Si va a dormire con una data situazione internazionale in essere e dopo poche ore questa situazione è già radicalmente mutata. Di questa imprevedibilità, del repentino mutamento di umori e atteggiamenti politici, si ebbe riscontro già negli anni Trenta del secolo scorso, senza però l’incalzante ritmo attuale.
Il 18 giugno, il quotidiano conservatore The Jerusalem Post, in una lettera aperta a Donald Trump, lo esortava: “Creare una coalizione in Medio Oriente per la spartizione dell’Iran e incoraggiare piani a lungo termine per un Iran federalizzato o diviso”.
Questo per dare l’idea di che cosa frulla per la testa dei sionisti, altro che la fiaba della bomba iraniana: spartirsi l’Iran e le sue risorse, prendere il controllo diretto dello Stretto di Hormuz – attraverso cui transita circa il 20% del petrolio mondiale – e di un bel pacchetto di forniture alla Cina.
Pare, da ciò che si apprende in queste nostre ore notturne, che tale progetto di cambio di regime sia stato, almeno per il momento, posto in stand-by. Le Borse internazionali non mancheranno di festeggiare e specie alcuni speculatori di trarre nuovi vantaggi.
Già relativamente alleati dalla caduta dell’URSS, Russia e Iran si sono avvicinati molto durante la guerra in Ucraina. Il 17 gennaio scorso hanno firmato un trattato di partenariato strategico che incoraggia l’assistenza economica, ma non prevede alcuna clausola di difesa reciproca, a differenza di quella che lega la Russia alla Corea del Nord.
L’unica cosa che interessa ai russi, non potendo fare altro dal momento dei loro attuali impegni militari, è che non ci sia troppa destabilizzazione nel Caucaso e che non vengano a mancare pezzi di ricambio iraniani per i loro droni.
Sempre sullo scacchiere del Grande Medio Oriente, il criminale sionista Netanyahu, attaccando la Repubblica Islamica dell’Iran, ha relegato in secondo piano tutto ciò di cui è accusato nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania.
Se la guerra condotta da Netanyahu contro l’Iran dovesse avere successo (sul “cessate il fuoco” trumpiano sono leciti dubbi), chi avrà l’audacia di chiedere che venga portato davanti a un tribunale internazionale colui che ha compiuto l’impresa erculea di sconfiggere i mullah e liberare il popolo iraniano?
Ancora una volta, i palestinesi fungono da variabile di adattamento per manovre politiche che vanno oltre il loro conflitto con Israele. Se domani il regime di Teheran crollasse, Netanyahu passerebbe da criminale di guerra a liberatore da un giorno all’altro. Ciò sarebbe a malapena credibile, ma non impossibile.
Ricordo, per esempio, che i soldati americani e britannici avevano affettuosamente soprannominato Zio Joe un certo Iosif Vissarionovič Džugašvili. A letto e in guerra tutto è lecito, sostengono in molti (prevalentemente maschi).
Anche Libano, Siria e Arabia Saudita sono segretamente felici di vedere i loro avversari sciiti polverizzati dalle bombe. Ognuno fa i propri calcoli, tra le colonne del credito e del debito: cosa guadagno e cosa perdo sostenendo, silenziosamente, la strategia di Netanyahu?
Tuttavia queste sono solo ipotesi, tentativi di svuotare il mare con una cannuccia, poiché nessuno di noi sa veramente dove saremo domani e anzi già nelle prossime ore. Nemmeno Trump, Netanyahu, Putin, Xi Jinping o la Guida Suprema iraniana. Questo è l’unico punto che abbiamo in comune con loro.