martedì 25 febbraio 2014

Discorso alla camera del presidente del consiglio con traduzione sottotitolata


Signori Deputati,

non è casuale che io non possa rivolgermi a Voi chiamandovi onorevoli colleghi, non essendo un parlamentare eletto dal popolo, sia pure con una legge dichiarata “illegittima”. Come sia giunto a essere presidente del consiglio e a chiedere la fiducia per un mio governo è noto a tutti, e perciò non spenderò parole in tal senso se non per ringraziare i capi bastone dei partiti che mi sostengono, e soprattutto le vecchie volpi che agiscono di qua e di là dei monti e dei mari.

Pertanto, cari Deputati, è inutile nasconderci un fatto evidente, ossia che Voi contate come il due di coppe quando a briscola c’è denari. E peraltro io stesso – lo dico per prevenire l’accusa ­– fin qui non ci sono arrivato per mera simpatia.

Le parole pronunciate in quest’aula suonano false come quelle di marionette. Mai, dall’unità d’Italia, un presidente del consiglio, fosse egli clericale o liberale, oppure ex socialista, ha potuto agire per gli interessi del paese se non in piena coincidenza con quelli delle diverse frazioni di una classe dominante che – per usare un alato giudizio espresso da Gigliola Cinguetti – è “tra le più premoderne, violente e predatrici della storia occidentale, la cui criminalità si è estrinsecata nel corso dei secoli in tre forme: lo stragismo e l’omicidio politico, la corruzione sistemica e la mafia”.

[Silenzio dai banchi].

Perciò a Voi, signori Deputati, non spetta che formalizzare ciò che è nei patti, altrimenti ve ne andrete a casa. Due conti in centinaia di migliaia di euro e vedrete cosa vi conviene.

[Mormorio di approvazione dai banchi e dalla presidenza].

Forse non serve che precisi, tuttavia è sempre bene dire le cose con franchezza: se questo governo non dovesse ricevere la fiducia, si andrebbe certamente ad elezioni, e in tal caso per i disubbidienti la possibilità di una ricandidatura sarebbe pari a zero. E tra poco ci sono anche le europee, e Voi sapete bene quanta agitazione c’è nei collegi per questo appuntamento che si presenta anzitutto come l’occasione per altri falliti di trovare uno stipendio e visibilità, per i partiti altri finanziamenti e altri scambi.

[Applausi].

Nei prossimi giorni dovrò nominare decine di presidenti di enti pubblici, i quali, da quelle posizioni di potere, qualche favore non faranno mancare in caso di “segnalazione” e di bisogno. È un mercato, lo sapete bene, un do ut des di posti e di mance, di scambi di ogni natura.

[Applausi prolungati].

E poi, ancora, sempre per parlar chiaro, sono in ballo decine di sottosegretariati, con annessi e connessi, e può essere che la ruota della fortuna si fermi sul Vostro nome, o su quello di un Vostro amico, di una fidanzata/o, amica/o o un/a amante. Vi conviene non disunirvi, di non cedere alle lusinghe emotive ed irrazionali di una coscienza del bene comune che non Vi appartiene, perciò continuate a mentire sulla repubblica democratica del lavoro, sulla democrazia in questo paese. Del resto lo spirito indipendente di questa camera ebbe già ad esprimersi in numerose occasioni, anche recenti, come forse rammenterà anche la presidente Boldrini.

Pure sulla bontà dei propositi dei tecnocrati europei che tanto da vicino ci riguardano, vorrei ricordare le parole che un liberale, un ex presidente del Consiglio, ebbe a scrivere nel 1948:

«Una caratteristica strana degli italiani moderni è che, credendosi molto abili in politica (discendenti di Machiavelli) anche quando altri non li ammira si ammirano. Si ammiravano nel fascismo, si ammiravano nel regime incomposto che seguì il fascismo, si ammirano ora che avendo la più incerta e umiliante situazione credono e dicono di creare anche con ministri ridicoli la nuova Europa!» [*].

E sia ben chiaro che un conto è il rinnovamento e le riforme, quello cioè che noi intendiamo far credere ai gonzi, e un conto è la dissoluzione del sistema di potere sul quale poggiano le nostre fortune di classe e personali.

Se per qualsiasi causa, per colpa di questi o di quelli, l’Italia va al disastro, il disastro colpirà tutti e noi per primi che perderemo non solo potere e privilegi, ma ci toccherà anche di andare a lavorare.

[L’emiciclo in coro: Ne travaillez jamais.]



[*] Francesco Saverio Nitti, Rivelazioni, ESI, Napoli, 1948, p. XXI.


15 commenti:

  1. Forse per un intervento così non avrebbe tenuto le mani in tasca....

    E a proposito di disastri che dire del curriculum del neo ministro Padoan?

    Per conto del FMI ha gestito prima la crisi argentina, quella del default;

    negli incarichi successivi è stato prima In Portogallo e poi in Grecia o

    viceversa, ma credo poco cambi... Tra le tante "medaglie" Padoan può

    sfoggiare un ruolo anche nella fondazione dalemiana ItalianiEuropei: se

    c'era bisogno di "sinistra" nel governo Renzi, eccola qua....

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    1. ed è uno dei pochi ministri ad aver conseguito una laurea
      AG

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    2. se invece di fare tante battute di basso conio, ti avessero chiesto consulenza, i grillini avrebbero fatto la loro sporca figura con tale vigorosamente sublime, discorso di insediatura.

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    3. in tal caso il presidente del consiglio si sarebbe rivolto anche a loro rivelandogli ciò che essi sono non meno degli altri

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  2. se invece di fare tante battute di basso conio, ti avessero chiesto consulenza, i grillini avrebbero fatto la loro sporca figura con tale vigorosamente sublime, discorso di insediatura.

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  3. «Di là da», Olympe, non «di là di»… non ti vuol proprio entrare in testa? Con simpatica pedanteria.

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    1. Scrive Luca Serianni, eminente grammatico, nel suo celebre La grammatica italiana, Utet, cap. VIII, Le preposizioni, paragrafo 24, pag. 335:

      Le preposizioni di e da si usano indifferentemente in locuzioni preposizionali con valore spaziale di ‘superamento di limite’; si può dire cioè «al di là di» ma anche «di là da». Anzi, quest'ultimo è il tipo dell'uso letterario più tradizionale («interminati / spazi di là da quella, e sovrumani / silenzi, e profondissima quiete / io nel pensier mi fingo» Leopardi, L'Infinito, 4-7; «di là dai monti» Levi, Cristo si è fermato a Eboli, 11; «di fronte alla parete di vetro di là dalla quale i Finzi-Contini continuavano praticamente a ignorarlo» Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, 41), mentre al di là di è un costrutto più recente, di origine francese («au delà de»). Lo stesso si dica per «al di qua di / «di qua da» («Di qua dal passo» Petrarca).

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    2. Ma scusi, è cosí chiaro quel ch’è scritto che la invito semplicemente a rileggere: o si risolve in «al di là di» o in «di là da», non «di là di». Cordialmente!

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    3. non so se lei l'ha notato, ma io non uso MAI. "al di là"; bensì "di là".
      un motivo ci dev'essere, di là di quel che lei può forse pensare.
      cordialissimamente

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    4. aggiungo: non dimentichi che io sono francofona, e poi amo Céline, un autore considerato estremamente sospetto, anzi, nettamente reazionario.

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    5. Come le pare, come le pare. «Di là di» resta scorretto, ma che qui ci si metta a quistionar di grammatica è ridicolo. Io gliel’ho detto, lo ha verificato in Serianni, ma, insomma, faccia come meglio crede. Céline vegli su di noi.

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  4. Ma se davvero Fonzie avesse fatto questo discorso i giornali ce l'avrebbero riferito? Su Repubblica per esempio cosa avremmo letto, quali acrobatiche perifrasi :)

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    1. caro Pietro, vanno sul sicuro, non si arriva a fare nemmeno il capo fabbricato senza aver dato garanzie

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