedere erano i propri figli e fratelli mandati a morire a 10mila km di distanza per una guerra imperiale che si sapeva già persa. Lo stesso vale oggi: in fondo a molti di noi frega un cazzo che ogni giorno decine di persone vengano falciate da raffiche di mitra mentre sono in fila per il pane. Quello che non si vuole è che rincari il petrolio e di poter andare in ferie tranquilli. Per il resto, ne riparliamo a settembre inoltrato.

Una differenza tra le guerre di ieri e quelle di oggi però cè. I leader politici attuali parlano dei missili e delle armi nucleari come delle casalinghe in cucina, così come nessuno sa ancora se il magnate immobiliare newyorkese, un opportunista e un apprendista dittatore, scatenerà la terza guerra mondiale.

Intanto qui da noi ci si sta accorgendo che al governo c’è una manica di fascisti. Ma con calma, non c’è fretta. Se poi guardiamo quali sarebbero i candidati a sostituirli si viene presi dallo sconforto.

venerdì 20 giugno 2025

L'ottimismo del Principe

 

Ieri sera, eccezionalmente, ho guardato la trasmissione Piazzapulita, sulla rete televisiva del padrone del Corriere della Sera e di altro ancora. Dico eccezionalmente perché è un tipo di trasmissione che non manca di una certa livorosa faziosità nel creare il “caso” anche dove non c’è, oppure esagerandone l’importanza fino a farlo diventare dramma (do you remember epidemia virale?).

Il servizio televisivo trattava, tra l’altro, della situazione in cui versa la città di Agrigento, che come tutti sappiamo è stata scelta quale capitale italiana della cultura 2025. Riassumere quanto detto nel servizio televisivo sarebbe cosa lunga e anche piuttosto complicata e penosa, tra opere finanziate e mai realizzate, un degrado comune che va ben oltre ogni dire. Emblematiche, come sempre accade, le facce di bronzo a cera persa dei boss locali, rappresentanti di un potere senza scrupoli che ancora oggi ci vorrebbe incantare con i suoi ritornelli fessi e invecchiati.

Scrivevo giusto due giorni or sono a proposito di una città veneta: “che assomiglia sempre più a una città del meridione. Beh, non esageriamo, non gli assomiglia, ma ad ogni modo il degrado si nota”. Confermo, dire che quella città assomiglia a quella angosciante Agrigento, che sembra una città posta su una stella morta, sarebbe una smodata esagerazione.

Dobbiamo amare comunque questa grande regione e le sue città cariche di storia e di bellezza, tuttavia consapevoli, almeno per quanto mi riguarda, che si ha a che fare con una società, stanca e debole, che si vanta di un patrimonio culturale e artistico che non le appartiene, che anzi cerca in tutti modi di lasciar morire d’incuria o in un silenzio di sostanziale indifferenza e complicità.

Di chi la colpa? Certo del clima, non vi sono dubbi. Ma non del climate change, piuttosto di un clima sociale e politico che c’è da sempre. Ed infatti, non a caso, la trasmissione televisiva s’intitolava “I gattopardi”, citazione del titolo al plurale del celeberrimo romanzo di Tomasi di Lampedusa. Lo scrittore siciliano sosteneva che la situazione di miserabile arretratezza e degrado, in cui versava la Sicilia dell’Ottocento, sarebbe durata ancora per dei secoli.

Giuseppe Tomasi, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, era un ottimista.

giovedì 19 giugno 2025

La normale fatica del tempo

Ieri sera, dalla Gruber, si poteva “toccare con mano” la differenza tra chi è nato e ha fatto politica in una certa epoca e quelli che, invece, sono venuti dopo, cresciuti a Tom Cruise che salva il mondo. Cortocircuiti di nostalgia? Quasi.

Apprezzata positivamente tale differenza, avrei chiesto a M. D’A.: quand’era presidente del consiglio, chi ha mandato i bombardieri italiani nell’ex Jugoslavia? Mi risponderebbe sicuramente con delle buone ragioni. Le sue, ovviamente.

Il vostro Tom, la procreazione assistita cinematografica, salverà il mondo ancora una volta? In fondo, mi dico, non è questo il punto. Il mondo, in ogni caso, ormai sappiamo che è finito da un pezzo. Il mio mondo.

mercoledì 18 giugno 2025

Per fortuna c’è il Papa

 

A guardare in giro è tutto un disastro. Palazzi e palazzine messi a nuovo anche con i miei denari, ma poi non c’è una via del centro, per non parlare delle strade periferiche, che non sia ridotta a una buca dopo l’altra. Non c’è un’unghia di asfalto libero nelle città che non sia stata adibita a parcheggio a pagamento con tariffe da rapina. A chi vanno tutti quei soldi? I parchi cittadini sono diventati inagibili, nel senso che frequentarli significa assumersi dei rischi di vario genere. Non parliamo poi delle stazioni ferroviarie dove bivaccano dei rottami umani venuti da chissà dove e con intenzione di farsi mantenere. Sto parlando di una città del nord, che assomiglia sempre più a una città del meridione. Beh, non esageriamo, non gli assomiglia, ma ad ogni modo il degrado si nota.

Di tutto ciò non si occupano i fabbricanti di discorsi totalizzanti in tv e nelle sagre della “cultura”, salvo stigmatizzare (eufemismo) l’astensione elettorale, ossia quelli che si sono spogliati delle loro costruzioni illusorie. Mi stupisco del contrario: troppa gente va ancora a votare, a farsi prendere per il culo da questa camorra che pensa solo ai cazzi propri. Quindi ti trovi a pensare cose immonde: una nuova guerra è esattamente ciò di cui il mondo ha urgente bisogno. No, un momento, questa è solo rabbia, poi passa e si ricomincia a ragionare. Ma diventa sempre più difficile non andare fuori di testa e il mio ringraziamento va a tutti coloro che hanno reso tutto questo possibile.

Ora c’è un barlume di speranza nel mondo e la situazione potrebbe migliorare ulteriormente per tutti: secondo gli esperti, qualcuno potrebbe presto lanciare un missile nucleare da qualche parte, mettendo così la ciliegina sulla torta dell’attuale situazione mondiale. Effettivamente tutti concordavamo sul fatto che la situazione fosse diventata piuttosto monotona ultimamente, con la guerra in Ucraina, il genocidio nella Striscia di Gaza e altri conflitti di cui non c’importa, come Myanmar, Sudan, Etiopia eccetera. Per fortuna c’è il Papa, dice qualcuno.

martedì 17 giugno 2025

Patrimoniale: venisse un cancro

 

Le riserve auree, a livello globale, superano quelle in euro. Nel 2024 il prezzo dell’oro è aumentato del 30% e quest’anno ulteriormente del 27%, raggiungendo i 3.500 dollari l’oncia, 100 volte il livello raggiunto quando Nixon ruppe nel 1971 la convertibilità dollaro-oro. Se all’epoca si fosse investito un milione di lire in oro, pari a circa cinque stipendi medi, oggi il capitale investito avrebbe raggiunto i 50.000 euro, vale a dire 30 stipendi medi. Questa stima grossolana, ma non lontana dalla realtà, ci dice innanzitutto quanto ci siamo impoveriti.

Non tutti impoveriti, ovviamente. Per la prima volta la ricchezza finanziaria delle famiglie ha superato la soglia dei 6.000 miliardi. Tra conti correnti, titoli, azioni, fondi comuni e assicurazioni, il totale di quelli che chiamano “risparmi” (con l’evasione dell’Iva, dell’Irpef, con aliquote ridicole per successioni e donazioni?) l’aumento è stato di oltre 249 miliardi rispetto al 2023. Se non ve ne siete accorti è perché siete distratti. Si tratta di un aumento della ricchezza finanziaria pari a cinque finanziarie belle toste. Potessero morire di cancro tutti quelli che sostengono che ci vorrebbe una patrimoniale per riequilibrare un po’ i conti.

Poi dicono che l’Italia cresce poco. Bugiardi. La rendita cresce tantissimo. Nell’ultimo lustro gli investimenti degli italiani in strumenti finanziari sono saliti del 30%. Come scrive il 24ore, si tratta del frutto della laboriosità, della prudenza e del senso di responsabilità di milioni di cittadini. I fondi comuni nel 2024, rispetto ai 12 mesi precedenti, registrano un balzo del 17,6%: da 722 miliardi a quasi 850 miliardi di euro. Ottima performance anche dei titoli di Stato, che passano da 431 al 493 miliardi, con un incremento del 14,3% in un solo anno. Anche la liquidità non è male: 1.600 miliardi, ma cresce solo del l’1%, segno che c’è fiducia e una buona propensione per gli investimenti finanziari.

Intanto il debito globale ha raggiunto un nuovo livello record, pari a 324.000 miliardi di dollari per governi, famiglie, imprese e banche. Circa tre volte il Pil mondiale. Siamo seduti a culo nudo sui Campi Flegrei.

Il debito pubblico americano supera i 36 mila miliardi di dollari, più del 120% del Pil, e l’ammontare detenuto da creditori esteri è di oltre 26 mila miliardi di dollari. Dal 2010 a oggi la quota del debito estero, soprattutto in titoli e azioni, è salita dal 20% all’88% del prodotto interno lordo. Il valore di queste azioni è cresciuto quasi del 400%.

L’idea di Trump è quella di contenere il debito pubblico e aumentare le entrate con l’arma dei dazi, pensando di abbattere il deficit commerciale con gli altri Paesi e far crescere la produzione negli Stati Uniti, ma vuole anche finanziare nuovi tagli delle tasse per i ricchi e politiche espansive che rischiano di aggravare il problema del debito.

Si è discusso, nei circoli più autorevoli, della possibilità di convertire il debito del Tesoro a lungo termine in obbligazioni perpetue che non rimborsano mai il capitale, ma continuano a pagare solo gli interessi. Nel luglio 2023, il Congressional Research Service ha pubblicato un rapporto che esamina questa possibilità.

È una eventualità solo teorica? Secondo il Segretario al Tesoro, Scott Bessent, gli Stati Uniti non andranno mai in default sul loro debito, un’affermazione che richiamava il vecchio detto secondo cui non bisogna mai credere a nulla finché non viene ufficialmente smentito.

Una mossa del genere, regolarmente respinta e considerata, soprattutto da Giappone e Cina, una mossa di default, non è stata ufficialmente discussa nei principali circoli finanziari internazionali. Ma va ricordato che nemmeno le misure adottate da Nixon il 15 agosto 1971 furono discusse. I partner finanziari ed economici e gli alleati degli Stati Uniti ne vennero a conoscenza come tutti gli altri quando videro il presidente in televisione.

lunedì 16 giugno 2025

Non è colpa della cuoca

 

Insalata di pesche, pistacchi, salvia e formaggio di capra. Quindi mais e carne al carbone. Perché perdersi quei gustosi bocconi cancerogeni? Queste ricette, corredate da foto, le offre alla carta il Financial Times.

Tuttavia le malattie da alimentazione non sono la principale causa di morte tra gli statunitensi nella fascia d’età tra 1 e 44 anni (lo diventano subito dopo). La prima causa di morte sono gli infortuni accidentali, ma la seconda causa di morte per la fascia di età 1-44 anni è il suicidio.

Nel 2023, secondo i Centers for Disease Control and Prevention (CDC), 12,8 milioni hanno pensato seriamente al suicidio, 3,7 milioni hanno pianificato di farlo, 1,5 milioni l’hanno tentato e 49.000 persone ci sono riuscite. I dati provvisori sopra riportati si basano sui certificati di morte ricevuti (possono essere sottostimati per quanto riguarda alcune etnie). In rapporto alla popolazione un tasso doppio rispetto all’Italia.

I tassi di suicidio sono aumentati del 37% tra il 2000 e il 2018 e sono diminuiti del 5% tra il 2018 e il 2020. Tuttavia, i tassi sono tornati al picco nel 2022. I giovani sotto i 35 anni muoiono più per suicidio che per malattie cardiache, cancro, diabete e omicidio. Allo stesso tempo, i CDC hanno osservato che il numero di suicidi negli Stati Uniti è in costante aumento dall'inizio del XXI secolo.

Il tasso di suicidio tra gli uomini nel 2023 era circa quattro volte superiore a quello tra le donne. Gli uomini rappresentano il 50% della popolazione, ma sono responsabili di quasi l’80% dei suicidi. I gruppi razziali/etnici con i tassi più elevati nel 2023 erano i nativi americani non ispanici e i nativi dell'Alaska e i bianchi non ispanici. Le armi da fuoco sono il metodo più comune utilizzato nei suicidi. Nel 2023, oltre il 50% dei suicidi è stato commesso con armi da fuoco.

Come se non bastasse il suicidio, l’omicidio è una delle prime cinque cause di morte nella stessa fascia di età. Nella prima metà della vita, gli americani muoiono più per infortuni e violenza – come incidenti stradali, suicidi o omicidi – che per qualsiasi altra causa, inclusi cancro, HIV o influenza.

Ciò potrebbe trovare spiegazione nel fatto che circa il 20% degli americani soffre di disturbi mentali (Mental Health America). Secondo un rapporto pubblicato nel 2024, questa percentuale è salita al 23%. Tra i giovani di età compresa tra 12 e 17 anni, oltre il 20% ha sperimentato almeno un episodio depressivo in forma grave.

Il problema dell’uso frequente e talvolta eccessivo di psicofarmaci negli Stati Uniti non è nuovo. Un’assistenza sanitaria mentale di qualità è spesso accessibile alle fasce più abbienti della popolazione, mentre i farmaci possono essere acquistati da una percentuale maggiore di popolazione, che magari non ha la possibilità di pagarsi uno strizzacervelli. 

Negli Stati Uniti è accreditato un modello sanitario in cui le difficoltà psicologiche e psichiatriche vengono rapidamente classificate come crisi biochimiche individuali, piuttosto che come il risultato di conflitti interiori, traumi, problemi familiari o pressioni sociali. Pertanto, alle persone che presentano dei disturbi vengono spesso prescritti farmaci invece di terapeuti. È un modello d’intervento che ha preso piede anche in Europa. Questo contribuisce a una transizione di massa verso un sollievo farmacologico dei sintomi e in certi casi ad abbracciare ... le armi (in senso stretto).

domenica 15 giugno 2025

Il problema di Israele

 

Questa mattina il quotidiano la Repubblica titolava di un bambino israeliano morto a causa dei missili iraniani. Non si può non provare pietà per quel bambino e i suoi familiari, raccapriccio per ciò che sta accadendo. Tuttavia, spero di non peccare di cinismo, se i fabbricanti di opinione pubblica avessero dedicato altrettanti titoli e spazi uguali per le migliaia di bambini palestinesi uccisi a raffica e con premeditazione dalle truppe sioniste, i quotidiani sarebbero dovuti uscire nell’ultimo anno e mezzo con una foliazione almeno tripla ogni giorno.

Lo Stato di Israele, un’entità inventata a tavolino, esiste solo sulla base della forza, e nessun infingimento può mascherare tale realtà storica. Le medesime ragioni che i sionisti fanno valere per la loro esistenza, valgono anche e con più forte ragione per i palestinesi richiusi nel ghetto da Israele.

La propaganda sionista, i media ne sono abbondantemente intossicati, si dimostra tanto più incauta in questo frangente in quanto non fa che ravvivare l’odio contro il giudaismo, fino ad ispirare paradossalmente consensi e simpatie per quell’abominevole regime teocratico vigente in Iran da quasi mezzo secolo. Per contro, è Israele a instillare l’odio per i palestinesi e gli arabi in generale (definiti con i termini più spregiativi) e cioè per quelle popolazioni di razza semitica alla quale dicono di appartenere storicamente gli stessi ebrei.

Sentir parlare ancora di due Stati e due popoli, fa capire quanto profonda sia l’ignoranza a proposito del sionismo e dei suoi programmi razziali, egemonici ed espansivi. Va però tenuto conto, in prospettiva, che sotto il profilo demografico Israele è piccola cosa rispetto al crescente mondo mussulmano circostante, e la sua crescita demografica viene soprattutto da comunità diffidenti o reticenti (gli haredim) verso l’establishment nazional-sionista.

Il continuo sostegno finanziario e militare da parte degli Stati Uniti a Israele non potrà continuare all’infinito. Anche se i parametri economici sono ancora buoni, lo stato di guerra pressoché permanente (costato 100 miliardi nel 2024) influenza l’impiego della manodopera (circa il 15% dei dipendenti arruolati nella riserva, secondo Italian Trade Agency) così come il flusso turistico, in forte calo.

Troverà in futuro Israele la forza e le risorse necessarie per vivere di vita propria? Potrà farlo solo espandendosi e appropriandosi delle risorse altrui, dunque innescando sempre nuovi motivi di conflitto con i popoli che vivono attorno (e non solo). Il problema di Israele è dunque l’esistenza stessa di Israele.

venerdì 13 giugno 2025

Non è colpa della geografia

 

Netanyahu l’ha fatta grossa. L’Iran non è la Striscia di Gaza e la sua inopia, né il Libano e nemmeno la Siria. Gli Stati Uniti dicono che non c’entrano, tuttavia senza l’avallo di Washington non ci si spinge fino a Teheran. La moderazione americana verso Mosca va intesa anche in tal senso: hanno bisogno della neutralità russa per occuparsi del resto.

Con la caduta del famoso Muro, ebbe fine anche Jalta e l’ordine mondiale che ne fu la conseguenza. Le leadership attuali non sono in grado di creare e mantenere un nuovo ordine mondiale. Lo sviluppo del capitalismo, arrivato a un certo stadio, diventa caotico oltreché ineguale, e ciò modifica i rapporti di forza tra le potenze e ne mette in crisi l’equilibrio.

Nuove potenze emergenti, come la Cina e l’India, hanno bisogno del loro spazio vitale, e di una quota maggiore del bottino, di una nuova spartizione. Le convulsioni del trumpismo sono l’ultima manifestazione delle difficoltà incontrate dall’imperialismo americano nell’arginare l’invadenza dei nuovi player mondiali.

Quanto alla vecchia Europa, il più importante mercato, essa rischia di essere travolta di fronte a una crisi severa delle relazioni transatlantiche. Questo spiega in gran parte perché non solo la borghesia ma anche i ceti popolari, presi dal panico e dall’insicurezza, guardino alle esperienze politiche del passato per la soluzione dei loro problemi attuali.

Pertanto, pensare che le guerre recenti che vi sono state (vedi l’ex Jugoslavia), quelle in atto e quelle in preparazione siano un affare che non ci riguarda direttamente, sarebbe un grossolano abbaglio. Il disordine mondiale e la lotta tra gli imperialismi ci prende tutti, anche i moltissimi distratti. Lo si voglia o no, presto o tardi vi saremo trascinati per “dovere” o per dispiacere.

Vi sarebbe un modo per opporsi a tutto ciò, ma le premesse ideologiche e le condizioni materiali di tanta parte della popolazione europea non lo consentono. In ciò la grave responsabilità storica di tutti coloro che si sono illusi che il “mercato”, la globalizzazione e le nuove tecnologie avrebbero potuto sciogliere le contraddizioni immanenti al modo di produzione capitalistico e la relativa contesa imperialistica.

Ci sono periodi di tempo che ci sembrano lunghissimi perché s’aspetta una chiamata, un lavoro, la pensione, un matrimonio, una morte, un’eredità, la pioggia o la fine di una malattia. In realtà si tratta quasi sempre di pochi mesi o pochi anni. Ora aspettiamoci una guerra che non sembra per noi imminente e di cui però sentiamo parlare ogni giorno e alla quale tutti i governi si stanno preparando.


giovedì 12 giugno 2025

La differenza tra urina e uranio

 

C’è chi ama la montagna e chi il mare. Anche entrambi, ma per una vacanza diventiamo monoteisti, ci sono delle preferenze. Quando guardo dalle finestre di casa e vedo le montagne, mi assale tanta malinconia, specie la sera. Quello della montagna è un mondo affascinante, certo, di alte vette e laghetti algidi, ma quando cerco l’orizzonte lo sguardo sbatte contro un muro di carbonato doppio di calcio e di abeti assiderati.

Il mare è bellissimo e preziosissimo. Eppure, per molto tempo, lo abbiamo visto in un modo molto meno romantico: recetto della spazzatura, anche della più pericolosa, ovvero di quella nucleare. Tra il 1946 e il 1993 – data in cui queste discariche marine furono vietate – 14 paesi hanno scaricato i loro rifiuti radioattivi in 80 siti in tutto il mondo, nell’Artico, nel Pacifico e nell’Atlantico (circa 200.000 barili di rifiuti nell’Atlantico nord-orientale, al largo delle coste europee).

Gli Stati Uniti e l’URSS hanno addirittura sommerso i reattori altamente radioattivi delle centrali elettriche, e la Francia ha scaricato i residui dei test nucleari al largo delle coste della Polinesia. Anche Regno Unito e Svezia vi si sono dedicate con impegno. I relativi bidoni sono stati progettati per contenere la radioattività per circa vent’anni, non molto di più. È evidente che ora sono completamente fatiscenti. Su quale sia l’impatto basterebbe chiederlo al tonno, in vasetto o scongelato “fresco”, che oggi o domani sarà il nostro pranzo. L’isotopo fissile che si taglia con un grissino.

Gli “scienziati” approvarono in genere il metodo: l’idea era che i barili alla fine avrebbero avuto delle perdite, ma che la radioattività si sarebbe diluita così tanto nell’oceano da non avere più alcun effetto. Scienziati, appunto, non necessariamente tutti al soldo dell’industria nucleare. Com’è possibile abbiano avallato un simile demenziale inquinamento?

In linea di principio, la teoria della diluizione non è del tutto assurda. Sappiamo che urinare in una piscina o nel Mediterraneo non ha gli stessi effetti. Ma questo non è un motivo per applicare questo ragionamento a priori alla radioattività, e c’è ovviamente anche una differenza tra urina e uranio.

Il mare pullula di vita, di innumerevoli microrganismi e persino di pesci, e non sappiamo quasi nulla delle interazioni tra le profondità e la superficie, e poco anche delle interazioni biologiche. Supponiamo che un gambero si aggiri vicino a un bidone radioattivo, venga poi mangiato da uno squaletto che ci viene venduto come vitello di mare, oppure venga inghiottito dall’amico tonno di cui sopra, e che dunque finisca nel nostro piatto. La probabilità di contaminazione potrebbe essere bassa, ma non completamente nulla. Se hai 70anni d’età è una cosa, ma se ne hai solo 10, sappi che la radioattività ha il difetto di accumularsi.

Si potrebbe sperare che le autorità nucleari si sarebbero almeno prese la briga di localizzare i bidoni e le fuoriuscite. Figuriamoci! I bidoni radioattivi sono stati rilasciati un po’ dappertutto, ma non si dispone di dati molto più precisi. Forse non si è trattato di un desiderio di nasconderlo, ma hanno semplicemente pensato che non fosse importante. Specie da qualche anno a questa parte, quando sento parlare di “scienziati” e di “autorità” preposte a qualche cosa mi prende come un raptus ...

Dato lo stato di degrado di questi bidoni, pensare di riportarli in superficie (da 4.000 metri e oltre?) è ancora più pericoloso che lasciarli dove sono. Oltre ai rifiuti scaricati deliberatamente, ci sono anche gli oggetti radioattivi accidentalmente (?) finiti in acqua. Ad esempio, diversi sottomarini nucleari sono andati perduti nell’Atlantico. Ci sono persino bombe atomiche inesplose! Negli anni ‘60, i missili intercontinentali non erano ancora comuni, di conseguenza, le potenze nucleari avevano una flotta di aerei che solcava costantemente i cieli, trasportando bombe apocalittiche pronte per essere sganciate. Alcuni di questi bombardieri si schiantarono in mare con il loro carico radioattivo (per i curiosi, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) ha stilato un elenco di incidenti che hanno coinvolto materiali nucleari negli oceani.

I mari sono serviti da discarica non solo per il nucleare. Sono stati usati per ogni sorta di veleni. Durante la Seconda guerra mondiale, l’esercito tedesco accumulò grandi quantità di armi chimiche. Cosa fare di questa roba? Beh, semplicemente scaricarla nel Baltico! Sempre con la stessa argomentazione: niente di male, perché diluisce. Sempre dal lato “discarica chimica”: dopo che il DDT fu vietato negli anni ‘70, gli Stati Uniti se ne sbarazzarono scaricando 25.000 barili di questo insetticida altamente tossico al largo della costa californiana. L’impatto ambientale? Non lo sappiamo ancora oggi.

Ora abbiamo qualche remora in più nel considerare il mare come una discarica. La tendenza attuale è più quella di sfruttare le profondità marine per estrarre minerali per cellulari o batterie elettriche. Ma il problema è lo stesso. Dato che non sappiamo nulla o quasi di questi ecosistemi, non sappiamo nemmeno quali conseguenze questo possa avere. Chi sogna di industrializzare gli abissi sta commettendo gli stessi errori idioti di chi ieri li ha usati come discarica.


mercoledì 11 giugno 2025

La moda è un diritto di tutti

 

Passeggiando tra i banchi del mercato, vedo scene curiose. Per esempio l’assalto (termine appropriato) di donne a un certo banco di abbigliamento. Quel banco è diventato il luogo d’appuntamento per eccellenza di donne di tutte le età, ma specialmente molto mature, di ceto sociale simil-benestante. Molti capi di abbigliamento low cost, non proprio degli stracci (ci sono altri banchi di vendita per questo genere merceologico), comprese borsette carine e di buon materiale ma non di gran marca. Insomma, un successo commerciale perché, come ci raccontano, “la moda è un diritto, non un privilegio”.

Ho fatto una mia indagine: di dove e di come siano prodotti i capi ed oggetti d’abbigliamento non importa a nessuna di loro. Una discreta qualità e il basso prezzo è tutto ciò che le interessa. Questo fenomeno, ovviamente, non riguarda solo l’abbigliamento, ma si riscontra per altri oggetti della nostra vita quotidiana.

Un tempo le belle dame e i gentiluomini erano indifferenti al destino delle donne e degli uomini che, dall’altra parte del mondo, lavoravano come schiavi per produrre il cacao o il caffè che ingollavano in tazze di fine porcellana con il mignolo in aria. Oggi i consumatori del fast fashion sono guidati dalla stessa indifferenza e cinismo. Un paio di mutande tessute a 10.000 km dai nostri glutei, una sedia verniciata ai tropici di una famosa marca svedese, un frigorifero importato da chissà dove, lampadine prodotte in Cina, palloni cuciti in India, eccetera.

La moda ha creato una nuova casta di aristocratici, benestanti e no, che pretendono di comprare vestiti a loro piacimento senza preoccuparsi degli schiavi moderni, bestie da soma il cui destino è per noi indifferente, che li hanno prodotti dall’altra parte del pianeta. Le famose catene immateriali di cui parlava un giovanotto di Treviri. Questa società dei consumi ci ha resi i nuovi schiavisti, ben sistemati nel nostro piccolo comfort egoistico, abituati a far fare ad altri lavori che noi non vogliamo fare e di cui vogliamo ancora meno conoscere l’esistenza.

Ognuno di noi torna a essere un piccolo negriero moderno. Sappiamo (?) da tempo quanto sia inquinante l’industria tessile (un solo lavaggio di indumenti in poliestere può rilasciare 700.000 fibre di microplastica, che possono finire nella catena alimentare), non solo per i prodotti tossici utilizzati per tingere e trattare i tessuti, ma anche per il loro trasporto su navi portacontainer, le più grandi delle quali consumano fino a 300 tonnellate di (pessimo) carburante il giorno. La produzione folle di abiti (ogni anno vengono consumati 130 miliardi di capi di vestiario) che a volte i clienti indossano solo tre o quattro volte l’anno è praticamente un atto criminale (*).

I lobbisti del fast fashion dimostrano che nella mente del cliente esiste una discrepanza tra ciò che crede di acquistare e la realtà. I consumatori rinunciato a comprendere come sia fatto l’oggetto che acquistano. Come i bambini che credono che gli yogurt crescano nei campi, gli adulti credono che i vestiti maturino sugli alberi e che basti allungare la mano per raccoglierli.

Abbiamo bisogno di questi vestiti a buon mercato per poter godere anche noi del “diritto alla moda”, che un giorno potrebbe diventare oggetto di referendum, rispettato con la stessa religiosità dei diritti alla libertà di espressione, di coscienza e di movimento. Comprare pantaloni e camicie, non importa se orribili e volgari, è diventato vitale quanto pensare ed esprimersi. Le libertà fondamentali allo stesso livello dei saldi e delle promozioni al 50%.

(*) L’industria tessile è la terza delle più impattanti al mondo per gas serra, dopo l’agricoltura e i trasporti totali, ma più dell’aviazione e del trasporto marittimo messi insieme); la seconda più inquinante del pianeta dopo il petrolio. L’impiego di prodotti sintetici come acrilico, viscosa (semisintetico), l’elastan (lycra), la poliammide (nylon) e il poliestere (quest’ultimo il più impiegato: 60 milioni di tonnellate prodotte nel 2021); enorme uso dell’acqua nel ciclo di produzione (produzione fibre vegetali e loro lavorazione); rilascio di sostanze chimiche tossiche nell’aria e nell’acqua, tra cui agenti cancerogeni e interferenti endocrini; smaltimento dei rifiuti, eccetera.

Per esempio, la tintura e la finitura di un capo di abbigliamento rappresentano circa il 36% delle emissioni chimiche nell’ambiente. Una delle sostanze chimiche utilizzate (non la più nociva) è il cd. bianco di titanio, ossia biossido di titanio (TiO2), un composto inorganico utilizzato come pigmento bianco o catalizzatore (in uso additivo alimentare: E171). Insolubile, il TiO2 causa piogge acide quando reagisce con acqua e aria. Inalato è cancerogeno.

Secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente, nel 2020 gli acquisti di prodotti tessili nell’UE hanno generato emissioni di CO2 equivalenti a 270 kg pro capite. Ciò significa che i prodotti tessili consumati nell’UE hanno generato emissioni di gas serra pari a 121 milioni di tonnellate. Secondo il WWF il settore emette 1,7 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno, ma c’è anche chi stimo 4mld di tonnellate. Oggi, oltre il 95% dei prodotti tessili venduti è realizzato con materiali vergini. Il fabbisogno di materie prime vergini rimarrà enorme anche se si svilupperanno settori circolari. Ad ogni modo, meno della metà degli abiti usati viene raccolta per il riutilizzo o il riciclo, e solo l’1% viene riciclato in nuovi abiti. Riciclare materiali potenzialmente tossici non ha senso se non si riesce a risolvere il problema durante il processo di riciclaggio, che ovviamente deve essere pulito.

martedì 10 giugno 2025

Per tutto il tempo necessario

 

Nel primo dopoguerra, il conflitto tra capitale e forza lavoro e l’odio della borghesia per le plebi rivoltose si sposarono con il fascismo di Mussolini. Una borghesia che si compiacque per vent’anni di avvantaggiarsi di un regime autoritario, salvo ripudiarlo nell’imminenza della catastrofe bellica. Fu così anche per la Germania, ma fino a un certo punto. Lì il nazismo vinse a causa della crisi economica e finanziaria degli anni 1930, del rifiuto dei comunisti (input Stalin) di allearsi con i socialdemocratici, quindi vinse con lo sprofondare nella crisi del sistema di Weimar.

Oggi siamo punto e a capo con la crisi del sistema democratico, per il passato mascherata con un largo welfare a debito. Basti vedere cosa sta accadendo negli Stati Uniti, dove Donald Trump sta creando un quadro completamente nuovo di dominio di classe. Non certo da solo. La rivolta odierna a Los Angeles è solo un sintomo del generale malessere americano.

Los Angeles non è nuova a fatti del genere. Fra il 13 e il 16 agosto 1965 la popolazione nera della città si sollevava. Un incidente che il giorno 11 aveva opposto la polizia stradale e dei passanti aveva dato il là a due giornate di tumulti spontanei. I rinforzi della polizia non furono in grado di riprendere il controllo della strada. Verso il terzo giorno i Neri presero le armi, saccheggiarono le armerie e così poterono sparare anche contro gli elicotteri della polizia.

Migliaia di soldati e poliziotti, circa una divisione di fanteria appoggiata da carri armati, si lanciarono nella lotta per circoscrivere la rivolta nel quartiere, per riconquistarlo a prezzo di numerosi combattimenti di strada durati diversi giorni. Gli insorti saccheggiarono e incendiarono molti negozi. Secondo le cifre ufficiali nella rivolta di Watts (questo il nome) si contarono 34 morti, tra i quali ventisette neri, 1.032 feriti e 3.952 arresti.

Tuttavia la presidenza Johnson, si segnalò per la più ampia opera di riforma sociale anche sul piano dei diritti dei neri. Oggi la situazione americana è diversa, si evolve in un clima sociale e politico molto più complesso e sfuggente. Quando il presidente degli Stati Uniti chiede l’arresto del governatore della California e di altri esponenti politici democratici, non si può non vedere in ciò, e nella lunga serie di atti ed atteggiamenti dell’amministrazione Trump, che una volontà sovvertitrice e golpista.

In questo caso specifico, tale volontà si esprime con il pretesto di riportare l’ordine nelle strade della capitale californiana. Ma è opportuno chiedersi le ragioni del diffuso malessere americano e delle rivolte, spontanee e politicamente disorganizzate, che ne sono una conseguenza. I vasti e crescenti livelli di disuguaglianza sociale in America sono incompatibili con le forme di governo democratiche. E ciò che vale per gli Stati Uniti, vale anche per la nostra Europa, disegnata negli interessi finanziari e nell’egemonia franco- prussiana. La sfiducia nel riformismo, ben riposta, e la stanchezza popolare, palese nell’astensione elettorale, trovano necessariamente e storicamente ancora una volta una sponda nella destra conservatrice e più ancora in quella fascista.

Di là dei proclami, la sinistra, o centro sinistra che dir si voglia, si è squagliata politicamente e socialmente. Per quanto tempo vincerà la destra? Per tutto il tempo che potrà far credere alle plebi sia possibile sbarazzarsi dei problemi di sistema con la bacchetta magica.

lunedì 9 giugno 2025

La pizza all'acido perfluoroesanoico

 

Perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche (PFAS) sono una classe di sostanze chimiche altamente tossiche e cancerogene utilizzate fin dagli anni Quaranta per realizzare rivestimenti e prodotti resistenti al calore, all’olio, alle macchie, al grasso e all’acqua. I PFAS sono ovunque, in migliaia di prodotti o semilavorati, dagli impermeabili alle pentole, dai cosmetici ai frigoriferi, dagli schermi degli smartphone alla vernice murale, dai mobili ai condizionatori d’aria, le scatole della pizza. Persistono nell’ambiente e si accumulano negli esseri umani e negli animali.

L’esposizione ai PFAS è collegata al cancro ai reni e ai testicoli, all’ipertensione e alla preeclampsia (complicazioni in gravidanza), alle malattie della tiroide, ai danni al fegato, al ridotto peso e dimensioni del neonato alla nascita, a effetti sul sistema immunitario e all’alterazione ormonale. In Veneto, per esempio, siamo già al dramma a causa di una azienda, la Miteni di Trissino, identificata come fonte principale della contaminazione delle falde acquifere.

Le lobby industriali legate al settore dei PFAS (*), stanno facendo di tutto, e con successo, per non fare approvare la normativa Ue che propone la totale abolizione della produzione, della vendita e dell’utilizzo dei PFAS in Europa (attualmente il regolamento REACH ne limita solo alcuni usi). Tanto che la Commissione europea è passata dal promuovere “un ambiente privo di inquinamento da PFAS” al chiedere una maggiore “chiarezza” sulla tossicità dei PFAS (!).

Sulla stessa linea anche il Rapporto Draghi “Il futuro della competitività europea”, presentato a settembre 2024. Lo dico per i suoi fans e per quei simpatici scimpanzè che amano adornare il proprio profilo social con bandierine di vario tipo (**).

En passant, sapete che cos’è il radon? È un gas inodore, incolore e insapore, deriva dal decadimento dell’uranio e rappresenta la maggiore fonte di rischio da esposizione a radiazioni ionizzanti di origine naturale, la seconda causa di rischio di tumore al polmone dopo il fumo. L’abbiamo anche nelle nostre case e lo inaliamo con naturalezza e soprattutto in completa spensieratezza. Esiste anche un “Piano nazionale d’azione per il radon (2023-2032)”, che come tutti i Piani di questo tipo resta sulla carta. Non ne parla nessuno? Normale, perché suggerire comportamenti adeguati con il rischio di creare allarme sociale? Invece parliamo di idrogeno verde!!

(*) 3M, AGC Inc., Archroma, Arkema, BASF, Bayer, Chemours, Daikin, Honeywell, Merck Group, Shandong Dongyue Chemical e Solvay. Si è diffuso, in sostituzione dei più noti PAFS, lacido undecafluoroesaonico (PFHxA), dalla padella alla brace.

(**) Il divieto dei PASF avrebbe un “impatto negativo sull’uso di sostanze necessarie per produrre tecnologie pulite (batterie ed elettrolizzatori), per le quali attualmente non esistono alternative” [?!] e “potrebbe colpire l’industria europea dei refrigeranti utilizzati nelle pompe di calore, in un momento in cui i produttori europei stanno adattando le loro linee di produzione a causa dell’avvicinarsi dell’eliminazione dei refrigeranti sintetici”. Chiaro che questa roba non l’ha scritta Draghi chiuso nella sua stanzetta.

Esiste uno studio molto serio dell’Università patavina (non pubblicizzato), che dimostra, dati alla mano, il mutamento di alcune caratteristiche morfologiche nei neonati di sesso maschile che tendono sempre più verso caratteristiche  femminili (per esempio, distanza tra ano e organi genitali, ecc.) e ciò in conseguenza di certe condizioni ambientali” nelle aree venete pesantemente contaminate da PASF. Ditelo a Vannacci. 

sabato 7 giugno 2025

Marcette

A Roma oggi si manifesta, ma non davanti all’ambasciata di Israele. Si manifesta con striscioni che dicono: fermiamo il massacro. Non si tratta di un massacro, bensì di un genocidio che ha trasformato Gaza in una necropoli e i sopravvissuti in umanità senza speranza. E poi, come vorrebbero fermarlo?

Corri a votare

Apprendiamo, dalla viva voce di Andrea Orlando, che il modello PD per il lavoro è fallito. Ma non è vero. Per il padronato è stato un successo, che continua e continuerà qualuque sarà l'esito del referendum.

venerdì 6 giugno 2025

Cent’anni di Meloni

Ho letto i trenta e passa articoli del cosiddetto decreto sicurezza (conversione in legge del decreto-legge n. 48/2025). Non penso che ci si debba meravigliare di alcuni articoli, posto che è una legge di un governo cripto, para, neo – fascista. Tuttavia, complessivamente, e appunto tenuto conto di alcune riserve e ovvie contrarietà, si tratta di una buona legge. Della serie: anche i fascisti qualche volta fanno qualcosa di buono.

La domanda, retorica ovviamente, è: ci voleva tanto ai governi di cosiddetto centro-sinistra legiferare su certe questioni di sicurezza sociale? Tipo l’occupazione abusiva degli appartamenti, oppure in relazione ai furti di destrezza, all’impiego di cellulari anonimi e altre menate del genere? Certo, il governo vi ha inserito altre cose più che discutibili. Ma che cosa ci si deve aspettare da un governo cripto, para, neo – fascista?

La cosiddetta “opposizione” non solo è in difficoltà, ma è morta anche sul piano del più banale riformismo. Da mezzo secolo s’aggira nella stanza dei bottoni, o nelle stanze attigue, e però si è rivelata inetta nel varare una legge sulla cittadinanza. Per dirne una. Ora chiama al referendum, ben sapendo che non raggiungerà il quorum. Darà la colpa al governo cripto, para, neo – fascista di aver sabotato l’informazione sui referendum. Cosa del resto scontatissima (do you remember Bettino?). Hanno sempre una scusa e un capro.

mercoledì 4 giugno 2025

Non è mai stata e non sarà

 

Vedo che non si vuole prendere sul serio ciò che è realmente accaduto recentemente in Europa e ciò che si va profilando (un’Europa senza posterità propria). Il dibattito su qualsiasi tema è sempre più spinto ai confini della realtà, laddove il diritto internazionale, nato obsoleto, è oggi sepolto sotto le macerie di Gaza o di qualche villaggio ucraino. Tanto per dire, nel comunicato congiunto Macron-Meloni si esprime “il sostegno incrollabile e senza esitazioni di Francia e Italia all’Ucraina”, ma nulla su Israele e Gaza. Sono così abietti di proposito?

Le trattative e l’eventuale pace in Ucraina (alla quale non ho mai creduto: l’odio non ha una data di scadenza) interessano solo le popolazioni coinvolte. Quello che accade laggiù è un buon pretesto per il riarmo e il ritorno del demone della guerra in Europa. Una Gran Bretagna che sogna l’impossibile ritorno ad una floridezza perduta; una Germania che agogna il suo Lebensraum di mercati e materie prime a basso costo; la Francia che nella politica estera cerca sollievo dai problemi interni irresolubili. Quanto all’Italietta, i suoi attuali reggenti aspirano ad essere riconosciuti come i rappresentanti di una “potenza”, ossia di ciò che l’Italia non è mai stata e non sarà.

lunedì 2 giugno 2025

Da Kiev al Brennero

 

Gli ucraini hanno utilizzando droni first person view (FPV) contro aeroporti nelle regioni di Murmansk, Irkutsk, Ivanovo, Ryazan e Amur. Secondo il dipartimento militare russo, tutti gli attacchi della parte ucraina contro gli aeroporti nelle regioni di Ivanovo, Ryazan e Amur sono stati respinti. Gli incendi scoppiati in seguito agli attacchi di Kiev contro gli aeroporti nelle regioni di Murmansk e Irkutsk sono stati spenti.

L’attacco agli aeroporti russi ha dimostrato che il capo del regime di Kiev, Volodymyr Zelensky, ha deciso di sabotare i negoziati di pace ed è pronto a sacrificare tutto per restare al potere. Infatti, la sua sopravvivenza politica è legata alla guerra. Sta cercando di provocare una risposta nucleare, ma Mosca non risponderà con attacchi nucleari tattici, tuttavia è nelle cose che dovrà rispondere in modo adeguato.

I padroni dell’Occidente hanno fatto pubblicare la notizia sui loro giornali. E va bene, ma ciò che non va è questo continuo spezzettamento dell’analisi: l’Ucraina resiste/la Russia non vince. Fin dove ci porterà questo stato di cose e questo tifo da stadio? Non dobbiamo ritenere che siamo governati da individui molto intelligenti e nel pieno possesso delle loro facoltà. Né oggi e nemmeno nell’ormai mitico “passato”.

A tale riguardo, riporto un episodio che sembra tratto da un film di Charlie Chaplin e che invece appartiene alla testimonianza di Filippo Anfuso, un personaggio di alto livello diplomatico, che certe cose le ha viste con i propri occhi e sentite con le sue orecchie.

«Brennero. Nevica. Hitler passa in rivista, prima di montare sul treno che deve riportarlo in Germania, una compagnia di alpini, di buon aspetto ma sgualciti: montanari con un fucile. La scena è pittoresca: il presentatarm fa delle scale: l’insieme ha l’aria rustica e arcaica di un quadro di Fattori. Mussolini non ha da osservare niente, ma si capisce che non è soddisfatto. Hitler monta sul suo treno, si affaccia al finestrino e fa gli ultimi convenevoli al collega del Sud; la banda militare attacca Deutschland über alles, la Marcia Reale, l’Orst Wessel Lied e Giovinezza. Alle ultime note dell’inno fascista, come previsto, il treno si muove: ultimi saluti, ultimi sguardi. Dopo aver percorso una decina di metri, il treno fa macchina indietro: il finestrino con Hitler si rimette di fronte a Mussolini: la banda militare riattacca gli inni: i Dittatori si rinnovano i saluti. Il treno ripete il tentativo di partire e torna indietro rifacendo la stessa manovra: altri saluti, nuovi inni. Hitler, sicuro della sua organizzazione tecnica, non protesta: riparte una terza volta e ritornata inesorabilmente indietro! Ai finestrini più lontani del treno tedesco si scorgono visi apoplettici che traducono un’indignazione impotente; il Führer continua ad andare avanti indietro e risalutare il Duce, il quale, al quarto ritorno dal tedesco, sempre al suono di quattro inni, gli dice malinconicamente: “Il disco è chiuso”.»

Questa incredibile commedia si ripete per sette volte, scrive Anfuso. Poi prosegue: «È un incubo: gli italiani si divertono silenziosamente. Qualcuno dice: “Che ce lo vogliono lasciare per sempre? Che non lo vogliono più nel suo Paese?”.

«All’ottava edizione degli inni, Mussolini fa un colpo di testa: ferma la musica. Il riacquistato silenzio rompe l’incanto: Hitler parte davvero e stavolta nessuno lo saluta, nel timore che torni. Le indagini sono brevi: la colpa è dei tedeschi: i Potemkine [termine ironico usato da Anfuso] italiani non sono per nulla responsabili dell’accaduto. Mussolini viene brevemente edotto: la colpa è dei tedeschi.

«Qualche tempo dopo, rievoco questa scena esilarante con il Potemkine tedesco, il Capo del cerimoniale: Dornberg. “Il Führer deve aver urlato quel giorno, al Brennero”, gli dico. “No”, fa Dornberg. “Non ha potuto dire niente perché la colpa era degli italiani”.»

(Filippo Anfuso, Da Palazzo Venezia al Lago di Garda, Cappelli, 1957, pp. 244-45).


Il sesso su Marte

 

Il miliardario che vuole mandare i suoi dipendenti a vivere e lavorare su Marte. Finalmente qualcuno che dice le cose come stanno. Ne avevo scritto nel gennaio scorso. Grande interrogativo: come sarebbe la vita sessuale in assenza di gravità? Vi rivelo una cosa che sicuramente non sapete: nel 1992, missione STS-47 dell'American Spacelab, una coppia di astronauti tra loro sposati sperimentò dieci posizioni di "addestramento", la maggior parte delle quali si rivelò impraticabile. Anche i russi hanno ammesso esperimenti, ma solo tra animali. Dunque l'assenza di gravità non ci consente di liberarci dei limiti del Kama Sutra, tutt'altro.

Moriremo tutti e sempre su questo meraviglioso pianeta che ci inventiamo di rendere invivibile.

venerdì 30 maggio 2025

Toto e il bidet

 

Dopo i giapponesi, anche gli statunitensi cominciano a sciacquarsi il culo dopo la defecazione. Usando il cosiddetto Washlet, un water con getto d’acqua. Scoperta rivoluzionaria. Come optional è incorporato un asciugatore ad aria calda, la possibilità di regolare la temperatura del getto d’acqua e del sedile, l’apertura automatica del coperchio, “musica di sottofondo che permette di coprire i rumori molesti” (A saucerful of secrets?) e, roba da non credere, la possibilità di “riutilizzo dell’acqua”!

Tuttavia, non si tratta ancora dell’uso di un bidet quale lo conosciamo in Italia: non è contemplato l’uso del sapone, che evidentemente è considerato un optional per gente troppo sofisticata!

La “notizia” riceve l’onore della prima pagina del New York Times. Non è mai troppo tardi anche se gli Usa dovranno ancora percorrere molta strada per raggiungere un livello di pulizia ed igiene adeguato (non solo alla persona, ma anche nelle abitazioni e specie nei locali di ristorazione, ecc.). Del resto, gli Stati Uniti, già colonia inglese (ossia del popolo ancora oggi igienicamente “meno dotato” d’Europa), oltre a tecnologia e dozzinale spettacolo, non hanno dato significativi apporti alla civiltà. Ecco quanto scrive il NYT:

«Uno spot pubblicitario della Toto del 1982 fece scalpore in Giappone. Lo spot pubblicizzava il Washlet, un nuovo tipo di sedile per WC con una funzione allora inedita: una piccola bacchetta che si estendeva dal retro del bordo e spruzzava acqua verso l’alto. Dopo la sua uscita, la Toto, produttrice del Washlet, fu sommersa da telefonate e lettere di spettatori rimasti scioccati dall’idea [pensa un po’!]. Erano anche arrabbiati per il fatto che fosse trasmesso in prima serata, quando molti erano seduti a cena.

«Quattro decenni dopo, il Giappone ha accolto a larga maggioranza l’innovazione della Toto. I bidet in stile Washlet, venduti dalla Toto e da alcuni concorrenti più piccoli, sono un elemento comune negli uffici e nei bagni pubblici [!!!] giapponesi e, secondo i sondaggi governativi, rappresentano oltre l’80% di tutti i servizi igienici domestici.

«La Toto sta ora assistendo a un cambiamento simile negli Stati Uniti.

«Dopo decenni di tentativi di convincere i diffidenti consumatori americani dei pregi dei bidet, i Toto Washlet sono diventati un vero e proprio fenomeno sociale, spuntando sui social media durante tour di hotel a cinque stelle e case di celebrità [sic!]. La comica Ali Wong ha dedicato un segmento del suo speciale Netflix del 2024 al “magico water giapponese” di Toto. Nel 2022, il rapper Drake ha regalato quattro Toto all’artista DJ Khaled.

«Un rapporto di settore dello scorso anno ha mostrato che più di due proprietari di case su cinque in fase di ristrutturazione negli Stati Uniti scelgono di installare water con caratteristiche speciali, tra cui sedili bidet. I profitti di Toto nel settore delle apparecchiature per l’edilizia abitativa in America sono cresciuti di oltre otto volte negli ultimi cinque anni e l’azienda punta a espandersi ulteriormente.»

Esilarante e incredibile (si ride alle lacrime) la lettura di Wikipedia a proposito della storia e del funzionamento del Washlet. Fossi un cinematografaro non scarterei l’idea di realizzarne un film sul tema.

Un bidet della metà dell’Ottocento (Palazzo Viti, Volterra).