lunedì 22 dicembre 2025

Hanno assassinato Mozart

 

Elvis, come tutti sappiamo, era un alieno che ora è tornato sul suo pianeta natale. Paul McCartney è morto ed è stato sostituito da un sosia. Quanto a Mozart, se è realmente esistito, è morto avvelenato dal suo rivale di lunga data, Antonio Salieri.

L’ipotesi omicidiaria è stata messa per iscritto nel breve dramma da Aleksandr Puškin, Mozart e Salieri, che ha ispirato l’opera teatrale Amadeus di Peter Shaffer, su cui Miloš Forman ha poi basato il suo omonimo film, che ha vinto otto Oscar nel 1985.

Ho appena visto la prima puntata di Amadeus, la nuova serie televisiva ispirata a Mozart adulto. La puntata inizia con un anziano Salieri che tenta il suicidio gettandosi da una finestra. La vedova di Mozart, Constanze, si reca da lui e Salieri confessa il suo crimine: ha cercato di distruggere la reputazione del suo odiato avversario, arrivando persino a ucciderlo.

La scenografia è di buon livello, dunque di un livello irraggiungibile dagli attuali registi e scenografi italiani. La regia è dell’inglese Julian Farino, noto, si legge su Wikipedia, per aver diretto altre serie televisive. Già nella prima puntata, si è concesso una licenza poetica: Salieri si masturba a scena aperta e si pulisce con i fogli dello spartito. Povero Antonio.

Paragonare la serie al capolavoro di Forman sarebbe un esercizio inutile. La famosa risata acuta e infantile dell’attore statunitense Tom Hulce è stata sostituita dal linguaggio volgare del talentuoso Will Sharpe. Anche in tal caso un dettaglio da segnalare, che riguarda la fisionomica dell’interprete di Mozart: è un asiatico, figlio di una giapponese e di un inglese. Penso abbia preso tutto dal nonno paterno. Mozart ne sarebbe entusiasta.

Non so se vedrò la seconda puntata e poi anche le altre tre.

Che cosa ci aspettiamo dal capitalismo?

 

Ieri sera ho visto in tv una parte della puntata di Report (Raitre), quella dove si parla della carne scaduta, anche da anni, che viene riciclata e rimessa in commercio. La puntata sulla carne mi pare faccia seguito di un precedente analogo servizio che non ho veduto. Ebbene, a un certo punto una voce fuori campo, quella di un operaio addetto alla macellazione, dice: ma che cosa vi aspettate da un prodotto di carne, impanata, farcita di verdure e venduta a 4,5 euro? Esatto, che cosa ci aspettiamo da un olio di oliva detto extravergine venduto a meno di dieci euro il litro? Da vino venduto a 2 o 3 euro il litro? E via di seguito.

Perché stupirsi che quella carne putrefatta finisca in scatola di marchi prestigiosi (prestigiosi perché molto pubblicizzati) e in vasetti di ragù venduti a un prezzo vile, ma anche a caro prezzo? Che finisca nella ristorazione delle navi da crociera o nella refezione delle scuole? Se la spazzatura venduta per cibo destinato all’alimentazione umana provoca problemi di salute, tanto meglio. Si chiama diversificazione degli investimenti.

Già Marx, en passant, si era occupato dell’adulterazione del pane (I, 3 sez., cap. 8), rilevando come “il capitale è indifferente di fronte al carattere tecnico del processo di lavoro del quale si impadronisce”. Il capitalista non ha alcun interesse e riguardo su che cosa viene prodotto e come avviene la produzione. Per esempio, se al posto delle macchine ci sono degli schiavi, se invece di persone adulte vengono impiegati dei bambini.

Dunque, che cosa ci aspettiamo dal capitalismo? Il capitalismo è questa roba qua: non c’è alcuna differenza tra produrre portaerei o navi da crociera, antibiotici o gas nervino, vino grand cru o all’etanolo, oppure panettoni con margarina e tuorli d’uovo israeliani o cinesi in barile. Ciò che conta, per il produttore, per gli azionisti, è la competizione sul mercato, alias i margini di profitto.

Si denuncia, quando accade e cioè molto raramente, la carenza di controlli. Si attribuisce la responsabilità della situazione al singolo produttore, quindi all’individuo colpito, il quale deve impegnarsi a migliorare la propria dieta per prevenire problemi di salute (il budget alimentare non viene preso in considerazione). Ma, immersi come siamo nell’ideologia di mercato, chi pone la questione che si tratta di una forma strutturale di violenza? Chi mette più in discussione il capitalismo?

Alla radice degli squilibri agricoli e alimentari, dei danni alla salute fisica e mentale delle persone, c’è il modo di produzione capitalistico, che genera varie forme di violenza: la filiera alimentare globalizzata si basa su una storia di sfruttamento coloniale e su rapporti di potere ineguali tra i paesi. Le materie prime agricole sono soggette a speculazione come qualsiasi altra sui mercati finanziari. Inoltre, l’immagine dell’agricoltore e allevatore indipendente e libero è un mito. La stragrande maggioranza della popolazione acquista attraverso la grande distribuzione, che è controllata da pochi grandi gruppi.

Ricordiamoci che la frode e la falsificazione sono strumenti comuni dell’azione economica capitalistica.

domenica 21 dicembre 2025

Che tempi sono questi?

 

Ci sono tante forme di violenza. C’è anche quella mediatica. I padroni del mondo con i mass media hanno preso il controllo dei pensieri delle persone e governano attraverso la menzogna. La più grande menzogna è chiamare democrazia questo sistema. Un esempio concreto: non si può essere democratici senza essere antifascisti. Chi può sostenere che a governare sono degli antifascisti?

È già molto sintomatico che dobbiamo costantemente spiegare che per essere democratici bisogna essere antifascisti. Eppure l’ascesa del nuovo fascismo e il suo arrivo al potere, un fatto che pochi decenni addietro sarebbe parso inaudito, non ha prodotto la preoccupazione che meritava. Anzi, siamo di fronte a una generale autocensura pubblica.

Che tempi sono questi in cui bisogna spiegare le cose più ovvie? Il fascismo non è solo un’ideologia, oggi è mascherato da populismo reazionario e un certo libertarismo. Tra i giovani essere neofascisti è visto come un atteggiamento anti-establishment. È una tendenza globale.

I media mainstream spesso rappresentato l’ordine democratico non come lotta contro il risorgente fascismo, ma contro l’azione di piccoli gruppi di sinistra dei centri sociali che a volte si comportano in modo violento, incendiando cassonetti della spazzatura e cose simili.

Il problema fondamentale è che abbiamo a che fare con una generazione precaria e frustrata, bombardata da messaggi reazionari ben congegnati. Dunque, i giovani non sono il problema; sono il sintomo di altro.

Teppisti di Stato

 

L’UE si astiene dall’utilizzare i beni statali russi per mantenere a galla l’Ucraina. Invece, erogherà un credito congiunto a Kiev di 90 miliardi di euro nei prossimi due anni come sovvenzione praticamente a fondo perduto. Infatti, l’Ucraina sarà tenuta al rimborso solo se riceverà riparazioni di guerra dirette dalla Russia. Ora Bruxelles non avrà altra scelta che spennare la popolazione europea. Non tutta, solo quella che paga le imposte alla fonte, che per quanto riguarda gli altri, ovunque ci si arrangia.

Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria hanno garantito il loro consenso alla soluzione del prestito con la promessa di non essere obbligate a rimborsare i debiti dell’UE con l'Ucraina in proporzione alla loro quota di produzione economica dell’UE. Loro sanno come mungere la vacca.

Tuttavia, i fondi ora promessi coprono solo circa la metà del fabbisogno finanziario dell’Ucraina per la guerra e il continuo funzionamento dello Stato (corruzione compresa). Il FMI aveva recentemente ipotizzato che l’Ucraina potesse dichiarare default entro il secondo trimestre del 2026 al più tardi. Questo sembra essere stato scongiurato per il momento, anche se sono ancora possibili sorprese.

Politicamente decisivo, tuttavia, è il fatto che il vertice non sia riuscito a raggiungere un accordo sul piano, sostenuto dalla presidente della Commissione Ursula Gertrud Albrecht e dal cancelliere tedesco Joachim-Friedrich Merz, di sequestrare i beni statali russi congelati in Belgio per sostenere l’Ucraina. Questa opzione ha incontrato l’opposizione non solo del primo ministro belga, Bart Albert De Wever, ma anche di una coalizione di diversi Paesi: Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Bulgaria, Cipro, Malta e Italia.

Volodymyr Oleksandrovyč Zelenskyj ha elogiato la decisione dell’UE, definendola una “garanzia di sicurezza finanziaria per i prossimi due anni”. Del resto, che doveva dire posto che gli regalano un sacco di soldi? Il parlamentare ucraino Mykola Knyashitskyi ha scritto che l’UE è una “superpotenza economica” e può permettersi di sostenere il suo paese per gli anni a venire.

Intanto, la “superpotenza economica” continuerà a pagare il doppio per il gas rispetto a prima della guerra. E siamo anche in attesa che la signora Albrecht firmi l’accordo di libero scambio con Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay. Vista la reazione degli agricoltori francesi e italiani, i capi di Stato e di governo non hanno concesso alla signora libero-scambista il mandato di recarsi in Brasile nel fine settimana, come inizialmente previsto, per firmare l’accordo. La ratifica è ora prevista per gennaio.

sabato 20 dicembre 2025

Cacao Meravigliao

 

Nel XVIII secolo, tè e caffè erano diventati le bevande preferite dei salotti “illuministi”, mentre il cioccolato per colazione aveva ben poco in comune con la cultura borghese. Cioccolato e cacao non rientravano tra i piaceri degli adulti come il caffè e il tabacco. Il cioccolato fu rivalutato con l’emancipazione della borghesia alla fine del secolo e il conseguente livellamento degli status symbol di corte. Werner Sombart sottolineò presto l’importanza dei consumi di lusso per lo sviluppo del capitalismo, e il cioccolato rientrava tra questi lussi (nessuno ha bisogno del cioccolato per sopravvivere).

L’integrazione del cioccolato nel modello di genere borghese era evidente anche nella pubblicità. In generale, intorno al 1900, donne e bambini venivano raffigurati molto più frequentemente degli uomini nelle pubblicità del cioccolato, e mentre le donne erano spesso ridotte al loro ruolo di casalinghe e madri, gli uomini apparivano solo come autorità (medici, insegnanti) che raccomandavano il consumo di cioccolato.

Insomma, c’è voluto un bel po’ di tempo perché il cioccolato diventasse un bene di consumo di massa e dunque un piacere alla portata di tutti. Il periodo natalizio e quello pasquale sono, in particolare, i periodi del cioccolato. Potrebbe essere anche un’occasione per ricordare le pratiche di sfruttamento nella produzione della materia prima, ma queste sono semplicemente taciute. Il vero quarto potere è quello degli inserzionisti.

In Costa d’Avorio, principale produttore mondiale di fave di cacao, si stima che 1,5 milioni di bambini lavorino nelle piantagioni. In piccoli gruppi, questi bambini, spesso provenienti da Paesi vicini (per esempio, dal Burkina Faso o dal Benin) e venduti dai genitori che non riuscono a sfamarli, raccolgono il cacao. Potranno lasciare la piantagione solo quando avranno 17 o 18 anni.

Lavorano duramente per almeno otto ore al giorno, sei giorni alla settimana, e il pagamento di un salario è un’eccezione (un piccolo compenso viene inviato al loro padre). «I bambini molto piccoli non devono più svolgere i lavori più duri», afferma Euphrazie Aka, direttrice per l’Africa occidentale dell’International Cocoa Initiative. Che precisa: «Ciò significa, ad esempio, trasportare carichi pesanti, spruzzare sostanze chimiche o maneggiare utensili affilati». Non dice che non devono essere impiegati, ma solo che devono essere esentati dai “lavori più duri”.

I pesticidi vengono spruzzati senza alcun dispositivo di protezione, se questi adolescenti si tagliano accidentalmente con un machete, devono arrangiarsi. La domenica è un giorno di riposo, che i bambini usano per cacciare i topi, poiché devono provvedere a sé stessi. Oltre allo sfruttamento del lavoro minorile, la nostra bulimia di cioccolato sta causando una deforestazione allarmante in Costa d’Avorio, persino all’interno dei parchi nazionali. Tutti i principali produttori di cioccolato, come Mars, Mondelez e Nestlé, acquistano cacao da lì e traggono profitto dalla sua produzione illegale.

Rinunciarvi? Gustarne un pezzetto ogni giorno, ricordandosi da dove proviene la materia prima.

venerdì 19 dicembre 2025

Il santo natale visto da Washington

 

A proposito di spese per gli armamenti, i dirigenti e gli azionisti delle aziende statunitensi che si occupano della produzione di armi possono festeggiare alla grande e chiudere l’anno con il botto (in senso letterale). Mercoledì il Senato ha approvato un disegno di legge per un altro bilancio della guerra da record, pari a 901 miliardi di dollari. È stato approvato con 77 voti favorevoli e 20 contrari. Tanto per dire che anche negli Usa esiste un’opposizione!

Con un aumento di quasi il 6%, il disegno di legge approvato rappresenta il maggiore incremento della spesa militare statunitense in 15 anni, secondo lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), che include anche altre spese “relative alla sicurezza”. Dei 2.700 miliardi di dollari investiti nella “difesa”, ovvero nella guerra, in tutto il mondo lo scorso anno, più di un terzo è appannaggio degli Stati Uniti, paese arbitro internazionale della democrazia e dei diritti umani.

Washington ha investito più risorse nelle spese militari di quelle dei nove paesi successivi messi insieme: Cina, Russia, Germania, India, Gran Bretagna, Arabia Saudita, Ucraina, Francia e Giappone (notare la posizione raggiunta dalla Germania). Sebbene l’espansione di vari accordi di cooperazione militare tra Stati Uniti e Israele sia sancita dalla legge, non è ancora chiaro quanto gli Stati Uniti finanzieranno per il genocidio dei palestinesi. Dal 7 ottobre 2023, Washington ha fornito circa 22 miliardi di dollari in “aiuti militari” alle forze di occupazione israeliane, secondo gli ultimi dati della Brown University.

Come prolungare la guerra in Ucraina

 

I capi di stato e di governo dei 27 paesi Ue si sono riuniti a Bruxelles per l’ultimo Consiglio europeo dell’anno. Tema principale: come prolungare la guerra in Ucraina. Per questo scopo serve finanziare l’Ucraina per i prossimi due anni. Il fabbisogno finanziario è stato stimato in 137 miliardi di euro, con l’Unione Europea che si è impegnata a coprirne due terzi, ovvero 90 miliardi di euro. La parte restante sarà fornita dagli altri alleati dell’Ucraina, come Norvegia e Canada.

Sia la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, sia il presidente del Consiglio europeo, il portoghese Antonio Costa, hanno avvertito che i leader dell’UE non avrebbero potuto abbandonare il summit finché questo obiettivo non fosse stato raggiunto.

Si prevedeva o l’emissione di debito garantito a livello Ue (ma la Banca Centrale Europea non vuole fornire garanzie per i prestiti destinati all’Ucraina poiché sa che non verranno restituiti), oppure un prestito basato sui beni russi congelati, principalmente riserve della Banca Centrale Russa in Europa. Ma non tutti i Paesi europei erano d’accordo su questa opzione, che minerebbe la reputazione della piazza finanziaria dell’UE e quindi anche dell’euro.

Non è noto a molti, ma durante le due guerre mondiali i beni esteri tedeschi non erano stati toccati prima della conclusione di un trattato di pace. L’UE si stava avventurando in un territorio giuridico inesplorato. Non solo giuridico: si trattava di una formale dichiarazione di guerra alla Russia.

Alla fine si è deciso che 90 miliardi a Kiev verranno finanziati a tasso zero dal bilancio dell’Unione Europea (vale a dire con i soldi di chi paga le tasse) senza attingere ai beni russi congelati. Ciò che è demenziale in tutta questa faccenda che si trascina da decenni, è il fatto che la UE, ovvero il partito della guerra che governa la UE, considera la Russia un avversario strategico. La Cina può stare tranquilla e continuare a fare shopping qui da noi.

giovedì 18 dicembre 2025

Premio Nobel per la Guerra

 

Il fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, ha presentato ieri una denuncia penale in Svezia contro la Fondazione Nobel e 30 singoli membri della fondazione stessa, accusandola di aver trasformato il Premio Nobel per la Pace in uno “strumento di guerra”. Il giornalista accusa in particolare la presidente della Fondazione Nobel, Astrid Söderbergh Widding, e la direttrice esecutiva, Hanna Stjärne, di abuso di fiducia, appropriazione indebita di fondi della fondazione e complicità in crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Ciò anche a seguito dell’assegnazione del Premio Nobel per la Pace 2025 alla golpista venezuelana María Machado. La denuncia è stata presentata contemporaneamente alla all’Autorità svedese per i reati economici (Ekobrottsmyndigheten) e all’Unità svedese per i crimini di guerra (Krigsbrottsenheten) per violazione della fiducia, appropriazione indebita grave e associazione a delinquere.

La Fondazione Nobel ha agito in violazione degli obblighi della Svezia ai sensi dello Statuto di Roma, poiché gli imputati erano a conoscenza dell’incitamento e dell’appoggio di Machado alla commissione di crimini internazionali da parte degli Stati Uniti, e sapevano o avrebbero dovuto sapere che l’erogazione del premio Nobel avrebbe contribuito alle uccisioni extragiudiziali di civili e naufraghi in mare, violando il loro obbligo di cessare l’erogazione. Assange chiede che il pagamento del premio di undici milioni di corone svedesi (circa 1,18 milioni di dollari) a Machado venga immediatamente interrotto.

Assange giustifica la sua affermazione citando il testamento di Alfred Nobel del 1895. Esso stabilisce chiaramente che il Premio Nobel per la Pace debba essere assegnato a una persona che, nell’anno precedente, abbia dato un contributo speciale e “conferito il massimo beneficio all’umanità”, svolgendo “il maggior o il migliore lavoro per la fratellanza tra le nazioni, per l’abolizione o la riduzione degli eserciti permanenti e per la tenuta e la promozione di congressi per la pace”.

Questa restrizione si applica, indipendentemente dalle decisioni politiche prese dal Comitato norvegese per il Nobel, agli amministratori svedesi dei fondi della fondazione, che sono legalmente responsabili del rispetto del testamento di Nobel. Gli imputati hanno obblighi legali concreti perché hanno il compito di “garantire il raggiungimento dello scopo previsto dal testamento di Alfred Nobel, ovvero porre fine alle guerre e ai crimini di guerra, e non di favorirli”.

Nei fatti, Machado ha ripetutamente istigato un intervento militare contro il Venezuela e ha pubblicamente sostenuto gli attacchi statunitensi contro il Paese. Nel testo della denuncia, Assange contesta anche le posizioni di Machado favorevoli a una possibile concessione delle risorse petrolifere del Paese agli Stati Uniti in caso di caduta del presidente Nicolás Maduro.

Inoltre, la cerimonia di premiazione ha coinciso con un periodo di escalation militare nei Caraibi, dove gli Stati Uniti hanno ammassato navi da guerra e bombardato presunte navi della droga per settimane. Con l’erogazione del premio in denaro, questa escalation è indirettamente legittimata e sostenuta finanziariamente. “Il fondo per la Pace di Alfred Nobel non può essere trasformato da strumento di pace in strumento di guerra”, ha affermato, citando infine le dichiarazioni della golpista venezuelana a sostegno del premier israeliano Benjamin Netanyahu, ritenute incompatibili con lo spirito del riconoscimento.

Machado ha dedicato il premio al presidente degli Stati Uniti Trump, perché “ha finalmente posto il Venezuela [...] tra le priorità degli Stati Uniti”. Va ricordato che María Machado è la figlia di un magnate dell’acciaio, già proprietario dell’industria siderurgica Sivensa, nazionalizzata da Hugo Chàvez.

martedì 16 dicembre 2025

È promettente

 

«L’uomo è la somma delle sue esperienze climatiche [...]. L’uomo è la somma di tutto quello che vuoi.»

In questa stagione regna la tristezza, e non solo perché non posso più andare in giardino e cala la sera alle 16. Non solo l’angoscia di vivere e non vivere veramente, ma anche quella che vive nella mia testa e che ha a che fare con la depressione politica, tormento sconosciuto ai più. È come se tutti non solo si fossero rassegnati, ma trovassero vantaggioso abbracciare la prospettiva del peggio. Che è promettente.

Basta vedere quei personaggi del circoletto mediatico e politico che si sono spudoratamente esibiti nel presepe fascista, con lo stesso spirito di totale impudenza che un tempo contraddistinse i portavoce craxiani e poi altri ancora. L’Italia, la Germania, la Francia sono pronte o si preparano a essere sodomizzate dal fascismo (che non è solo Meloni, Le Pen, Weidel: c’è molto altro); ancora una volta e ne stanno già godendo: le oligarchie sono favorevoli, hanno già dato i loro ordini e i contratti sono pronti, tutto va per il meglio in questa Europa di affari marci.

In questi nostri giorni incerti, vi sono politici, generali e ammiragli che invitano le famiglie a prepararsi. A che cosa? A donare i propri figli alla patria. Una pressione diretta contro tutti, e ciò malgrado tutto avviene senza che la gente insorga e li rincorra con l’accetta per farli a pezzi. Almeno un mormorio! Niente.

O un accordo su tutto, o nessun accordo

 

In ogni foto, di qualunque consesso internazionale, Meloni è ai margini. Per una foto con lei al centro ha bisogno dell’autoscatto. Quelle dove guaisce, gli riescono meglio.

I colloqui tra Stati Uniti e Ucraina presso la Cancelleria di Berlino si sono conclusi ieri pomeriggio, dopo due giorni. Il governo tedesco, che ha ospitato i colloqui, non è stato coinvolto nelle discussioni, né lo sono stati gli altri Stati membri dell’UE. Nella sostanza gli europei hanno fornito il servizio di catering per la cena.

Con la moltitudine di piani, contropiani, proposte e “linee rosse” riguardo a una possibile fine della guerra in Ucraina, l’unica parte con cui sarebbero necessari negoziati per qualsiasi progresso, la Russia, è completamente assente dalla trattativa. La Russia vuole chiaramente negoziare “tra padroni”, ossia con Washington (chi, come Prodi, pensa che la Cina si faccia coinvolgere, non ha capito nulla della Cina, né della Russia e di tutto il resto).

Domenica, Zelenskyj ha dichiarato la volontà di rinunciare all’adesione alla NATO. Ciò sarebbe subordinato a garanzie di sicurezza da parte degli Stati Uniti, modellate sull’articolo 5 dell’Accordo sullo status delle forze armate della NATO. L’articolo 5 non stabilisce automaticamente la mutua assistenza. In caso di attacco, gli altri Stati membri interverranno in aiuto del Paese attaccato in qualsiasi modo ritengano appropriato e opportuno farlo.

Il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha affermato che la questione NATO era una “pietra angolare” di tutti i colloqui sulla fine della guerra; tuttavia, qualsiasi potenziale ritiro ucraino avrebbe dovuto essere dichiarato giuridicamente vincolante ai sensi del diritto internazionale. Infatti, che cosa succederebbe se, alle prossime elezioni statunitensi, un presidente democratico tornasse alla Casa Bianca e ribaltasse la situazione? Putin non è credulone come Gorbaciov.

Peskov ha affermato che il presidente Putin sarebbe pronto per la pace, ma non è interessato ad “alcun trucco mirato esclusivamente a guadagnare tempo e creare tregue artificiali e temporanee per l’Ucraina”. Infatti, ha appena ordinato alle sue truppe di continuare l’”operazione speciale” fino al raggiungimento di tutti gli obiettivi politicamente definiti.

Il generale russo responsabile del settore settentrionale del fronte ha riferito che erano in corso dei preparativi per intensificare gli attacchi nelle regioni di Sumy e Kharkiv. Si tratta di regioni che, secondo tutte le versioni note del piano Trump, dovrebbero essere restituite all’Ucraina. Pertanto, un’offensiva non avrebbe senso se fossero stati stipulati accordi precedenti. Al contrario, la comunicazione della Russia è un messaggio alla controparte: finché non si raggiunge un accordo su tutto, non si raggiunge un accordo su nulla. Non siamo interessati a soluzioni parziali.

Posto che si stia andando davvero verso la pace (personalmente non lo penso, la UE non vuole riconoscere la sconfitta), si andrà verso una nuova Yalta. Se l’Ucraina ha perso la guerra, la UE ha perso la faccia per sempre. Ha perso l’occasione di stabilire un asse strategico con la Russia, e col voltafaccia trumpiano diventa solo una bandierina al vento. Perciò gli ultra liberali europei si stanno agitando freneticamente e ruggendo come tigri. La loro pelle finirà come zerbini. Purtroppo assieme alla nostra.

lunedì 15 dicembre 2025

La sagra fascista

 

La vittoria alle elezioni e la conquista del potere ha rinvigorito, anche ideologicamente, la nuova destra fascista italiana, ed è per tale via che vorrebbe imporre alcuni dei suoi temi culturali. La consacrazione di una “cultura” con risonanza metafisica e ontologica, che tenta di forgiare una propria tradizione attingendo in particolare alla mitologia dell’indoeuropeismo come ricerca della patria primordiale e un comunitarismo di stampo nativo-americanista (con nonchalance le due cose insieme).

Tuttavia, la concezione ideale e concreta del nuovo fascismo rimane quella di una società profondamente etno-differenzialista che adotta come fondamento non il demos della comunità politica, ma l’ethnos della comunità culturale. Non deve dunque meravigliare come tale approccio, incentrato sulla difesa dei popoli e delle tradizioni europee, sia riuscito a conquistare molti ambiti, partendo da una base ristretta, per diventare la matrice di un intero pensiero politico di destra contemporaneo.

Non a caso viene messa in discussione la cittadinanza per nascita a favore di quella per discendenza, poiché l’obiettivo non è quello di legare cittadinanza e nazionalità, ma di naturalizzare il problema della cittadinanza collegandolo alla questione dell’origine. Su questa vexata quæstio dell’universalismo, fatto proprio tout court dalla sinistra, la destra vince tre a zero a tavolino. Joseph de Maistre ricordava di aver incontrato russi, tedeschi e inglesi, ma nessun uomo. Gratta col ditino nell’ideologia della destra e appare questa merda qua.

L’etno-diferanzialismo però non basta, servono altri padri nobili per ammantarsi di una caratura culturale di peso. Il richiamo a Pasolini, mai troppo amato a sinistra, quindi ad un cosiddetto “gramscismo di destra”, che altro non è che un gramscismo da mensa studentesca. Così come tutto il resto, i loro riferimenti e richiami sono di scarsa complessità e profondità, incapaci di pensare alle idee come produzioni storiche.

Un esempio paradigmatico è il ministro della cultura Giuli, che vorrebbe presentarsi con l’immagine dell’esteta per far dimenticare di essere un ideologo di seconda mano del nuovo fascismo. Lo stesso ineffabile ministro che alla Fiera del libro di Torino acquista le opere complete di Marx ed Engels. Per farne che cosa è facilmente intuibile, posto che il marxismo in Italia nella migliore delle ipotesi è ridotto ad un economicismo.

Leggo, oggi, che viene citato l’incontro tra Nietzsche e Marx a Nizza il 5 maggio del 1882 (*). Cosa ovviamente del tutto inverosimile, ma che al brodo sottoculturale di questa genga neofascista risulta intrigante. Ora, non ci resta che attendere che questi “nuovi” fasci risorti dalle fogne attacchino la sinistra cialtrona con il pretesto di difendere il comunitarismo.

In conclusione, il finto distacco del fascismo odierno dalla sua matrice originaria non deve ingannarci: è semplicemente ipocrita, indisponibile a chiarire la sua effettiva posizione e rispondere del peso tragico del fascismo.

(*) L’incontro tra i due ovviamente non è mai avvenuto. Vero è che Marx, proveniente da Algeri e sbarcato a Marsiglia il 5 maggio mattina, prima di raggiungere, il giorno dopo, Monte Carlo, per incontrarsi col dott. Delachaux, médicin-chirurgien, si ferma a Nizza (Nice), visita la città e i suoi dintorni. Che Nice possa aver alimentato qualche mediocre fantasia è pure possibile. Tra le altre cose, sarebbe stato improbo riconoscere Marx nelle sue nuove fattezze, in quanto pochi giorni prima, ad Algeri, s’era fatto radere a zero la celebre barba e tagliare i capelli (vedi: Marx ad Engels, lettera dell’8 maggio 1882, Lettere 1880-1883, ediz. Lotta comunista pp. 201-03; MEW, vol. 35, pp. 60).

domenica 14 dicembre 2025

Una pietra miliare


Post dedicato al sig. Graziano Delrio

Si finge preoccupazione per il cambio di proprietà di un paio di giornali. Liberal-cialtroni e filosionisti possono stare tranquilli: la linea editoriale, ossia ideologica, non cambierà. Non c’è da preoccuparsene in un sistema totalitario come il nostro, che con feroce delicatezza ci garantisce una certa opulenza in cambio di sostanziale obbedienza e credulità. Salvo e di rigore la “disciplina nella spesa pubblica”, vale a dire ulteriori tagli ai servizi.

Siamo a tutti gli effetti nel pieno di una situazione rivoluzionaria, tanto che si discorre ad ampio raggio di “distruzione creativa”, guidata ovviamente dall’intelligenza artificiale. Tradotto: affossare il vecchio capitale industriale a favore della “innovazione di frontiera”. Non possono che venire in mente le parole di Marx del Manifesto. Poi, di qui a un lustro o due, quando ci si accorgerà che il “nuovo” capitalismo si troverà di fronte ad ancor maggiori difficoltà nel far compiere il necessario salto organico al capitale, saremo tutti nella merda. Chi più e chi meno, al solito.

In nome della “distruzione creativa” passeremo dalla corsa al riarmo alla produzione bellica tout court. Dal lato popolare (chiamo così l’astrazione interclassista), nessuno vuole distruggere tutto e invece ognuno tende a conservare la posizione acquisita. La cosiddetta maggioranza globale non chiede una rivoluzione, nonostante l’accumulo di gigantesche contraddizioni.

Ci accontentiamo, di volta in volta, di un buon natale, con tutti gli eccessi connessi, compresa la libertà di credere o non credere nel momento stesso in cui piazziamo il bambinello ebreo nel presepe. Il natale è una pietra miliare cruciale nella storia, l’individuo la cui memoria viene onorata era una persona a dir poco straordinaria. Mi chiedo se oggi Gesù sarebbe un colono israelita con il mitra o un soldato di Netanyahu. In entrambi i casi, un assassino. 

venerdì 12 dicembre 2025

La dottrina Trump

 

Ai più non importerà nulla, presi come siamo dalle nostre piccole beghe domestiche. Ed è inutile chiedere ai grandi democratici e liberali che popolano i quartieri televisivi che cosa ne pensino. Si tratta dell’oligarchia statunitense (che esista, non c’è più alcun dubbio), la quale sta seguendo le orme dei suoi nuovi modelli di riferimento, i signori della guerra del Corno d’Africa, che da anni si danno alla pirateria.

Il fatto: mercoledì, militari statunitensi, calandosi dagli elicotteri come in un film d’azione a basso costo, sono saliti a bordo e hanno sequestrato una petroliera in navigazione vicino alla costa venezuelana. Secondo quanto riportato dai media statunitensi, la petroliera è la Skipper, carica di 1,1 milioni di barili di petrolio che dal Venezuela era diretta a Cuba. Il Procuratore Generale degli Stati Uniti, Pam Bondi, ha spiegato che la nave era sulla lista delle sanzioni statunitensi perché in precedenza aveva trasportato petrolio sanzionato dall’Iran e dal Venezuela.

Uno dei circa 200 Stati esistenti nel mondo decide di irrogare sanzioni economiche a destra e a manca, come gli pare e piace, quindi di sequestrare beni e, in questo caso, una petroliera. Tutto normale e giustificato dalle parti dei patrioti della libertà e dei diritti umani. Sono fascisti, ma loro ancora questo non lo sanno.

Il Venezuela, che ha bisogno dei proventi del petrolio per finanziare le importazioni di cibo e medicinali, ha protestato contro l’attacco statunitense alla petroliera. Il Ministero degli Esteri di Caracas lo ha definito “una rapina sfacciata e un atto di pirateria internazionale”. Questo è giuridicamente corretto: il diritto internazionale garantisce la libertà di navigazione in alto mare. Le sanzioni statunitensi, come quelle contro il petrolio iraniano o venezuelano, non si applicano comunque lì.

Ma quelle delle autorità venezuelane sono parole al vento, non servono a nulla. Washington capisce solo il linguaggio della forza. La Storia degli Stati Uniti è una storia di genocidio, di persecuzioni, soprusi e atti di violenza contro chi non può difendersi. Ora assistiamo a una ripresa ufficiale della Dottrina Monroe, con un “addendum Trump” che va definendosi (Trump ha annunciato che “succederanno altre cose”).

Anche l’UE, i cui Paesi possono vantare una storia invidiabile di crimini contro l’umanità (Spagna, Germania, Francia, Italia, Belgio, Portogallo, eccetera) sta discutendo il sequestro di petroliere che trasportano petrolio straniero, russo, nel Mar Baltico, sebbene sia ancora un po’ titubante nella pratica. Ci provassero.

L’attacco alla petroliera e il suo successivo sequestro sono avvenuti lo stesso giorno dell’assegnazione del Premio Nobel per la Pace alla golpista venezuelana Machado, che sostiene apertamente il rovesciamento del presidente Nicolás Maduro attraverso un’invasione statunitense.

Si prevedono ulteriori attacchi alle petroliere che trasportano petrolio venezuelano; l’agenzia Reuters ha riferito che oltre 30 navi sono state considerate “a rischio”. Tuttavia, la società statunitense Chevron rimane attiva in Venezuela, organizzando l’esportazione di petrolio venezuelano verso gli Stati Uniti per profitti sostanziali. Sarà inoltre interessante vedere se la coraggiosa amministrazione Trump oserà sequestrare le petroliere dirette in Cina, destinazione della maggior parte delle esportazioni di petrolio venezuelano.

giovedì 11 dicembre 2025

Prevalgono le dimensioni

 

Lunedì, sul quotidiano statunitense Politco, Trump ha offerto questa autovalutazione, confezionata come opinione comune: “Sono considerato una persona molto intelligente”. Per la sua eccentricità e il suo narcisismo sconfinato non rientra per nulla negli schemi consolidati dell’establishment americano, ma a volte ci vuole un pazzo per imporre la ragione. Ad esempio, nel caso di una guerra che costa innumerevoli vite e non può essere conclusa senza compromessi territoriali.

Come businessman, a differenza degli invasati guerrfondai leader europei e dei rappresentanti della NATO, Trump ha una visione sobria della situazione negoziale in Ucraina: ritiene che la guerra sia dannosa per i profitti. Allo stesso tempo, sottolinea che nessuno dovrebbe morire (a meno che non siano venezuelani). Alla domanda su quale delle due parti in guerra sia in una posizione più forte, risponde senza esitazioni: “La Russia”. Non gli interessa cosa sia giusto o sbagliato: “Sai, alla fine, di solito prevalgono le dimensioni”.

Gli chiedono: “E Zelenskyj?” Risponde: Deve imparare “ad accettare le cose”. A quelli che insistono nel sostenere l’Ucraina “finché non vincerà questa guerra”, Trump ribatte: “finché non crollerà”. Non è follia, si tratta di pragmatismo. Quello che manca a quei pezzi di merda che ogni giorno parlano di riarmo e di guerra. Un sano pragmatismo che può salvare vite umane. I politici europei, ma in primo luogo quelli ucraini, dovrebbero capire che “devono stare al gioco”. Non sono nella situazione di avanzare richieste massimaliste.

Se si fossero valutate le “dimensioni”, questa guerra non sarebbe mai incominciata. Centinaia di migliaia di persone non sarebbero morte invano. Ma è stato Putin. Eh già, è stato lui a cominciare questa guerra. Non ci sono dubbi: la Nato, la UE, Washington, i fascisti ucraini, in alcun modo volevano questa guerra. Dopo l’Ucraina toccherà alla Polonia, poi al resto d’Europa, i cosacchi in Piazza san Pietro. La buona notizia è che si sa già chi li accoglierebbe a braccia aperte.

Ci pensa quel pezzo di galantuomo di Calenda al tracciamento.

mercoledì 10 dicembre 2025

Da una distanza di sicurezza


Oggi, a Oslo, è stato conferito il premio Nobel per la pace alla figlia di un magnate dell’acciaio, già proprietario dell’industria siderurgica Sivensa, nazionalizzata da Hugo Chávez.

María Corina Machado, questo il suo nome, sta cercando di far tornare indietro le lancette dell’orologio a favore della sua classe sociale. Incarna perfettamente l’oligarchia razzista venezuelana, desiderosa di cancellare la rivoluzione bolivariana e l’inclusione della popolazione meticcia.

Fautrice di un programma ultraliberista simile a quello di Milei in Argentina, nel 2010 è stata eletta al parlamento. Nel 2012 si è candidata alle primarie di destra, ma ha ottenuto solo il 3% dei voti. La sua base elettorale è costituita da ONG come Sumate e Vente Venezuela, finanziate dagli Stati Uniti. La sua ammirazione per il Likud è un riflesso di ciò che avrebbe fatto al potere, dopo aver sostenuto senza successo i colpi di stato contro Chávez e poi contro Maduro.

Machado fu tra i firmatari del decreto golpista che abolì tutte le autorità democratiche nel Paese e insediò come presidente il capo dei padroni venezuelani, Pedro Carmona (va ricordato che negli Stati Uniti, il XIV Emendamento vieta a coloro che sono stati condannati per insurrezione di ricoprire cariche pubbliche).

Già un paio di decenni or sono, Machado aveva chiesto l’intervento degli Stati Uniti. Oggi, questa sostenitrice di Trump sta apertamente sostenendo un’invasione statunitense per rovesciare il legittimo presidente Nicolás Maduro.

Una flotta di navi da guerra statunitensi solca il mare del Venezuela nei Caraibi con una forza d’invasione di 15.000 marines e i caccia penetrano nello spazio aereo del paese sudamericano ricco di petrolio. Inoltre, va ricordato che il Venezuela non viene attaccato perché è una “dittatura”, ma perché bisogna contenerne l’esempio contagioso.

Alfred Nobel, istitutore dell’omonimo premio, voleva onorare le persone che promuovono la “fratellanza tra le nazioni” e si impegnano per “l’abolizione o la riduzione degli eserciti permanenti”.

Secondo il Comitato per il Nobel, la donna venezuelana si è qualificata per il premio grazie al suo “impegno instancabile per i diritti democratici del popolo venezuelano e alla sua lotta per una transizione giusta e pacifica dalla dittatura alla democrazia”.

In assenza di Machado, è stata la figlia a ritirare il premio. Poco prima della cerimonia di premiazione, Machado ha annunciato su X di essere in viaggio per Oslo. L’Istituto Nobel la attende a breve. Probabilmente ha deciso di attendere l’agognato attacco al suo Paese da una distanza di sicurezza. 

martedì 9 dicembre 2025

Il discrimine


 I nostri valori, chi li difenderà?

La rapida ascesa di un’economia può creare problemi al capitale di altre economie, perché il suo successo limita la capacità di vendita di altri. Semplice aritmetica. In fondo è questa la ragione della diffusa paura della Cina: aumentate i vostri consumi interni e smettete di inondare i mercati occidentali con i vostri prodotti a prezzi più vantaggiosi. Anche con i dazi, effettivi o solo minacciati, la fine dei vantaggi competitivi della Cina non è all’orizzonte. Sarà principalmente questo basilare motivo economico il discrimine nel prossimo futuro tra la pace e la guerra su scala mondiale. Al bisogno pioveranno motivazioni politiche, etiche e altro, per cui il capitalismo e i relativi rapporti tra Stati non c’entreranno per nulla.

lunedì 8 dicembre 2025

Come bambini

 

Il meteo prometteva neve, poca. E così il bianco è tornato a coprire i vivi nelle loro zone di comfort in cemento/vetro e i morti nei cimiteri. Per il resto, siamo pressappoco al dicembre 1941. Già in guerra con la Russia e ora anche con gli Stati Uniti. Di follia in follia, tra un vin brûlé e l’altro. Come fosse una ragione d’essere, un gioco di bambini.


sabato 6 dicembre 2025

L'attesa

 


Le nostre ferite quotidiane assumono spesso la forma dell’esaurimento. Esaurimento su tutto, corsa senza fine su una specie di tapis roulant. Come possiamo rimanere connessi alla realtà, alle sue immagini, alle sue reti, senza crollare? Lo so, lo sappiamo, la prima domanda che ci dovremmo porre è: ma chi ci obbliga a correre? Poi, chi trae beneficio dal farci correre dietro a noi stessi in questo modo, anche se ci sfinisce? Eh, già rispondere a questo significa rimettersi sul tapis roulant. E invece scelgo di fermarmi, di tirare il fiato mettendomi in una attesa tranquilla e senza ansia, a -6° nella stazioncina di Niendorfer. 

giovedì 4 dicembre 2025

La chimica della geopolitica

 

Forse sapete già tutto sul terbio, tuttavia lo racconto lo stesso. È il cugino, da parte di padre svedese, di erbio, itterbio e ittrio. È un drogante, migliora le proprietà di vari materiali. Per procurarselo bisogna rivolgersi ai cinesi e ci vogliono mesi, mentre i perfidi statunitensi se lo procurano dalla stessa fonte in poche settimane. Da quanto precede, avrete capito che: 1) il terbio appartiene al gruppo delle terre rare (lantanidi); 2) che la chimica riguarda la competizione geopolitica e commerciale, dunque non è come la fisica teorica, diventata un ramo della teologia.

Il processo di estrazione di terre rare non è solo economicamente costoso, ma ha anche gravi conseguenze ambientali. Ciò solleva la questione della sostenibilità delle energie rinnovabili, che si basano su tecnologie che consumano grandi quantità di metalli.

Ieri, la Commissione Industria dell’UE ha presentato a Bruxelles nuovi piani per l’approvvigionamento di terre rare (RESourceEU). A tale riguardo, sta circolando un rapporto allarmante dell’agenzia di stampa statunitense Bloomberg. Secondo il rapporto, le aziende statunitensi stanno giocando duro nella lotta per l’accesso alle terre rare, eliminando sempre più i concorrenti europei che potrebbero esaurire queste materie prime insostituibili nel giro di pochi mesi. Bloomberg basa le sue conclusioni sulle dichiarazioni di trader di materie prime e imprenditori con una visione diretta dell’attività di mercato.

Il piano presentato dalla Commissione Industria prevede investimenti dedicati per “catene del valore integrate delle materie prime critiche con l’Ucraina, i Balcani occidentali e il suo vicinato meridionale”. Insomma, nelle trincee ghiacciate gli ucraini non stanno soffrendo e morendo per nulla.

Inoltre, “l’UE sostiene l’Alleanza per la produzione di minerali critici del G7, guidata dal Canada”. Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ha accelerato le guerre per le risorse. Washington ha messo gli occhi sulle risorse minerarie della Groenlandia, così come lo scazzo con Ottawa riguarda soprattutto le terre rare e non la pesca del salmone. Il Canada possiede ingenti giacimenti di terre rare e intende dedicarsi non solo all’estrazione, ma soprattutto alla lavorazione.

Anche un certo numero di paesi africani ha iniziato a lavorare su progetti a diversi stadi, tra cui il Sudafrica (Progetti Glenover e Phalaborwa), l’Angola (Progetto Longonjo), il Madagascar (Tatalus), il Malawi (Kangankunde, uno dei più grandi giacimenti di terre rare al mondo), il Mozambico (Projet Xiluvo REE), la Namibia (Lofdal Heavy), l’Uganda (Progetto Makuutu), e la Tanzania (il Progetto Ngualla).

L’accordo di pace tra la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda, del 27 giugno 2025, garantisce agli Stati Uniti l’accesso a diversi siti di estrazione del litio. E tuttavia, nell’ambito della Belt and Road Initiative, i colossi industriali cinesi, come Zijin Mining, stanno già sfruttando siti chiave, tra cui la più grande riserva di litio al mondo a Manono , nel sud-est della RDC.

L’’Europa, un erbivoro in un mondo di carnivori, sta diventando sempre più “introspettiva” (pensa alle sanzioni alla Russia), mentre le economie del Mediterraneo orientale e meridionale diventeranno il fulcro principale per la crescita del commercio e degli investimenti africani. Il presidente turco Erdoğan ha già effettuato 60 visite ufficiali nel continente tra il 2002 e il 2024.

Ma non solo. Anche l’Australia, sebbene sia già il secondo produttore mondiale di terre rare, si impegna costantemente a sviluppare nuove fonti per ridurre il predominio cinese, in linea con gli interessi di Washington. Alcune società australiane sono attualmente attive nei progetti, per esempio in Tanzania (progetto minerario Ngualla con la società Peak Rare Earths).

Il Giappone, da parte sua, sostiene progetti africani sulle terre rare dal 2010, ad esempio in Namibia e Sudafrica, attraverso la Japan Oil, Gas and Metals National Corporation.

La Cina è il principale importatore mondiale di minerali di terre rare, con quasi 130.000 tonnellate. Questa dipendenza è spiegata da limitazioni geologiche: Pechino non possiede tutti i 17 elementi delle terre rare. Il suo vero potere risiede nella raffinazione (oltre il 90% della capacità globale). Il potere non deriva solo dal possesso delle risorse, ma anche dalla capacità di controllarne l’estrazione e le tecnologie ad esse associate. In altre parole, la Cina non possiede tutto, ma nulla le sfugge.

La Cina, nel corso degli anni si è offerta come partner chiave per l’Africa. Offre investimenti e finanziamenti nelle infrastrutture in scambio di risorse e diritti di esplorazione mineraria ed energetica nel continente africano.

Nelle profondità abissali del Pacifico si cela un tesoro ambito: noduli polimetallici, ricchi di cobalto, nichel e altri minerali. Queste risorse sono oggi al centro delle ambizioni geopolitiche globali. La zona di Clarion-Clipperton, che si estende per 4,5 milioni di chilometri quadrati tra le Hawaii e il Messico, è particolarmente apprezzata. Si ritiene che le sue riserve di nichel e cobalto superino quelle presenti sulla terraferma, aprendo la prospettiva di una vera e propria “corsa agli abissi”.

Nel 2025, la Cina ha ottenuto l’autorizzazione dall’Autorità Internazionale dei Fondali Marini per avviare i test di estrazione. Nel frattempo, il Giappone prevede di lanciare la sua più ambiziosa missione mineraria in acque profonde nel 2026, con l’obiettivo di estrarre giacimenti a una profondità di 5.500 metri vicino all’atollo disabitato di Minami-Torishima (vicino Iwo Jima).

Non esiste transizione verde, né internet, né nanoricerca medica, né armi avanzate, né intelligenza artificiale, né praticamente nessuna soluzione tecnologica senza le terre rare. Insomma, le questioni geoeconomiche sono un po’ più complesse di come ci vengono di solito presentate dai media.

mercoledì 3 dicembre 2025

Quello che Gruber e i suoi amichetti tacciono o minimizzano

 

Nel 2025 i terroristi con la svastica israeliana hanno assassinato più palestinesi nella Striscia di Gaza che nei due anni precedenti. È stato l’anno con il numero più alto di vittime dall’inizio dell’occupazione nel 1967. Questa è la conclusione di un rapporto pubblicato lunedì da The Platform, un’alleanza di 13 organizzazioni ebraiche per i diritti umani.

Oltre 70.000 morti nella Striscia di Gaza sono stati ufficialmente registrati per nome e cognome. Almeno 10.000 corpi sono ancora sepolti sotto le macerie e vengono faticosamente recuperati. Secondo i dati forniti dagli stessi assassini, circa l’80% delle vittime erano civili. Però si sta ancora discettando sulla cittadinanza onoraria a Francesca Albanese, rea di dire ciò che pensa e rappresenta la realtà di questo sterminio.

Circa un milione di palestinesi sono stati sfollati dalle loro case nella Striscia di Gaza nel 2024, e sono saliti a quasi due milioni nel 2025: circa il 90% della popolazione totale. La distruzione nella fascia costiera ha raggiunto una portata inimmaginabile: interi quartieri, l’intero sistema di approvvigionamento idrico, l’agricoltura, ospedali, asili, scuole, università ed edifici amministrativi sono stati distrutti.

Secondo il rapporto delle di 13 organizzazioni ebraiche per i diritti umani, a luglio 13.000 bambini erano gravemente malnutriti. Ad agosto, secondo la principale classificazione internazionale della sicurezza alimentare (IPC), Gaza City è stata dichiarata in stato di carestia. A ottobre, 461 persone erano morte di fame, tra cui 157 bambini.

Il rapporto evidenzia anche i massacri nei centri di distribuzione alimentare gestiti dalla Gaza Humanitarian Foundation (GHF), sostenuta da Stati Uniti e Israele. 2.306 persone sono state uccise in questi punti di distribuzione da terroristi ebrei o mercenari locali e straniere della GHF, molte delle quali colpite deliberatamente: uomini, donne e bambini. Quasi 17.000 sono rimasti feriti.

l rapporto mette a nudo anche la situazione in Cisgiordania: nel 2023 e nel 2024 sono stati documentati almeno 1.200 attacchi da parte dei coloni contro i palestinesi, nel 2025 è iniziata una vera e propria espulsione di massa. Quarantaquattro comunità palestinesi sono state distrutte e “sostituite” da nuovi insediamenti ebraici. Quasi 3.000 persone sono state sfollate, tra cui 1.326 bambini. Secondo il rapporto, il 2025 segna la transizione dalla discriminazione istituzionalizzata a una nuova politica di espropriazione. I sionisti stanno inventando nuove narrazioni storiche ed espropriando terreni appartenenti ai palestinesi.

Nel frattempo, le carceri israeliane sono diventate luoghi di tortura sistematica. Almeno 98 palestinesi vi sono morti; sono stati torturati a morte, non hanno ricevuto cure mediche e non hanno ricevuto cibo a sufficienza in condizioni disumane. Il numero dei prigionieri è salito a oltre 9.000, 3.577 dei quali sono in “detenzione amministrativa”, ossia senza accusa né condanna.

Israele vuole creare l’impressione che la storia e l’archeologia del Paese siano esclusivamente ebraiche, ogni memoria della cultura palestinese viene sistematicamente cancellata. A febbraio, l’UNESCO, la Banca Mondiale e altri hanno stimato che oltre il 53% dei siti culturali e del patrimonio culturale della Striscia di Gaza fosse stato distrutto o danneggiato; a ottobre, l’organizzazione delle Nazioni Unite ha pubblicato un elenco di 114 siti interessati.

Ecco le cifre che i giornalisti grandi firme non ci danno. A cominciare da quella madonna invetriata della Gruber. Tutto ciò a confronto di una ragazzata, ossia qualche cestino rovesciato e un paio di scritte nella redazione di un quotidiano.

Il rapporto delle 13 organizzazioni ebraiche per i diritti umani conclude: “I crimini contro l’umanità sono ormai diventati una realtà quotidiana, su cui nessuno indaga e per i quali nessuno è ritenuto responsabile”. Vai Gruber, indaga sui siti porno.

Le questioni decisive

 

Quando ci chiedono di votare per le elezioni politiche o per le europee, ce lo chiedono per tener bassi i nostri salari e le pensioni, per tagliare la spesa sociale.

Lo ha detto l’ex presidente del Consiglio Mario Draghi, che attualmente è un consulente della UE dopo essere stato per anni presidente della Banca centrale europea e, prima ancora, governatore della Banca d’Italia. È sufficiente ascoltare l’audizione di Draghi in merito al Rapporto sul futuro della competitività europea tenuta nel marzo scorso:

«Siamo sicuri che vogliamo mantenere questo surplus commerciale con il resto del mondo? O piuttosto non è meglio sviluppare la domanda interna, non trascurare le nostre infrastrutture, spendere per la ricerca, per l’innovazione, per il clima?»

E ancora: «[...] noi abbiamo contratto i bilanci pubblici, abbiamo sacrificato la spesa pubblica, abbiamo compresso i nostri salari, anche perché in quegli anni noi pensavamo che eravamo in competizione con gli altri paesi europei quindi tenevamo i salari più bassi come uno strumento di concorrenza. Nel frattempo, abbiamo continuato a diventare sempre più poveri rispetto agli Stati Uniti che non avevano questo surplus (commerciale) quindi forse non era la strada giusta.»

Più sibillino ma non meno verace: «Quando dico concorrenza sleale non parlo di una concorrenza che si basa sui dazi, sulle tariffe, sui sussidi, ma anche su una artificiosa compressione della domanda interna con dei salari deliberatamente bassi

Dunque le scelte economiche della UE hanno mutato radicalmente il ruolo e la prospettiva dell’Europa intera, ma in particolare di alcuni Paesi. Hanno inciso sui redditi e sui consumi, creato disparità e precarietà, favorito l’immigrazione di manodopera e la delocalizzazione industriale, avuto effetti sulla demografia e tanto altro. Si dirà che ciò è ampiamente risaputo, e però sentirlo confermare da un euroburocrate del calibro di Draghi fa comunque un certo effetto.

Dov’è il dibattito politico e democratico, le riflessioni sul comportamento dei protagonisti stessi di quella stagione? Per quanto ci riguarda direttamente, non è stato solo Berlusconi – e ora i fascisti – ad aver mutato il profilo esistenziale del Paese e il suo sistema politico, qui c’entra in pieno il modello europeista/liberista fatto proprio dall’accozzaglia di ex piciisti pentiti e democristiani recidivi.

Ma si può essere più gradualmente ipocriti di così?

E ciò che è avvenuto sul fronte economico e sociale, sta avvenendo per quanto riguarda la politica estera, laddove la UE dimostra di essere un consorzio di Stati accomunati dall’ossessione per la Russia. Anche in questo i popoli dell’intera Europa, mai stufi di subire, hanno deposto il proprio onore e la propria dignità ai piedi di quest’ordine.


Dunque è Putin che minaccia!

Nelle cancellerie della coalizione occidentale ha finito per prevalere la volontà, mai del tutto sopita, di regolare una volta per tutte i conti rimasti in sospeso dalla caduta del Muro: fin dal 2014 trasformare l’Ucraina in un avamposto in cui dissanguare l’eterno rivale che s’immaginavano collassasse economicamente con le sanzioni. Una storia può ricordarcene un’altra.

I persuasori, quelli più abili con i loro dosaggi sottili, sono diventati ginnasti di ciò che è considerato giusto dire e pensare. Sono l’emblema dell’indicibile declino dell’Occidente, così orgoglioso della sua civiltà, amano spogliarsi di ogni pudore e mostrare la loro merce grezza: la guerra buona contro quella cattiva, magari anche preventiva, i morti giusti e quelli che fanno solo statistica. Ma che balla, questi ladri sull’uscio che aspettano che tu esca.

La guerra non è semplicemente un’eventualità, ma è insita nella contesa capitalistica tra gli Stati, le grandi potenze se la giocano per il primato mondiale. Di fronte all’ulteriore rischio che questa guerra si trasformi in uno scontro fuori controllo, il problema della pace e del disarmo diventa la questione decisiva.

E però l’idea stessa di pace deve essere ridefinita. La pace non può essere ciò che le potenze imperiali e sub-imperiali ne fanno oggi: un mezzo di guerra, una pace che interrompe la guerra solo per armarsi e rilanciarla. La parola d’ordine deve essere “guerra alla guerra”, ma ciò non basta. La pace richiede la pacificazione della realtà. E la realtà ha bisogno di essere reinventata, e c’è un solo modo per farlo.

martedì 2 dicembre 2025

"Un serio conflitto moderno"

Secondo i nuovi dati pubblicati ieri dallo Stockholm International Peace Research Institute, i ricavi derivanti dalla vendita di armi e servizi militari da parte delle 100 maggiori aziende produttrici di armi sono aumentati del 5,9% nel 2024, raggiungendo la cifra record di 679 miliardi di dollari.

Le prime tre società sono neanche a dirlo statunitensi, e ben cinque tra le prime sei società, l’altra, la quarta in classifica, è inglese. Nelle prime venti, otto sono statunitensi, ben cinque sono cinesi e una russa. La Leonardo, gruppo italiano, si piazza a un più che onorevole 12° posto, seguita dal colosso Airbus (Airbus Defence & Space), una società transeuropea che nel settore degli armamenti produce velivoli militari, missili, vettori spaziali e sistemi di difesa avanzati.

La Rheinmetall tedesca è “solo” al 20° posto, il cui fatturato derivante da armi e equipaggiamenti è aumentato del 47% nel 2024, e ciò dice qualcosa sulle nuove linee guida dell’economia tedesca.

Cito segnatamente l’esempio della Rheinmetall, perché chiarisce bene gli interessi industriale e commerciali connessi con la guerra in Ucraina. Infatti, il forte incremento del fatturato della Rheinmetall, è quasi interamente dovuto alla crescente domanda di veicoli blindati e munizioni legata alla guerra in Ucraina.

Sono quattro le aziende tedesche produttrici di armi che figurano tra le prime 100: oltre a Rheinmetall, si tratta di Thyssen-Krupp, Hensoldt e Diehl. Quest’ultima è riuscita ad aumentare il proprio business nel settore degli armamenti del 53%. Mentre nel fango ghiacciato delle trincee ucraine si spara e si muore, gli azionisti delle società di armamenti, al calduccio tra lenzuola di seta, sognano dividendi da favola.

I ricavi delle 26 aziende dell’Europa occidentale presenti nella lista sono aumentati complessivamente del 13%, raggiungendo circa 151 miliardi di dollari (circa 130 miliardi di euro). Ma anche i satrapi dell’industria statale russa non se la passano male. Nonostante le sanzioni, i ricavi delle due società russe quotate, Rostec (conglomerato statale della difesa con più di 400 aziende: aerei, carri armati, veicoli di fanteria, obici, sistemi di guerra elettronica, droni e molto altro) e OSK/USC, sono aumentati del 23%.

Il boss di Rostec, Sergej Viktorovich Čemezov, ex uffciale del KGB, anche lui come Putin di stanza nella Germania Est (abitavano nello stesso condominio di Dresda), dichiara in un’intervista tutta da leggere: “Un serio conflitto moderno richiede ancora molte armi”. Tra una sparata e l’altra, Sergej e la sua famiglia si sono fatti un gruzzolo offshore, incluso lo yacht “Valerie”, 85,1 metri, 6 ponti, piscina sul ponte sole, zona spa con hammam (specie di sauna), eliporto, 22 membri di equipaggio. La barchetta era intestata alla figlia Anastasia Ignatova (*).

L’Ucraina è il terreno di battaglia ideale per sperimentare le nuove armi, lì la carne umana non ha prezzo, nel senso che è gratis.

(*) Seguendo le vicende pregresse (ITERA) e successive, ossia della società ARETI (è ITERA scritto al contrario) Internationl Group, con sede in Svizzera, fondata da Igor Makarov nel 2015 (investimenti in vari settori nell’Europa occidentale, negli Stati Uniti, in Canada e nell’Asia centrale), si possono apprendere notizie molto interessanti. Anche la seconda moglie del citato Čemezov, Ekaterina Iganatova, aveva una forte partecipazione nell’ex società Itera Oil and Gas Company, fondata nel 1992 con sede a Jacksonville, in Florida. Nell’ultima dichiarazione patrimoniale pubblica di Sergej Chemezov del 2019, era incluso il reddito annuo di Ekaterina di 24 milioni di dollari (un’inezia). Seguendo in rete il nome di Ekaterina Ignatova Čemezov, si arriva a una galassia di legami societari. Stessa cosa per i figli di Sergej.

La proprietà del Valerie viene attribuita al miliardario e pregiudicato ucraino Rinat Akhmetov, il quale in realtà è proprietario di un altro yacht, Luminance. Inaftti, il Valerie è sotto sequestro a Barcellona causa sanzioni. Del resto, accedere al database del Registro dei proprietari dei 1.656 superyacht, che sono 747 (tra l’altro proprietari di 600 jet privati), costa 145 euro. Non me la sento, ho altri impegni di spesa per questo mese.

lunedì 1 dicembre 2025

L'aria che tira

 

«Attacco preventivo? Sarebbe un’azione difensiva!». Un uomo virile. Non si lascia mettere i piedi in testa. Dice quello che pensa, difende i nostri valori e la sua voce va controcorrente. Questi stronzi rossi/russi usano il passato per umiliare la nostra gente, per farci tacere. Questi borghesi di sinistra stanno calpestando la nostra patria, privi di forza e orgoglio. Probabilmente froci, trans, arcobaleni: è la loro tendenza. Muscoli e pelle flaccidi, usano parole ridicole, il cui costo è sostenuto da uomini come l’ammiraglio.

In giro c’è quest’aria fetida qui, di gente che non merita nemmeno di essere insultata. Il tizio è solo uno di quei fanatici della guerra che hanno seguito dei corsi alla birreria di Monaco, perciò serve le sue stronzate alla spina. Una carriera come esperto di birra. Il guaio è che gli paghiamo lo stipendio e poi la pensione.

Al povero Severgnini, che indossa un caschetto bianco sopra una faccia al latte di soia, sfugge e sfuggirà per sempre che il XX secolo è cambiato con il fascismo/nazismo. È cambiato nel campo di Ebensee, direbbe mio nonno. Poi con l’Armata Rossa, altrimenti il giornalista specializzato in storie romantiche scriverebbe su fogli tipo La difesa della razza. Poi è cambiato ancora con la lavatrice e altre cosucce, tipo le lotte agrarie e operaie.