venerdì 18 luglio 2025

Un altro capitalismo

 

Norbert Wiener (1894-1964), matematico statunitense dalla faccia simpatica e affascinato dalle macchine calcolatrici, coniò un neologismo: cibernetica. Parola dalla quale poi derivarono una molteplicità di termini con radice cyber, fino a collassare con “cybersesso”.

Norbert Wiener è stato un pensatore dell’informazione e della comunicazione. Fu durante la progettazione del primo cannone antiaereo che concettualizzò il feedback, la retroazione, ovvero il momento in cui un essere vivente o una macchina tiene conto del risultato della propria azione per adattare le azioni successive.

Questa nozione avrebbe avuto implicazioni in tutti i campi, inclusi la psicologia e i modelli di organizzazione sociale. Persino Lacan – quello che sottoponeva ad elettrochoc Dora Maar, l’amante di Picasso che il cosiddetto artista non mancava di riempire di botte – parlava di retroazione nei circuiti dei significanti.

Il padre di Norbert, Leo Wiener, un ebreo russo emigrato negli Stati Uniti, fondò una colonia vegetariana. Attivista contro il maltrattamento degli animali, Leo Wiener insegnava lingue slave ad Harvard. Determinato a fare di suo figlio un genio, lo istruì a casa con un programma di studi molto impegnativo. Il suo metodo: insulti e accanimento.

Obbligò il figlio a leggere ogni libro della biblioteca di famiglia, tra i quali molti opuscoli anti-vivisezione. Il piccolo Norbert imparò a leggere a 4 anni e diventò miope. Entrò all’università a 11 anni e conseguì una laurea in matematica avanzata a 14: scelse la matematica perché era l’unica materia in cui suo padre non poteva permettersi di ingerirsi.

A 18 anni, conseguì il dottorato di ricerca ad Harvard. Lavorò per la General Electric e si occupò di balistica presso un poligono militare fino alla fine della prima guerra mondiale. Nominato professore di matematica al MIT, negli anni Venti frequentò anche diverse università europee, lavorando con importanti matematici.

Durante la II GM, pare si sia rifiutato di partecipare al Progetto Manhattan. Partecipò invece alle Conferenze Macy, che riunivano neurologi, logici, economisti e antropologi. Fu in questo contesto che coniò il termine “cibernetica”, che dal greco antico significa pilotare, dirigere, governare. Wiener definisce la cibernetica come la “scienza del governo”.

Una scienza che comprende tutte le teorie relative al controllo, alla regolazione e alla comunicazione negli esseri viventi e nelle macchine. Il suo libro Cybernetics or Control and Communication in the Animal and the Machine fu un bestseller, nonostante fosse pieno di equazioni e diagrammi.

Se Alan Turing e Claude Shannon erano degli sfrenati fanatici delle “macchine”, Norbert Wiener ebbe parole virulente contro la scienza e la tecnologia. Due anni dopo, pubblicò The Human Use of Human Beings: “Voglio dedicare questo libro a una protesta contro l’uso disumano degli esseri umani”. Insomma, le intenzioni erano buone, anche se il costrutto risentiva dell’impostazione idealistica borghese.

Scrisse: “La cibernetica è un’arma a doppio taglio; prima o poi ti ferirà profondamente”; e considerò che una macchina è come un bambino, una creatura al tempo stesso plasmata e mutilata dal suo creatore, disponibile ma sempre pronta a rivoltarsi contro di lui.

Norbert credeva che le macchine potessero diventare intelligenti combinando feedback e potenza di calcolo. Oggi, questo concetto di feedback è alla base dell’addestramento dell’intelligenza artificiale: parliamo di “apprendimento automatico” e di “feedback umano”, quando gli esseri umani aiutano un algoritmo ad adattare le sue risposte.

Federico Faggin, nella sua autobiografia (Silicio. Dall’invenzione del microprocessore alla nuova scienza della consapevolezza, Mondadori, 2025)), rileva: «Oggi c’è molta speculazione su un possibile futuro in cui l’umanità sarà sorpassata o addirittura distrutta dalle macchine intelligenti. [...] In tutte queste proiezioni, si prende come dato di fatto che sarà possibile realizzare macchine autonome e intelligenti in un futuro non troppo lontano: macchine uguali se non migliori di noi. Ma questa supposizione è corretta? Il mio pensiero è che la vera intelligenza richiede coscienza, e che la coscienza è qualcosa che le nostre macchine digitali non hanno, e non avranno mai».

Faggin, fisico e imprenditore, inventore del microprocessore, del touchpad e del touchscreen, è un teorico della cosiddetta scienza della consapevolezza: «La maggior parte degli scienziati crede che siamo solo macchine: sofisticati sistemi di elaborazione delle informazioni basati su wetware [riferimento all’interazione tra il cervello umano e la tecnologia]. Ecco perché pensano che sarà possibile realizzare macchine che supereranno gli esseri umani. Credono che la coscienza emerga solo dal cervello, che sia prodotta da qualcosa di simile al software che funziona nei nostri computer».

Il razionalismo scientista, supportato in particolare dalle neuroscienze, è un volgarissimo materialismo riducibile a processi meccanici e a processi biochimici o elettrici. Ci porta ad essere tutti dei piccoli Norbert Wiener di 4 anni: potenziati dai nostri computer e smartphone, spinti a essere sempre più efficienti da un padre onnipotente, tutti intrappolati nella rete di Internet. Questo strumento, che utilizziamo per un’infinità di cose, ci consente di dire tutto e il suo contrario, ma ci dice anche: usate pure il mio strumento, però io stabilisco e decido che cosa questo strumento consente.

E infatti non ha prodotto un grande ed effettivo dibattito su ciò che accade. Per esempio, sul capitalismo. Non che cosa era, non cosa è stato, ma che cos’è oggi il capitalismo, che cos’è in questo preciso momento questo tipo di formazione sociale e questo modo di produzione.

I telai non ci sono più e le macchine a vapore sono state sostituite da altre tecnologie più avanzate ed efficienti. E poi anche le fabbriche, le manifestazioni e i tanti operai insieme, che i più anziani di noi ricordano, non esistono più. E conseguentemente anche le forme del potere sono cambiate. Ora è la guerra il polo principale e la politica quello secondario. Siamo in un altro capitalismo, in una società con caratteri assolutamente diversi rispetto a tutti quelli conosciuti nella storia della nostra specie.

C’è chi si rifiuta di capire, ma nella sua forma ideale totalmente compiuta e divenuta, il dominio del capitale sull’insieme così come su ciascun rapporto sociale, significa totale distruzione di ogni forma di vita realmente umana. 

giovedì 17 luglio 2025

Finalmente sappiamo chi è stato

 

Diversi storici israeliani specialisti della Shoah, come Omer Bartov, Amos Goldberg e Daniel Blatman, hanno già descritto la situazione dei palestinesi a Gaza come genocidio.

Dopo decine di migliaia di morti nella Striscia, decine di morti e centinaia di invalidi in Libano, l’ex babysitter della Garbatella si è svegliata e, seppur a parole e senza fatti, dichiara che gli attacchi e gli omicidi “contro i civili sono inaccettabili”. Ci sono molte cattive ragioni per cui Benjamin Netanyahu uccide i civili, ma finora la notizia non era riuscita a passare fino ad arrivare al centro di Roma.

Le “giornate della memoria” hanno prodotto un certo conformismo, tuttavia i politici ci tengono tanto perché vengano celebrate, alla ricerca di una “memoria giusta”. Ultimamente il richiamo al “dovere della memoria” è diventato un vero e proprio mantra politico per quanto riguarda le foibe, ma Marzabotto resta una memoria comunista.

Le giornate della memoria dovrebbero proteggere le nostre società dal rischio di crimini di massa e genocidi, e però i “nostri” leader diventano improvvisamente silenti quando le uniformi degli assassini sono quelle degli israeliani. Sono i sionisti in questo inizio di secolo i campioni mondiali di crimini di massa e i sedicenti statisti europei campioni di cecità.

P.S. : noto oggi alcune decine di visite anomale a un mio post, questo. Mi pare Repubblica abbia pubblicato un servizio sullo stesso argomento. Non potendo, per senso di pudore e igiene, acquistare un quotidiano che appoggia apertamente il genocidio dei palestinesi (per tacere di altro), qualcuno per cortesia sa dirmi qualcosa in proposito? Grasie, fioi.

L'inganno

 

Nei primi anni Sessanta, d’estate mi portavano in montagna. Quasi una punizione. Allora come oggi, tra i monti, la sera mi prende una insopprimibile e sfacciatissima malinconia. Ricordo che dopo cena mi mettevo alla finestra, seguivo le luci dei fari delle automobili cercando d’indovinarne il loro percorso nell’oscurità. A tratti le luci sparivano, inghiottite dai tornanti, poi riapparivano. Non vorrei apparire troppo dolce con questi ricordi adolescenziali, del resto non posso scrivere sempre di Gaza e di Ucraina ... Scrivo per passione, non per trasmettere sensazioni di sgomento e dolore.

Tra le altre amene occupazioni di villeggianti, si andava a raccogliere funghi, poco dopo l’alba, nell’erba umida, tra lo sterco di mucca su cui crescevano piccoli funghi, forse psicotropi (non provateci). I miceti abbondavano: il numero di raccoglitori metodici era abbastanza esiguo, mentre oggi per il semplice dilettante non c’è gioco.

I funghi che mi affascinavano di più erano, manco a dirlo, quelli velenosi e dal nome suggestivo. In cima alla gerarchia del male il porcino di Satana, con il suo grosso stipite rosso, poi l’amanita muscaria, per la sua bellezza fiabesca, e infine il fungo della morte, l’amanita falloide, famosa per la sua discrezione assassina, perché simile ad altri funghi invece edibili.

L’imperatore Claudio pare sia morto avvelenato dai funghi che gli avevano servito. Qualche giorno fa, in Australia, una cinquantenne paffutella è stata giudicata colpevole per triplice omicidio, per aver avvelenato alcuni parenti con dei funghi. I suoi ex suoceri, la sua ex zia e il suo zio acquisito. Solo lo zio, un pastore, sopravvisse. Trascorse due mesi in ospedale e dovette la sua salvezza solo a un trapianto di fegato.

Erin Patterson, questo il nome della Messalina australiana, sembrava avere un buon rapporto con la famiglia del suo ex marito, nonostante avesse scritto in un’email di non sopportarli più (ma le email, come gli SMS, spesso hanno senso solo nel momento in cui vengono scritte). In ogni caso, li aveva invitati tutti per un pranzo del fine settimana. L’ex marito, anche lui invitato, non si presentò.

Erin aveva cucinato un filetto alla Wellington. Non conosco nei dettagli la sua ricetta. Non è chiaro perché questo piatto, di origine francese, prenda il nome dal vincitore di Waterloo, il quale consumava semplicemente un filetto in crosta. Ciò che leggo a tale riguardo in Wikipedia e altrove non mi convince.

In genere viene preparato in modo banale un filetto di manzo in crosta con interstizio di una salsa (con senape!). La mia ricetta è diversa: filetto di manzo tritato a coltello, mescolato con un ripieno di foie gras e salsa duxelles (in pratica finferli o chiodini saltati al burro e aromatizzati con scalogno e altre erbe), il tutto in un pirottino di pasta sfoglia. Accompagnare con un rosso morbido e un sorriso.

Il tracciamento dei cellulari di Erin Patterson (ne aveva diversi) ha permesso di rintracciarne gli spostamenti fino alla zona in cui crescono gli agarichi muscari (le amanite). Il fatto che avesse resettato i dispositivi non giocava a suo favore. Né che avesse un essiccatore contenente tracce di funghi e che stesse cercando di sbarazzarsene. Né che, durante il pasto, si fosse servita su un piatto separato dagli altri. La vicenda ovviamente ha affascinato l’Australia. Sociologi e psicologi si saranno divertiti un mondo e guadagnato qualche dollaro.

Anche i cuochi avevano qualcosa da dire. Si sparlava di Shakespeare (i funghi di mezzanotte), di Agatha Christie. Quest’ultima era stata infermiera e assistente di uno speziale durante la prima guerra mondiale, dunque qualcosa di veleni ne sapeva). In Sento i pollici che prudono, uno stufato di funghi avvelenati è un elemento chiave, e in Il segreto di Chimneys, è di scena una zuppa di salvia e funghi avvelenata.

A me viene in mente un film scritto e diretto da Sofia Coppola che ho visto un po’ di tempo fa: L’inganno. È il remake del film di Don Siegel con Clint Eastwood (1971). Guerra civile americana, un soldato nordista ferito viene accolto e curato in un collegio per giovani ragazze del Sud. A poco a poco, ne seduce diverse dal suo letto, dorme con loro, provocando tensione, gelosia, odio. Il film è deliziosamente misantropo e, bisogna ammetterlo, misogino: se il soldato è un seduttore patetico e cinico, le ragazze sono oche bianche e puttane più o meno eccitate. Finiscono per amputargli una gamba e avvelenarlo con i funghi, poi lo seppelliscono, con discrezione.

mercoledì 16 luglio 2025

L'offerta promozionale

 

Era il giugno dell’anno scorso, le antenne del radiotelescopio ASKAP, nel deserto occidentale australiano, captarono un segnale radio di potenza anomala per un brevissimo istante. Sarebbe stata l’onda più potente catturata dall’Institute for Radio Astronomy della Curtin University nel 2024.

Finalmente li abbiamo intercettati questi alieni. Non resta che invitarli a mettere ordine nei nostri casini, quelli politici e quelli domestici. Eccoli, gli arcangeli di cui parlava quel tale nei Vangeli. Gli astronomi parlano di parsec, gigapianeti, centinaia di gradi sopra o sotto lo zero, o di fondo cosmico a microonde. Eppure, bastano loro solo tre nanosecondi ed è tutto da riscrivere, dai Sumeri ad oggi.

Si pensò che quel misterioso segnale fosse l’annuncio di una nuova, importante scoperta astrofisica. In realtà, proveniva da un vecchio satellite americano dimenticato dal 1967. Spazzatura, insomma. Del resto, ci direbbe oggi Pier Domenico Colosimo, chi avrebbe potuto produrre un simile lampo nelle profondità dello spazio se non un’entità aliena?

Tuttavia i radioastronomi della Curtin University hanno preferito approfondire l’ultima ipotesi di moda riguardo a questo tipo di segnale: quella dei “burst radio veloci”. Si tratta di impulsi radio molto brevi, dell’ordine di pochi millisecondi, scoperti per caso in dati d’archivio nei primi anni di questo millennio.

Non sanno ancora come spiegare queste esplosioni, ma ipotizzano che potrebbero essere associate a stelle di neutroni con un forte campo magnetico. Ipotetiche stelle chiamate “magnetar”, proprio come le famose “pulsar”, stelle simili con un campo magnetico da 100 a 1.000 volte meno intenso, scoperte cinquant’anni prima dai radioastronomi irlandesi.

E gli alieni? Dobbiamo portare pazienza, prima o poi si faranno vivi. Relay 2, questo il nome dell’oggetto dell’equivoco, era considerato inattivo dal 1967. Lanciato dalla NASA nel 1964, il satellite era stato utilizzato per le comunicazioni, ma per oltre cinquant’anni non si è avuto alcun segno di vita, nessun segnale. Allora che cos’è successo? Morite dalla voglia di saperlo, sospetto.

Probabilmente il risultato di una scarica elettrostatica dovuta all’accumulo di cariche elettriche sulla superficie metallica del velivolo, la sua sottile e intensa banda radio catturata dagli astronomi tredici mesi fa non era inferiore a quella di una magnetar. I radioastronomi sono stati quindi ingannati. Né alieni, né collassi galattici di stelle. Solo monnezza spaziale.

In realtà, i segnali parassiti non divertono più i radioastronomi, perché questo tipo di false piste si moltiplica di anno in anno e sono persino destinate a intensificarsi. L’ultima generazione di radiotelescopi è ottimizzata per cercare segnali sempre più deboli provenienti da sempre più lontano. Un giorno forse potremmo imbatterci in una bestemmia pronunciata quasi 14 miliardi di anni or sono. Questo significa che i nuovi radiotelescopi sono anche molto più sensibili ai segnali parassiti inviati da vicino alla Terra.

42.000 satelliti Starlink e altrettanti rottami parassiti. Ed è proprio questo che minaccia la radioastronomia: una luce parassita permanente proveniente non dai confini dell’universo, ma dalla nostra orbita terrestre, di cui i satelliti zombie sono solo un esempio. Dal 2019, la società SpaceX di Elon Musk ha lanciato oltre 6.000 satelliti Starlink attorno alla Terra e punta a 42.000 a lungo termine, mentre Cina, Amazon e OneWeb stanno preparando la loro conquista.

Entro il 2030 si prevede che circa 100.000 satelliti popoleranno l’orbita terrestre, e altrettanti potenziali futuri zombie, segnali vaganti “intenzionali”, comandati per comunicare con la Terra, o “non intenzionali”, emessi dal funzionamento automatico del satellite, ci faranno lo sciampo elettromagnetico.

Le aree dedicate all’osservazione spaziale rimangono molto limitate. Ad esempio, intorno ai 1.420 MHz la banda è protetta per l’osservazione dell’idrogeno, la molecola più presente nell’universo. La osservo da anni tutte le notti, e di cose strane ne potrei raccontare a riguardo. La storia di un caos di bande di distribuzione delle lunghezze d’onda, tra operatori satellitari, militari, radio o scientifici. Prima o poi lo stalking telefonico arriverà dallo spazio, e dunque non sapremo se l’offerta promozionale proviene dall’orbita terrestre oppure da una lontana galassia.

martedì 15 luglio 2025

Gente di mestiere

 

“Offro tremila euro al mese per un aiuto cuoco ma non trovo nessuno”: e così il titolare del ristorante “Gentedimare” di Golfo Aranci, che lancia un appello attraverso i suoi social. Malgrado infatti uno stipendio di tutto rispetto, “quando qualcuno mi scrive, nella maggior parte dei casi neanche si presenta ma subito parte con la domanda ‘Che orari devo fare?’”, dice l’imprenditore.

“La paga di tremila euro, spiega, è per mezza giornata perché ha scelto di tenere aperto tutti i giorni ma solo la sera”.

Questi aiuti di cucina sono veramente degli scansafatiche. Giusto l’ennesimo grido di dolore dell’ennesimo imprenditore che si duole a mezzo stampa dell’ennesima difficoltà di trovare personale qualificato.

Prosegue il ristoratore: “Da inizio estate a oggi al “Gentedimare” sono passati e andati via circa quindici dipendenti. Divergenze su orari, carichi di lavoro, rapporto con i clienti. La verità, confida il manager [sic!], “è che questo mestiere non lo vuole più fare nessuno”.

Viene da pensare che se in un paio di mesi si sono licenziati ben una quindicina di lavoratori, forse qualche “divergenza” sorge non solo su orari, carichi di lavoro, ma magari anche, ipotizzo, su regolare retribuzione e contribuzione? Dato il livello e la centralità del locale, non credo. E per quanto riguarda i rapporti con la proprietà?

Leggo una recensione, per ciò che vale, perché altre cento recensioni potrebbero smentirla: “Il titolare piuttosto freddino, manca quel savoir faire che ti mette a tuo agio e ti fa passare una bella serata”. Per chi paga un’aragosta 320 euro un po’ più di empatia con il cliente dovrebbe essere d’obbligo. Ripeto, molti ne parlano bene, anche se poi lamentano che “manca una tovaglia di stoffa a tavola”. Ma che pretese.

C’è anche un certo Paolo T., che tra le altre doglianze (dev’esser un rompiscatole), scrive: “Quando è arrivato il momento di pagare, mi hanno dato una ricevuta non fiscale di default. Ho dovuto chiedere specificamente la ricevuta fiscale ufficiale, il che mi ha dato l’impressione che stiano cercando di essere un po’ troppo intelligenti su come gestiscono i pagamenti”. Si sarà trattato sicuramente di un disguido, ma che pignolo.

Leggo tra le righe delle successive dichiarazioni del proprietario: “Adesso in sala siamo a posto, mi servirebbe qualcuno bravo in cucina perché al momento sto dando una mano io”. Che cosa significa che sta dando una mano lui? A chi la sta dando questa benedetta mano da manager? Al cuoco, si direbbe. Oppure è lui, il proprietario, nelle funzioni di cuoco? Se è il proprietario che sta facendo le veci del “cuoco”, allora cerca non un aiuto cuoco, in realtà un cuoco professionista, uno “bravo” ma riconoscendogli solo la qualifica di aiuto cuoco.

Prendo per buono quanto afferma il “manager”: cerca uno “bravo” per fargli fare l’aiuto cuoco.

La questione dell’orario. Andrebbe precisato che in un ristorante di mare in cucina non si lavora solo nelle ore in cui il locale è aperto (e quanto al rispetto dell’orario ufficiale di chiusura non la bevo che chiude alle 11.30). La preparazione di piatti di pesce non richiede, ovviamente, lo stesso tempo di come cucinare una bistecca alla piastra.

Inoltre, in quel ristorante è previsto il “brunch”, dalle 12 alle 14.30. Domanda che mi brucia le labbra: siamo sicuri che l’aiuto cuoco non centri nulla, neanche di striscio, con i famosi “carichi di lavoro” e la preparazione del brunch? La questione tuttavia è un’altra: i turni di riposo. Se il ristorante è aperto tutti i giorni, com’è indicato nel sito, per il “qualcuno bravo in cucina” i turni di riposo sono previsti ed effettivamente goduti? Chiedo, non insinuo nulla.

Quel “qualcuno bravo in cucina”, che una volta chiamavano “sottocuoco”, il quale non è escluso possa effettivamente, ripeto, espletare saltuariamente o continuativamente le funzioni di cuoco (proprio perché è “bravo”), avrà bisogno di un alloggio, di una lisciviatura per i panni e altre cosucce che costano assai nel Golfo degli Aranci. Domanda di cui non conosco la risposta: chi paga, il ristoratore o l’aiuto cuoco?

Conclusione: quel “qualcuno bravo in cucina” non serve si trasferisca in Sardegna per guadagnare 3000 euro il mese per 2-3 mesi di lavoro. Il titolare del ristorante sarebbe disposto, dice, pagarlo anche 5000 euro. Questa è la remunerazione di un cuoco professionista di stagione. Qualcosa di più, qualcosa di meno. Mi rimane in mente una domanda: cerca effettivamente un cuoco o un aiuto cuoco?

Il nostro “imprenditore” dice di aver bisogno di un “aiuto cuoco”. Ad ogni modo, lo classifichi e lo retribuisca per la mansione che effettivamente svolge. Soprattutto conto sul fatto che lo tratti per quello che è: una persona e un lavoratore.

Affinità comunicative

 

Ricevere una lettera è spesso una piacevole sorpresa, soprattutto in un ambiente in cui la comunicazione è prevalentemente digitale. Scrivere una lettera aggiunge un tocco personale e sincero, rendendo il messaggio più memorabile e prezioso. Dimostra che si è dedicato del tempo a pensare, a preparare un messaggio personalizzato, che può rafforzare il legame con il destinatario.

Donald Trump ha pensato che una lettera è un oggetto tangibile, che può essere conservato, riletto e custodito con cura. Può diventare un ricordo prezioso, a differenza dei messaggi digitali che possono essere cancellati o dimenticati. Con lui al potere la comunicazione e le pratiche diplomatiche sono cambiate radicalmente. Ha imposto a più di mezzo mondo dei dazi a mezzo lettera. Lettere che hanno la forma e il tono di ukase zaristi. Quelli di Trump non sono dazi, ma sanzioni.

Ha sbandierato i suoi ukase contro Canada, Messico, Europa, Giappone e, più recentemente, qualsiasi Paese che si allinei ai BRICS+ (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, Iran, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Indonesia ed Etiopia) considerati “antiamericani”. Né risparmia dichiarazioni oltraggiose contro i leader politici.

Trump ha dimostrato più che mai la sua capacità di alienare i rapporti con gli altri Paesi, al punto da abbandonare gradualmente la diplomazia tradizionale, incarnata da segretari di Stato, diplomatici e ambasciatori. È un presidente che crede che la diplomazia si eserciti tra capi di Stato e considera la vittoria di qualcuno come la sconfitta di qualcun altro.

Non aveva forse assicurato, durante la sua seconda campagna presidenziale, che avrebbe risolto la guerra in Ucraina “in 24 ore” se fosse stato rieletto? È lui, ancora una volta, a svolgere costantemente il ruolo di intermediario tra il governo israeliano e Hamas per un cessate il fuoco. I risultati si sono visti.

Bastardi fare un titolo così

Punta tutto sull’effetto annuncio, sulla nozione di autorità e sul potere verticistico. Come del resto fa Meloni, con la differenza che Roma sul piano internazionale conta meno di Ouagadougou. Lui sogna di vincere il Premio Nobel per la pace, Meloni invece quello dell’economia, com’è ci è stato annunciato.

L’incarnazione personalizzata della diplomazia è accompagnata da una comprovata volontà di sconvolgere i partenariati, le alleanze tradizionali degli Stati Uniti, per creare una forma di incertezza al fine di posizionare il Paese come capace di apportare un nuovo equilibrio e di cambiare un certo numero di cose.

Le dichiarazioni di Trump si inseriscono in un contesto multidimensionale: le ben note minacce doganali, la brusca cessazione dei finanziamenti da parte dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) e di alcune università di fama mondiale come Harvard. Quindi le ambizioni espansionistiche.

Il desiderio smisurato di impadronirsi unilateralmente della Groenlandia (e le Isole Faroe?), ma soprattutto la pretesa di annettere il suo vicino, il Canada. Non ha nemmeno il senso delle proporzioni: il Canada ha una superficie maggiore rispetto agli Stati Uniti, e dimensioni ancora molto più vaste se non si considera l’Alaska, che è lo Stato più grande degli Usa.

Trump ha ripetutamente affermato che il Canada dovrebbe diventare la 51a stella, che sarebbe “l’unica cosa sensata” da fare: “La linea di demarcazione artificiale tracciata molti anni fa scomparirà e finalmente avremo la nazione più sicura e più bella del mondo”. Trascurando il fatto che Carlo III è ancora formalmente il capo dello Stato del Canada.

Tra i canadesi ha preso piede un patriottismo da supermercato. Del resto, come altro possono difendersi dalla protervia trumpiana? Il Canada non ha le armi atomiche, come invece le possiede l’Italia, stoccate a Ghedi ed Aviano. La parola d’ordine dei canadesi è: acquistare prodotti locali piuttosto che provenienti dagli Stati Uniti. Ancora più significativo è il fatto che i canadesi stiano evitando le destinazioni dell’aggressivo vicino. Serve a poco il boicottaggio, ma rincuora.

A proposito: a giugno, la ministra danese per gli Affari Digitali (sic!), Caroline Stage, aveva annunciato la sua intenzione di abbandonare software e servizi Microsoft a favore del software tedesco Libre Office. Gente che vuole tornare a far luce con le candele.

Sulla falsariga trumpiana viaggia anche la fantasia della Meloni, a proposito delle sue illusioni di fare dell’Albania una colonia ove scaricare quella che considera monnezza.

Alla fine, Donald concede al suo avversario una tregua. L’ultimo annuncio, anzi l’ultima sua lettera da lontano, impone una dura sanzione alla UE, ma a partire dal 1° agosto. Ma noi ci abbiamo un bazooka, lungo e grosso.

Fuori degli Stati Uniti, il trumpismo appare attraente a diversi leader e forze politiche, di varia destra e fascistoidi. Resta da capire quanto dureranno a lungo queste nuove pratiche politiche e postali. Al momento non c’è da sperare di avere qualcosa di più decente.

lunedì 14 luglio 2025

L'ultima estate


Sarà questa l’ultima estate di pace? Pace per noi, non certo per quell’autentico inferno che è Gaza, né per gli ucraini chiamati alle armi e sotto attacco dei missili russi. A vederli, ieri, seduti a Wimbledon, stappare sciampagna, sembra proprio che nulla turbi certa gente. Sia chiaro, nulla contro quel simpatico ragazzo con la racchetta (sarò ospite nei prossimi giorni da suoi parenti a Villabassa), ma se c’è qualcosa che stride in questo momento è proprio l’enfasi tennistica a base di extra brut grand cru, che mi ricorda i sonnambuli de la douceur de vivre prima dell’agosto 1914.

Secondo Friedrich von Bernhardi, la guerra in Europa era “inevitabile”. Il generale tedesco lo scrisse nel 1911 nel suo saggio La Germania e la prossima guerra, ove sosteneva che la guerra fosse “una necessità biologica” e il motore del progresso umano. Che in passato la guerra sia stata uno dei motori del progresso tecnico-scientifico è indubitabile; che lo possa essere anche nel presente è probabile, ma con una differenza: poi resteranno solo macerie. Ah, il solito post pessimista e catastrofista, dirà qualcuno.

Deutschland und der Nächste Krieg! Provate a pronunciarlo, e vi sentirete già addosso una divisa, pronti al cimento. Vi sentirete come il cancelliere Friedrich Merz, il quale ha dichiarato: “Gli strumenti della diplomazia sono stati esauriti”. L’ultimo a pronunciare una frase del genere fu un boemo originario dalle parti di Linz. Questa gentaglia è davvero pronta per il massacro. Pensiamo davvero che possano avere qualche resipiscenza a riguardo di una guerra europea? E ciò mi riporta con la memoria ai libri di Barbara Wertheim, alias Tuchman, di cui ho detto anche in questo blog.

Nel fine settimana, il Financial Times ha riportato che il Pentagono ha formalmente richiesto a Giappone e Australia di rilasciare dichiarazioni in cui si impegnano a entrare in guerra con la Cina a fianco degli Stati Uniti per Taiwan: “Pianificazione operativa concreta ed esercitazioni che hanno un’applicazione diretta a un’emergenza taiwanese stanno procedendo con Giappone e Australia”. Ovvio che un’emergenza taiwanese può essere creata ad hoc.

Due giorni fa, si poteva leggere sul NYT un articolo dal titolo: Chi sta vincendo la guerra mondiale? Nel testo, si potevano leggere frasi come: “It’s useful for Americans to think about our situation in global terms, with Russia and Iran and China as a revisionist alliance putting our imperial power to the test.”

Ancora convinti sia una mia fissazione?

P.S. : nei post in cui citavo i libri della Wertheim, lamentavo che non venisse ristampato il suo I cannoni d’agosto (The Guns of August), ma devo aggiungere che nel 2023 il libro è stato riedito per i tipi di Neri Pozza. Un capolavoro di divulgazione storica (perciò, sciocchini, non vi venga in mente che ce l’ho con gli ebrei). 

domenica 13 luglio 2025

Una semplice “lettera” cambia la storia

 

La Seconda guerra mondiale fu combattuta per determinare quali delle maggiori potenze avrebbero assunto il predominio mondiale: Stati Uniti e Unione Sovietica. La Guerra Fredda ha sancito la vittoria degli Stati Uniti d’America e la sconfitta dell’URSS. La Terza guerra mondiale, in gestazione, sarà combattuta dagli Stati Uniti e dai suoi alleati per difendere i risultati ottenuti nel 1945 e 1989.

Sul piano dei rapporti economici capitalistici, quello escogitato sul finire del secondo conflitto mondiale era un sistema basato sul concetto che se le nazioni avessero commerciato liberamente beni e servizi, non si sarebbero fatte guerra tra loro. Un sistema che impediva che i conflitti economici si trasformassero in guerre. La funzione del dollaro quale valuta globale impediva la formazione di blocchi.

Va detto, a scanso di equivoci: l’idea che il libero scambio sia l’antidoto alla guerra è sempre stata una finzione, come dimostra il fatto che prima della prima guerra mondiale non esistevano due paesi più legati tra loro dal commercio di Germania e Gran Bretagna.

I tempi sono cambiati, l’ordine economico internazionale del dopoguerra è in una crisi profonda e senza ritorno. Ciò che è accaduto in questi ultimi lustri e accadrà nei prossimi, non dipende dal temperamento o dalle inclinazioni politiche di chi siede alla Casa Bianca, bensì dallo spostamento della bilancia di potenza. Gli Stati Uniti non hanno alternative: devono superare il loro prolungato declino e riaffermare il proprio dominio globale.

Le mattane trumpiane riflettono processi oggettivi. Il fatto che la comunicazione dei dazi avvenga con una semplice “lettera”, ci dà l’idea, a livello soggettivo, dell’impazzimento e della rozzezza alle quali si è giunti nei rapporti internazionali (e non solo).

La politica statunitense è l’espressione della sua crisi economica e sociale, che ha radici profonde. Per certi aspetti ricalca la crisi dell’Impero romano. Il declino produttivo, con la sua trasformazione in epicentro di speculazione e parassitismo, e la modificazione qualitativa del flusso immigratorio.

In forza del ruolo globale del dollaro (il suo “privilegio esorbitante”), gli Stati Uniti hanno potuto accumulare un debito federale sempre maggiore, che ammonta a 36.000 miliardi di dollari e sta aumentando a un ritmo “insostenibile”, e con livelli di debito senza precedenti nel settore privato. Il risultato è che gli Stati Uniti sono il Paese più indebitato.

Non avendo una soluzione politica ed economica al proprio declino, l’imperialismo statunitense ricorre alla potenza militare e al ricatto finanziario e commerciale per mantenere la sua posizione, un processo che è segnato dalla messa in mora di ciò che resta della democrazia e dalla creazione di un regime sempre più autoritario.

L’impero cinese dimostra di essere in grado di tener testa a quello americano, ed anzi acquisisce sempre più quote di mercato e dimensione espansiva. È diventato la principale potenza manifatturiera al mondo, utilizzando le tecniche più avanzate e facendo progressi nel campo cruciale dell’intelligenza artificiale.

La Cina rappresenta una minaccia esistenziale per l’egemonia degli Stati Uniti, dunque per il loro modello di rendita a spese altrui. Ed è per questo motivo che prima o poi (ma non troppo in là), si arriverà alla resa dei conti. Tuttavia, l’iniziativa sui dazi, la “trattativa”, allude esplicitamente al fatto che i Paesi che desiderano un accordo devono allinearsi agli interessi di “sicurezza nazionale” degli Stati Uniti (per la UE cè tempo fino al 1° agosto !). Questi interessi non sono solo la repressione della Cina, per quanto importante, ma il predominio degli Stati Uniti in ogni parte del mondo.

La mia curiosità personale consiste nello stare a vedere quali saranno le risposte e le proposte concrete della UE, del governo italiano (!) e, per non farmi mancare nulla, quelle della sedicente “opposizione” (!!!).


sabato 12 luglio 2025

Macchierà Israele per sempre

L’attacco di Hamas contro Israele è stato ciò che ha innescato la guerra. Tale attacco, certamente brutale, è stato provocato dalla feroce politica di occupazione della Palestina da parte dagli israeliani. Inizialmente Benjamin Netanyahu ha agito come avrebbe fatto qualsiasi primo ministro israeliano al suo posto.

A sei mesi dall’inizio della Strafexpedition ebraica nella Striscia di Gaza, Netanyahu si preparava a porvi fine. Erano in corso negoziati per un cessate il fuoco prolungato con Hamas, ed era pronto ad accettare un compromesso. Aveva mandato un inviato per comunicare la nuova posizione di Israele ai mediatori egiziani.

In una riunione al Ministero della Difesa a Tel Aviv, Netanyahu aveva bisogno di ottenere l’adesione del suo governo. Aveva escluso il piano dallordine del giorno scritto della riunione. L’idea era di rivelarlo all’improvviso, impedendo ai ministri contrari di coordinare la loro risposta.

Era l’aprile del 2024. La proposta sul tavolo avrebbe messo in pausa la guerra di Gaza per almeno sei settimane, creato una finestra per i negoziati con Hamas su una tregua permanente. Più di 30 ostaggi catturati da Hamas sarebbero stati rilasciati nel giro di poche settimane. Ancora di più sarebbero stati liberati se la tregua fosse stata prorogata. E la devastazione di Gaza, dove circa due milioni di persone cercavano di sopravvivere agli attacchi quotidiani, si sarebbe fermata.

Porre fine alla guerra avrebbe aumentato le possibilità di un accordo di pace storico con l’Arabia Saudita, il paese più potente del mondo arabo. Per mesi, la leadership saudita aveva segretamente segnalato la sua disponibilità ad accelerare i colloqui di pace con Israele, a condizione che la guerra a Gaza fosse cessata. La normalizzazione dei rapporti tra i governi saudita e israeliano, un risultato che era sfuggito a ogni leader israeliano dalla fondazione dello Stato nel 1948, avrebbe garantito lo status di Israele nella regione, nonché l’eredità politica a lungo termine di Netanyahu.

Ma per Netanyahu una tregua comportava anche un rischio personale. Come primo ministro, guidava una coalizione fragile che dipendeva dal sostegno di ministri di estrema destra che volevano occupare Gaza, non ritirarsi da essa. Cercavano una guerra lunga che alla fine avrebbe permesso a Israele di ristabilire gli insediamenti ebraici a Gaza. Se un cessate il fuoco fosse arrivato troppo presto, questi ministri avrebbero potuto decidere di far saltare la coalizione di governo. Ciò avrebbe portato a elezioni anticipate, laddove i sondaggi indicavano Netanyahu perdente.

Privo dell’incarico di premier, Netanyahu sarebbe diventato vulnerabile. Dal 2020 era sotto processo per corruzione; le accuse, che ovviamente ha respinto, riguardavano principalmente la concessione di favori a uomini d’affari in cambio di regali e copertura mediatica favorevole. Privato del potere, Netanyahu avrebbe perso la capacità di estromettere il procuratore generale che supervisionava il suo processo, come in effetti il suo governo avrebbe poi tentato di fare.

In quel giorno d’aprile, mentre il governo discuteva di altre questioni, un assistente entrò di corsa nella sala riunioni con un documento che riassumeva la nuova posizione negoziale di Israele, porgendolo silenziosamente a Netanyahu. Netanyahu gli diede un’ultima lettura, spuntando vari punti con la penna. La strada verso una tregua presentava un pericolo reale, ma sembrava pronto ad andare avanti.

Bezalel Smotrich, il suo ministro delle Finanze, interruppe i lavori. Da giovane attivista, nel 2005, Smotrich fu detenuto per settimane – senza mai essere incriminato – con l’accusa di aver pianificato di far esplodere dei veicoli su un’importante autostrada per rallentare lo smantellamento degli insediamenti israeliani a Gaza. Insieme a Itamar Ben-Gvir, il ministro della sicurezza nazionale di estrema destra, Smotrich era ora uno dei più convinti sostenitori del ripristino di quegli insediamenti. Aveva recentemente chiesto che la popolazione palestinese di Gaza se ne andasse. Ora, alla riunione di governo, Smotrich dichiarò di aver sentito voci di un piano per un accordo. I dettagli lo turbarono: “Voglio che sappiate che se viene presentato un accordo di resa come questo, non avrete più un governo”.

Erano le 17:44, secondo il verbale della riunione. In quel momento, il primo ministro fu costretto a scegliere tra la possibilità di una tregua e la sua sopravvivenza politica (e non solo. Manco a dirlo, Netanyahu optò per la sopravvivenza. Non c’è un piano di cessate il fuoco, disse a Smotrich: “No, no, non esiste”. E mentre la discussione proseguiva, Netanyahu si chinò silenziosamente verso i suoi consiglieri per la sicurezza e sussurrò quello che doveva essere ormai ovvio per loro: “Non presentate il piano”.

E così il conflitto si trasformava in una guerra di logoramento e di genocidio. È stato Netanyahu a prolungarla, a ritardare ripetutamente il raggiungimento di un cessate il fuoco. Temendo per la propria sopravvivenza politica, Netanyahu ha legato il suo destino ai sogni della maggioranza degli israeliani e ha prolungato i bombardamenti e il bagno di sangue per garantirsi il loro sostegno.

Netanyahu ha garantito la propria sopravvivenza politica placando e manipolando gli alleati della sua coalizione e i benefattori del governo degli Stati Uniti, spesso contemporaneamente. Ha mostrato la frequente sovrapposizione tra i suoi obiettivi personali, le sue esigenze politiche e l’interesse nazionale. Ha strumentalizzato la guerra – che fosse a Gaza, in Libano o in Iran – per rimanere al potere. Il piano di colpire l’Iran era l’unica cosa che ha impedito agli Haredim (gli ebrei ultraortodossi) di sciogliere il governo.

Eppure, anche se il suo apparente trionfo in Iran gli ha fatto guadagnare tempo e consenso in Israele, sono le sue azioni a Gaza che definiscono l’eredità di Netanyahu all’estero. Che la guerra a Gaza finisca domani o tra diversi mesi, ha già ucciso molte decine di migliaia di persone, tra queste moltissime donne e bambini. Circa due milioni sono sfollati. La maggior parte degli edifici è già stata danneggiata o distrutta. La fame è diffusa. La ricerca quotidiana di cibo è diventata una trappola mortale distopica in cui gruppi di civili vengono regolarmente assassinati mentre si avvicinano ai pochi siti che distribuiscono aiuti.

La reputazione di Israele è al minimo storico. La Corte Internazionale di Giustizia sta valutando – purtroppo molto lentamente – se Israele sia colpevole di genocidio. Un’altra corte, quella Penale Internazionale, ha emesso un mandato d’arresto per lo stesso Netanyahu (che però trova benevolenze dal fascistoide governo italiano). Netanyahu è responsabile di una delle più gravi catastrofi umanitarie da molti decenni a questa parte, una catastrofe che macchierà il nome di Israele per sempre.


venerdì 11 luglio 2025

Un nemico implacabile li accomuna

 

Ci fu un tempo in cui tutto ciò che nuoceva alla sinistra era considerato di destra e reazionario; oggi, al contrario, tutto ciò che non s’inquadra nella dimensione paesana del sentimento di destra, gode del sospetto nevrotico di essere di “sinistra”.

Eccoci dunque alla polemica sulla cosiddetta egemonia culturale della sinistra. È una delle tante birbonate che ci sta giocando l’odierna realtà, personificata da degli stracciaroli che non si curano nemmeno di simulare un ragionamento. Del resto, il pensiero astratto è il loro debole, mentre la cialtroneria concreta è il loro forte. Importa a costoro solo la conclusione.

Usano l’espressione egemonia culturale di sinistra per descrivere l’influenza della sinistra su cultura, media e istruzione. Potrei dimostrare ampiamente che l’egemonia culturale che prevale in ogni ambito sociale e in sequenza storica è sempre e comunque quella delle classi e dei ceti dominanti. Quello che è prevalso per qualche decennio è un progressismo medio borghese imposto dallo sviluppo economico e dalla fuoriuscita delle masse da un lungo letargo, con qualche momentaneo inserto vagamente marxisteggiante e anticapitalista (*).

L’egemonia culturale di stampo cattolico, per esempio, ha avuto e in parte continua ad avere un ruolo preminente e spazio mediatico più che adeguato. Quanto alla destra fascista (si chiama così, basta con l’ipocrisia), nel frattempo non ha saputo elaborare altro che il proprio risentimento per l’emarginazione in cui si era cacciata in quanto incapace di scrollarsi di dosso il passato missino e darsi una autentica e profonda ripulita ideologica (ci provarono a Fiuggi, ma il risultato è quello riassunto dall’Italico Lecchino in tivvù).

Ciò mi ricorda il giudizio di Galeazzo Ciano a riguardo della gioventù fascista, specie quella del mondo dei GUF (Gruppi universitari fascisti), laddove in un appunto del 24 gennaio del 1942 la definì icasticamente “mutilata, ignorante e scema” (Diario 1937-1943, Rizzoli 1998, p. 583). Chissà cosa direbbe vedendoli e ascoltandoli oggi.

Dunque qual è il senso di questa polemica? Un nemico implacabile accomuna gli infelici reazionari di oggi: l’antipatia per la cultura. I più scafati fascisti del ventennio, oltre che di opportunisti ignoranti e scemi, seppero circondarsi e valorizzare anche dei veri professionisti, personalità di origine o tendenza monarchica, nazionalista o liberale. Costoro, seppur tiepidi nei riguardi del fascismo, raramente si mostrarono ostili al regime, e in buona parte trovarono poi adeguata collocazione nella nomenclatura del dopoguerra grazie al loro talento.

Metti un Moravia, considerato di sinistra. A me non importa, ma riporto ciò che il supplice signor Pincherle scriveva proprio a Galeazzo Ciano:

«Il suo esempio mi ha deciso a compiere un atto che è doveroso da parte mia. Sono stato riformato recentemente al servizio di leva per anchilosi dell’anca destra, e non mi è possibile, perciò, di arruolarmi volontario, come avrei voluto, nel corpo di spedizione per l’Africa Orientale. Resta, tuttavia, vivissimo in me il desiderio di partecipare, in qualche modo, all’impresa africana. [...] ora io vorrei scrivere un libro organico, il quale potesse rimanere documento e testimonianza dell’eroismo della gioventù fascista in guerra». Eccetera.

E questo basterebbe per fare di Moravia un fascista, e come lui altri futuri idoli di sinistra? In tal caso, etichettare serve solo ad assicurare la falsa coscienza di chi si sente inquieto riguardo a sé stesso.

Che senso avrebbe considerare di destra Cèline, Nietzsche, Burke o Tucidide? Oppure Bernanos, Guareschi o anche un Testori? Come se fosse la cultura ad essere ontologicamente reazionaria o progressista, e non l’uso che se ne fa! Basterebbe essere intelligenti per comprenderlo, ma non esageriamo con tale pretesa.

Era necessario un clima becero e oscurantista perché individui come Andreotti e il famigerato procuratore Carmelo Spagnulo potessero perseguire e censurare l’Arialda o Rocco e i suoi fratelli. In mano a tale genìa, e a quella facinorosa di oggi, persino i Manoscritti del ’44 diventerebbero un’opera “sovversiva”, e Ragazzi di vita un libro “osceno”.

Qualcosa è cambiato dal ventennio fascista e dal cinquantennio democristiano, ma è rimasta la medesima impronta: quella di propugnare libertà a Mosca e limitare la libertà a Roma.

(*) Rossana Rossanda, che il PCI lo conobbe bene dell’interno, nella sua autobiografia (La ragazza del secolo scorso) ebbe a scrivere a p. 301: «Il marxismo era, sicuro, una filosofia e se si vuole un umanesimo, ma non si poteva tirare in tutte le direzioni, fin fuori dalla sua origine, nella crudele estraneazione del modo di vivere e produrre nel capitale: né si poteva giocare allegramente Gramsci contro Marx, o addirittura Vico contro Gramsci. Eravamo sempre là, al crocianesimo di ritorno nella formazione del gruppo dirigente comunista.» Scriveva ancora Rossanda, Marx “nessuno lo leggeva”

giovedì 10 luglio 2025

A cena a nostre spese

Mentre la guerra infuria e una qualsiasi trattativa di pace s’allontana, il governo italiano s’è fatto promotore di una benemerita iniziativa per quanto riguarda l’Ucraina: una conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina. Posso già rivelare quale sarà il risultato più tangibile dell’iniziativa: il pranzo di gala. A spese dei contribuenti, cioè di quelli che effettivamente le imposte le pagano davvero e fino all’ultimo fiscal-drag.

L’Ucraina è un paese in bancarotta. Ha poca importanza se il suo debito attuale è “solo” dell’80% del Pil. Con una spesa militare di circa 60 miliardi di dollari, oltre la metà della spesa pubblica e più di un terzo del Pil, il suo destino è segnato per decenni, forse per sempre. Poteva sfruttare le proprie risorse, ricavare dei cospicui aggi sui gasdotti (Putin offrì al governo di Yanukovich uno sconto di 15 miliardi di euro sulla bolletta energetica ucraina), porsi come corridoio commerciale tra Europa e Russia, rendendo possibile un’unione Euroasiatica (con tanta “insoddisfazione” di Washington).

Se nel 2013 l’Ucraina fosse entrata a far parte dell’Unione Economica Eurasiatica (UEE), sarebbe stata il secondo stato membro più grande in termini di popolazione e il terzo in termini di PIL. E invece compare Zelensky, che non è solo un comico e “servitore del popolo”, è anche un piccolo imprenditore che possiede conti offshore nelle Isole Vergini. E qui andrebbero raccontati i suoi rapporti con il suo mentore, l’oligarca Ihor Kolomoisky, che controllava vari settori economici, come compagnie aeree, banche, televisione, metallurgia, petrolchimica e mineraria, ma sarà per un’altra occasione (*).

La Russia di Putin vuole controllare l’Ucraina per usarla come territorio cuscinetto contro l’ostilità dei paesi NATO. È stata la prospettiva di perdere l’Ucraina in questo ruolo (e il controllo del Mar Nero) a spingere Putin a intraprendere una guerra che pensava come una guerra-lampo. D’altra parte, le potenze occidentali hanno usato il pretesto di difendere la sovranità ucraina per perseguire i propri obiettivi nel paese e nei confronti della Russia.

Milioni di sfollati (7 milioni secondo i dati delle Nazioni Unite), decine di migliaia di morti tra i civili, un’intera generazione di giovani mandata al macello. Un disastro umano che peserà per molti decenni. All’Ucraina resta solo una strada per pagare i debiti attuali e futuri: svendere. Liquidare le proprie risorse, cosa che ha già fatto il 30 aprile scorso. Di fatto, questo accordo consente agli Stati Uniti di appropriarsi delle risorse minerarie ucraine senza costi aggiuntivi: (titanio: il 7% delle risorse mondiali si trova nel sottosuolo ucraino; grafite, il 20%; nonché manganese, litio, zirconio e uranio). Schiavizzare il proprio popolo: non è un caso che sul sito ufficiale della conferenza è espressamente indicato l’obiettivo di «affrontare gli eccessi di regolamentazione sui mercati e sul mercato del lavoro».

Che cosa aspettarsi dalla canaglia guerrafondaia e affaristica che provocato colossali distruzioni materiali? Prima vendono armi e crediti, poi passano alla terapia del carciofo. Foglia dopo foglia finché non resta più nulla, neanche gli occhi per piangere.

(*) Tra l’altro, nel 1992, Kolomoisky e Gennady Bogolyubov fondarono Privatbank, che nel giro di pochi anni divenne la più grande banca del Paese, controllando il 33% dei depositi e il 50% delle transazioni all’inizio degli anni 2010. La Banca centrale ucraina dichiarò la banca insolvente nel 2016 e la nazionalizzò. I due fondatori furono accusati di frode per un importo di 5,5 miliardi di dollari, pari al 5% del PIL. Tra il 2013 e il 2016, Privatbank prestò miliardi a società offshore controllate dai co-fondatori.

Quando Zelensky fu eletto nella primavera del 2019, Kolomoisky raccontò ai giornalisti di una conversazione che avrebbe avuto con degli amici: «La gente viene da me in Israele e mi dice: “Congratulazioni! Ben fatto!”. Io rispondo: “Perché? Il mio compleanno è a febbraio”. Loro rispondono: “Chi ha bisogno di un compleanno quando ti sei già dato un Presidente?”.»

«People come to see me in Israel and say, “Congrats! Well done!”. I say, “For what? My birthday’s in February”. They say, “Who needs a birthday when you’ve got a whole president”» (Max Seddon, The bank that holds the key to Ukraine’s future, Financial Times, 17 luglio 2019). 

mercoledì 9 luglio 2025

Questo cambierebbe tutto

Le Monde

Tredici funzionari della direzione dell’amministrazione fiscale francese si sono suicidati da gennaio e altri otto hanno tentato di farlo. Una notizia confermata dalla Direzione Generale delle Finanze Pubbliche (DGFiP), che oggi terrà una riunione sull’argomento. “Si tratta di una situazione che stiamo monitorando, che non credo sia legata a motivi organizzativi, di carico di lavoro o di gestione”, ha dichiarato martedì il ministro dell’Economia Éric Lombard, interrogato sull’argomento davanti alla Commissione Finanze dell’Assemblea Nazionale.

La Francia ha uno dei tassi di suicidio più alti d’Europa. Secondo l’Osservatorio Nazionale del Suicidio (è stato creato nel 2013), il tasso di mortalità per suicidio era di 13,07 ogni 100.000 abitanti nel 2019.

La DGFiP conta 95.000 dipendenti nel 2025. Il tasso di suicidi quest’anno è dello 0,013 per cento nella DGFiP. Pertanto esattamente un tasso nella media nazionale.

Da altre fonti ben informate si apprende che è forte il sospetto che a indurre i funzionari al suicidio siano stati degli agenti di Mosca. E questo cambierebbe tutto.

Non gli basta mai

Per esempio imporre all’umanità modelli di comportamento e di comunicazione che riscrivono i nostri modi di vita e di linguaggio. Chi non ci sta, per qualunque motivo, fosse anche solo per questioni anagrafiche o economiche, ossia indipendenti dalla propria volontà, è messo fuori da quello che un tempo veniva chiamato consorzio umano.

Elon Musk ha appena annunciato che creerà un proprio partito politico, l’America Party. Si propone di guidare lui stesso gli Stati Uniti e dunque di dettare l’agenda a gran parte del mondo. Questa è la sua ambizione. Non è l’ennesimo capriccio di un miliardario, è il nocciolo dell’ideologia liberista più sfrenata, quella di una casta di leader anglosassoni secondo i quali lo Stato deve essere distrutto per permettere ai capi delle multinazionali tecnologiche di governare il mondo.

In pochi decenni, la specie umana si è sottomessa senza la minima protesta ai suoi dettami tecnologici. Non possiamo affermare di lottare per difendere il sistema sanitario, l’istruzione, le pensioni e più in generale i diritti fondamentali senza fare lo stesso contro l’egemonia di queste tecnologie sulle nostre vite.

Le lotte in ambito sociale, economico e culturale sembrerano quelle di un’altra epoca, del XX e XXI secolo. Nessuno si mobilita contro quelli che anche noi chiamiamo gentilmente i “giganti della tecnologia”, che hanno plasmato l’America e il resto del mondo con una violenza sociale senza precedenti.

La perversione di questa macchina infernale che hanno creato è che, per combatterla, bisogna farne parte. Vale a dire, bisogna essere presenti sui social media per denunciare chi li ha creati. Il sistema totalitario perfetto: per combatterlo, bisogna usarlo e quindi alimentarlo. L’estrema destra di tutto il mondo ha compreso il vantaggio di essere attivi su queste reti, che permettono loro di diffondere la loro propaganda in totale impunità.

I fascistoidi hanno subito apprezzato la dimensione dispotica di questo mondo digitale, dove nulla può essere regolamentato o proibito. Lo Stato, che tuttavia detiene il monopolio della coercizione per difendere l’interesse generale, è impotente a controllare alcunché. L’interesse generale non è più difeso da nessuno. I forti schiacciano i deboli, come gli adolescenti spinti al suicidio, vittime di linciaggi sui social network.

Il mondo digitale è una marcia della morte dove i più violenti sopravviveranno e i più fragili verranno schiacciati. Questo è ciò che vogliono imporre al pianeta, cioè a noi, alla nostra esistenza, al nostro pensiero, alla nostra libertà.

“Oggi, il Partito d’America è stato creato per restituirvi la libertà”, ha scritto Musk sul suo social network X. Una frase degna di Orwell (o di Goebbels), in cui le parole dicono il contrario di ciò che significano. Mai la parola “libertà” è stata così oscena come nella bocca di quest’individuo.

Sono gli ingredienti di questa aristocrazia digitale che ha creato e controlla un sistema di dominio tecnologico che schiavizza 8 miliardi di esseri umani. Cosa stiamo aspettando a ribellarci a questa oligarchia? Siamo noi che, usando smartphone e app ogni giorno, alimentiamo l’immenso potere economico e politico degli orchi della tecnologia. Abbiamo nelle nostre mani il potere di disattivare gli strumenti digitali che ci hanno venduto.

Questa mattina devo registrare un atto. Lo posso fare solo per via telematica. Potremmo mai boicottarli? Siamo fregati. Come scrivevo all’inizio di questo blog, ormai più di 15 anni or sono: “Marx ha scritto che ogni epoca si pone solo i problemi che può risolvere, e questo è vero; e oggi siamo giunti precisamente al punto in cui non è più possibile risolverne nessuno senza risolverli tutti”.

lunedì 7 luglio 2025

La guerra di sterminio come programma del sionismo

 

La guerra a Gaza, che è una guerra contro Gaza, continua, in una strategia di invisibilità delle tragedie, della disperazione, dei viaggi individuali nel caos, che è terrificante. I bambini sono onnipresenti, sono il futuro, il significato di ogni cosa, il puro presente, ma per i loro assassini sono diventati bersagli privilegiati.

Non vediamo nulla, non sappiamo quasi nulla, i giornalisti vengono assassinati. Perché? Se sostieni che il sionismo controlla direttamente o indirettamente gran parte dei media, ti becchi l’accusa di antisemitismo. Tale accusa, secondo una retorica consolidata, è diventata il comodo pretesto per opporsi a qualsiasi critica e denuncia contro i crimini in corso a Gaza e in Cisgiordania perpetrati dello Stato ebraico-sionista.

È sufficiente essere ebrei e si diventa intoccabili. Dire a un ministro israeliano di “smettere di uccidere donne e bambini a Gaza” e si viene tacciati di rasentare l’antisemitismo. È successo a Macron, non proprio a uno qualsiasi. Oppure denunciare la politica di apartheid in Cisgiordania e ci si becca la stessa etichetta. Persino il segretario nazionale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ne è stato accusato.

Il noto criminale di Stato, Benjamin Netanyahu, ha definito il procuratore della Corte Penale Internazionale, Karim Khan, come “un grande antisemita moderno”, dopo che Khan aveva richiesto un mandato di arresto per lui e i leader di Hamas per “crimini di guerra”.

L’accusa di antisemitismo è così infame, carica del peso dell’orrore nazista, da soffocare ogni discussione. Ci si sente in trappola. Questa accusa sistematica ci impedisce di riflettere sulla questione del sionismo, sulla sua natura e gli obiettivi dello Stato ebraico.

Il sionismo è l’ideologia dello Stato d’Israele, un’ideologia su base genetica, religiosa e culturale. Israele si proclama Stato di tutti gli ebrei. Ciò vale come se lo Stato di una qualsiasi nazione si proclamasse Stato di tutti coloro che, sparsi per il mondo, hanno anche solo una traccia di ancestrale discendenza dallo stesso ceppo etnico e credo religioso.

Dal momento in cui il progetto sionista prese forma e si immaginò come un “ritorno” alla patria originaria del popolo ebraico, che, contrariamente al mito, non era una terra senza popolo, ma era popolata da un popolo sempre più percepito come una versione moderna delle nazioni di Canaan o, peggio, di Amalek, la nozione di milhemet mitzvah, cioè di guerra di sterminio, venne riattivata (*).

In ogni guerra, dal 1982 ad oggi, i limiti riconosciuti a livello internazionale imposti alla condotta degli eserciti dopo la fine della Seconda guerra mondiale furono gradualmente accantonati dall’IDF, in conformità con il comando di Dio, nel tentativo di liberare la Palestina dai suoi abitanti originari.

Né va trascurato il fatto, che l’eredità europea che gli israeliani rivendicano oggi non solo li separa dagli “arabi” che li circondano, ma serve anche a gerarchizzare le stesse popolazioni ebraiche di Israele (basti pensare ai Falasha) in base alla loro vicinanza alla cultura europea. Inoltre, la cultura europea a cui questa gerarchia si riferisce è decisamente quella dell’Europa occidentale e centrale, piuttosto che la “terra yiddish” dell’Europa orientale, dove viveva la stragrande maggioranza della popolazione ebraica mondiale prima del secondo conflitto.

Questa è una delle non poche contraddizioni del progetto coloniale sionista. La cultura ebraica esistente, in tutta la sua diversità e complessità, fu negata dal sionismo, cioè ridotta a nulla. Doveva nascere una nuova cultura e un nuovo ebreo, spogliati di tutto ciò che, secondo i sionisti, ricordava la presunta debolezza e il parassitismo degli ebrei, persino i loro nomi, fossero essi arabi, ladini o yiddish. Fu attraverso questa trasformazione, intesa come risultato e non come condizione originaria, che l’autentica comunità d’Israele doveva attualizzarsi.

La nuova cultura, tuttavia, si riduce a una protesi originale: la cultura sionista è nuova in virtù del suo ritorno alle glorie della repubblica ebraica istituita da Mosè, residente nella terra che fu promessa da Dio al popolo ebraico, e che costituisce la legittimità invocata oggi dai leader sionisti israeliani, anche laici, quando sono interrogati sulla validità delle loro rivendicazioni sulla Palestina.

Vale la pena ricordare che Netanyahu è stato in grado di dichiarare i suoi obiettivi genocidi davanti alle telecamere (in ebraico, la lingua in cui esprime più liberamente il suo razzismo e le fantasie genocide che genera), ricordando ai soldati dell’IDF, il comando di Dio trasmesso tramite Samuele a Saul riguardo agli Amaleciti, una nazione che cercava di impedire il ritorno degli ebrei nella terra promessa (**).

Questa guerra, che è, ripeto, una guerra contro Gaza e il popolo palestinese, la frequenza delle guerre di Israele dalla sua fondazione, così come il suo rifiuto di offrire una soluzione praticabile ai palestinesi, fanno parte del progetto coloniale sionista.

Nel processo di colonizzazione della Palestina e di costruzione della Grande Israele, il sionismo si è espresso con manifestazioni teoriche e pratiche di pregiudizio contro gli arabi in generale e di odio per i palestinesi, ossia gli abitanti millenari di quella che gli ebrei ritengono essere Eretz Israel. Non è solo il desiderio di vendetta, ancora e sempre insoddisfatto, a muovere Israele.

Secondo il NYT, Il 94% degli ebrei israeliani crede che l’esercito abbia usato “forza adeguata o insufficiente” a Gaza e circa l’88% di tutti gli ebrei israeliani “crede che il numero di palestinesi uccisi o feriti a Gaza sia giustificato dalla guerra”.

Lo Stato d’Israele, con le sue politiche di colonizzazione ed espropriazione sia abusiva che legalizzata ad hoc, perpetrate per decenni, non ha altro scopo evidente se non la distruzione totale della presenza palestinese attraverso una combinazione di violenza genocida contro la popolazione civile e l’espulsione dei sopravvissuti. Lo si denunciava mezzo secolo or sono, i fatti continuano a confermarlo.

Questo stato di cose è il prodotto di un equilibrio di potere globale sempre più favorevole a Israele, che gli ha concesso di fatto un’esenzione dal diritto internazionale, nonostante Israele continui a ricevere dagli Stati Uniti tutti i mezzi più sofisticati di distruzione di massa. Il senso di potere illimitato contro una popolazione palestinese semi-affamata, già prima dell’attuale guerra, si esprime in un messianismo che si realizzerà solo con lo sterminio della popolazione indigena.

Chi straparla di due Stati per due popoli, o è un ignorante o è in malafede. L’unico modo per porre fine alle guerre del sionismo e al suo progetto razzista ed egemonico, è porre fine al sionismo come teoria e come strategia. Tuttavia non si può porre fine al sionismo e ai suoi propositi genocidi se non nell’ambito di un nuovo e radicale equilibrio mondiale. Dunque, solo dopo un altro conflitto mondiale. Ahimè, non vedo altra soluzione.

(*) Fu nel periodo della prima colonizzazione che la destra israeliana (sia religiosa che laica) discusse la questione della guerra, così come trattata nella Torah e nel Talmud, così come nei commentari di Rashi (1040-1105), Maimonide (1138-1204), Nahmanide (1194-1270) e Bahya ben Asher (1255-1340). La questione in discussione era cosa fosse proibito e cosa permesso in guerra, il che portò a una distinzione tra due tipi fondamentali di guerra.

Il primo tipo è la guerra facoltativa (milhemet reshut), in cui è proibito uccidere donne o bambini o distruggere i raccolti e che deve essere preceduta da una proposta di pace respinta dalla parte avversa prima che le ostilità possano iniziare. L’altro tipo di guerra, è la milhemet mitzvah, la guerra obbligatoria comandata da Dio. Queste guerre possono, senza la minima esagerazione, essere considerate guerre di sterminio, in cui tutti gli uomini, le donne e i bambini devono essere uccisi, i loro animali e i raccolti distrutti e persino il ricordo della loro esistenza “cancellato”. Questo non è uno stato di eccezione in cui tutto è permesso. Al contrario, la guerra di sterminio è obbligatoria e, se non viene condotta secondo la lettera del comandamento scritto nella Torah, sarà punita da Dio (Deuteronomio, 20).

(**) Non c’è nulla di nuovo in queste affermazioni; subito dopo la guerra del 1973, il fiorente movimento dei coloni iniziò a conciliare il sionismo laico e quello religioso. Il terrorismo dell’Irgun (1931-1948), laico, e del Lehi (una scissione dell’Irgun del 1940, chiamata Gruppo Stern), prima e durante la Nakba, fu retroattivamente giustificato in termini halakhici, ovvero citando la legge ebraica.