domenica 7 giugno 2020

Il gatto castrato



Ieri sera Sky dava Un giorno di pioggia a New York. Woody Allen da troppo tempo, forse da sempre, produce boiate pazzesche a base di battutine prevalentemente a sfondo sessuale.  Proprio ieri pomeriggio, in libreria, tra le fatiche di Ilaria Capua (Il dopo. Il virus che ci ha costretto a cambiare mappa mentale [??]), di Roberto Burioni (Virus, la grande sfida) e quella erculea di Mario Giordano (Sciacalli. Virus, salute e soldi. Chi si arricchisce sulla nostra pelle [quelli come lui, per esempio]), era proposta l’autobiografia di Allan Stewart Königsberg.

Ho preferito, d’impulso, un libro di Anka Muhlstein, che se non altro mi ha aiutato a passare la notte, come fosse un cruciverba facilitato. La Muhlstein saccheggia Caulaincourt, Ségur, Bourgogne e ovviamente le memorie dettate dal grande sconfitto a Las Casas. Sarebbero questi i “preziosi e suggestivi documenti dell’epoca”, come recita la quarta di copertina de Napoleone a Mosca. Tutte opere che chiunque può leggere di prima mano semmai ne avesse interesse.

Ritengo peraltro che non vi sia bisogno di questo genere di traduzioni, quando si hanno a disposizione lavori come quelli di Luigi Mascilli Migliorini o di Georges Lefebvre, per citare. Però capisco che al lettore sbrigativo, al quale non interessano approfondite analisi e doviziose note a piè di pagina, accolga volentieri questo genere storiografico fatto di brevi e scorrevoli racconti che lo confermino in ciò che egli già crede di sapere.

Muhlstein sa bene che la causa della sconfitta napoleonica in Russia non fu dovuta al “generale inverno”, che il gelo fu conseguenza e poi la comoda versione fornita da Napoleone, il quale non poteva ammettere di essere stato battuto dalla strategia dei russi. E tuttavia fino all’ultima pagina l’autrice insiste sulla torrida e tempestosa estate russa, le malattie, le diserzioni, la disorganizzazione, l’assottigliarsi della Grande Armata, eccetera. Tutti fatti veri, ma sono queste e altre cose quelle che si sentono ripetere solitamente sull’argomento dai più smaliziati dilettanti.

La realtà storica, come solito, è un po’ più complessa da come ce la presentano a scuola o in questo genere di letteratura.

È noto che Napoleone, come in passato, inseguiva ostinatamente una vittoria decisiva che gli assicurasse in un tempo brevissimo la resa dell’avversario e il successo dell’impresa.  Egli sapeva, e in ciò era maestro, che uno dei fattori fondamentali del proprio successo militare era dato dalla rapidità con la quale si muoveva nello scacchiere bellico. Tuttavia si doveva tener conto, in quella campagna, della radicale originalità del contesto complessivo, fisico e umano, nel quale si era obbligati a muoversi.

L’Europa continentale, con la sua fitta urbanizzazione e un’agricoltura ben sviluppata, si presentava molto diversa dalla Russia di allora. La pianura russa è ben altra cosa dalla orografia dell’Europa continentale, e già l’esteso bassopiano germanico aveva dato dei problemi agli eserciti napoleonici. Gli eserciti europei, sconfitti in battaglia, non avevano altra alternativa tra la resa o il ripiegamento in un caposaldo circoscritto, dove tentare un’ultima resistenza. Kutuzov poteva ripiegare per centinaia di chilometri, e oltre, senza dover venire a patti con l’avversario.

Quanto ai russi, aveva visto giusto già Tolstòj, quando scrisse che “Tutto accadde per caso”. Essi furono obbligati, come lo saranno 130 anni dopo, ad adottare quella loro tattica, per inferiorità e per paura. E questo fatto mandò all’aria il disegno napoleonico di una guerra rapida e di battaglie decisive, a seguito delle quali vi sarebbe stata la richiesta degli sconfitti, cioè dei russi, di aprire trattative di pace.

In buona sostanza la campagna di Russia era già compromessa prima dell’incendio di Mosca, prima dell’inverno e della tragica ritirata. Napoleone affrontò un’impresa le cui dimensioni e le cui soluzioni non erano sotto il suo controllo. Pertanto il problema dal punto di vista storico non si presenta in ciò che decise Napoleone a Smolensk, a Bordino o a Mosca, ma nel fatto stesso che egli si trovasse a Mosca.

L’editoria promuove la sua merce così come in altri settori merceologici si reclamizzano toccasana per l’alimentazione del gatto castrato. Ormai se si vuol leggere qualcosa d’interessante bisogna scriverselo da sé o cercare presso gli “antichi”.

15 commenti:

  1. Un consiglio cinematografico: Match Point di W.Allen.
    Un film...marxista!

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  2. "ma nel fatto stesso che egli si trovasse a Mosca". Buongiorno, non è un po' tautologica come definizione? Posso risalire a qualche suo post dove la cosa viene approfondita leggermente? grazie. GS

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    1. buongiorno. proprio no, allude all'errore fondamentale, non solo militare, ma ancor prima diplomatico. N. fu un pessimo diplomatico, lo si vide quando Talleyrand lasciò
      N. dapprima non doveva mettersi nelle condizioni di invadere la Russia, poi, nel 1810, quando Alessandro gli voltò le spalle, doveva agire diversamente. E così con la Prussia, la Spagna e perfino con l'Inghilterra. Una politica estera più conciliante (finanche nel 1813!), con meno pretese territoriali, meno arroganza, gli avrebbe consentito di durare più a lungo.

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    2. Considerato che qui si è parlato più volte di Mantellini, in qualità di archetipo, vorrei attirare la tua attenzione sulla recente vicenda che lo ha visto protagonista su twitter. Alla fine ne ha riassunto i punti salienti sul blog: http://www.mantellini.it/2020/06/06/sul-mio-tweet-di-ieri/, dove sollecita educate domande, impedendo però i commenti. Andrei a fargliele di persona a Forlì, ma, abitando io in Lombardia, temo che inorridirebbe. In realtà, lui è eccitatissimo, fino all’orgasmo multiplo (*), per avere goduto dell’attenzione di Salvini. Per quanto mi concerne, non posso che citare Marx (Groucho): “quote me as saying I was mis-quoted”.
      (*) sotto forma di polluzione involontaria.

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    3. ah, il mantellini. che bella persona. davvero.
      Parlarne bene o parlarne male non importa, purché se ne parli. O.Wilde, ma mia nonna non era d'accordo.

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  3. Cit. " Ormai se si vuol leggere qualcosa d’interessante bisogna scriverselo da sé o cercare presso gli “antichi”. "

    Sante parole, nella mia piccola esperienza di lettore ormai pluridecennale è ciò che faccio da molto tempo: leggere le Anke significa sottrarre tempo, che purtroppo non è illimitato, a letture più succose.
    La rete, poi, offre delle possibilità di reperimento, anche e forse soprattutto digitale, di cui non si sarebbe mai sognato fino a vent'anni fa.

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    1. è sicuramente banale dirlo, ma ci ha cambiato la vita.
      attendevo mesi per ricevere un libro con il prestito internazionale

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  4. Carissima,

    potresti approfondire quel " tutto accade per caso "

    caino

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  5. ah che l'avesse detto Tolstoj l'avevo capito,mentre dal tuo articolo avevo dedotto che certi effetti non desiderati,avevano origine da alcune cause ben precise.

    caino

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  6. mah, invece di farla tanto lunga e tirare in ballo l'editoria, la storiografia e non so che altro, io direi semplicemente che Napoleone sperava in una resa dello zar. Non penso sia stata mai sua intenzione "occupare" la Russia, massacrare i russi o depredare chissà cosa. Il suo è stato un errore psicologico, diversamente da quello di Hitler che è stato un errore di calcolo militare. Non se la prenda, il fatto è che duole constatare come i blog troppo spesso siano semplicemente un'occasione per menare botte urbi et orbi e dare sfogo al proprio narcisismo.

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