venerdì 24 ottobre 2025

Finalmente

 

Ma si fermeranno davanti ai cancelli, invece di entrare e applicare i dettami del Tanakh.

Inseguendo un cappello a cilindro

 

«A mio parere la politica verrà messa all’angolo dall’economia», annotava Thomas Mann il 18 dicembre 1919. Nella tracotanza con cui i vincitori impongono le condizioni della pace Mann vedeva i primi segnali di una nuova politica della “potenza” destinata a dominare il futuro. La potenza, scrive nel giugno 1919, «può definire sé stessa giustizia senza aver bisogno di prestare ascolto ad alcuna obiezione».

*

Ieri, inseguendo Charles Haas (1832-1902), il modello principale di Charles Swann, che, come lui, era ebreo, donnaiolo, appassionato di pittura italiana e frequentatore dell’aristocrazia più esclusiva e del Jockey Club, m’imbatto in un dipinto di James Tissot (uno degli artisti ottocenteschi miei preferiti: ricordo una mostra romana del 2015), precisamente in quello che raffigura i dodici membri del Cercle de la rue Royale, altro club esclusivo parigino (*).

Ma quanti erano e quali sono sopravvissuti, anche attraverso fusioni/unioni tra di loro, i club esclusivi parigini, i santuari dell’élite, e non solo quelli parigini? Avvertenza, non affidatevi troppo per questo tipo di ricerca alla AI Overview perché assai imprecisa, come del resto per altre cose.

Per esempio, il Nuovo Circolo dell’Unione, discendente del Cercle de l’Union, ebbe tra i fondatori e i sottoscrittori un certo Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord. Il Nuovo Circolo nacque dalla fusione nel 1916 del Cercle Agricol e del Circolo della rue Royale. Quest’ultimo aveva avuto una sua storia particolare.

Creato nel 1852, questo club era originariamente un ritrovo di pochi amici scelti con cura, che avevano in comune il fatto di essere figli, fratelli o nipoti di membri del Jockey Club (è situato in rue Rabelais, di fronte all’ambasciata israeliana) la cui giovane età li costringeva ad aspettare prima di poterne aderire, il che gli valse il soprannome di Cercle des Moutards, dove “mostarde” era solo un’espressione allusiva.

Al civico 33 di rue du Faubourg Saint-Honoré, adiacente all’ambasciata inglese, ha sede sia il Nouveau Cercle de l’Union e sia il Cercle de l’Union Interalliée, in una dimora privata che fu messa a disposizione del circolo Interalliée dal barone de Rothschild. I due circoli sono tra loro indipendenti.

Né va dimenticato Le Siècle, altro club parigino, fondato nel 1944 dal giornalista Georges Bérard-Quélin, che di cose da raccontare ne avrebbe parecchie. Pare che la quota mensile per far parte di questa borghesia blasonata sia di 220 euro (pasti esclusi).

Nel mondo intero i club privati che contano davvero non sono più di una decina (con ciò non voglio dire che i Rotary e i Lions non abbiano una loro importanza, ma definirli elitari mi sembra eccessivo). Una pur sommaria ricognizione nominativa sui soci di questi club esclusivissimi, così come lo scandaglio dei relativi legami genealogici, illumina più cose di tanti corposi ed eruditi saggi di politica e di economia.

Naturalmente tutto ciò per persone che non vanno di fretta.

(*) Charles Haas è l’ultimo a destra nel dipinto, in piedi, con il gibus grigio, che, ci racconta Proust, era foderato di verde.


giovedì 23 ottobre 2025

Clausewitz e il Maggiolino

 

In un’intervista alla Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung, il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha delineato il programma di guerra e la politica delle grandi potenze: la Germania deve costruire “l’esercito convenzionale più forte d’Europa”, superare gli obiettivi della NATO e prepararsi ad applicare “la legge del più forte”. L’era di un “ordine basato su regole e sul diritto internazionale” è finita, ha affermato, aggiungendo che ciò che conta ora è la “forza”.

Un giorno nessuno potrà dire che non ci avevano avvisati di ciò che stavano preparando.

Naturalmente il nemico principale, in questo momento, è la Russia. Per varie ragioni, una in particolare: Putin. Al suo posto ci potrebbe essere chiunque, sarebbe sufficiente che fosse prono alle “esigenze” della Nato e delle classi padronali occidentali. In tal caso non ci sarebbe alcuna inimicizia con ciò che resterebbe della Russia. Il vero mortale nemico allora si paleserebbe: la Cina.

Da oggi, le linee di produzione della Volkswagen saranno ferme. Secondo le informazioni di Bild, la produzione della VW Golf nello stabilimento di Wolfsburg sarà sospesa. L’interruzione della produzione rientra nella guerra commerciale in corso tra Stati Uniti e Cina, che ora sta colpendo anche la Germania. La questione riguarda l’interruzione delle forniture da parte del produttore di chip olandese-cinese Nexperia. Dal 2019, l’azienda è di proprietà del colosso tecnologico cinese Wingtech.

Alla fine del 2024, Wingtech è stata inserita in un elenco di aziende soggette a sanzioni statunitensi. Il 29 settembre, l’elenco è stato ampliato per includere le rispettive filiali. Il giorno dopo, il Ministero degli Affari Economici olandese ha assunto il controllo di Nexperia, ha rimosso l’amministratore delegato Zhang Xuezheng, fondatore di Wingtech, e ha trasferito temporaneamente la gestione di tutte le azioni della società a un fiduciario. Per il momento la guerra si combatte così.

Nexperia produce chip standard utilizzati principalmente nella produzione automobilistica, ad esempio nelle luci di emergenza, negli airbag e nei sistemi di frenata antibloccaggio. Ogni singola auto contiene fino a 500 componenti. Con una quota di mercato del 40%, Nexperia è il più grande fornitore mondiale di semiconduttori semplici e genera circa la metà del suo fatturato dall’industria automobilistica.

La Cina ha reagito a questa espropriazione e ha imposto controlli sulle esportazioni. Per esempio, ciò che viene prodotto nello stabilimento Nexperia di Amburgo non finisce immediatamente alla VW o ad altre case automobilistiche, ma viene prima trasformato in diodi o transistor finiti in una fase successiva, che avviene in Cina, e poi si decide se riesportarlo in Europa.

Il mercato mondiale unificato, celebrato qualche decennio fa come globalizzazione pacifica, con libero scambio senza ostacoli, catene di approvvigionamento globali e produzione just- in-time, sta volgendo al termine. Un mondo strettamente interconnesso dal punto di vista tecnologico ed economico si sta attualmente dividendo in blocchi. Come diceva quel tedesco? Mi pare si chiamasse Clausewitz ...

Un suggerimento agli amici tedeschi: il Maggiolino VW modello 1937 è ancora in grado di circolare. Non contiene semiconduttori.

Chi laverebbe mai detto che un giorno ... E pensare che il "fondatore" della ditta, sposato con una "mezza ebrea", divorziò opportunamente nel 1938. Alex Springer aderì alla NSKK, che era un’organizzazione paramilitare [nazista], implicata nella politica razzista di esclusione e discriminazione del regime (selezionava i suoi membri per tratti ariani) e nei pogrom antisemiti del 1938» (Wikipedia). Ciò che significa rifarsi una verginità.

mercoledì 22 ottobre 2025

La pace si ottiene ...

 

La pace non è ancora tornata in Medio Oriente, in Ucraina o persino in Congo, come Donald Trump aveva promesso a gran voce nella speranza di vincere il Premio Nobel, inviando in giro per il mondo dei loschi commercianti di cavalli. I suoi negoziatori alati vogliono spegnere incendi alimentati da Washington. I piromani giocano a fare i pompieri. Il gioco è fin troppo scoperto: si schiera l’islamismo selettivamente (utilizzando i regimi wahhabiti in Arabia Saudita, Qatar, ecc., che sono alleati degli Stati Uniti e hanno in parte finanziato lo Stato Islamico) contro attori che ostacolano gli interessi dell’Occidente imperialista: vedi quanto è successo in Siria, con i salafiti di Hay’at Tahrir al-Sham, affiliati ad Al Qaeda, che ora non sono più dei terroristi.

Odiatori anticomunisti di ogni tipo, gli amici della guerra americana ed europea, si stanno radunando sotto la bandiera della “civiltà occidentale”: dai custodi dell’Illuminismo borghese, che, oltre ai diritti umani, ha prodotto anche uno spietato imperialismo; ai fascistoidi che invocano la “tradizione giudaico-cristiana” come baluardo contro la barbarie. E così l’”eredità ebraica” fondata sulla Bibbia (sic!) può essere “difesa” dagli “invasori” palestinesi con l’invio di armi per sterminarli. A supporto, la narrazione del “nuovo antisemitismo”, che scredita ogni critica ai governi israeliani, discendente storico dei persecutori medievali e moderni.

La pace si ottiene non fomentando i nazionalismi e i fondamentalismi, ma riportando la Nato alle posizioni del 1989. Meglio ancora: sciogliendo la Nato. Riportando la comunità europea ai confini del 1989. Meglio ancora: sciogliendola e ripensandola in senso socialista. Creando un sistema monetario internazionale non più incentrato su un’unica moneta. Una nuova organizzazione internazionale della produzione e del commercio con ampi e concreti poteri di pianificazione e cooperazione. Disarmo. Fine del neocolonialismo in Africa e in Sud America. Eccetera. Ma tutto ciò non è realistico, dicono. E allora avanti così, con crisi, tensioni, minacce, fascismi e guerre.

Con zio Fulgencio sarebbe stata tutt’altra storia.

martedì 21 ottobre 2025

L’autunno tedesco


Sempre più patetico il Toynbee de noantri

È invalso il modo di definire qualunque forma di lotta, di resistenza, di guerra non convenzionale, non regolamentare, come “terrorismo”, e il terrore come un abominio. Basti pensare a Robespierre, che viene fatto passare come un mostro, tanto che a Parigi non vi è un solo toponimo che ricordi il personaggio, mentre diversi sindaci francesi hanno proposto di “togliere il suo nome alle strade che gli sono intestate” (*).

Lo steso vale per la lotta armata del periodo a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, depoliticizzata e considerata esclusivamente da una prospettiva di diritto penale, non riconoscendo che la violenza rivoluzionaria contro la disuguaglianza sociale, lo sfruttamento e l’oppressione si determina all’interno di rapporti sociali di classe e ne diventa una componente necessaria attraverso le reazioni violente del sistema di dominio.

È interessante notare come, a tale riguardo, Vera Figner, una socialista rivoluzionaria russa che partecipò all’attentato allo zar nel 1881, affrontasse già nel 1922 tale questione. Scrisse della sua epoca: «Il terrore [che, nella terminologia odierna, in un contesto emancipatorio, corrisponderebbe alla lotta militante o armata] non è mai stato fine a sé stesso. Era un mezzo di difesa, di autoprotezione, un potente strumento di agitazione, e veniva utilizzato solo quando si dovevano raggiungere obiettivi organizzativi [...] che da soli avrebbero reso possibile una rivoluzione allo scopo di trasferire il potere al popolo. Nell’autunno del 1881, l’assassinio dello zar divenne una necessità, un tema scottante del giorno [...]. Diede ad alcuni di noi motivo di considerare erroneamente l’assassinio dello zar e l’attività terroristica come il nostro programma essenziale».

Ed infatti, anche per quanto riguarda la lotta armata degli “anni delle bombe”, delle stragi di Stato per mano fascista, non tutte le organizzazioni di sinistra che vi presero parte possono essere tra loro equiparate, e alcune di esse, specie dopo una certa data, furono troppo impegnate nel confronto militare trascurando le lotte sociali, che però, bisogna riconoscerlo, avevano esaurito la loro spinta nel raggiunto benessere materiale di larghi strati popolari. Ecco dunque che una prospettiva marcatamente militaristica portò i mezzi della lotta, o meglio la loro forma, ad assumere una vita propria. La forma prevalse sul contenuto, che a sua volta divenne astratto e non più (auto)esplicativo.

Non è il caso di suscitare eventuali “sconcerti” e gridolini da parte di anime belle citando casi nostrani. Un dibattito veramente pubblico non vi è mai stato, e non vi sarà, poiché il discorso è stato plasmato dai partiti e dai media, che non possono ammettere che tale contro-violenza agli atti di violenza propri dei rapporti sociali e delle istituzioni abbia avuto il carattere di resistenza politica (**).

Si è continuata a perseguire, fino ad oggi e a fronte dell’enormità della violenza mondiale, quotidiana e sistematica, una logica criminalizzante, individualizzante e quindi depoliticizzante che corrisponde al modello della retorica sulla resistenza armata della sinistra in generale (non mi riferisco solo a Meloni e simili casi politici, sociologici e psicologici a sé stanti, ma a un Cacciari che solo oggi s’avvede che “stiamo vivendo uno stato d’eccezione”). Pertanto la prendo larga preferendo riferirmi alla strategia di approccio e alle fasi della lotta della Rote Armee Fraktion (Frazione Armata Rossa: RAF).

Nacque nel 1970 nel contesto delle rivolte e dei tentativi rivoluzionari anti-coloniali, antimperialisti, antirazzisti e antipatriarcali a livello globale (per la miscellanea ideologica che vi regnava, vedi: Heimat: Die Zeit der vielen Worte (1968–1969), di Edgar Reitz). La rivolta sociale di quegli anni e la RAF si schierarono inequivocabilmente con la maggior parte del mondo che cercava di liberarsi dal colonialismo e da condizioni di arretratezza sul piano economico e dei diritti sociali (il Partito Comunista di Germania era stato ufficialmente messo fuori legge nel 1956). Fu una rivolta e una lotta giustificata, necessaria e giusta, ma fu anche più un sismografo che non il terremoto che credeva di essere.

Oggi, quei proponimenti rivoltosi potrebbero farci sorridere, tuttavia, a parti invertite, il mondo di oggi sarebbe apparso a quelli di allora un mondo di tragicomica follia, tanto che Orwel si vergognerebbe di aver vaticinato delle dispotiche banalità superate in souplesse dalla realtà odierna.

La maggior parte dell’élite tedesca, la leadership politica, così come i vertici militari e di polizia, si schierarono ovviamente dalla parte degli assassini provenienti dai ranghi dei governi e dei servizi segreti occidentali, della polizia, dell’esercito, delle dittature e dei fascisti che assassinarono Patrice Lumumba, Salvador Allende, Steve Biko, Martin Luther King, Fred Hampton e innumerevoli altri.

La RAF, emersa dalla rivolta sociale interna del 1968, si ribellò alla continuità del nazifascismo nella Germania Ovest, al riguardo leggere gli editoriali della giornalista Ulrike Meinhof nella rivista Konkret (***). Il potere e le ricchezze della classe capitalista e dei perpetratori nazisti persistettero nello Stato della successiva Germania Ovest. Basti l’esempio del cancelliere Adenauer, che annoverava Hans Globke come uno dei suoi più stretti collaboratori e direttore della Cancelleria della Repubblica Federale. La denazificazione postbellica è stata nella sua sostanza in gran parte un mito (****).

Per la RAF all’inizio prevalse il primato dell’azione rispetto all’attacco militare, così come la conosciamo dalla storia dei movimenti anarchici, ossia una possibile pratica volta principalmente a ottenere un effetto politico e ideologico. L’incendio doloso di grandi magazzini alla fine degli anni ‘60 da parte di coloro che successivamente saranno militanti della RAF, fungeva da espressione militante di messa in discussione di una società in cui tutto – compresa la vita stessa – diventa una merce. Lo stesso dicasi per le azioni della RAF nel 1972 contro gli edifici della polizia e al grattacielo Springer di Amburgo (la RAF nacque anche per rompere il potere dei manipolatori): erano espressioni di propaganda d’azione.

Inoltre, molto più che in Italia, le loro speranze erano legate alle lotte del Viet-Cong, dei Tupamaros in Uruguay, così come delle Pantere Nere e dei Weather Underground negli Stati Uniti, dell’ANC in Sudafrica e del FPLP in Palestina. Ciò portò la RAF al dilemma strategico e cruciale di prendere le distanze dall’aspetto rivoluzionario della lotta (sull’esempio, da noi poco noto, delle Revolutionäre Zellen) e di puntare sulla lotta di liberazione e all’antimperialismo.

Dopo l’arresto dei suoi principali esponenti, nel 1973 la RAF fu sciolta. Il progetto RAF era di fatto concluso.

Fu lo Stato che, nonostante la sconfitta della RAF, condusse la guerra nelle prigioni, applicando una forma di prigionia progettata per distruggere il nemico all’interno della democrazia borghese. Sebbene non fossero più collegati a un gruppo rivoluzionario esterno dal 1973, ai prigionieri fu imposto un regime di detenzione, voluto e ordinato dall’élite al potere, che si basava sull’annientamento – sia psicologico che fisico – o sulla sottomissione (la vicenda di Holger Meins è in tal senso esemplare).

Fu proprio questa repressione (poco nota in Italia nelle sue determinazioni concrete) a portare alla rinascita della RAF. Tra il 1975 e il 1977, la RAF non aveva alcuna idea di lotta armata rivoluzionaria. Le condizioni sociali erano già cambiate. Nel 1977, non rimaneva quasi nulla delle idee radicali della rivolta del 1968, che aveva scoperto la nuda realtà di un dominio di classe che si poteva rovesciare, salvo poi trovare il modo di accomodarsi in seno al sistema, rivelando l’orientamento piccolo borghese di buona parte di quella gioventù meramente protestataria.

L’assalto all’ambasciata della Germania Ovest a Stoccolma, nel 1975, fu un tentativo di liberare i prigionieri della RAF le cui vite sembravano minacciate non solo agli occhi della “seconda” RAF, ma anche dell’intera sinistra e dell’opinione pubblica di sinistra liberale.

Nel 1975, il governo avrebbe potuto avviare trattative con il Holger Meins Commando della RAF per proteggere le vite degli ostaggi nell’ambasciata, ma Schmidt si affidava alla logica militare e a uno Stato forte (stato di emergenza), che corrispondevano a una forma di governo autoritaria e più importante persino della sopravvivenza del personale dell’ambasciata. È lo stesso atteggiamento di “fermezza” che si avrà tre anni dopo in Italia.

I diplomatici dell’ambasciata di Stoccolma non sarebbero morti, per quanto sbagliata e deplorevole fosse la loro uccisione da parte della RAF, se Schmidt e la sua squadra di crisi non fossero stati ossessionati dalla risoluzione militare del conflitto militarizzato.

Poi, nel 1977, nonostante il disastroso esito dell’Offensiva 77, lo Stato avrebbe potuto dare priorità alla vita di Hanns-Martin Schleyer, e proteggerla, avviando negoziati con i prigionieri del carcere di Stammheimer o la RAF. La squadra di gestione della crisi sacrificò uno dei loro perché ancora una volta erano disposti ad affidarsi fin dall’inizio a una soluzione puramente militare e volevano applicarla.

Schleyer era stato un membro del Partito nazista e delle Ss, il suo compito era quello di integrare l’industria della Cecoslovacchia occupata dai nazisti nell’economia di guerra tedesca, a 60 chilometri dal campo di concentramento di Theresienstadt. Fu corresponsabile del trasferimento di decine di migliaia di persone ai lavori forzati e allo sterminio nei campi di concentramento e, nel dopoguerra, divenne funzionario economico e infine presidente della Confindustria tedesca.

Anche il caso dell’assassinio di Siegfried Buback va letto in tal senso: ex nazista, come procuratore generale praticava tattiche di terrorismo di Stato contro i prigionieri. La RAF voleva porre un limite a tutto questo. Volevano porre un limite anche alla caccia all’uomo degli anni ‘70, con l’uccisione di coloro che a volte non erano nemmeno armati e persino indifesi.

Si voleva stabilire un qualche equilibrio di potere e liberare i prigionieri sottoposti a condizioni inumane (forme di isolamento e detenzione speciale ancora vigenti sia in Germania così come in Italia). Si trattava di infrangere la logica del terrorismo di Stato. Ciononostante, la RAF commise errori politici che la privarono della sua legittimità (*****). Trasferì la situazione bellica dei movimenti di liberazione anticoloniali e antimperialisti alla metropoli tedesca, dando priorità all’aspetto militare rispetto a quello politico, il che portò alla sua sconfitta.

La RAF avrebbe dovuto riconoscere, dopo la sconfitta del 1977 e l’orribile morte cui furono sottoposti i suoi membri nel carcere di Stammheim, che quella che sarebbe diventata la “politica degli omicidi” dal 1979 in poi, non avrebbe offerto alcuna prospettiva di liberazione per la situazione metropolitana, e quindi non ci si poteva aspettare alcun progresso da quella strategia.

Sarebbe stato necessario utilizzare una analisi più strutturata e precisa dello stato dello sviluppo economico sociale e delle sue prospettive a breve e medio termine, e invece quell’analisi interpretò lo sviluppo economico della transizione dal keynesismo al neoliberismo come l’economia di guerra di un sistema instabile.

Oggi, negli anni Venti del XXI secolo, mutate le coordinate politiche e sovvertite quelle geopolitiche, quell’analisi acquisterebbe più senso. Nella realtà storica di allora, il capitale globalizzato ebbe un successo inedito e ammirevole nel processo di ristrutturazione (anche ideologica). Preparò l’Unione Sovietica alla sua fine. Kohl insieme a Gorbaciov sancirono definitivamente la fine dell’esperimento socialista iniziato nel 1917 e culminato nel fallimento del socialismo stalinista.

(*) Jean-Clément Martin, Robespierre, Salerno Editrice, p. 7. Di grande interesse l’Introduzione (poco più di 6 pagine).

(**) Queste belle anime non si oppongono alla violenza in sé, ma piuttosto principalmente alla violenza che riconoscono come diretta contro sé stessi e l’élite sociale di cui fanno o credono di far parte. Sono favorevoli alla violenza perché tutto rimanga com’è.

(***) Ne esiste una raccolta anche in italiano: Stampa Alternativa, aprile 1980.

(****) Anche in Italia il Sessantotto nacque nelle scuole italiane, dove si insegnavano umbertinate sabaude, e servì se non altro (ma che lo dico a fare?) per capire che cosa era veramente successo durante il ventennio e nella resistenza e se era vero che il fascismo era stato debellato dallo Stato democratico. Si scoprì che non era vero, e se ne ebbe conferma con le stragi e le bombe. Per questo quel red block terrorizza tutt’oggi l’occidente e segnatamente l’Italia, da Repubblica (nata per reprimere) a gente come il pompiere Veltroni (solo a vederne la faccia viene il voltastomaco).

(*****) Non voglio né affermare né negare la questione della legittimità dell’omicidio di Buback o di altri, anche perché non rifletterebbe la complessità politica ed etica di quello come di altri atti. Penso che tali atti possano essere valutati solo nel contesto storico e sociale in cui sono avvenuti, nel caso di specie tale atto è nato da un tentativo disperato di autodifesa.

Nell’attentato allo Zar, alla fine del XIX secolo, il suo cocchiere morì con lui. L’autista del leader franchista spagnolo Carrero Blanco morì con lui. Eccetera. È deplorevole che muoiano anche degli innocenti – e non lo dico come una frase vuota – ma non conosco alcuna soluzione a questo problema da poter considerare corretta. È stato e sarà sempre un problema importante per tutti i tentativi rivoluzionari e per la guerra di guerriglia. A non farsi alcuno scrupolo sono comunque i responsabili – i più vari e l’elenco è lungo – di migliaia o milioni di omicidi stando seduti a una scrivania.

Della RAF, per mano della polizia e dei servizi segreti tedeschi, furono uccisi 24 membri e semplici simpatizzanti. I morti attribuiti alle azioni della RAF furono 33. La RAF si è sciolta ufficialmente nel 1998.

lunedì 20 ottobre 2025

Zelensky nel film sbagliato

 

Si potrebbe pensare che il presidente ucraino abbia partecipato a un altro incontro rispetto a ciò che ha raccontato. Nelle dichiarazioni rilasciate ieri, inizialmente riservate ma poi pubblicate oggi, Zelenskyy ha dichiarato: “Penso che il messaggio del presidente degli Stati Uniti Donald Trump sia stato positivo”. Ha rilasciato questa dichiarazione prima che agenzie e organi di stampa riportassero la notizia di un incontro molto teso a Washington venerdì, durante il quale Trump ha sostenuto il congelamento della guerra lungo le attuali linee del fronte.

“Che entrambi cantino vittoria, che sia la storia a decidere!”, ha scritto in seguito sul suo portale Truth Social il futuro premio Nobel per la Pace. Zelenskyy non ha ricevuto gli ambiti missili da crociera a lungo raggio Tomahawk, ma il suo corteggiamento nei confronti dell’azienda di difesa statunitense Raytheon a quanto pare ha dato i suoi frutti. L’Ucraina sta ora preparando un contratto per l'acquisto di 25 sistemi di difesa aerea Patriot dall’azienda. Il portale filogovernativo Axios ha riferito che Trump non ha fatto promesse del genere.

Nel frattempo e com’è noto, sono in corso i preparativi per un incontro tra Trump e Putin in Ungheria (il russo vi arriverà passando dalla Bulgaria). “C’è ancora molto lavoro da fare”, ha dichiarato lunedì il portavoce presidenziale Dmitrij Peskov. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa statale russa RIA, il ministro degli Esteri Sergej Lavrov e il suo omologo statunitense Marco Rubio si parleranno presto al telefono. Funzionari governativi di entrambe le parti si incontreranno nei prossimi giorni. Peskov ha anche sottolineato che la Russia sta lavorando seriamente con gli Stati Uniti per un accordo di pace per l’Ucraina.

Per chi ci crede alla pace, ovviamente. Finché in Ucraina saranno al potere i nazionalisti, nessun reale accordo pace sarà possibile. Non solo, l’approccio trumpiano è stato nuovamente respinto dalla leadership dell’UE, che si è schierata apertamente a favore di Kiev nel fine settimana. L’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri, l’ultra rossofoba Kaja Kallas, ha chiesto, in primo luogo, un posto al tavolo dei negoziati per l’Ucraina e l’Europa e, in secondo luogo, che la Russia fosse identificata come quella “che non vuole porre fine a questa guerra”. “Dobbiamo risvegliare il desiderio di pace anche da parte russa”, ha affermato l’ex primo ministro estone mentre indossava l’elmetto.

Intanto oggi i ministri dell’Energia dell’UE, contro i voti di Ungheria e Slovacchia, hanno approvato un divieto totale sulle importazioni di petrolio e gas dalla Russia a partire dal 2028. I burocrati ben pagati a Bruxelles, dove il freddo è un concetto sconosciuto, se ne fregano delle famiglie costrette a pagare il gas molto più caro. Questa indifferenza per le preoccupazioni della gente rafforza i “pregiudizi” degli euroscettici in giudizi fondati.

Nessuna illusione

 

La pace, la tregua, il cessate il fuoco e altre fantasiose espressioni ieri hanno avuto la loro consacrazione: le truppe con la svastica israeliana hanno massacrato 45 palestinesi a Gaza e hanno ulteriormente limitato l’invio di aiuti. Israele ha accusato Hamas di aver violato l’accordo prendendo di mira e uccidendo due soldati. Il giorno prima, sabato: “Colpito il bus su cui viaggiavano gli Abu Shaaban. Tra le vittime, sette bambini tra i cinque e gli undici anni”. E chi cazzo erano gli Abu Shaaban? Semplicemente una famiglia palestinese sterminata in un normale scontro tra un minibus e un carroarmato.

Dall’annuncio dell’accordo di “cessate il fuoco”, 97 palestinesi sono stati uccisi in 80 diverse violazioni dei termini dell’accordo da parte delle forze israeliane. Inoltre, 230 persone sono rimaste ferite in questi attacchi.

Ancora una volta, torno a ripeterlo, ha vinto Netanyahu: ha ottenuto il rilascio degli ostaggi e ora può proseguire il “lavoro sporco” nel soddisfatto silenzio di quasi tutti.

Non si parla più, come agli inizi della carneficina, dell’uccisione di “capi di Hamas”, veri o solo presunti, poiché affermarlo dopo decine di migliaia di morti sarebbe ancora più ridicolo. L’Europa e gli Stati Uniti possono continuare ad inviare armi e altro materiale per usi bellici, gli ebrei possono fregarsi le mani: è Hamas a non rispettare gli “accordi” sottoscritti.

Intanto Israele ha confiscato oltre 70 acri (28,3 ettari) di terra palestinese vicino a Nablus, nella Cisgiordania occupata, dichiarando l’area off-limits per scopi militari. Dall’inizio del 2025 sono stati emessi 53 ordini di sequestro per vari scopi militari, un pretesto per prendere il controllo delle terre palestinesi. Va avanti così da decenni.

Non c’è da farsi nessuna illusione, il progetto sionista va avanti. Ottant’anni di propaganda sionista hanno radicato l’idea che Israele è nel suo diritto di occupare e di “difendersi”.

domenica 19 ottobre 2025

Riepilogo di una grande vittoria

 

La produzione industriale tedesca è scesa del 4,3% ad agosto, il peggior risultato mensile degli ultimi 20 anni. In sostanza, l’industria è tornata ai livelli del 2005. Il calo nellindustria automobilistica è stato di ben il 18,5%. Di conseguenza, i volumi di produzione sono crollati ai minimi del 2005. Ad eccezione degli shock a breve termine durante la crisi finanziaria globale e il picco della pandemia, cali simili non si registravano da decenni. La produzione industriale è ora inferiore di quasi il 20% rispetto al picco pre-pandemico e dell’11,5% rispetto ai livelli del 2021.

Il governo tedesco intende invertire la tendenza con un massiccio piano di stimolo economico da centinaia di miliardi di euro, mirato principalmente a rilanciare il complesso militare-industriale e a potenziare le infrastrutture. Altri droni “russi” dovranno preparare i contribuenti tedeschi ed europei a finanziare l’industria delle armi americana.

Vale la pena notare che la disoccupazione nel Paese è aumentata di mezzo milione di persone negli ultimi tre anni, e si preparano massicci licenziamenti. La rottura dei legami economici con la Russia ha interessato soprattutto la Germania, ma la mancanza di energia a basso costo dall’Est e la perdita di una quota significativa del mercato russo non hanno fatto che aggravare il problema già esistente. Questo per quanto riguarda la “locomotiva” tedesca.

Anche la Francia sta affrontando una crisi industriale, sebbene meno grave di quella della Germania, ma il suo problema principale è il debito, che ora supera la pericolosa soglia del 110% del PIL. Da anni il bilancio francese registra un deficit di almeno il 4%, mentre la spesa pubblica totale ha raggiunto il 57% del PIL. C’è poco margine di manovra, un fatto di cui i famosi mercati sono pienamente consapevoli. Negli ultimi mesi, le principali agenzie di rating hanno declassato il rating della Francia, da ultimo S&P Global, al di fuori dei calendari regolamentati data l’incertezza politica.

I tagli alla spesa sono difficili da realizzare per ragioni politiche e del resto peggiorerebbero ulteriormente la situazione economica. Il risultato è un circolo vizioso difficile da spezzare.

In Italia invece l’economia va molto bene e dunque c’è modo per dibattere furiosamente se il termine “cortigiana” equivale a “puttana” (evitare di dire fascista, per carità), e per fortuna vi sono aumenti corposi salariali che in alcuni casi potrebbero sfiorare l’1 per cento. In attesa che i dazi americani producano i loro benefici effetti, Meloni guarda al Quirinale come sua prossima residenza.

Ma ciò che preoccupa veramente è la situazione economica russa, un Paese dato in default già nel 2022, poi nel 2023 e a seguire. Stavolta però sembra fatta per davvero, ancora questione di poco e sarà la catastrofe per Putin. Quanto al conflitto in corso, non si trova ridicolo che la Russia combatta sostanzialmente contro una nazione supportata dalla più grande alleanza militare, che ha accesso alle migliori informazioni del mondo, che ha a disposizione Starlink, carri Abrams e Leopard, aerei F16, anticarro Javelin, Himars, sistemi di guerra elettronica ATACMS e innumerevoli somme di denaro contante per pagare truppe e mercenari. E nonostante questo, la Russia regge e rischia di vincere.

I nazionalisti ucraini e la UE non vogliono la pace se non con la resa incondizionata della Russia e la caduta di Putin. Avanti ancora così.

venerdì 17 ottobre 2025

Perché sale il prezzo dell'oro

I vari esegeti di Benjamin Graham si chiedono perché l’oro raggiunga quotazioni così elevate, ormai ben sopra i 4000 dollari per oncia troy (31,1035 grammi). Tra le risposte più accreditate vi è quella che il suo prezzo è legato alla fluttuazione della domanda, nel senso che aumenta perché è forte la domanda di acquisto: da parte delle banche centrali, di investitori verso attività considerate sicure (dal 2024 aumento acquisto di prodotti finanziari garantiti dall’oro), dei settori dell’oreficeria, dell’elettronica (7-8%). È un bene rifugio (rischi geopolitici, dazi, ecc.) poiché l’oro fisico mantiene il suo valore intrinseco (valore, non prezzo) anche se non genera interessi (salvo il suo prezzo eventualmente in aumento).

Inoltre, a fronte del significativo calo dei mercati immobiliari e azionari in Cina e dell’aumento delle capacità di risparmio in India, le famiglie cinesi e indiane hanno aumentato significativamente i loro investimenti in oro (dati del World Gold Council).

Sono risposte realistiche e di buon senso. L’oro è sì un bene finanziario, ma si tratta anzitutto di una merce, anzi della merce per eccellenza poiché l’oro è eletto, per le sue caratteristiche intrinseche, alla funzione di equivalente universale.

Per ovvi motivi sarebbe disagevole usare l’oro nelle transazioni commerciali, ed è per questo motivo che è stata creata la moneta (oltre ad altre forme di investimento e pagamento). Tutti i valori monetari, cartacei o elettronici, sono in realtà segni del valore, moneta a corso forzoso, fiduciaria. Laddove venga meno la fiducia, è immancabile che si tenda ad abbandonare il “segno del valore” per il valore sans phrases. Va anche rilevato, cosa non priva di conseguenze, che il dollaro dal 1971 non è convertibile in oro. Rimane la valuta dominante, ma la sua quota nelle riserve delle banche centrali è scesa al minimo degli ultimi 25 anni (FMI).

Ciò mi ricorda una vecchia storia, una tra le tante, ossia la storia dei cosiddetti “assegnati”. Al tempo della Rivoluzione del 1789, il problema finanziario si era fatto da anni molto pressante. Le casse statali erano vuote, metà della spesa pubblica era destinata a ripagare solo gli interessi sul debito pubblico, che non si sapeva nemmeno esattamente a quanto ammontasse (non esisteva una ragioneria dello Stato, la riscossione delle imposte veniva messa all’asta, eccetera).

Si pensò di nazionalizzare i beni della chiesa e altri beni nazionali e della corona. Quindi di metterli all’asta. Chi voleva e poteva acquistarli doveva munirsi di una speciale moneta cartacea, appunto gli “assegnati”, stampati dapprima in tagli da 1000 livres, per una somma complessiva di 400 milioni. Il patrimonio all’incanto era stimato tra i due o tre miliardi di livres. Gli assegnati si potevano acquistare in cambio di moneta metallica sonante (oro e argento). Quando gli assegnati usati per l’acquisto del patrimonio nazionalizzato rientravano nelle casse dello Stato era prevista la loro distruzione.

Tutto bene sulla ... carta. Sennonché, per farla breve, gli assegnati da moneta speciale divennero ben presto moneta corrente, valida per qualsiasi tipo di transazione e stampati in tagli di poche decine di livres e anche meno. Se ne stamparono sempre di più. Ovvio che in tal modo questa moneta, non più “assegnata” a dei beni tangibili, tendesse a inflazionarsi e dunque a deprezzarsi sempre di più. Altrettanto ovvio è che chi poteva approfittarne acquistava della buona terra e altri beni con moneta che già il giorno dopo valeva di meno. Ma questo è altro discorso.

Per concludere: dagli iniziali 400 milioni di assegnati del 1789, man mano si arrivò ai 34 miliardi del 1795 e ai circa 45 miliardi del 1796. Le monete in oro e argento erano molto ricercate, ma sparirono dalla circolazione per il solito motivo: moneta cattiva scaccia quella buona. È così il pane, dal 1790 al 1795, aumentò del 3.260 per cento (**).

Nel 1797, i cliché con i quali erano stampati gli assegnati e altra moneta cartacea (con la quale si era tentato di sostituirli nel 1796), vennero distrutti e si tornò alla sana e concreta monetazione metallica.

Morale della fava: gli assegnati avevano avuto indubbiamente una funzione positiva, avevano permesso alla Francia rivoluzionaria di non fallire e di onorare gli impegni correnti di spesa. Tuttavia, alla fine, la passione per la “stampa” prese la mano e a rimetterci fu la povera gente, operai, servidorame vario e contadini poveri. Altri si arricchirono enormemente. Cosa da non crederci, vero?

Più o meno succede la stessa cosa oggi di tutto ciò che in vario modo circola forzatamente e fiduciariamente. A cominciare dal dollaro, il quale è utilizzato negli scambi come equivalente universale senza esserlo realmente, ma solo fiduciariamente. La fiducia è sempre a tempo, mai eterna. Si potrà eccepire che, a differenza degli assegnati francesi, il dollaro non si è molto deprezzato e anche i titoli del debito americano non soffrono troppo. Vero, finora. Quella che ho citata è una analogia storica, non una riproposizione pedissequa della storia. Il dollaro ha avuto e continua ad avere una funzione più ampia e contestualmente diversa rispetto all’assegnato. Circostanze da non trascurare. E però l’oro sale di prezzo. Anche di valore? Lo scopriremo solo vivendo.

(*) Dopo aver raggiunto i 2.000 dollari l’oncia nell’agosto 2020, al culmine della pandemia, il suo prezzo è rimasto relativamente stabile fino all’anno scorso, quando ha iniziato una vertiginosa ascesa: 2.500 dollari ad agosto, 3.000 dollari lo scorso marzo e 3.500 dollari a settembre, prima di superare la soglia dei 4.000 dollari. Dall’inizio dell’anno, il prezzo è aumentato di oltre il 50%. Il costo di produzione di un’oncia d’oro è stimato a 1.400 dollari circa.

(**) George E. Rudé, Prezzi, salari e moti popolari a Parigi durante la rivoluzione, in AA.VV., Sanculotti e contadini nella Riv. francese, Tabella a p. 171.

giovedì 16 ottobre 2025

La nuova crociata

 

Immaginiamo che un presidente del consiglio sia chiamato a rispondere del reato di corruzione in un tribunale. Che in aula, ad assistere al processo, oltre all’accusato/a si presentino i ministri del suo governo e tutti i deputati del suo partito. Abbastanza intimidatorio, penso.

È quanto è successo ieri al tribunale di Tel Aviv, dove seduto a una piccola scrivania, c’era Benjamin Netanyahu, che, sorridente, scrutava i banchi del pubblico dove stavano seduti i suoi sostenitori. Netanyahu e Sara Netanyahu (sua moglie) sono coinvolti in tre casi di corruzione, nel primo, il cosiddetto caso “1000”, è sospettato di aver fornito “favori” nel settore dei media ad Arnon Milchan, uomo d’affari e produttore cinematografico (Pretty Woman), in cambio di regali, champagne rosé, sigari e gioielli, per un valore di 260.000 dollari. In altri due casi, Netanyahu è accusato di aver tentato di “negoziare” una copertura mediatica più favorevole su due media israeliani.

“Sigari e champagne, a chi importa?”. Il presidente Donald Trump tre giorni fa aveva esortato il presidente israeliano Isaac Herzog a graziare il primo ministro Benjamin Netanyahu. Non è nuovo Trump nel chiedere l’annullamento del processo (“dovrebbe essere annullato immediatamente”, lo aveva già fatto nel giugno scorso, raccomandando altrimenti che venisse “concessa la grazia a un grande eroe”. Nero su bianco sul suo social network Truth.

P.S.: forse non ci crederete, ma grazie alle donazioni israeliane, viene costruito un villaggio per i bambini orfani di Gaza. È già iniziata la crociata per riscrivere la storia.

mercoledì 15 ottobre 2025

Persone come Claudio Velardi

 

La pratica della demolizione delle abitazioni palestinesi da parte degli israeliani è antica quanto lo Stato d’Israele. Il pretesto è sempre stato univoco: il terrorista, vero o solo presunto, che si oppone all’occupazione e all’apartheid, viene punito, oltre che con la carcerazione o la morte, anche con la distruzione dell’abitazione in cui vive la sua famiglia.

Pertanto, ciò che è successo nella Striscia di Gaza non è un inedito storico, ma la prosecuzione su larga scala di una procedura consolidata. Ciò che si vuole ottenere è l’estinzione palestinese nei territori occupati o che si vogliono occupare. In buona sostanza questa strategia ricalca esattamente quella posta in atto nel Nord America dai coloni bianchi, e anche il piano di colonizzazione nazista a riguardo dei territori dell’Est Europa.

La strategia sionista di giungere infine alla costruzione del grande Israele è sempre la stessa e non cambia. Dunque non cambieranno i metodi per ottenere il raggiungimento di questo scopo. Facendo attenzione a un dettaglio: per grande Israele non s’intende solo la Palestina. È solo questione di tempo e anche questo aspetto apparirà chiaro. Dapprima si procede da un punto di vista economico, poi anche sotto l’aspetto militare.

Quando Claudio Velardi scrive che «nessun essere umano può dirsi estraneo alla storia ultramillenaria di Israele, a partire da quel topos simbolico del sacrificio narrato nella Bibbia», ci sta dicendo anzitutto una cosa: la presenza degli ebrei in Palestina è un fatto storico e dunque non si discute il loro diritto, dopo quasi duemila anni, di rimpossessarsi della Palestina. Con qualsiasi mezzo e a prescindere da chi nel frattempo abbia abitato quella terra.

“Quel sacrificio non si è mai interrotto”, ci dice Velardi, «Abramo è pronto a offrire suo figlio Isacco sul monte Moria per obbedire a Dio. È il gesto che segna l’origine morale del popolo d’Israele». E quell’origine “morale” segna anche, ipso facto, il diritto di quel popolo su quella terra in obbedienza a Dio.

Velardi a questa premessa ne antepone un’altra: «Personalmente non mi riconosco in una cultura messianica. Per la verità non sono neppure credente». Non è credente, ma riconosce, come dovrebbe qualunque “essere umano”, che il diritto d’Israele è in obbedienza a Dio. Poi prosegue: «Ogni soldato caduto, ogni ostaggio non tornato è il volto moderno di Isacco, offerto non a un dio crudele, ma alle asperità della storia».

Le “asperità della storia” attengono non solo alla volontà degli ebrei di stabilirsi in Palestina, ma di volerne occupare le terre e cacciare i legittimi abitanti con ogni mezzo. Secondo l’ideologia sionista e le norme giuridiche costituzionali israeliane, chiunque possa dimostrare anche il più tenue legame con la storia e la tradizione ebraica, indipendentemente da dove o quando sia nato, ha diritti superiori sulla terra natale dei palestinesi, nonostante il fatto che i palestinesi la abitino e lavorino da diverse centinaia di anni.

Secondo questa ideologia, in virtù della sua nascita ebraica, una persona ha un legame praticamente eterno con il paese, e invece il legame di un palestinese con la terra in cui è nato e che lo circonda non ha lo stesso valore, perché non appartiene al “popolo eletto”.

Questa priorità degli ebrei sui non ebrei, anche se cittadini dello stesso Stato, non è solo una questione di ideologia egemonica, è anche la pratica dominante in tutti gli aspetti della vita in Israele fin dalla sua nascita.

Questa è la principale caratteristica del sionismo, che è un’ideologia sistematica e un movimento politico con un apparato statale che la attua. Non sorprende quindi che la vita ebraica continui a prosperare nelle città, nelle aree urbane e nelle comunità di Israele, mentre quella degli arabi palestinesi nelle città arabe non fa che degenerare. Basta confrontare la città ebraica di Nazareth Alta e la Nazareth araba in termini di infrastrutture, zone industriali, pianificazione, istruzione scolastica, servizi sanitari e tempo libero, per comprendere che i profondi abissi che separano le due parti della stessa città non sono il risultato di un caso o di una cecità nelle politiche pubbliche.

Per gli ebrei, il sionismo è concepito come un’ideologia di emancipazione e sovranità, che organizza il mondo in entità dicotomiche, in termini binari. Ciò si manifesta in tutti gli aspetti della vita ebraica e in tutte le azioni dello Stato di Israele. È una visione politica e nazionale del mondo che tenta di depoliticizzare le giustificazioni con cui un popolo riceve privilegi in un paese che apparteneva a un altro popolo, e che istituzionalizza tali privilegi in un sofisticato ordine costituzionale.

Le politiche nazionali possono ostacolate temporaneamente un’etnia o un’altra, questo sta nelle cose e nella storia, non possiamo farci illusioni. Ma quando sono costantemente e sistematicamente orientate a facilitare l’espansione e la superiorità di un gruppo etnico nazionale, a causa di un’ideologia sofisticata, solidamente giustificata e propagandata dai media, e a escluderne un altro, definitivamente identificato come un “problema di sicurezza e demografico”, di che segno sono quelle politiche? Quando una comunità viene educata a sentirsi “a casa”, mentre l’altra viene descritta come straniera, estranea, invadente, è necessario porsi delle domande e trovare delle risposte.

Ma non è il caso di persone come Claudio Velardi.

martedì 14 ottobre 2025

La vostra citazione preferita


Avrebbe dovuto far ululare tutti i sostenitori della privacy quanto sta accadendo con lo spionaggio telefonico, e invece solo qualche bisbiglio. Del resto la cosiddetta privacy è solo un’altra delle ridicole trovate in un mondo in cui siamo costantemente costretti a divulgare informazioni private a siti che non meritano la nostra fiducia.

Anche a proposito del disegno di legge europeo soprannominato Chat Control (sembra il nome di un preservativo), che consentirebbe la scansione di tutte le nostre conversazioni di messaggistica, non s’è alzata paglia. L’ultima notizia è che non verrà discusso immediatamente. Sarebbe un’occasione per ricordare a tutti che, in tutto il mondo e con falsi pretesti, il sistema democratico ha una sola ossessione: accedere alle nostre conversazioni private.

In questo 14 ottobre, incastonato tra una conferenza stampa sul movimento pro-democrazia georgiano e una visita degli eurodeputati a un ospedale di Berlino, si è svolto lo studio del “Regolamento sugli abusi sessuali sui minori”, più comunemente noto come “Controllo delle chat”. Di cosa si tratta? I nostri stipendiati di Bruxelles vogliono poter costringere tutte le piattaforme di discussione, dalle e-mail ai servizi di messaggistica più tradizionali come WhatsApp, a scansionare ogni nostro scambio alla ricerca di contenuti pedopornografici.

Questa è una ragione sufficiente per spiare le email di oltre 400 milioni di europei? Un testo che, con la scusa di rafforzare il controllo contro gli abusi sessuali sui minori online, ha il merito di ottenere due riconoscimenti: quello di inefficacia (chiedere in Vaticano) e quello di progetto più liberticida del momento.

La tecnica che verrebbe utilizzata è chiamata “scansione lato client”, e non sono da escludere “numerosi falsi positivi”. Consentirebbe alle polizie (ma non solo a loro) di conoscere tutto ciò che pubblichiamo su qualsiasi piattaforma, di leggere le nostre email non crittografate e la nostra cronologia di navigazione, e, basandosi esclusivamente su un “ragionevole sospetto” (qualunque cosa ciò significhi), metterci nei guai. Tanto più che non sappiamo quale bischero ci stia spiando.

Ciò ricorda anche quanto successo quest’estate in Inghilterra con l’Online Safety Act, la normativa britannica che impone agli utenti dei social media di fornire i propri dati personali, inclusa la carta d’identità, per accedere alle pubblicazioni. Mentre l’obiettivo in questo caso era quello di proteggere i minori dall’esposizione a una serie di contenuti loschi, è stato il resto della popolazione a pagarne il prezzo: rifiutandosi di fornire la propria identità, gli utenti non hanno più avuto accesso a un’ampia gamma di pubblicazioni, inclusi articoli su Gaza o l’Ucraina.

Per concludere, potete inserire qui sotto nei commenti la vostra citazione preferita di Orwell. 

lunedì 13 ottobre 2025

Gli ostaggi palestinesi

 

Anche al parlamento israeliano Trump è intervenuto con il suo solito flusso di coscienza, divertendosi un mondo, inondato di applausi, risate e standing ovation. Lo spettacolo è stato essenzialmente un esercizio di reciproca adulazione tra Trump e Netanyahu, oltre che una celebrazione dell’eccellenza israeliana nei massacri di massa. Trump si è congratulato con Netanyahu per l’”ottimo lavoro”.

Trump si è vantato: “produciamo le migliori armi al mondo e abbiamo dato molto a Israele, [...] e voi le avete usate bene”. Immagina di aver ormai risolto “la catastrofe dei 3000 anni”. Buffone. L’annientamento dei palestinesi, che Trump non ha ovviamente menzionato, non avrà termine. Chi crede questo non conosce la storia dell’occupazione ebraica della Palestina, soprattutto finge di non conoscerne l’ideologia e gli scopi del sionismo.

La performance di Trump alla Knesset ha incluso numerosi discorsi promozionali a favore degli Accordi di Abramo, che ha sottolineato di preferire pronunciare “Avraham”, in ebraico. Sottolineando quanto gli accordi di normalizzazione siano stati vantaggiosi per le imprese, Trump ha dichiarato che i quattro firmatari esistenti hanno già “guadagnato un sacco di soldi come membri”.

Quando Trump ha deciso finalmente di concludere, le sue ultime parole sono state: “Amo Israele. Sono con voi fino in fondo”. Del resto, l’affetto degli Stati Uniti per uno Stato terrorista e genocida non dovrebbe sorprendere nessuno. Il resoconto unanime dei media occidentali rappresenta una finestra su una cultura mediatica che banalizza le sofferenze dei palestinesi e ne devia le responsabilità.

È giusto e ovvio mostrare i festeggiamenti per la liberazione degli ostaggi israeliani, però si tace sulla liberazione degli altri ostaggi, i palestinesi detenuti nelle carceri di Israele. Si dirà che quelli israeliani erano innocenti, mentre colpevoli quelli palestinesi. Su quale base si può giudicare colpevole chi lotta per la liberazione del proprio popolo e della sua terra?

In realtà gli ostaggi palestinesi liberati dagli israeliani non faranno ritorno alle loro case, non solo perché sono state rase al suolo dall’esercito israeliano usando esplosivi prodotti con materiale chimico fornito da società italiane con il placet del governo Meloni (ma poteva essere un governo qualsiasi), ma anche perché sono destinati all’esilio. Infatti, molti di quei prigionieri palestinesi rilasciati in base a un accordo di scambio saranno deportati in paesi terzi.

È una ennesima dimostrazione della violazione del diritto internazionale e dei doppi standard che circondano gli accordi di scambio. Erano detenuti nelle carceri israeliane assieme a circa 1.700 palestinesi rapiti dalla Striscia di Gaza durante i due anni di guerra israeliana, molti dei quali sono stati “fatti sparire forzatamente”, secondo le Nazioni Unite. Sono stati fatti passare tutti come dei terroristi.

Il premio Nobel per la Pace a una fascista, golpista e sionista

Il premio Nobel per la Pace è servito spesso come ricompensa e strumento per legittimare la guerra e consacrarne i fautori. Ciò può apparire paradossale, ma in un mondo dominato dalla rapacità e voracità dell’imperialismo non dovrebbe stupire.

Fu assegnato a Henry Kissinger, indiscusso protagonista della scena bellica e golpista degli anni in cui fu segretario di Stato; al premier israeliano Menachem Begin, ex terrorista dell’Irgun e certamente co-responsabile dei massacri di Sabra e Shatila in Libano; ad Aung San Suu Kyi, il cui governo è stato responsabile di violenze genocide contro la minoranza Rohingya del Myanmar.

Barack Hussein Obama II, nella sua autobiografia, ammise di essere rimasto sorpreso dal conferimento del Nobel. Infatti, nello stesso periodo, le truppe americane erano impegnate nelle guerre in Afghanistan e Iraq, ma anche nel mantenimento del campo di Guantanamo, dove molti prigionieri venivano torturati e incarcerati senza processo.

Insomma, l’assegnazione del premio Nobel è spesso controversa, specie quello per la Pace. Per quanto riguarda l’assegnazione a Obama, l’obiettivo del Comitato Nobel nell’assegnare il premio al presidente americano era quello di «accrescere la sua popolarità», come ha spiegato Geir Lundestad, ex segretario del comitato. Dunque una motivazione del tutto politica.

Che l’assegnazione del Nobel della Pace sia spesso dettata da ragioni politiche è nella storia di tale riconoscimento. Un paio di esempi dovrebbero bastare: Lev Tolstoj e soprattutto Gandhi. Simboli universali della nonviolenza, specie Gandhi, che fu candidato nel 1937, 1938, 1939, 1947. Nel 1948, fu nuovamente tra i candidati per questo premio, ma il 30 gennaio, due giorni prima della chiusura delle candidature, fu assassinato. Il Comitato per il Nobel decise di non assegnare il premio poiché nessun candidato vivente era idoneo.

Quest’anno, assegnare il premio al maggior complice di Netanyahu è sembrato un po’ troppo. Tuttavia se non potevano assegnare il premio al suonatore di organetto statunitense, hanno comunque scelto una delle sue abili scimmie, nella persona di Corina Machado. Il Comitato norvegese per il Nobel ha descritto Machado come «una coraggiosa e impegnata paladina della pace [...] una donna che mantiene accesa la fiamma della democrazia in mezzo a un’oscurità crescente».

Non deve sorprendere il Nobel a Machado, poiché l’anno scorso gli fu assegnato il Premio Sacharov per la Libertà di pensiero (Sacharov si rivolterà nella tomba). C’è una indubbia convergenza d’interessi nel promuovere questa patriota della libertà e riportare all’obbedienza il Venezuela nel cortile di casa di Washington.

Ora, se è impossibile segnalare Maduro come chiaro esempio di democratico (in una ipotetica foto degli attuali leader mondiali ci sarebbe un indubbio imbarazzo nella scelta dell’esemplare migliore), va anche segnalato che nell’aprile del 2002, Machado si precipitò al palazzo presidenziale di Caracas per unirsi al tentativo, congiunto tra militari e multinazionali, di rovesciare il presidente venezuelano eletto Hugo Chávez, firmando il famigerato Decreto Carmona a sostegno del colpo di Stato.

Questa eroina della lotta per una “transizione pacifica verso la democrazia”, candidata alla presidenza alle primarie dell’opposizione del 2012, dove raggranellò il 3,7% dei voti, lanciò la sua ONG Súmate per organizzare la destabilizzazione del Venezuela, sostenuta dagli Stati Uniti e finanziati dal National Endowment for Democracy (NED), un’agenzia creata per portare avanti operazioni precedentemente in carico alla CIA.

Come ha riconosciuto il New York Times la scorsa settimana, “Il gruppo che sostiene l’uso della forza è guidato da Maria Corina Machado”, aggiungendo che “Uno dei consiglieri della signora Machado, Pedro Urruchurtu, ha affermato che la donna si stava coordinando con l’amministrazione Trump e aveva un piano per le prime 100 ore dopo la caduta di Maduro. Quel piano prevede la partecipazione di alleati internazionali, “in particolare degli Stati Uniti”. Si può essere certi che quelle 100 ore sarebbero state altrettanto sanguinose di quelle seguite ai colpi di stato in Cile nel 1973 e in Argentina nel 1976.

Alleata di quel pagliaccio di Edmundo González Urrutia, che sulla base di un sondaggio telefonico guidato dagli USA, si era auto proclamato presidente del Venezuela pur avendo perso le elezioni, il fulcro dell’attività politica di Machado è stata la promozione di sanzioni e misure coercitive che hanno aggravato la crisi economica del Venezuela.

Machado ha dichiarato: «Maduro ha trasformato il Venezuela nella più grande minaccia alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti e alla stabilità della regione». Basterebbe questa dichiarazione per escluderla dall’assegnazione del Nobel, se tale assegnazione non fosse del tutto politica e condizionata dagli interessi statunitensi ed europei.

Insieme a personaggi come Meloni e Milei, Machado è firmataria della carta del Forum di Madrid lanciata dal partito fascista spagnolo VOX.

sabato 11 ottobre 2025

Una fede debole

 

Ieri sera, ormai casualmente, posto che cerco di evitare di vedere personaggi dell’onestà intellettuale di I. Bocchino, ho assistito alla trasmissione condotta dalla signora Gruber. Presente in studio Francesco Rutelli. Stavo per cambiare canale quando è stato inquadrato il più potabile (per me, ovviamente) Massimo Cacciari. Verso la fine della puntata, il Rutelli se n’è venuto fuori con la parolaccia “popolo”. A che Cacciari è sbottato: “Ma quale popolo, il popolo non esiste, è un’astrazione, come l’uomo; esistono invece gli uomini ...”. E qui s’è interrotto, è rimasto a mezz’aria, forse a causa di un versamento di bile che ne ha impedito la consecutio. Immagino volesse altrimenti continuare così: «esistono gli uomini, in carne ed ossa, con i loro precisi interessi; quanto al popolo, non esiste sociologicamente e politicamente, ma esistono le classi sociali. Dunque dobbiamo parlare di rapporti tra le diverse classi sociali, con interessi non solo diversi, ma diametralmente opposti». Ecco, questo avrebbe dovuto aggiungere.

Gli esponenti del centro-sinistra, già incerti nella loro fede liberale e deboli in quella cattolica, mancano di un proprio carattere ideologico nella comunicazione mediatica, semmai ne fossero capaci. Per quanto riguarda segnatamente il prof. Cacciari, che invece di salda fede sarebbe capace, anch’egli dimostra qualche titubanza di troppo. Ma del resto comprendo che: 1) non vuole passare per marxiano, cosa che infatti egli non è; 2) gli viene congeniale l’iconografia che si è data come personaggio dello spettacolo televisivo.

venerdì 10 ottobre 2025

Un prima e un dopo

 

C’è comprensibile euforia tra i palestinesi di Gaza, almeno tra quelli che ci vengono mostrati. Ma immagino vi sia anche ansia poiché di questi “accordi” non sappiamo nulla di preciso, salvo qualche dettaglio. Il resto deve ancora venire, se verrà. L’importante che la strage s’interrompa, che arrivino gli aiuti, che vi sia reale accesso all’acqua e alle cure.

C’è troppa euforia in Europa e negli USA, specie dalle parti di Washington. Il che mi fa pensare che qualcuno c’è o ci fa. Hamas non può sparire da un giorno all’altro, né possono sparire i palestinesi da Gaza (e dalla Cisgiordania). Chi poteva se n’è già andato e per chi resta il destino è segnato. Vivrà di sussidi, di elemosine, di servitù e umiliazioni. Non meno che di apartheid, di rancore e rabbia, di desiderio di vendetta. La borghesia araba ha rilevati responsabilità in ciò che è accaduto negli ultimi decenni.

Non diversamente dalla borghesia israeliana ed ebraica in genere, responsabile a vario titolo della bulimia del progetto sionista. Un progetto che ha avuto e continua ad avere l’appoggio un po’di tutti, senza rendersi conto del pericolo che esso rappresenta. I volenterosi carnefici di Netanyahu, con o senza divisa, hanno avuto dei complici. Il “lavoro sporco” fatto a Gaza non potrà essere dimenticato, non potrà essere cancellato dalla propaganda sionista, dal cinico tentativo di cancellare Gaza con la martellante riproposizione mediatica della persecuzione antiebraica nazi-fascista.

L’intero contesto storico e politico è stato negato. Hamas è un’organizzazione islamista e nazionalista a lungo favorita da Israele come contrappeso all’OLP, trasformata in uno strumento compiacente, che ha portato all’ascesa degli islamisti più radicali in Palestina. L’attacco di Hamas è stato descritto come un atto di terrorismo improvviso (non è stato un attacco a “sorpresa”) che ha colpito un Israele pacifico, anziché come una reazione ai 75 anni di brutale oppressione dei palestinesi e alla trasformazione di Gaza in una prigione a cielo aperto. C’è un prima e un dopo.

giovedì 9 ottobre 2025

Se lo merita

 

Quest’anno il Nobel per la Letteratura ha un nome impronunciabile; quello per la Pace potrebbe avere ugualmente un nome impronunciabile, ma per altri motivi.

Personalmente avrei conferito il Nobel per la Letteratura all’innominabile che si agita alla Casa Bianca, per la sua opera The Art of the Deal, che raggiunse lo status di bestseller negli Stati Uniti e fu adottato alla Bocconi alla fine degli anni ’80, quindi per i suoi post sulla piattaforma Truth Social e per aver saputo scegliere le parole migliori. Non a caso ha arricchito la lingua americana con neologismi originali come “covfefe” (vedi alla relativa voce) o “Gulf of America”, che sono diventati parte del linguaggio quotidiano. Nonché per la struggente descrizione delle isole di Langerhans, che saranno presto annesse agli Stati Uniti.

Propongo la seguente motivazione: “Ha plasmato la letteratura mondiale per anni, le sue brevi opere in prosa sui social media irritano, spaventano, divertono e rattristano. Come uno specchio grottesco e deformante, rivelano le profondità dell’esistenza umana e, in ultima analisi, rivelano la realtà del potere altrimenti mascherato. Questo risultato è ancora più impressionante se si considera che i suoi colpi di genio letterario di solito nascono spontaneamente nel giro di pochi minuti, mentre mangia cheeseburger o in bagno”.

Non mi resta che segnalarlo per il Nobel 2026 per la Fisica, per il 2027 per quello della Chimica e per il 2028 quello per la Numismatica.

Due errori nello stesso titolo, complimenti.