mercoledì 19 febbraio 2025

Rallegrati, lettore!


Scrivere è una forma di esercizio ginnico che ti aiuta a vivere un po’ più a lungo e a morire un po’ meno velocemente. È anche un tentativo, più o meno efficace, di uscire da uno stato molto frequente: l’imbecillità naturale. Mi sento bene, come chiunque, nell’imbecillità naturale, ma è come fare il bagno in una vasca: prima o poi devi uscire. La temperatura scende, l’acqua s’intorbida, la tiepidezza dei luoghi comuni e dei discorsi della gente finisce per provocare un raffreddore. È il momento di fare una doccia, asciugarsi e scrivere. Ma per unirsi a cosa? E già qui dovrei aprire una lunga parentesi. O forse chiuderla, perché sono quindici anni che è aperta e dunque non è più (non è mai stata) una parentesi.

Guardando al domani: che cosa scriverò quando una macchina potrà farlo per me? La domanda è seria: non c’è niente di più convenzionale, di più sorpassato delle battute sull’intelligenza artificiale, tranne forse l’ansia o l’entusiasmo che suscitano. Sono due facce della stessa medaglia. Questo post, ad esempio, la macchina non si accontenterà più, nell’ipotesi, di facilitarlo e migliorarlo. Forse presto lo scriverà meglio di quanto potrei fare io. Anzi, senz’altro. Le darò una vaga idea, qualche istruzione più o meno precisa e lei farà il resto.

Rallegrati, lettore! Non dovrai più denunciare i miei errori, notare le mie imperfezioni, sguazzare come un cinghiale nelle mie tane. La macchina, che si dice essere solo nella sua preistoria (e oggi il passaggio dalla preistoria alla storia richiede alcuni anni, a volte alcuni mesi), mi renderà tanto perfetto quanto inesistente. La macchina riassumerà tutti gli autori e tutti i lettori (con concisione e brevità, come piace a te, caro lettore, che hai fretta di correre appresso ad altri trastulli). Verrà il momento in cui non ci sarà più bisogno né dell’uno né dell’altro. Solo macchine in digitale comunicazione tra loro stesse. Annunceranno le buone (o cattive) notizie con condiscendente simpatia e civile entusiasmo. Senza urlare come scimmie, pappagalli, fascisti o ribelli. 

martedì 18 febbraio 2025

Asino

 


È la stessa Francia di Macron che vuole inviare truppe in Ucraina contro i russi. Ciò che succede dietro le quinte, noi non lo sappiamo, sovrastati da una propaganda martellante, officiata da gente che presenta Aleksej Naval’nyj come un martire assassinato dai perfidi sicari di Putin. Oppure presenta la Russia di Putin come il Terzo Reich. Mentre invece Macron è un democratico. Indice elezioni anticipate e poi incarica di formare il governo chi le ha perse. Il caso di Emmanuel Macron si può riassumere in una sola parola: asino. La sua ambizione è quella di essere una specie di de Gaulle, in realtà farà la stessa fine di un Paul Deschanel: caduto da un treno in corsa, in mezzo al nulla e in pigiama.

lunedì 17 febbraio 2025

Disonesti

 

Ieri sera ho visto il film The Apprentice. Pur col beneficio d’inventario, il film è illuminante. Non serve chiedere a Donald Trump quando ha letto l’ultimo libro e di quale libro si trattasse eventualmente. Il suo è puro spirito animale, schietta legge della giungla. Questa è l’etica e la filosofia elementare che regge le concezioni trumpiane, ovvero le tre regole alle quali s’spirava il suo maestro, vale a dire un personaggio come Roy Marcus Cohn. Tutto è molto semplice, la complessità viene superata tagliandola con l’accetta. Si può essere ferocemente contro gli omosessuali, ma allo stesso tempo avere un amante del medesimo sesso. Per esempio.

C’è da chiedersi per quale motivo la maggioranza degli elettori statunitensi l’abbiano votato e mandato per la seconda volta alla Casa Bianca. Ma questa è una domanda a cui gli ipocriti non vogliono rispondere con onestà. Nelle grandi città ci sono enormi ghetti e l’immensa plaga americana è punteggiata di baracche con il tetto di lamiera, abitata da una popolazione che beve birra scadente e si nutre grazie ai buoni alimentari governativi.

Tuttavia bisogna riconoscere a Trump di mostrare molta meno ipocrisia dei suoi competitori del partito democratico. Vedi il caso dell’Ucraina. Come si può pensare che il regime di Zelens’kyj rappresenti gli interessi degli abitanti russi del Donbass e della Novorossija quando proibisce la loro cultura, la loro lingua, le loro tradizioni e la loro religione? Questa è un’altra domanda che quei disonesti  che si riuniscono oggi a Parigi non si pongono e mai parlano dei diritti umani violati in Ucraina dai fascisti locali, cioè da Zelens’kyj e dalla sua cricca.

Sono gli stessi democratici e liberali europei e statunitensi che hanno aperto autostrade alla destra fascista, quelli che ritengono di non avere nessuna colpa e responsabilità di quanto è successo e di ciò che succederà di peggio nel prossimo futuro. La storia non si ripete mai uguale-uguale, ma spesso va a ricalco con qualche variante. 


sabato 15 febbraio 2025

Quelle sì

 

Al sedicente ministro:

Una tempesta in un bicchier d’acqua, d’accordo. Ma resta una domanda: chi scrive quei discorsi e perché tanta stizza? Per la piega che ora stanno prendendo gli avvenimenti. Chi ha creato le condizioni per scatenare questa guerra, pensava davvero che l’Ucraina potesse vincere la Russia o che si potesse arrivare a un accordo in cui la Russia soccombesse? Ucraina e Russia, che fino a poco tempo fa costituivano una sola nazione, saranno nemiche per sempre. Nessun mea culpa da parte dell’Europa e con essa dell’Italia?

Perché paragonare la Russia attuale al Terzo Reich? Basterebbe ricordare che alleata del Terzo Reich era proprio l’Italia. Che ad invadere la Russia al fianco delle truppe naziste c’erano quelle italiane. Quale reazione provocherebbero eventuali affermazioni di Putin nelle quali l’Italia fosse paragonata al regime fascista, del quale peraltro l’attuale governo non è esente da nostalgie e anche qualcosa di più? Non vorrei che si condividessero le mie posizioni, per carità: ma un po' di saggezza, di lungimiranza, di memoria storica e umiltà. Queste, sì. 

venerdì 14 febbraio 2025

Il delitto Matteotti

 

«In Italia la libertà ed il diritto ormai avevano finito di esistere. [...] quest’abdicazione collettiva si può agevolmente spiegare quando si riflette sull’assenteismo delle masse italiane in tutte le lotte del Risorgimento e sull’influenza perniciosa delle secolari dominazioni straniere. La libertà e il diritto costituiscono il patrimonio ambito e prezioso soltanto degli uomini che abbiano appunto sviluppato il senso civico della vita collettiva ed individuale. Chi non apprezza questi sentimenti, chi non li sente sangue del proprio sangue e carne della propria carne è naturale che per la difesa di essi non si batta. È ancora più umano che si adatti e si affidi al Governo ed all’Uomo che diano loro l’impressione di garantire un minimo di benessere ed un massimo di ordine.»

«[...] In questa obiettiva, seppur mortificante, constatazione risiede la causa e l’origine della crisi italiana che sostanziò l’ultima tragedia italiana. Tragedia che non è finita perché è risorto con intatti i rudimenti reazionari del passato mussoliniano, il neo-fascismo, che poi è il vecchio fascismo. Allora come oggi esso trova sostegni morali, politici e finanziari negli stessi ambienti della più opaca ed angusta conservazione sociale

«[...] occorreva che Mussolini si impegnasse in una guerra di così ampia portata come quella spiritualmente e materialmente preparata per anni da lui e da Hitler, occorreva soprattutto che questa guerra venisse perduta. Occorreva che il nostro Paese fosse sommerso in un vortice di sangue, di tragedie e di rovine perché il mussolinismo frenetico di tanti milioni di italiani si trasformasse, sotto l’impeto dei bombardamenti alleati e sotto la pressione delle deficienze alimentari, nel più furioso e truculento rancore.»

*

Chi scrisse queste limpide e lapidarie parole? Difficile e quasi impossibile indovinarne l’autore. Le pubblicò nel 1965 Cesare Rossi. Sebbene oggi ignoto ai più, all’inizio degli anni Venti del secolo scorso “Cesarino” non era affatto un Carneade, ma uomo molto influente e potente, strettissimo collaboratore e prezioso consigliere di Mussolini, al punto di diventarne poi capo ufficio stampa della presidenza del Consiglio dei Ministri e membro del Gran Consiglio (istituito di fatto). Eminenza grigia, suggeritore e anzi ispiratore del capo del fascismo almeno fino al ritrovamento del cadavere dell’on. Giacomo Matteotti.

Dopodiché diventò il capro espiatorio (non certo innocente) sul quale scaricare gran parte delle responsabilità del finto rapimento e dell’effettivo, premeditato, assassinio del deputato socialista. Mussolini aveva bisogno di allontanare da sé l’ombra, ma anche molto di più di un’ombra, di un suo coinvolgimento diretto nel tragico fattaccio. Rinvenuto il cadavere dell’assassinato, l’incauto Cesarino dovette suo malgrado assumere un ruolo rilevante nella vicenda Matteotti, essendo egli in strettissimi rapporti con il maggior artefice diretto del (finto) rapimento e del delitto.

Parlo di rapimento simulato poiché l’uccisione del deputato dell’opposizione non fu imprevista. Lo scopo di quell’azione messa in atto dal consorzio criminale capeggiato da Amerigo Dumini (1894-1967) fu proprio quello di chiudere per sempre la bocca a Matteotti. La tesi dell’”incidente”, accolta dalla sentenza istruttoria del 1925, destinata ancora oggi ad avere credito, non è sostenibile. A quale scopo rapire il deputato, per dargli una lezione? Irrituale per gli impuniti fascisti: i pestaggi avvenivano sul posto, qualunque esso fosse.

Il rapimento del deputato non era necessario per dargli una “lezione”, ed era anzi controproducente. La dinamica stessa del “prelevamento” non lascia dubbi in merito. La sorte di Matteotti era segnata e non doveva essere diversa da ciò che effettivamente accadde, e se di ciò non si fosse trattato, i fatti sarebbero andati diversamente.

Come già scrisse lo storico Mauro Canali nel suo saggio biografico (Cesare Rossi, da rivoluzionario ad eminenza grigia del fascismo), « [...] sarebbe invece più corretto chiedersi quale scenario si sarebbe profilato se, al contrario, tutto fosse andato liscio, senza che il classico granello, una vecchia coppia di portieri [di via Stanislao Mancini, coniugi Villarini Domenico e Erasmi Ester] che puntualmente annotò il numero di targa dell’auto sospetta [55-12169] che da più giorni si aggirava in quel tratto del lungotevere Arnaldo da Brescia, inceppasse meccanismo criminale, avviando la vicenda verso una diversa conclusione.»

E ancora Canali: «È la stessa ostinata incredulità verso le responsabilità di Mussolini manifestata da uomini e forze politiche, in una situazione dove pure tali responsabilità erano divenute presto evidenti, a garantire, qualora l’esecuzione del delitto fosse andata secondo i piani, con il cadavere introvabile e gli assassini senza identità, sulla assoluta insospettabilità di cui avrebbe goduto il capo del governo.»

Scriveva Rossi nel suo Memoriale pubblicato da Il Mondo il 27 dicembre 1924: «Fu in questa occasione dell’aggressione Amendola che Mussolini cominciò ad illustrare certi suoi criteri di vendetta, che in sostanza consistevano nel sequestro e nella scomparsa dei più temuti avversari del regime [il Memoriale è riprodotto in: C. Rossi, Il delitto Matteotti, Ceschina, p. 174].» Nel suo Memoriale, Rossi racconta con dettaglio di altri assassinamenti compiuti dai fascisti con l’accordo di Mussolini, Emilio De Bono (capo della polizia e comandante della milizia fascista), Aldo Finzi (sottosegretario dell’Interno) e altri gerarchi.

A riguardo del movente dell’assassinio. Non fu un interesse a sfondo affaristico e corruttivo quello di tappare la bocca di Matteotti, tesi di comodo che assolve i silenti patrocinatori di un accordo politico con il fascismo di Mussolini. Scrive Canali (p. 332) su ciò che la cronaca politica del tempo conferma: «Allora la collaborazione di uomini e settori del socialriformismo [sbarazzarsi dell’unico vero e coraggioso oppositore, nota mia] sarebbe senza dubbio giunta prima. Senza scossoni e soprattutto senza che si rendesse necessaria la drammatica svolta del gennaio 1925.»

E su questo intreccio d’interessi comuni di fascisti ed entourage “riformista” si può arrivare ad adombrare che vi sia stata anche una trama più vasta, se non altro nella misura di tacito consenso, insomma un delitto di Stato con manifattura fascista. Non sarebbe una novità considerando col senno di poi. Tuttavia, quando si prende in esame una qualsiasi trama delle molte che punteggiano la storia di questo disperato Paese, non se ne esce più. E allora mi fermo ai nudi fatti accertati.

P.S. Amerigo Dumini, riconosciuto come principale responsabile del rapimento e dell’omicidio, ma rubricato come preterintenzionale (!), sconterà meno di due anni di carcere anche grazie alla cosiddetta amnistia Dumini varata ad hoc. Cesare Rossi affida a un memoriale di diciotto pagine la sua autodifesa e la dimostrazione del coinvolgimento di Mussolini nel delitto Matteotti; riesce a scappare in Francia, è protagonista di vicende rocambolesche che terminano con l’arresto e la condanna nel 1929 a trent’anni di carcere per attività antifascista (fantastico!). Imprigionato (ma per modo di dire) e poi confinato, a Rossi sono assegnate tremila lire mensili. Rossi chiede cinquemila lire aggiuntive, che vengono prontamente accordate. Il 13 ottobre 1942 il prefetto scrive che “noto Cesare Rossi accetta trasferimento a Sorrento”, senza omettere la richiesta del solito contributo per trasporto delle masserizie. “Sta bene. Metta la spesa nella contabilità dei servizi di polizia”, annota a penna un funzionario.

giovedì 13 febbraio 2025

Una vita in bianco e nero

 

Un po’ mi spiace di doverlo ammettere, ma non ho avuto una vita da romanzo come Corrado Augias e tanti altri. La mia è stata una vita normale, a tratti monotona, altre volte un po’ movimentata, rischiando anche di diventare un caso “interessante” se gli dèi non avessero interceduto a mio favore.

Non è un caso che quasi tutti i miei ricordi mi appaiano in bianco e nero, salvo i fotogrammi della prima infanzia: quelli sono tutti a colori, chissà perché. E, con mio stupore, i capelli biondicci, come del resto nella parentela, dove erano comuni soprannomi come “bionda” e “biondo”. Mi vengono in mente gli “innesti” di ricordi di Rachael nel film di Ridley Scott. Più probabile, invece, qualche rozzo ascendente longobardo, oppure un incrocio fortuito con gente venduta in Riva degli Schiavoni. Vai a sapere la misticanza della razza umana. Discendenti di re o di schiavi, tutti quanti almeno un po’ bastardi, tutti quanti respirano e scoreggiano alla stessa maniera. Finora.

La schiavitù è un filo nero che lega tutte le epoche, in forme storicamente diverse, ovvio. Oggi la schiavitù, tipo la damnatio ad metalla, non esiste più. Gli schiavi non hanno più le catene ai piedi, bastano le catene del bisogno, del doversi procacciare con fatica e sudore di che vivere. In futuro, però, non ci sarà più bisogno né di fatica né del conseguente sudore. Ci penserà la tecnologia a sollevarci dalle gravose incombenze della vita, e a salvarci la pelle in tante circostanze.

A proposito di tecnologia e di “innesti”, c’è chi pensa di poter salvare la pelle collaborando con i suoi nuovi padroni, con il pretesto che non deve lasciarsi sfuggire “la svolta dell’intelligenza artificiale”. Senza sapere dove ci porterà. Ma che cos’è l’intelligenza artificiale? Immaginate un supercomputer che contenga tutta la conoscenza umana presente nei computer del mondo. Fategli una domanda e lui costruirà una risposta partendo dai miliardi di dati a cui ha accesso. Chiedetegli di scrivere una poesia nello stile di Carducci o di Rimbaud e lui vi inventerà una prosa che la imita quasi alla perfezione. Chiedetegli di dipingere nello stile Leonardo o di Rembrandt e realizzerà un dipinto che non esiste ma che somiglierà molto a un’opera originale di quegli artisti.

Questa tecnologia è in grado di progettare canzoni, musica, voci, disegni, foto, film a partire da milioni di opere create da creatori in carne e ossa. L’intelligenza artificiale può generare testi, immagini o melodie che hanno il sapore, il suono e la consistenza dell’immaginazione umana, ma che non provengono da un essere umano. Finirà che gli artisti e i poeti dovranno trovarsi un altro mestiere. E anche i cantanti. L’intelligenza artificiale è sulla buona strada per liberarci di Sanremo. E questa, se non altro, non è una cattiva notizia.

«Ma che male ti fa Sanremo? Basta non guardarlo!». Giusto. Avete capito tutto e io niente. Che ci volete fare, ve l’ho detto che ho avuto una vita in bianco e nero.

mercoledì 12 febbraio 2025

L'insonnia genera mostri

 

Donald Trump soffre d’insonnia. Rilegge il discorso razzista e protezionista pronunciato da Charles Lindbergh l’11 settembre 1941. Si addormenta per metà, poi sogna per metà. Poiché è padrone del suo Paese e quindi del mondo, il sogno diventa realtà.

Non gliene frega niente degli organismi e delle leggi, nazionali o internazionali. Gli Stati Uniti non vogliono più essere il “gendarme del mondo”, ma semplicemente i padroni del mondo, senza buttare i loro dollari per “promuovere l’equità marxista”. Trump vuole diventare un proprietario terriero che fa ciò che vuole nel suo giardino (*).

Gaza, radere al suolo ciò che non è stato ancora raso al suolo, svuotare la Striscia dei suoi sopravvissuti come si svuota il secchio dell’umido, costringerli nei paesi vicini, che gli piaccia o no (urleranno, ma lui è un grande negoziatore, come dice Meloni). Pulire tutto e poi ricostruite un enorme resort sul mare dove noi bianchi andremo tutti, in un mondo pacifico, senza arabi poveri (tranne gli operai e i lacchè), per prendere il sole e divertirci: Gaza Beach. Campi da golf, hotel, resort, ristoranti, bar, slot machine, cinema, escape room, torri (le più alte del mondo), passaggi sotterranei riqualificati e dedicati alla sorveglianza, attività per bambini, ecc. Tutto è pulito, felice, vivo, illuminato giorno e notte come Las Vegas. C’è un parco sul tema della Bibbia, un altro su quello delle Mille e una notte, forse un altro sulle Crociate, ma anche no, le Crociate sono l’Europa, e l’Europa è finita. Nelle strade, sotto i droni, incontriamo Ponzio Pilato, gli apostoli, il ladro di Baghdad. Mangiamo hot dog sul Monte degli Ulivi.

Quanto al suo compagno di cocktail, Elon Musk, questi vorrebbe acquistare OpenAI, la società dal suo ex amico e nuovo nemico, tale Sam Altman. Gli ha proposto un assegno da 97,4 miliardi di dollari per prendere il controllo del gioiello tecnologico. Un’offerta ovviamente rifiutata dal principale interessato, tanto poco desideroso di rinunciare al suo bambino quanto di rimettersi in gioco con il suo vecchio fidanzato.

Il caso potrebbe sembrare aneddotico. Una guerra di ego tra miliardari che non sanno più cosa fare dei loro soldi e soprattutto del loro tempo. Un rancore latente tra due ex compagni incapaci di parlarsi se non attraverso tweet offensivi. E ciò potrebbe ricordare qualcosa a molti e moltissimi.

Allo stesso modo in cui Donald Trump, con le sue dichiarazioni idiote sulla Striscia di Gaza, che stanno irritando i simpatici compagni di Hamas, ora restii a rispettare l’accordo trappola e liberare gli ostaggi, Musk ha appena iniziato una corsa folle. Sia chiaro: quest’uomo non è sano di mente. Infatti passa per essere geniale. I soldi gli hanno dato alla testa, e il potere conferitogli dal nuovo Presidente gli ha ormai arrostito il cervello. Dopo aver licenziato gente a destra e a manca da X e poi dipendenti pubblici americani, accompagnato da una squadra di adolescenti, chi può dire che Musk accetterà il “no” di Altman?

Il duo più potente del mondo è a caccia di un modo per prendere il controllo di una delle più grandi aziende di intelligenza artificiale del pianeta. E una volta fatto? Basta con l’IA “frugale”, con l’IA “costruttiva” e con tutti gli aggettivi rassicuranti che il summit sull’IA di Parigi ha cercato di attribuirle. Per chi volesse saperne di più sulla IA (ma attenzione, si tratta di un articolo, quindi di molte parole da leggere!) segnalo: https://dl.acm.org/doi/pdf/10.1145/3699525.

(*) E del resto il “popolo” lo vota, così come vota i fascisti un po’ dovunque. Basta con la democrazia politica (che non esiste), e basta anche con la democrazia sociale, quel poco o tanto di welfare che ha permesso finora la pace sociale.

martedì 11 febbraio 2025

Non sappiamo per quanto tempo

 

Non serviva una laurea in matematica applicata. I consumatori avrebbero pagato meno, dicevano, anzi gridavano. E Arera, chiunque si mascheri dietro questa sigla, oggi finge “stupore” (testuale).

Succede in Italia, perché negli altri Paesi le cose vanno diversamente. L’assicuro. Le aziende strategiche non le mettono in vendita, per esempio. Dovremmo chiedere conto innanzitutto a chi ha liberalizzato del tutto il mercato e ha tolto quello tutelato, quindi a chi ha sostenuto la politica di aggressione verso la Russia utilizzando l’Ucraina come ariete. Chiedere conto non solo a Bersani e Meloni passando per Conte e Draghi, ma anche agli Stati Uniti, un focolaio di infezione per l’umanità che necessiterebbe di essere curato con urgenza.

Nessuno lo farà, chiederà conto né di questo né di altro e poi di altro ancora. Il disordine nella testa sembra colpire tutti gli esseri umani su questo pianeta. Almeno una gran parte. Trovare una persona capace di elaborare discorsi strutturati e fedeli alla ragione è sempre più difficile. I giornali si occupano di violenza sessuale e della vita dei cani. I social network, gestiti dai furfanti Musk e Zuckerberg, stanno orchestrando questa confusione a livello globale, somministrando la loro poltiglia tossica.

Tutto si confonde e nulla è più distinguibile. Come durante le alluvioni, quando l’acqua ricopre tutto e fa scomparire i punti di riferimento, e non sai più se stai camminando sul marciapiede o in mezzo alla strada. Quando gli escrementi dei cani galleggiano insieme a quelli dei loro padroni e si mescolano alle correnti d’acqua. E i topi escono dalle fogne e nuotano nella tua cucina allagata oppure a palazzo Chigi.

Non sappiamo per quanto tempo, ma va ancora bene così. In fondo ci resta Roccaraso e la bella vita di Pian della Tortilla, in attesa di passare una settimana in un resort all-inclusive a Gaza.

lunedì 10 febbraio 2025

L’odore del denaro e il rumore degli stivali

 

È sintomatico di un’epoca storica e di un Paese infantile e morboso ciò che è accaduto e che ha avuto per protagonista, suo malgrado, il ministro di maggior peso di questo governo pavido e sospettoso (come già scrissi, la sedicente opposizione, che ha aperto autostrade ai fascisti, è pavida e inetta). Pare (pare!) che solo un miliardario sia caduto nella trappola, tuttavia una cosa così comica è rivelatrice di quanto sia verosimile che dei miliardari siano disposti a mettere mano al portafoglio per sovvenzionare delle nobili cause patriottiche: un giro di bonifici per “operazioni segrete”.

È ancora alla ribalta Massimo Cacciari, il quale, dopo essere apparso anche alla Madonna, dichiara che: “I nazionalisti combinano ideologie vetero-reazionarie con la subordinazione alla potenza economica dominante”. Ideologie vetero-reazionarie? Chiarisca, il madonnaro, please. I “nazionalisti”? Di chi si tratta, di Luciano Spalletti e dei suoi pedatori? Possibile che nessuno abbia il coraggio di chiamarli per quel che sono, ossia “fascisti”? Si dirà, ma questi sono fascisti da operetta. Perché i fascisti d’antan, tranne quando coraggiosamente e in folto manipolo aggredivano e bastonavano e assassinavano il malcapitato di turno, non erano forse una accolta di buffi attori da operetta, a cominciare dal loro capo?

Ne racconto un paio di scene da operetta tratte da un libro di Riccardo Gualino, nipote e omonimo di quel Riccardo Gualino che fu vicepresidente della Fiat, magnate dell’industria e della finanza prima e dopo il conflitto 1914-’18. Per protagonista, quello psicopatico che rispondeva al nome di Benito Mussolini, che per brevità si faceva chiamare “duce”.

«A un certo punto Mussolini premette un campanello e apparve un segretario che gli portava un fascio di lettere. Mussolini le prese, firmò la prima senza fare un commento, ma la lettura della seconda suscitò le sue ire. “Come! Una lettera come questa a quel mascalzone di [...]. La appallottolò e la lanciò nella stanza. Tutto il corriere fu smaltito a questo modo; fra inventive feroci contro alcuni destinatari e lancio aereo delle lettere incriminate, fra brontolii per certe missive che firmava dopo un “questa se ne poteva fare a meno”, e silenzi allorché la firma non esigeva proteste. Il segretario assisteva impassibile a quelle sfuriate. Infine Mussolini esplose in un’indignazione incontenibile di fronte a una lettera che fece a pezzi e gettò per terra comprendo di improperi il destinatario, che definì un ladro. Gualino se ne andò perplesso “riflettendo sul caso veramente straordinario di un capo di governo che fa assistere un estraneo a consimili scene nelle quali, fra l’altro, copre di contumelie e di apprezzamenti poco riguardosi personalità conosciute del regime e colleghi al governo”. La sua opinione fu che si trattasse di una commedia, a suo uso e consumo, allestita allo scopo di dimostrare il potere del capo del governo e il suo disprezzo nei confronti dei collaboratori e amici, nonché il suo irresistibile bisogno di essere attore e di recitare sul palcoscenico di Palazzo Chigi.»

Ancora più comica, se possibile, è questa scena: «Mio nonno era accompagnato da Giovanni Agnelli e da un tecnico, il quale avrebbe dovuto esporre la questione della “trazione elettrica a velocità elevatissima”, per cui portava sotto il braccio “in un lungo rotolo, diagrammi e disegni”. La presenza del tecnico ebbe su Mussolini un effetto sconvolgente. I tre erano a “più di 10 metri distanti”, ma Mussolini balzò in piedi con il volto stravolto, indicando l’uomo che portava con sé le innocue carte arrotolate. Riteneva che si trattasse di un’arma atta ad ucciderlo e chiedeva con voce rotta la ragione della sua presenza. Agnelli e Gualino ebbero un bel da fare per tranquillizzarlo e “Mussolini si rimise rapidamente, per quanto la conversazione si svolgesse poi con qualche disagio”. Comunque, continua mio nonno, “lo vidi trascorrere alcuni secondi di terrore, durante i quali divenne evidente ciò che si sussurrava negli ambienti a lui vicini, e cioè che egli fosse paurosissimo”.»

Riccardo Gualino, nel 1931, sarà fatto arrestare personalmente da Mussolini e poi, dopo la detenzione, processato dal Tribunale speciale in pochi minuti con la generica accusa di “gravi danni all’economia nazionale”, quindi condannato e inviato al confino.

Nei vari scritti autobiografici di Gualino, che sapeva usare la penna in modo formidabile, non si rintraccia mai un’espressione di odio nei riguardi di Mussolini e nemmeno di biasimo o recriminazione per Giovanni Agnelli (che godette dei beni sequestrati al suo amico e socio Gualino).

I brani citati sono tratti da Riccardo Gualino, Mio nonno Riccardo, Marini editore, Roma 2021. Bibliografia essenziale: Giorgio Caponetti, Il grande Gualino, UTET, varie ristampe; Riccardo Gualino, Frammneti di vita, Mondadori, 1931, ristampato, da ultimo, anche da Aragno, ma esaurito, comunque disponibile sul mercato dell’usato nelle varie ristampe editoriali; sempre di Gualino, Confessioni di un sognatore, Marini editore; può essere d’interesse: Nicola de Ianni, Gli affari di Agnelli e Gualino 1917-1927, Prismi, Napoli, 1998.


venerdì 7 febbraio 2025

Non provochiamo i pavidi e gli inetti


Mai che si senta o si legga di un mea culpa da parte di coloro che rappresentano la cosiddetta sinistra o centro sinistra che dir si voglia. Loro non hanno nessuna responsabilità per quanto è accaduto in questi decenni. Cercano in ogni modo, vale a dire usando mezzucci, di screditare questo governo di fascisti, che con la sua qualità retorica si scredita da solo, ma non si chiedono perché mai i fascisti sono al governo e il loro consenso elettorale regga dopo più di due anni.

Né si chiedono davvero il perché circa il 50% dell’elettorato non va più a votare. Voglio dire, un dibattito pubblico franco e sincero sulle le vere cause e le reali storiche responsabilità di una sinistra fin troppo trasformista e liberale. Qualcosa che possa aiutare a riflettere seriamente su ciò che ci sta accadendo in Europa e nel mondo, vale a dire l’avvento al potere dei fascisti.

Lo so, nessuno ha la bacchetta magica per risolvere i problemi, che sono ovviamente complessi, quello che si chiede e però non viene dato, è un minimo di onestà intellettuale e politica. E invece si va avanti così, compattamente disonesti e politicamente divisi.

Non si riesce a comprendere che alla gente che non sa come arrivare a fine mese, oppure alle folle che si accalcano a Roccaraso e sulle Dolomiti, di quel galantuomo che è stato riaccompagnato in Libia con un volo di Stato e tante scuse, non frega un cazzo. Così come non importa nulla di quel bastardo che ha fatto il saluto nazista: l’operazione psichica che lo ha portato a un simile risultato rinvia ad altro e non si esorcizza con la stigmatizzazione.

Qual è il programma di questa sinistra, le aspirazioni politiche dei suoi dirigenti? Per quanto riguarda l’immigrazione, la sicurezza di chi cammina per strada, per il lavoro e i salari? O pensano davvero che basti qualche frase sul salario minimo? Non si sono accorti di ciò che stava arrivando, che il “libero mercato” è una fola, che il capitalismo non è più quello di un tempo, del paternalismo dei Marzotto che costruivano casette e asili per gli operai.

Non si sono resi conto che si sono fatti, forse loro malgrado, agenti politici di ciò che sta accadendo ora, ossia di forze economiche sempre più violente, sempre più eccessive, che si accumulano e infine sono impersonificate politicamente nella figura di un capo. La sostanza del fascismo non muta. È un prodotto del capitalismo.

La sera del 27 gennaio, in un memorandum indirizzato a tutti i dipartimenti e le agenzie governative è stato ordinato il congelamento completo di tutti i fondi federali destinati ai programmi sociali, al fine di condurre un audit di queste “risorse federali [destinate a] promuovere l’equità marxista [testuale!], il transgenderismo e le politiche socialmente trasformative del Green New Deal” (*).

Fatti questi che non ci riguardano? Ma siamo pazzi? È seguito qui da noi il silenzio su un fatto di gravità enorme, anche se non ci riguarda direttamente. È Goebbels che farnetica? No, questa direttiva viene dall’Ufficio di Bilancio della Casa Bianca!

Il giorno che semmai la “sinistra” dovesse tornare al governo, che cosa pensano di fare i suoi dirigenti in rapporto a questi demoni fascisti risorgenti? È bene saperlo prima, non giocare ai bussolotti come s’è fatto in altre occasione, come per Gaza ad esempio. Trump minaccia tutti i paesi del blocco BRICS – che comprende Russia, Cina, India e Brasile – con “dazi doganali al 100%” se decidono di lanciare una moneta comune per competere con il dollaro.

Fuori la Nato dall’Italia e l’Italia dalla Nato potrebbe essere un punto qualificante del programma della “sinistra”? Non provochiamo i pavidi e gli inetti!

(*) Il giorno dopo, un giudice federale di Washington bloccò l'applicazione di questo promemoria, mentre i procuratori generali di 23 stati annunciarono la loro intenzione di contestare la base giuridica di questo testo. Infatti, il finanziamento dello Stato federale è una prerogativa parlamentare e il presidente non può in nessun caso trattenere i fondi già votati dal Congresso. La Casa Bianca ha annullato la sua direttiva sul punto in questione, ma ha fatto sapere forte e chiaro che tutte le altre decisioni prese dal virile superpresidente – tagli al bilancio, eliminazioni di programmi, epurazioni e altri piccoli regolamenti di conti – erano più rilevanti che mai.

mercoledì 5 febbraio 2025

La più grande conquista del XXI secolo

 

Internet morirà. Non a causa di una terza guerra mondiale, di una catastrofe nucleare che verrebbe a tagliare tutti i cavi sottomarini. Internet morirà a causa di Internet.

Quando Tim Berners-Lee inventò il World Wide Web negli anni ‘90, sognava di creare un “ambiente caldo e amichevole”. Qualche decennio dopo, il calore si è trasformato in una discarica e una cordialità metallica sembra essere l’unica prerogativa dei chatbot. La rete, creata per avvicinare gli esseri umani, per consentire loro di condividere la conoscenza, per aprire il loro mondo e la loro cultura, creata per offrire loro la possibilità di discutere con un’altra persona dall’altra parte del pianeta, per imparare, per capire, per creare ... sta andando dritta verso la tomba.

L’artificializzazione dei contenuti online, creata sempre più dall’intelligenza artificiale, colonizzerà il web al punto da renderlo una rete popolata esclusivamente da bot in cui l’unico ruolo degli esseri umani sarà ridotto al clic. Il colpo mortale finale? Gli algoritmi sono sempre più inclini a mettere in risalto ciò che genera coinvolgimento, in questo caso i famosi “AI slop” (chiamati così in onore del cibo che viene dato ai maiali) e altri video di simpatici animali, combattimenti violenti e altre perversità dell’anima. Del resto, da che mondo è mondo, la moneta cattiva finisce per scacciare quella buona.

Il lento declino dei social network (compreso il mio blog!), le immagini false su Facebook e Instagram, i bot inquinanti su X e le tendenze su TikTok, ne sono la dimostrazione. Perché, tra l’altro, questi ultimi non sono lì solo perché sono divertenti, piacevoli o pertinenti. Sono lì perché non richiedono alcuna “fatica”, perché l’algoritmo li evidenzia, contribuendo così alla loro viralità, il che incoraggia i creatori a riprodurre ciò che funziona se vogliono essere pagati.

Chi può quindi essere ritenuto responsabile di questa “enshittification”, che Celentano Adriano avrebbe tradotto con ““merdification”? L’utente, oppure il creatore, ridotto a imitare l’altro per guadagnarsi il pane? Le famigerate GAFAM, ossia i capi di Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft? Sì, certo, ma in definitiva fanno solo il loro mestiere. Come si diceva una volta: “È il capitalismo, bellezza”. E noi non ci possiamo fare niente.

Una volta che gli utenti restano intrappolati sulla piattaforma, diventata monopolio nel suo settore, l’azienda inizia a sedurre gli inserzionisti. Prigioniere a loro volta, le aziende non smettono mai di buttare i loro soldi nelle tasche del monopolista. E qui arriva la fase finale, in cui solo gli azionisti della società monopolista possono trarne vantaggio. I primi arrivati, gli utenti, stanno annegando in un’ondata di contenuti sponsorizzati di bassa qualità e gli inserzionisti continuano a pagare sempre di più mentre il monopolista smette di moderare: che senso ha se metà o più del pianeta utilizza i suoi servizi?

Mark Zuckerberg (Meta), Elon Musk (X), Jeff Bezos (Amazon) e Larry Page (Google) sono felici: le loro tasche sono piene e i nostri cervelli sono vuoti. Internet, almeno per come l’abbiamo conosciuto, morirà. E questa potrebbe essere la più grande conquista del XXI secolo.

martedì 4 febbraio 2025

Il più a lungo possibile

 

Esistono diversi modi di fare politica. Alcuni sono, se non nobili, almeno rispettabili. Al giorno d’oggi, il comportamento più diffuso è quello di digitare compulsivamente sulla tastiera e condividere i propri sentimenti (chiamiamoli così, in mancanza di un termine migliore) su un cosiddetto social network.

Questo metodo garantisce visibilità record quasi ogni volta, soprattutto se si scrivono puttanate. Il che è eccellente per l’ego, quando si ha difficoltà a esistere, ossia quando si è solo una pedina in un governo gonfio di ingiustificato orgoglio composto in gran parte da sagome trasparenti e veri e propri sconosciuti (salvo che dalla loro madre e dal suo idraulico).

Un governo che manda in prima serata televisiva i suoi più funambolici virtuosi del criptofascismo. Un governo con un orientamento sostanzialmente nazionalistico, che consiste nell’idea di affermare la superiorità italiana per ogni cosa e per il semplice fatto di essere italiana, motivando una tradizione multisecolare che dovrebbe riflettersi su quella odierna. Insomma, il solito provincialismo punteggiato di tendenze rurali (pane e marmellata nazionale). Ma dobbiamo ammettere che si tratta di una compagine coraggiosa, più precisamente sfrontata.

È presieduto da una tizia che dicono essere molto intelligente e ritenuta formidabilmente astuta. Ha dichiarato il suo amore a Elon Musk, e lo ha fatto in inglese. Il magnate dello spazio e delle auto a guida autonoma messo a capo da Trump di un nuovissimo Dipartimento per l’efficienza governativa, con il compito di “smantellare la burocrazia governativa, ridurre le regolamentazioni eccessive, tagliare gli sprechi di spesa e ristrutturare le agenzie federali per salviamo l’America” (testuale).

Quanto all’ex sinistra, bisogna riconoscerlo, hanno la capacità di far rivivere una stanchezza che non sono mai stati in condizione di seppellire lontano. Il Partito democratico è una macchina dell’inganno, mentre l’ex movimento di Grillo è una quintessenza del nulla in politica. Sono l’emblema di quella categoria di personale politico la cui missione non è servire, ma di farsi servire. Il più a lungo possibile.

domenica 2 febbraio 2025

Trump un’anomalia della storia americana?

 

Dopo la batosta subita nella battaglia di Agnadello (1509) ad opera dei francesi, i veneziani chiesero al Sultano di Istanbul di inviare rinforzi propri in cambio di frumento. I rapporti tra Venezia e gli ottomani in quel momento erano ottimi, ma la trattativa andò per le lunghe. In ogni modo dal sangiaccato di Bosnia e dall’Albania arrivarono delle truppe islamiche, prevalentemente dei cavalieri, che furono impegnate in azioni belliche nel Veneto per conto di Venezia. Non ci si faceva scrupolo e del resto le controversie religiose erano roba per il volgo. Anche i Papi, segretamente, intessevano rapporti diretti con Istanbul.

Per non dire dei francesi di Francesco I, che consentirono alla flotta ottomana di svernare a Tolone, che di fatto si trasformò in una città turca con tanto di moschee (anche la Cattedrale venne trasformata in moschea). Nel frattempo, Carlo V stava manovrando per formare un’alleanza asburgico-persiana, inviando ambasciatori allo Shah Tahmasp I nel 1525, e di nuovo nel 1529, chiedendo un attacco all’Impero Ottomano.

Gli Stati europei sono stati sempre divisi e contrapposti in guerre feroci, non hanno mai avuto un’idea di strategia comune contro i loro veri competitori o nemici. Ai giorni nostri, si sono costituiti in un’unione di 27 nazioni, ma ognuna con la sua storia e i suoi interessi particolari, ognuna pronta a porre il proprio veto. Un gigante economico e però un nano politico e militare. La responsabilità di questa situazione non è quindi da ascrivere tutta a carico degli Stati Uniti.

Sta di fatto però che Washington ha sempre visto come fumo negli occhi gli accordi commerciali tra l’Europa e la Russia, tantopiù da quando hanno l’esigenza di vendere il loro gas all’Europa. La Russia, anche quando si chiamava Urss, è stata a lungo un partner commerciale preziosissimo per l’Europa, rifornita di gas russo a buon prezzo. Ciò ha consentito, soprattutto alla Germania, grandi vantaggi per il suo sviluppo industriale.

Da più di due decenni, i paesi della Ue hanno assecondato la politica d’espansione statunitense verso l’Europa dell’Est, che minaccia la Russia tramite il braccio armato della Nato. Il risultato di questi fatti è sotto gli occhi di tutti e anche nelle nostre bollette energetiche. Ora, gli Stati Uniti, con una popolazione che rappresenta il 4,52 per cento della popolazione mondiale e governati da una banda di matti tecno-fascisti, ci ripagano della nostra sottomissione al loro diktat anti-russo con l’applicazione di dazi alle merci europee. Per il resto, secondo non solo Trump, che al contrario dei suoi predecessori lo dichiara apertamente, solo l’uso del ricatto è considerato una politica razionale.

I nostri liberal/liberisti si lagnano. Non gli sembra possibile tale affronto, non tra alleati, non dalla democratica (fino a ieri) America. Non hanno mai voluto capire niente della reale natura dell’imperialismo americano (economico e militare). La loro fiducia nell’America è una religione. Del resto ne ignorano largamente la storia.

Per esempio: alcuni membri della generazione fondatrice che votarono per il Bill of Rights, inclusa la protezione della libertà di parola del Primo Emendamento, una volta al potere sostennero gli Alien and Sedition Acts, incluso quello che, tra l’altro, sostanzialmente proibì la libertà di parola politica rendendo reato raccontare una “falsa storia” critica nei confronti dell’amministrazione Adams (quel presidente che recentemente uno sceneggiato televisivo presentava come un santino da incensare). Naturalmente erano i giudici governativi, alcuni dei quali nominati dallo stesso John Adams, a stabilire che cosa costituiva una menzogna.

Decine di direttori di giornali pro-Jefferson furono imprigionati, così come Matthew Lyon, membro del Congresso del Vermont e sostenitore di Jefferson. Il “crimine” del deputato Lyon fu quello di aver descritto l’amministrazione Adams come piena di “una pompa assurda e di una folle adulazione” nei confronti di Adams. David Brown del Massachusetts fu condannato a 18 mesi di prigione per aver eretto nella sua città un palo della libertà su cui era scritto: "Pace e ritiro del Presidente, lunga vita al Vice Presidente (Jefferson). Questo Sedition Act fu redatto in modo che scadesse il giorno in cui John Adams lasciò l’incarico, in modo che non potesse essere utilizzato contro il suo partito.

Circa sessant’anni dopo, Lincoln sarebbe diventato il più grande nemico delle libertà civili di qualsiasi presidente americano, avendo sospeso illegalmente l’habeas corpus e arrestato in massa decine di migliaia di dissidenti politici negli Stati del Nord durante la guerra, chiudendo i giornali dell’opposizione, intimidendo i giudici, censurando il telegrafo, deportando deputati e molto altro ancora. Ma è venerato come un semidio.

Eccetera.

Vi sono prove che l’annessione del Canada fosse chiaramente auspicata da molti membri di spicco del Congresso, tra cui Henry Clay (1777-1852), il principale “falco della guerra” del 1812 contro l’Inghilterra. Il deputato Richard Johnson, ad esempio, dichiarò: “Non morirò mai soddisfatto finché non avrò visto l’Inghilterra espulsa dal Nord America e i suoi territori annessi agli Stati Uniti”.

Prima di guidare i suoi uomini in battaglia durante la guerra del 1812, il generale Alexander Smyth disse loro: “State per entrare in un paese che diventerà parte degli Stati Uniti”. Henry Clay si vantava che la sola milizia del Kentucky sarebbe stata sufficiente a conquistare il Canada e si aspettava che gli Stati Uniti acquisissero almeno una parte del Canada alla fine della guerra.

Tutto sommato, Trump non può essere considerato un’anomalia della storia americana.

venerdì 31 gennaio 2025

Impunemente

 

Ho capito: il post del vibratore non vi è piaciuto. Forse non vi piace l’attualità. Allora ho pensato di raccontarvi una storia che si è svolta a Micene, su una collina maledetta dove un’intera famiglia si è uccisa a vicenda. Ma questo fatto di sangue è accaduto una dozzina di secoli fa. Il turbine del risentimento, di cui parlò Nietzsche, ma anche altro.

Nietzsche, ma pensa un po’. Quello che sentenziò la morte di Dio. Ma va, il cristianesimo è in crisi, ma quanto a Dio, non è mai stato in salute come adesso. Parlano in continuazione di lui. Il libretto più venduto del 2024 parla di chi? Ma proprio di lui medesimo, cazzo. E noi (chi?) che pensavamo di aver liquidato tutto con Feuerbach!

Quasi tutto oggi è diventato insopportabile; e tuttavia, nostro malgrado (?), dobbiamo sopportare l’insopportabile. Poiché tutto è sostituibile, tutto può essere merda impunemente: gli odierni escrementi hanno la particolarità di non bloccare più il sifone della comunicazione e la conduttura planetaria che ci nutre. Scatologia globale dell’assenza di pensiero.

mercoledì 29 gennaio 2025

Scusi, a che età?

 

Elon Musk vuole che i media tradizionali scompaiano: “Non leggo quasi più le notizie dei media tradizionali. Che senso ha leggere 1.000 parole su qualcosa che è già stato pubblicato su X un giorno fa?» (3-10-2023).

Ha ragione Musk, che viene considerato unanimemente un genio, anche se un po’ pazzariello. Questa tendenza non è marginale, è il frutto di una ideologia, che diventa programma politico, e della quale sono portatori un pugno di persone illuminate con un potere economico illimitato.

Non da oggi, le informazioni sono un gigantesco mercato che si vende come le automobili o le lavatrici. Solo che oggi s’è fatto un passo avanti decisivo.

Gemini, l’intelligenza artificiale di Google, qualche giorno fa ha consigliato l’utilizzo del famoso (?) sex toy Magic Wand di Hitachi (un vibratore) come mezzo per identificare “cambiamenti comportamentali” nei propri figli.

Non stupiamoci che vi sia una tipa che chiede consiglio a una psicoterapeuta con questa domanda: “A che età è appropriato per una madre regalare il primo vibratore alla propria figlia?”.

giovedì 23 gennaio 2025

L'humus

 

Londra, 26 gennaio 1894
Caro Turati,
la situazione in Italia, a mio parere, è questa.

La borghesia, giunta al potere durante e dopo l’emancipazione nazionale, non seppe né volle completare la sua vittoria. Non ha distrutto i residui della feudalità né ha riorganizzato la produzione nazionale sul modello borghese moderno. Incapace di far partecipare il paese ai relativi e temporanei vantaggi del regime capitalista, essa gliene impose tutti i carichi, tutti gli inconvenienti. Non contenta di ciò, perdette per sempre, in ignobili speculazioni e truffe bancarie, quel che le restava di rispettabilità e di credito.

Il popolo lavoratore - contadini, artigiani, operai agricoli e industriali - si trova dunque schiacciato, da una parte, da antichi abusi, eredità non solo dei tempi feudali, ma perfino dell’antichità (mezzadria, latifondi del meridione ove il bestiame prende il posto dell’uomo); dall’altra parte, dalla più vorace fiscalità che mai sistema borghese abbia inventato. È ben il caso di dire con Marx che “noi siamo afflitti, come tutto l’occidente continentale europeo, sia dallo sviluppo della produzione capitalista, sia ancora dalla mancanza di codesto sviluppo. Oltre i mali dell’epoca presente, pesano su di noi anche una lunga serie di mali ereditari, derivanti dalla vegetazione continua dei sopravvissuti modi di produzione del passato, con la conseguenza dei rapporti politici e sociali anacronistici che essi producono. Abbiamo a soffrire non solo dai vivi, ma anche dai morti. Le mort saisit le vif” [Il morto tiene stretto a sé il vivo].

Questa situazione spinge a una crisi. Dappertutto la massa produttrice è in fermento; qua e là si solleva. Dove ci condurrà questa crisi?

[...] Friedrich Engels

* * *

Dove ci condurrà questa crisi, si chiedeva Engels. Nel seguito della lunga lettera, Engels profilava un possibile sviluppo politico e sociale del proletariato italiano, certo non poteva immaginare che, dopo un cataclisma e una cesura epocale quale quella del primo conflitto mondiale, la situazione in Italia prendesse la piega che effettivamente prese: i ceti piccoloborghesi rappresentarono l’humus su cui crebbe il fascismo, quell’humus dal quale può ricrescere il fascismo nelle cangianti forme che le circostanze storiche richiedono.

Penso che a suo tempo Sylos-Labini abbia affrontato il tema anche dal lato antropologico e non solo politico-sociale, descrivendo la figura paradigmatica di quel campione di salti dall’estrema sinistra all’estrema destra quale fu il parassita Mussolini. Scrisse che incarnava come altri soggetti “l’instabilità politica e la superficialità culturale”, la voglia di “emergere ad ogni costo”, di certi strati piccolo borghesi provinciali. Oggi possiamo dire, anche a tale riguardo, che non c’è nulla di nuovo sotto il sole.

Nota. La lettera di Engels a Filippo Turati, fu pubblicata subito dal Turati stesso sulla rivista Critica Sociale. Stranamente essa non è presente nel 50° volume delle Opere Complete di Marx ed Engels, dove invece dovrebbe trovare posto assieme alle altre (né risulta in diverso volume, ovviamente). Per quale motivo? Forse un motivo politico, di “censura”, ossia la spietata critica englesiana del tatticismo riformista? Da un partito comunista, il più cospicuo dell’Occidente anche in termini di risorse, che in oltre quarant’anni, ossia dal dopoguerra, non è riuscito a completare la pubblicazione delle Opere Complete di Marx ed Engels, ci si può aspettare di tutto. A pensar male si fa peccato, tuttavia osservava con cognizione di causa Rosanna Rossanda, a lungo dirigente del settore culturale del partito:

«Il marxismo era, sicuro, una filosofia e se si vuole un umanesimo, ma non si poteva tirare in tutte le direzioni, fin fuori dalla sua origine, nella crudele estraneazione del modo di vivere e produrre nel capitale: né si poteva giocare allegramente Gramsci contro Marx, o addirittura Vico contro Gramsci. Eravamo sempre là, al crocianesimo di ritorno nella formazione del gruppo dirigente comunista (La ragazza del secolo scorso, p. 301).»

E del resto, scriveva sempre Rossanda, Marx “nessuno lo leggeva”.






mercoledì 22 gennaio 2025

In God We Trump


Non c’è bisogno di annettere il Canada e di occupare la Groenlandia. È già tutto annesso e connesso. È solo avanspettacolo, gommapiuma. Più precisamente: film western. Una delle imprese ideologiche più efficaci della storia dell’umanità: come trasformare la nascita di una nazione fondata sulla più cruda violenza, sulla disperazione e il genocidio in un’epopea di volontà, coraggio e speranza; in altre parole, come trasformare delle comunità di assassini più o meno biblici, un groviglio di vipere, in un bouquet di virtù. La mitologia della conquista, inventare il passato di un “grande Paese”, di una grande democrazia, anzi, la più grande democrazia del pianeta. Salvo che un negro non può sedersi allo stesso bar dei bianchi e fare i propri bisogni nel loro stesso cesso.

L’America è sempre stata votata alla legge del più forte, e a quella degli “eroi”. Cormac McCarthy, Michael Cimino o Tarantino ci hanno mostrato il secondo grado, per motivi di spettacolo; ma il terzo e il quarto grado della violenza americana restano sotto censura (*).

Il passato che inventiamo ha un futuro: tutti i demagoghi lo sanno. Le bugie riuscite, che incantano come i sogni dopo il tramonto, hanno la parrucca o qualcosa che le somiglia, come John Wayne, Berlusconi o quest’ultimo guitto diventato presidente. Da ieri, sul dollaro c’è scritto In God We Trump. Il cambiamento, cari politologi da strapazzo, sarà impercettibile per le cose che contano davvero. Per quanto ci riguarda, resteremo ciò che siamo: una colonia, tributaria, tra l’altro, del costosissimo gas che importiamo. Gli idioti di casa nostra (i più pericolosi quelli che hanno studiato qualcosa) gioivano per il blocco del Nord Stream 2 e poi per il suo sabotaggio.

(*) Per rifarci a cose dell’odierna follia capitalistica americana: dietro le fiamme di Los Angeles, dove non c’è acqua, c’è un semplice fatto: l’aver trasformato una zona siccitosa e semiarida in terreno agricolo intensivo. Quando Los Angeles fu fondata, nel 1781, contava una quarantina di abitanti messicani. Nel 1847, quando gli yankee, armi in pugno, conquistarono la California, gli abitanti erano 1.610. Poi 102.479 nel 1900; 1.970.358 nel 1950; 3.694.820 nel 2000; 3.821.000 nel 2023. Ma la cifra è fuorviante, perché bisogna contare le periferie, i tentacoli, l’immensità dell’area urbana. Arriviamo quindi a più di 18 milioni per la Greater Los Angeles. È la città più grande e più popolosa degli Stati Uniti occidentali e la seconda città più popolosa del Paese dopo New York, e una delle città più estese del mondo. Non serve immaginare complotti, bastano storia e geografia.

martedì 21 gennaio 2025

Non fare la domanda a me

 

La democrazia è in pericolo, ci dicono oggi degli ipocriti farabutti. Di chi sono le leggi che favoriscono la rapacità finanziaria, l’evasione fiscale, la svendita dei beni pubblici, lo smantellamento del welfare, lo sfruttamento parossistico delle “risorse umane”, oltre a quelle naturali? La nostra apatia politica, le nostre frustrazioni che scatenano esplosioni di odio cieco? Un’educazione predatoria inculcata fin dalla più giovane età, il miscuglio di cazzate mediatiche tagliate fuori dalla vita con cui ci rompono gli attributi virili da mane a sera. Gli slogan e gli incitamenti al riarmo e alla guerra. Il cinismo e l’assurdità redditizia delle guerre, fomentate dalle mafie statuali e globali. Non c’è bisogno che i profeti prevedano ciò che verrà: il deragliamento storico, il trionfo dell’idiota, non sono il prodotto del caso. Come porre fine a un sistema odioso? Non fare la domanda a me, chiedilo a te stesso che navighi continuamente tra letargo e indignazione!

lunedì 20 gennaio 2025

Una domanda

 

Secondo Giordano Guerri, non dobbiamo temere il ritorno di un fascismo in stile Ventennio. Dobbiamo invece temere l’uso totalitario di internet e di ciò che gli gira intorno. E su questo, siamo d’accordo, un po’ meno sul fatto che l’intelligenza artificiale è utilizzata per uccidere centinaia di migliaia di persone. È quella attualmente usata da Israele, e che viene oltretutto sbandierata in modo propagandistico come la “nuova guerra” che diventerebbe capace di selezionare gli obiettivi!

Resta una domanda: perché la memoria del fascismo (oltralpe del nazismo) è il tema verso cui tutto converge, a cominciare dal librone dello stesso Guerri intitolato Benito? Perché tanti degli affascinati del genere fascista e dalle penombre dannunziane storcono il naso dicendo che lo sceneggiato televisivo su Mussolini è una parodia del personaggio?

Eh no, il personaggio era proprio tal quale, se non più caricaturale e “fuori di testa” nella realtà storica che nella finzione televisiva. Basterebbe leggere ciò che scrisse il generale Pietro Gazzera, a capo del dicastero della Guerra per cinque anni, dei suoi incontri bisettimanali con il duce, per farsi un’idea di chi fosse Mussolini. Come quando, nel 1933, un esercito di 300.000 uomini avrebbe dovuto invadere a sorpresa la Francia. Realtà storica, non finzione. Oppure leggere un altro libro, quello di Riccardo Mandelli: Al casinò con Mussolini. Eccetera.

Non ci stanno. Non piace che la gente possa vedere che cos’è stato il fascismo (dopo decenni di melenso antifascismo), che anzi nel filmato è rappresentato meno truculento di ciò che fu effettivamente. L’immaginazione corre dietro a quella storia senza mai recuperare. Fu sostenuto per convinzione, lasciato agire per viltà e opportunismo, da quelli che poi, quando fu troppo tardi, si posero in silente dissenso.

Per il resto c’è da chiedersi: chi legge più di certe cose in questo paese monotono, incupito e imborghesito male? “Il tempo migliore del viver nostro è finito”, ebbe a dire il Carducci in morte di Garibaldi. Chissà cosa avrebbe detto quarant’anni dopo! Per tacere dell’oggi, cioè di un’epoca che non ha più un minimo di gusto per la qualità, autenticità del vivere e del sentire-pensare.

giovedì 16 gennaio 2025

Breve storia di un vile pagliaccio

 

Il Mussolini televisivo (Sky), tratto dai libroni di Antonio Scurati, ha suscitato (inevitabili) polemiche. Ognuno ha diritto di dire la sua ovviamente, ma sostenere che quel Mussolini è troppo caricaturale mi sembra molto distante dalla realtà storica. Mussolini è sempre stato un soggetto caricaturale, fin da giovane, quando, per esempio, orologio alla mano, sfidava Dio di fulminarlo entro cinque minuti. Se ciò non fosse accaduto, significava che Dio non esiste. Vai a discutere con uno così.

Benito Mussolini fu fermato o arrestato dalla polizia elvetica in almeno tre occasioni dal 1902 al 1904. Esistono negli archivi svizzeri due schede antropometriche con foto istruite dalla polizia in occasione di tali arresti. Com’è possibile che un personaggio di livello intellettuale e morale assai modesto come Mussolini sia potuto diventare un esponente di spicco del Partito socialista italiano, tanto da vedersi affidare la direzione del quotidiano del partito, l’Avanti! ?

Renzo De Felice, nel tratteggiare quel primo Mussolini, si basò principalmente sull’autobiografia scritta dallo stesso Mussolini nel 1911-12, oppure su biografie che lo stesso storico reatino definì apologetiche e auliche, valga per tutte citare quelle del De Begnac e del Ludwig (autore quest’ultimo di diverse biografie, compresa quella romanzata di Napoleone).

Si avvalse anche di due fonti dirette, quella della sorella Edvige, la quale ricorda, tra l'altro, come il fratello Benito si appropriasse del denaro del suo salvadanaio (p. 15), e quella contenuta nella corrispondenza tra Mussolini e Santo Bedeschi.

Mussolini nacque ad immediato contatto di un ambiente “sordido e violento” (p. 9). Frequentò per tre anni l’istituto tecnico preparatorio, una specie di scuola di “avviamento” come esisteva prima della riforma che portò all’attuale ordinamento della scuola media inferiore. Seguirono tre anni di “scuola normale”, con la quale conseguì nel 1901 la licenza d’onore. Come studente “più di una volta dovette riparare ad ottobre qualche materia” (p. 13).

Dopo la scuola non riusciva a trovare un’occupazione, tanto che scrisse parole di disperazione autentica al suo amico Bedeschi. Finalmente e improvvisamente a Gualtieri, un paese con amministrazione socialista, fu nominato supplente in una classe elementare, ma l’incarico non gli fu rinnovato per una relazione intrecciata con una donna sposata il cui marito era sotto le armi, fatto che avveniva alla luce del sole e che causava grande scandalo.

Come accennato, decise di raggiungere la Svizzera, con l’intenzione di recarsi a Ginevra. Nel luglio 1902, Mussolini soggiorna dapprima a Yverdon e due giorni dopo a Orbe, dove lavora qualche giorno come manovale per una costruenda fabbrica di cioccolata. Scriverà nella sua autobiografia: “Quella fatica era per me una tortura”. Dopo pochi giorni di quella “tortura” approda a Losanna, dove fa per la prima volta conoscenza con la polizia elvetica che lo arresta, per vagabondaggio, “mentre intirizzito dal freddo e lacerato dal digiuno uscivo dall’arcata del Grand pont”, sotto il quale aveva dormito.

Fu rilasciato dopo tre giorni poiché i suoi documenti erano in regola e aveva affermato di volersi recare a Ginevra. Contrariamente a questa dichiarazione non si allontanò da Losanna, “ma, non sapendo evidentemente come tirare avanti – scrive De Felice –, prese contatto con gli ambienti socialisti italiani della città” (p. 26).

Fu invitato a cena, gli procurarono un sussidio di dieci franchi e un letto in casa di un artigiano vicentino, redattore dell’Avvenire del lavoratore, organo del Partito socialista italiano in Svizzera e della Federazione muraria. Pochi giorni dopo, su quel giornale Mussolini pubblica un primo articolo, aveva così inizio il suo inserimento nel Partito socialista in Svizzera e la sua attività politica.

A Losanna, oltre a scrivere nove articoli sull’Avvenire, lavora come commesso presso un paio di botteghe e come muratore. Nei mesi invernali rimane senza lavoro e viene aiutato dai compagni. S’iscrive al sindacato e ne diviene segretario locale con l’incarico di redigere i verbali delle sedute, “con un compenso di 5 lire mensili e le consumazioni gratis durante le assemblee”, come egli stesso scrisse.

I suoi articoli ebbero un certo successo poiché non mancavano di chiarezza ed incisività, ma “soprattutto per il loro tono deciso e rivoluzionario”, scrive De Felice.

Nel marzo del 1903, lasciata Losanna, si trasferisce a Berna, dove lavora come manovale e si dedica, la sera e giorni festivi, alla propaganda, tenendo comizi e conferenze che attrassero ben presto su di lui l’attenzione della polizia. Arrestato, rimase in gabbia per 12 giorni. È in tale occasione che gli vengono scattate le prime foto segnaletiche, di fronte e di profilo, ossia quella con il numero 1751 e la lavagnetta nella quale per errore è scritto il nome “Benedetto”.

Fu espulso dal Cantone di Berna. A Chiasso Mussolini fu consegnato dalla polizia svizzera a quella italiana, che lo trasferì a Como, dove non avendo trovato nulla sul suo conto lo rimise in libertà (p. 32).

Ritorna in Svizzera subito dopo, si ferma a Bellinzona, poi tra luglio e agosto ritorna a Losanna. Dopo una breve parentesi in Italia nell’ottobre dicembre del 1903 per l’aggravarsi della madre, torna in Svizzera e si reca a Ginevra. Trascorre i primi mesi del 1904 tra Ginevra e Annemasse (Alta Savoia), occupandosi di attività politica, sindacale e giornalistica: comizi, conferenze, corrispondenze a riviste socialiste e anarchiche. Frequenta anche la Biblioteca universitaria, dai cui registri risulta che abbia consultato soprattutto trattati sulle malattie veneree.

Nel luglio del 1903 prende la parola in alcuni comizi socialisti nella regione e il 25 marzo a Losanna tiene una conferenza sull’ateismo, un suo cavallo di battaglia. Scrive De Felice: «Il dibattito, a cui assistettero circa cinquecento persone, fu riepilogato di lì a cinque mesi nel primo opuscolo (L’uomo e la divinità, Lugano 1904) di una Biblioteca internazionale di propaganda razionalista fondata da Serrati, uno specialista in questo genere di “letteratura”, da Mussolini ed altri socialisti di Ginevra e di Lugano [...]. Gli argomenti di Mussolini appaiono da questo opuscolo tutt’altro che originali, spesso scopiazzature di alcuni dei testi razionalisti e antireligiosi più in voga a quel tempo; nel complesso, però, va anche detto che, rispetto alla media di questo genere di “letteratura”, l’opuscolo ha un minimo di dignità formale e denota in Mussolini una cultura caotica, da autodidatta, ma – per l’ambiente socialista del tempo, si pensi a un Serrati – piuttosto vasta e, qua e là, non del tutto superficiale. [...] Da allora in poi egli fu considerato un po’ come il “tecnico” della questione [...]» (pp. 35-36).

Il ministero dell’Interno della Confederazione lo segnala alle polizie cantonali quale “anarchico” da tenere d’occhio. Giuridicamente, la sua posizione si fa precaria. In Italia è ricercato per renitenza alla leva; in Svizzera è schedato come sovversivo e sorvegliato dalla polizia; per di più il suo passaporto è scaduto e non può chiederne il rinnovo poiché “disertore”. Decide allora di falsificare la data di validità del documento, ma le autorità ginevrine non tardano a scoprire l’irregolarità. Il 9 aprile viene arrestato ed espulso dal cantone.

La polizia decide di farlo accompagnare alla frontiera italiana a Chiasso, ciò che avrebbe significato l’arresto da parte delle autorità del Regno. Contro l’espulsione di Mussolini si mobilitano gli ambienti socialisti e quelli dell’emigrazione italiana in Svizzera. Il 18 aprile 1904, il deputato radicale al Gran Consiglio ticinese, Antonio Fusoni, interpella il governo “per sapere se la direzione di polizia ticinese si sia prestata o meno alla consegna al confine italiano di certo Mussolino [sic], espulso dal cantone di Ginevra”. L’interpellante trova scorretta la consegna di Mussolini all’Italia: la renitenza al servizio militare, essendo un delitto politico, violerebbe il diritto d’asilo.

Il consigliere di Stato Luigi Colombi, responsabile del dipartimento di polizia, rassicura l’interpellante. Avendo avuto conoscenza per via indiretta dell’espulsione ordinata dalle autorità ginevrine “e sapendo non procedere la medesima da nessuna condanna per reato comune”, la direzione di polizia “diede istruzioni ed ordini nel senso che detto signore non venne né consegnato, né tradotto al confine, ma lasciato libero di scegliere, per abbandonare il cantone e la Svizzera, quella via che più gli convenisse”.

Così, nel 1904, alcuni esponenti politici ticinesi, decisi a far rispettare il diritto d’asilo in Svizzera, anche contro il volere di altre autorità cantonali, evitarono al disertore e agitatore Benito Mussolini il soggiorno nelle galere militari italiane.

Nell’aprile del 1904, evitata l’espulsione, si trasferisce a Losanna, dove s’iscrive alla facoltà di scienze sociali e frequenta per un paio di mesi i corsi del sociologo Vilfredo Pareto (non si conobbero personalmente). Questo modesto trascorso accademico sarà all’origine del dottorato honoris causa, conferito al Duce nel 1937 dall’ateneo losannese.

Altri soggiorni in Svizzera tra il 1908 e il 1910. A Lugano lavora come muratore nei cantieri stradali e ferroviari; qui conosce il leader socialista Guglielmo Canevascini che lo ospita in casa. Nel 1910, il nome di Benito Mussolini “muratore, residente a Lugano”, figura anche sul registro dei forestieri in un albergo di San Bernardino.

Questa fu la “carriera” del Mussolini elvetico, parassita e scroccone, coinvolto anche in un’oscura storia relativa al furto di un orologio. Per Mussolini, come ebbe a scrivere De Felice (p. 42), il socialismo fu sempre più uno “stato d’animo”, e il marxismo gli fu “sostanzialmente estraneo non andando per lui oltre una concezione elementare della lotta di classe”.

Ricorda Angelica Balabanoff, la quale ebbe su Mussolini grande e prolungata influenza, che quando il comitato gli tolse la direzione del giornale, disposto ad accordargli una indennità, il buon apostolo trovò queste magnifiche parole: “Io non accetto nulla, cinque franchi al giorno mi bastano ed io li guadagnerò facendo il mestiere di muratore. Io non scriverò neppure una parola. In ogni caso siate certi di una cosa: che io non scriverò mai una parola contro il partito socialista”. Otto giorni dopo Mussolini era fondatore-direttore di un giornale antisocialista disponendo di cospicui capitali.

Il temperamento e la mentalità di Mussolini non cambiarono nemmeno negli anni del potere. Fino ai suoi ultimi giorni restò quello di sempre, cioè un pagliaccio. Basti ricordare che l’uomo che aveva detto “Se indietreggio, uccidetemi ...” (frase peraltro mutuata da altri), si fece pescare travestito con l’uniforme tedesca, accompagnato dalla sua amante e con lui tutto il governo quasi al completo (Graziani pensò bene di consegnarsi al “nemico”) e tutti i più alti gerarchi della bardatura neofascista di Salò, i cui nostalgici epigoni sono ora al governo. Non un gesto eroico o quantomeno dignitoso, non un gerarca che abbia saputo cadere con le armi in pugno, ma una fine buffonesca costata tanti lutti e tante tragedie.