domenica 14 giugno 2020

La perfidia e la potenza



A Homburg vor der Höhe, città termale e soggiorno prediletto dell’imperatore Gugliemo II, il quale da ragazzo, durante la guerra franco-prussiana, vi aveva dimorato a lungo con il fratello Enrico e la propria madre, il 4 settembre 1897 si tenne un déjeuner dînatoire alla presenza dell’imperatore stesso e di tre regine. Ebbe luogo nella stessa grande sala che un tempo aveva ospitato il casinò locale.

Il panno verde aveva lasciato posto alla lunga e ricca tavola di gala con stoviglie di fine porcellana, il ronzio uniforme della pallina della roulette era sostituito dal brusio in lingua rigorosamente francese degli illustri ospiti del banchetto. A capo tavola sedeva l’imperatore e sul lato più lungo tre regine: la regina Margherita d’Italia, l’imperatrice madre di Germania e l’imperatrice di Germania regnante.

A quale di queste tre donne era riservata in vita la sorte più infelice? All’imperatrice madre, che aveva perduto il suo nobile consorte insieme alla possibilità di attuare quei suoi disegni e pensieri che aveva per tanti anni accarezzati nel caso che suo marito avesse regnato più a lungo di quei 99 giorni che come nuovo imperatore trascorse malato a San Remo prima di morire? O alla regina Margherita, alla quale, meno di tre anni dopo, il marito Umberto I doveva esserle riportato al castello di Monza cadavere insanguinato? O era forse l’attuale imperatrice di Germania destinata ad essere la più infelice delle tre donne, essa che vent’un anni più tardi doveva assistere alla disfatta della Germania e alla ignominiosa fuga di suo marito, per poi spegnersi lentamente e penosamente in terra straniera?

Tutto sommato, la loro sorte fu meno infelice di quella di milioni di poveri giovani che lasciarono la loro vita sui campi di battaglia, i cui corpi, dilaniati in assalti inutili e disperati dal fuoco di nuove armi, rimasero non di rado insepolti e preda di topi voraci.

In quello stesso 4 settembre 1897, un garzone sellaio, sbattuto da Heidelberg a Brema, dove aveva aperto una trattoria, porgeva ai suoi clienti birra spumosa o un forte grog. Chi avrebbe potuto vaticinare che vent’uno anni dopo, quel Fritz Ebert, oste dalla malora, sarebbe stato eletto come primo presidente della Repubblica di Weimar?

Dal culmine della fortuna si può precipitare nella rapidità di un istante; dalla più umile condizione il caso può elevare dove nessuno avrebbe potuto immaginare. La perfidia delle cose e la potenza delle circostanze.

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