venerdì 17 giugno 2022

Inflazione, stagnazione e salari

 

Dopo il rialzo di mercoledì, Wall Street è scesa di nuovo bruscamente ieri, riprendendo il calo che l’ha mandata in territorio ribassista (un calo del 20% dal suo massimo precedente).

Il Dow è sceso di 741 punti, portando il calo dell’anno al 18% e ha chiuso sotto i 30.000 per la prima volta da gennaio 2021. L’indice S&P 500, dopo essere aumentato dell’1,5% il giorno precedente, è sceso del 3,3%. Il prezzo di quasi tutte le azioni dell’indice è sceso con perdite per moltissime società ai minimi da 52 settimane. Il calo è stato ancora più ampio per il Nasdaq, che è sceso del 4,1%, portandolo al livello raggiunto a settembre 2020. Dall’inizio dell’anno, l’indice dei tecnologici è sceso di circa il 33%. Ma questo dato è una media e le perdite in aree chiave del mercato sono state anche maggiori.

A ogni modo le Borse sono ancora gonfie dei risultati straordinari messi a segno dopo il tonfo del marzo 2020, al quale la Fed fece fronte regalando soldi a chiunque li chiedesse, anche società con i libri contabili in tribunale.

È solo l’inizio di un nuovo crollo? Sicuramente assisteremo a una forte correzione della tendenza rialzista, ma non mi sentirei di escludere momenti di forte tensione e di panico, con scenari sociali che è difficile prevedere in anticipo.

Come in ogni crisi che si rispetti, il capitale finanziario incarnato nel mercato azionario sta implodendo. Questo fenomeno è accelerato dall’aumento dei tassi d’interesse in seguito alla decisione della Fed, con effetti nell’economia reale.

Questa manovra sui tassi viene condotta dalle principali banche centrali seguite da quelle più piccole all’insegna della necessità di “combattere l’inflazione”, ma il vero principale effetto è un altro, perché il rialzo dei tassi d’interesse, e per altri versi il “raffreddamento” della domanda, non faranno per nulla abbassare i prezzi delle commodity.

Aumentare i tassi d’interesse porta inevitabilmente un rallentamento dell’economia e induce recessione. Inoltre, ciò serve a mantenere il prezzo nominale della forza-lavoro sostanzialmente stabile, mentre quello reale scende favorendo i profitti aziendali, a cominciare da quelle sezioni di capitale che dominano largamente il mercato delle materie prime ed energia, derrate alimentari e altri settori chiave.

Il salario, pur aumentando, non cresce mai nella stessa proporzione in cui il valore del denaro diminuisce. Nulla cambia all’infuori delle denominazioni monetarie dei valori della domanda e dell’offerta. Il salariato che chiede un aumento proporzionale dei salari, in realtà viene pagato con dei nomi invece che con delle cose. L’inflazione non è altro che una svalutazione della moneta, cioè del potere d’acquisto.

Vale la pena ricordare in questi tempi così infami che, sulla base del sistema attuale, il lavoro è una merce come le altre. Sarebbe sciocco considerarlo da una parte come una merce, e d’altra parte volerlo porre al di fuori delle leggi che determinano i prezzi delle merci, così come fanno quegli idioti che dicono di agire in nome e per conto dei lavoratori ma sono contrari alla scala mobile.

Un esempio concreto: il fatto che si sia costretti a elemosinare un salario minimo di legge, significa che quei lavoratori pagati sotto tale minimo condividono tutta la miseria di uno schiavo senza godere la posizione sicura dello schiavo stesso, che se non altro riceveva una quantità fissa e costante di mezzi per il suo sostentamento.

La tendenza generale della produzione capitalistica non è di elevare il salario normale medio, ma di ridurlo.

La determinazione del livello reale dei salari viene decisa soltanto dalla lotta incessante tra capitale e lavoro; il capitalista cerca costantemente di ridurre i salari al loro limite minimo, mentre il salariato esercita costantemente una pressione in senso opposto. Perciò la cosa si riduce alla questione dei rapporti di forza delle parti in lotta.

Pur senza esagerare il risultato finale di questa lotta per le sorti dei salariati, purtroppo si deve constatare che chi dovrebbe accostarsi dalla parte dei salariati in questa lotta, spesso e volentieri fa il gioco dei padroni della società.


2 commenti:

  1. Molti di quelli che pensavano di essere diventati classe media si ritrovano improvvisamente proletari anzi, cominciano ad accorgersi di essere messi peggio dei loro padri e nonni che almeno alla pensione ci sono arrivati.
    Pietro

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    Risposte
    1. non sono stati lungimiranti...
      succede: selezione naturale

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