martedì 12 marzo 2024

Il realismo di Bergoglio e quello di Stalin

 

Il realismo di Jorge Mario Bergoglio in riferimento alla guerra in Ucraina non ha provocato sconcerto per il semplice motivo che la posizione del papa è ben nota. Papa Francesco ha preso la misura della situazione da tempo, chiedendo una soluzione diplomatica. Secondo i suoi critici non doveva chiedere agli ucraini “il coraggio della bandiera bianca e negoziare”. Doveva chiederlo anche ai russi, che com’è noto sono gli aggressori.

Ciò ha dato occasione a della brava gente di preservare gli alti indicatori della civiltà chiedendo di continuare il massacro. Come se questa guerra non si sapesse com’è nata e quali siano realmente i contendenti. Se Bergoglio avesse chiesto “il coraggio della bandiera bianca e negoziare” ai russi, perché non chiederlo agli americani e alla Nato che sono la loro vera controparte in causa? Ecco il vero errore di papa Francesco, non aver chiesto un cessate il fuoco ecumenico, ossia a tutte le parti in causa.

E invece nella stessa intervista se l’è presa con Stalin: “gli ucraini al tempo di Stalin quanto hanno sofferto ...” (L’Osservatore Romano). Un bersaglio facile Iosif Vissarionovi. Bergoglio avvalora le ricostruzioni storiche interessate a far credere che la grave carestia in certe zone dell’Ucraina, negli anni Trenta, fosse provocata di proposito da Stalin. Sarebbe troppo lungo qui dimostrare, documenti alla mano, che tale carestia non fu deliberata e tantomeno da Stalin. E del resto sarebbe inutile.

Inutile per gente dai punti fermi inconciliabili, che ha pianto a calde lacrime la sorte del povero Alexei Anatolievich Navalny, anima innocente, ucciso dai sicari di Putin in un carcere siberiano. Sanno tutto della Siberia, ma restano indifferenti per quanto riguarda il regime del 41 bis nelle carceri italiane, le pratiche disumanizzanti prossime alla tortura che tutta Europa ci invidia. E del resto è vietato in Costituzione chiedere di dare un’occhiata anche in casa propria prima di giudicare gli altri.

«Tutte le istituzioni», scriveva George Orwell, «dovranno portare per sempre la memoria del proprio passato.»

Per esempio, che cosa è stata la deportazione in Siberia nei tre secoli precedenti al 1917? Deportazione di detenuti con le loro famiglie. Nel solo 1875, 1030 bambini morirono, mentre si recavano in Siberia, nelle prigioni di Mosca, Ninij Novgorod, Kazan’ e Perm’ e nelle tratte successive. Due anni più tardi, altri 400 non sopravvissero al viaggio. La metà dei bambini moriva lungo la strada verso il luogo di prigionia ed esilio dei genitori.

Nel febbraio 1894, il New York Times, sotto il titolo Orrori dalla Russia: all’omicidio segue il cannibalismo e i prigionieri sono ansiosi di morire, scriveva: «Il rapporto della commissione d’inchiesta sulle condizioni dei prigionieri a Onor, Sachalin, rivela numerosi esempi di fustigazioni implacabili, e di dita e braccia mozzate con le spade. Indotto dalla fame, il cannibalismo è ormai una pratica comune. Vengono spesso commessi assassinii, che sono poi seguiti da cannibalismo, ma il cui vero scopo è porre fine a una vita miserabile» (*).

Nove anni fa, il 16 marzo 2015, scrivevo un post che aveva per titolo: «Gli Stati Uniti sono l’unico paese al mondo in cui i bambini sono condannati a morire in carcere». Il titolo era tratto da un articolo del Juvenile Law Center (non certo un sito bolscevico).

Mai una parola su queste e altre questioni da parte di quella brava gente di cui sopra (cento Aaron Bushnell non valgono un solo Alexei Navalny), quella cerchia di oneste intelligenze che manderebbero per corriere anche la doppietta del nonno in Ucraina purché si sparasse contro l’odiato invasore. Solo che in Ucraina sono rimasti a corto di carne umana e adesso si predispongono ad arruolare i detenuti nelle forze armate.

Ma non voglio insistere e torno sul tema principale. Questa guerra in definitiva non la vincerà nessuno: le terribili ferite aperte non saranno rimarginate. Sta di fatto, per tornare al realismo di Bergoglio, che l’Ucraina ha circa un quinto della popolazione (effettiva) rispetto alla Russia, non ha importanti fabbriche di armi e munizioni, la sua economia è in gran parte sostenuta dai finanziamenti esteri.

Non è servito bloccare l’accesso delle principali banche russe alla rete di messaggistica Swift e impedire alla banca centrale russa di utilizzare le sue riserve (“un’arma nucleare finanziaria” si disse), eccetera. Solo degli sprovveduti che non sanno nulla della Russia, oppure e più probabilmente gente in malafede, poteva pensare che la Russia potesse essere sconfitta.

In una foto ufficiale scattata nel 2011, vediamo Angela Merkel, ridente, che finge di aprire una valvola all’inaugurazione dei lavori del gasdotto Nord Stream 2. Accanto a lei, il presidente russo, Dmitri Medvedev, e i primi ministri dei Paesi Bassi, Mark Rutte, e quello francese, un certo François Fillon. Tutti sono ovviamente molto felici.

La lezione finale è che c’è qualcosa di leggermente più serio e che ci permette di comprendere ciò che è in gioco da molto tempo: dividere la Russia dall’Europa è sempre stato l’obiettivo degli Stati Uniti fin dal 1945. Non dopo Yalta, compresa la conferenza di Yalta. Stalin ovviamente era d’accordo.

L’Ucraina combatte per la propria libertà, si sostiene. Niente di più falso. Vuole diventare anch’essa un paese satellite sotto l’ombrello Nato e con il sostegno economico della UE, quando invece poteva svolgere un ruolo di “ponte” e trarre maggiori benefici economici e di effettiva indipendenza. Montagne di dollari e qualche chilo di cocaina hanno deciso diversamente.

Del resto gli ucraini sinceri sanno bene come stanno le cose in patria per quanto riguarda la loro indole nazionale: “giacché sono un ucrainaccio ho già cominciato a impigrire”, scriveva Anton echov in una celebre lettera all’amico Aleksej Suvorin (Vita attraverso le lettere, Einaudi, 1989, p. 99).

(*) Daniel Beer, La casa dei morti. La Siberia sotto gli zar, Mondadori, p. 261 e 299. Suggerisco la lettura del reportage di Anton echov, L’isola di Sachalin, Adelphi, 2017.

5 commenti:

  1. Due anni fa i media annunciavano l'invasione russa dell'Ucraina al fine di occuparla, senza riconoscere, invece, che si trattava di una blitzkrieg (strategia sviluppata dal generale russo Tuchačevskij durante la Rivoluzione russa e poi presa in prestito dalla Germania nella Seconda guerra mondiale), a cui sarebbe seguito un periodo di consolidamento. La Russia mirava infatti a conquistare punti nevralgici all'interno del territorio ucraino e ad acquisire postazioni stabili e fortificate, e ci è riuscita. L'Occidente non sta perdendo la guerra, come afferma Limes, perchè l'ha già persa.

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  2. Scriveva Bordiga (lettera a Ceglia, 1957):

    "La rivoluzione verrà se la guerra sarà bloccata sul suo scatto, e capovolta, ossia se impedirà che la guerra si sviluppi. Perché tanto sia possibile sarà necessario che un potente partito internazionale sia organizzato con la dottrina che solo abbattendo il capitalismo si impedisce la serie delle guerre. Insomma, l'alternativa è questa: o passa la guerra, o passa la rivoluzione."

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  3. https://www.officinadeisaperi.it/materiali/il-coraggio-del-papa-fa-paura-ai-guerrafondai-da-il-fatto-e-il-manifesto/

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  4. buongiorno Olympe, ho trovato questo sito: https://www.sott.net/
    volevo un tuo parere, grazie, Franco

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