domenica 5 giugno 2022

Un vecchio errore

 


Posso portare osservazioni pratiche contro questo vecchio errore, secondo cui linflazione ha a che fare con i salari. Per esempio, vi sono settori produttivi di certi Paesi dove il lavoro è relativamente ben pagato e però battono tutte le altre nazioni per il prezzo conveniente dei loro prodotti; viceversa vi sono settori produttivi dove il lavoro è pagato male (penso all’agricoltura italiana) e però il prezzo dei loro prodotti è elevato. Paradossalmente in media il lavoro pagato male produce le merci care.

Basterebbero esempi empirici come questi per provare che i prezzi delle merci non sono determinati dai prezzi del lavoro, e dunque per ridicolizzare vecchi errori e ideologie. La tesi secondo cui è il costo della forza-lavoro a determinare l’aumento di prezzo delle merci è falsa e non mi sorprende sia fatta propria dalla Federal Reserve. Mi sorprenderebbe il contrario, così come mi stupirebbe se riuscissero per una volta a ricondurre i fenomeni evocati a una legge economica qualunque.

La Confindustria italiana cavalcò questo leit-motiv per lustri tra gli anni Settanta e Ottanta, pronta di nuovo al bisogno, ovviamente. In realtà la scarsa competitività di quell’epoca era determinata in via principale dalla scarsa quantità e qualità degli investimenti e dell’innovazione. Fu la Fiat (proprio la Fiat!) a dimostrare, dalla fine degli anni Settanta e per un decennio, che innovando modelli e tecnologie produttive, dunque aumentando la produttività del lavoro, si poteva diventare competitivi su ogni mercato.

Se poi sostituisci una testa fine come quella di Ghidella con quella di un burocrate non puoi aspettarti i medesimi frutti, per non parlare di Agnelli che in testa aveva una cosa sola. Da parte loro gli economisti non hanno mai dimostrato troppi scrupoli logici, e questa semplice constatazione spiega i loro inesausti fallimenti teorici.

Fu abolita la scala mobile che in qualche modo proteggeva i salari dall’inflazione. In realtà, bloccando i salari si sopperiva alla bassa competitività media dell’industria italiana dovuta, come detto, in via principale alla scarsa quantità e qualità degli investimenti e dell’innovazione. Ieri come oggi e così sia.

Se fosse vero che sono i salari a determinare il valore di una merce (questo significa dire che l’inflazione ha a che fare col prezzo della forza-lavoro), in tal modo i salari diventerebbero la misura generale e il regolatore del valore. Questi “filosofi” non fanno altro che determinare un valore per mezzo di un altro valore che, a sua volta, ha bisogno di essere determinato.

Si baloccano nella tautologia: il valore è determinato dal valore! Ciò significa, in realtà, che della formazione del valore non sanno niente. Eppure basterebbe prendersi la briga di leggere non Marx, per carità, troppo “astratto” per dirla con quello scemo di Piketty, bensì Ricardo, per scoprire che nella sua opera sui Principi dell’economia politica, pubblicata nel 1817, distruggeva dalle fondamenta la vecchia dottrina falsa e fallita secondo la quale “i salari determinano i prezzi”.

Dirò più semplicemente: i salari di fatto sono misurati dai prezzi delle merci per le quali essi sono spesi, anche se ancora oggi molti salariati sono indotti a credere che apparteniamo, padroni e servitori, a uno stesso demi-monde d’indifferenziati vantaggi edonistici.

Insomma, in quale modo l’aumento dei salari potrebbe esercitare un’influenza sui prezzi delle merci? Influendo sul rapporto concreto tra la domanda e l’offerta delle merci; ma ciò creerebbe un turbamento temporaneo del mercato e senza alcuna variazione durevole nel prezzo delle merci.

Piuttosto è d’uopo chiedersi perché oggi i pescherecci non escono in mare e il pesce locale sia più raro e costoso del caviale russo. Stesso discorso per altre tipologie merceologiche, come frutta e verdura, dati i costi energetici delle serre, per i fertilizzanti, per il trasporto, eccetera. Sono i prezzi delle materie prime, specie degli idrocarburi, a determinare i rincari di tutti gli altri prodotti.

Più in generale le fluttuazioni della domanda e dell’offerta, il valore della moneta in cui è espresso il valore dei prodotti, la costante e massiccia offerta di moneta M2, le diverse fasi del ciclo industriale, cioè le quantità di capitale e di lavoro impiegati, l’allargamento dei mercati, l’oligopolio, la speculazione e altre cose così. Possiamo mettere nella torta come bignè anche pandemie e guerre.

Gli economisti, che in generale sono le aspasie del padronato (non ha alcun rilievo ne siano consapevoli o meno), non a caso per quanto riguarda l’inflazione prendono in considerazione prevalentemente i mutamenti dei salari, quasi trascurando gli altri mutamenti dai quali essi derivano. In realtà l’aumento dei salari è la conseguenza di mutamenti precedenti, come reazione della forza-lavoro contro una precedente azione del capitale.

Vi sarebbe invece una questione che meriterebbe di essere affrontata: il capitale punta continuamente ad aumentare la produttività del lavoro, cioè a diminuire il tempo di lavoro necessario per unità di prodotto (i valori d’uso sono prodotti in quantità maggiori del valore in essi contenuto). Ciò si traduce in una tendenza generale alla diminuzione di valore delle merci (salari reali compresi). Pertanto a lungo termine viene a stabilirsi e a prevalere, rispetto a fattori antagonisti che possono esercitare un rialzo dei prezzi, una pressione deflazionistica o disinflazionistica sui prezzi sia delle materie prime e sia delle altre componenti il capitale costante (è stato così fino al 2020) ... . Il post è già troppo lungo e non vorrei annoiare più del solito.

14 commenti:

  1. Poiché credo di avere innescato questo interessante post, mi sento obbligato a fare delle considerazioni.
    Non vorrei essere pedante, ma negli ultimi 50 anni si sono visti diversi fenomeni inflazionistici. Diversi anche nella natura. L’inflazione degli anni ’70 fu un classico caso di spirale prezzi/salari. Se dovessi scegliere una delle due categorie: “tirata dalla domanda” o “spinta dai costi” sarei in imbarazzo, perché è chiaro che, in presenza di una ampia area sociale affluente, ci fu una tensione sui consumi indotta dalla maggiore disponibilità liquida, senza che aumentasse la propensione al risparmio. Però, complessivamente, direi “spinta dai costi”. Qui occorre essere chiari: può benissimo darsi che in un certo paese/sistema economico ci sia una carenza di investimenti, che porta a inferiore produttività. Tuttavia, il ciclo di vita degli investimenti è per sua natura lungo, per cui, se nel giro di pochi mesi c’è un risveglio dell’inflazione, la causa va cercata nelle azioni a breve, non in quelle a lungo, che sussistevano anche prima. Questo non assolve certo l’imprenditore che, nel tempo, non ha reinvestito i profitti: solo che lo dobbiamo giudicare in un altro processo.
    Prima di passare ad altri casi storici di inflazione, vorrei aggiungere che la caratteristica del fenomeno è il dinamismo, chiamato anche “rincorsa”. Se non c’è dinamismo, si parla di un occasionale aumento di prezzi, normalmente circoscritto ad alcuni prodotti/servizi. Celebre il dinamismo dell’inflazione tedesca post- prima guerra mondiale, o quello di certi paesi sudamericani. Il dinamismo si accompagna sempre a un fattore psicologico, ossia l’anticipazione di futuri rincari. E’ per questo che spesso si decide di cambiare moneta, e a volte funziona.
    Rimane, tornando all’Italia, da definire la natura delle altre due inflazioni successive agli anni ’70. La prima partì dopo l’introduzione dell’euro, nel 2002. Fu interamente speculativa, ossia ci fu gente che aumentò i suoi profitti giocando sul disorientamento del consumatore. La prova è nel fatto che il rapporto di cambio della lira con le altre monete aderenti all’euro era in vigore dal 1999. Ma l’inflazione partì nel 2002, con la comparsa delle attuali banconote.
    L’ultima inflazione la stiamo vedendo adesso, ed è superfluo dire che è spinta dai costi delle materie prime. L’assenza di dinamismo fa ben sperare in un assopimento non appena la causa scatenante termini.
    Se, quindi, ti devo dare sostanzialmente torto riguardo alla non-influenza del costo del lavoro, devo darti ragione nell’assunto, in parte implicito ma chiaro, che le banche centrali non governano un cazzo. Basti pensare alla sciocchezza, protrattasi per tutti gli anni ’10 del secolo, secondo la quale bisognava stimolare l’inflazione, così sarebbe ripartito lo sviluppo economico. Sciocchezza basata sulla constatazione che i periodi di forte sviluppo sono anche inflattivi. Con questo ragionamento, si potrebbero provocare le doglie a una donna non incinta, sperando che partorisca: e mettici tu tutte le inversioni del rapporto causa/effetto che ti vengono in mente.

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    1. “L’inflazione degli anni ’70 fu un classico caso di spirale prezzi/salari”. No. In via principale ciò fu dovuto all’annuncio di Nixon del 1971 e alle cosiddette crisi petrolifere.

      “Celebre il dinamismo dell’inflazione tedesca post- prima guerra mondiale”. Astraendo da altre cause e considerazioni, pagare i debiti con un’inflazione elevata, nel breve periodo, conviene.

      I “fattori psicologici” in economia durano l’istante in cui vengono enunciati e percepiti come tali. Poi arriva la realtà.

      Sull’inflazione cambio lira/euro fu così, hai ragione.

      Non ho scritto della “non-influenza del costo del lavoro”, ho specificato che può essere solo temporanea e seguire mutamenti indotti dal capitale, dal valore della moneta, da decisioni delle autorità monetarie, ecc.. Nel complesso ho parlato di “tendenze” inflattive e deflattive di lungo periodo.

      Fatico a credere che il salario dei raccoglitori di pomodoro e di altri manovali inneschi fiammate inflattive. Può succedere in altri settori e per altre cause. Per esempio il famigerato bonus 110% ha reso più caro il costo dei materiali e della manodopera. Non piccola parte dell’inflazione odierna proviene da bonus statali che in tutto l’occidente sono stati elargiti con grande generosità, non tanto in termini d’importi ma quanto in sistema di distribuzione a bischero sciolto.

      Il futuro ovviamente lo ignoro, ma non sono propenso a ipotizzare rientri sostanziosi del livelli raggiunti dai prezzi, salvo vi sia un crollo delle materie prime, che non mi pare probabile né imminente, tutt’altro. Potrebbe esserci un crollo dei corsi azionari, quello sì. E in quel caso lo scenario potrebbe cambiare completamente. Vedremo.

      Grazie per le tue osservazioni. Buona domenica.

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    2. Però se guardi i dati vedi che cominciò nel 1970, e andò in doppia cifra sei mesi prima della crisi petrolifera https://www.rivaluta.it/dettaglio-inflazione-media.asp?t=NIC_T&yi=1973
      Ti faccio anche notare che la decisione di Nixon riguardò tutto il mondo, ma l'inflazione si manifestava solo in Italia in quella misura (confronto naturalmente con i paesi europei, non con Brasile o Argentina).
      I raccoglitori di pomodoro furono estranei all'autunno caldo. Si può discutere sulla bontà e sull'etica delle scelte, ma è un fatto che gli aumenti salariali furono ribaltati sui prezzi.

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    3. Quanto prezzava un barile di Pil alla fine del 1970 e quanto alla fine del 1973?

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  2. ma cosa vuol dire proviene dai bonus? Parli chiaro sig.ra de Gouges, proviene dalle politiche covid?

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    1. parli chiaro compagna Olympe, proviene dai vaccini imposti a bischero sciolto?

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    2. no, compagno Ragionier, dal prosecco a bischero libero

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    3. prosecco solo se ti vaccini

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    4. o in spagna purché se magna

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  3. Non ho negato che la crisi petrolifera abbia inciso. Ho però detto che l'inflazione è iniziata prima.

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    1. nel 1963-64? Anche allora si diede come causa il costo del lavoro, il quale però era rimasto assai indietro rispetto al carovita e ai profitti. Anche allora la lira fu sotto attacco speculativo. Dal 1971 in pochi anni il prezzo del greggio si moltiplicò per 20. Quella fu la causa evidente dell'inflazione, mentre la causa reale della crisi (stagnazione) stava nella sovrapproduzione assoluta di capitale che coinvolse l’intera area capitalistica, e che i dati confermavano essere iniziata ben prima della crisi del petrolio.

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  4. Scusate l'O.T: sembra che nei democratici Stati Uniti d'America, una sparatoria al giorno togli il medico di torno!

    https://www.adnkronos.com/usa-sparatoria-nel-centro-di-filadelfia-3-morti_3NSVhONwj0DVI9VZyAkim9

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    1. Più di una sparatoria al giorno (con relativi morti)
      https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2022/06/05/usa-3-morti-e-14-feriti-in-sparatoria-nightclub-tennessee_a7aac3c5-3af0-4380-aa22-9d9acf4cfc0d.html

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