venerdì 7 febbraio 2014

Cari operai


Vi ho ascoltato, ieri sera in televisione, con rabbia e con pena. Siete persone semplici, nel significato migliore del termine, oneste, laboriose, fin troppo pazienti. Nei vostri occhi si leggeva l’umiliazione alla quale siete sottoposti, e gli showman televisivi sanno bene che l’umiliazione sociale non alza solo i dividendi dei padroni delle ferriere, ma anche gli ascolti e gli introiti pubblicitari, perciò la sfruttano, ma senza esagerare, perché è un gioco pericoloso.

Stupite perché il vostro padrone minaccia di chiudere la fabbrica se non accettate i suoi soliti abominevoli ricatti. Davanti ai cancelli della vostra fabbrica non è venuta la Camusso e men che meno verranno i segretari dei partiti sedicenti di sinistra, anzi di centro-sinistra (un ossimoro politico, se esistesse la sinistra). E ciò non è casuale. Vi manderanno la sbirraglia, se non sgombrate.

Perché stupirvi, il padrone fa il suo mestiere! Lo sviluppo del capitalismo e il progresso della tecnica applicato al saccheggio del pianeta servono ad arricchire la classe dominante e migliorano solo incidentalmente la sopravvivenza degli sfruttati. E ora che declina il periodo della spensieratezza che ci guidava tra gli scaffali dei supermercati, diventa evidente a tutti che gli utili aumentano con la disoccupazione; Marx lo aveva spiegato scientificamente un secolo e mezzo fa, e ora i salariati lo riscoprono sulla propria pelle.



Malgrado tutto siamo ancora infatuati di concetti come democrazia, partecipazione, cittadinanza, diritti. Cazzate. L’operaio è anzitutto capitale variabile, merce, che il padrone è libero (lui sì) di acquistare oggi qui, domani lì e dopodomani chissà. Secondo convenienza e capriccio. È il principio fondamentale della libertà borghese.

Quando si parla di “mercato”, delle sue virtù taumaturgiche, proprio di questo, essenzialmente di questo, si tratta; ossia di fare del capitale variabile, cioè anzitutto degli operai, ciò che più aggrada agli interessi dei padroni del mondo. Il capitale si disinteressa della nostra sorte così come di quella del mondo se non nella misura in cui trova il proprio tornaconto.

I più anziani di noi ricorderanno quando, molti anni fa, si parlava di uno strano concetto, quello di “sistema imperialistico delle multinazionali”. Molti operai avevano gli occhi scettici, e i media irridevano, dicevano si trattava di delirio teorico di pochi, gente pericolosissima e fuori dalla realtà. Si decantavano, per contro, le virtù della fabbrichetta diffusa, del capannone dove prima c’era il fienile, le famose partite iva, i titoli di stato sui quali lucrare alti interessi, un modo come un altro per dividersi i profitti e aumentare il debito statale. Oggi il sistema imperialistico delle multinazionali, nella sua realtà storica e negli effetti che produce, è sotto gli occhi di tutti, e tuttavia è tabù il solo evocarlo.

Circa 700 grandi gruppi controllano l’economia mondiale, e alcune decine ne costituiscono il fulcro. Chi decide il prezzo dei cereali con i quali si sfama il pianeta, il prezzo del petrolio con cui batte il cuore del mondo, sono una dozzina di gruppi di trading dotati di magazzini, flotte e stabilimenti sparsi per il mondo. Senza citare la solita Monsanto, le americane Adm, Bunge, Cargill e la francese Dreyfus, tengono in pugno le commodities alimentari controllando fra il 75 e il 90% dei cereali mondiali.  Pensiamo a colossi come Apple, Google, Microsoft, Motorola, Intel, ecc.; le grandi compagnie degli idrocarburi, le più importanti Banche e le Borse, la loro rete d’affari e d’intrecci, il denaro che lavora ciberneticamente. La stessa Eletrolux, il gruppo proprietario della vostra fabbrica, fa parte di questo sistema, non di una repubblica immaginaria fondata sul lavoro e i diritti.

Sono loro a decidere, i padroni del mondo, è la loro venalità ad imporsi, la necessità del capitale di valorizzarsi, non Enrico Letta o Matteo Renzi, e nemmeno Beppe Grillo quando conquisterà la maggioranza parlamentare e la farà finita con il parassitismo di pensionati a 700 euro il mese. E allora, che fare? Questo sarete voi operai e salariati a deciderlo, in base al grado di disperazione raggiunto e sulla scorta delle suggestioni mediatiche, e tuttavia dubito che troverete coscienza e coraggio per decisioni di rottura radicale con quest’ordine economico e sociale. Scusate la franchezza.


12 commenti:

  1. Sono assolutamente d'accordo con questa analisi...

    I tempi che stiamo vivendo ci stanno facendo toccare con mano che il capitalismo globalizzato non ha bisogno della democrazia e delle sue istituzioni. I rapporti sociali e culturali maturati in questi ultimi 25 anni però queste sovrastrutture e queste istituzioni ce li hanno fatti sembrare indispensabili. Siamo alla solite: i padroni la lotta di classe la fanno sul serio e vincono, gli sfruttati o credono in concetti del tutto destituiti di fondamento come il "capitalismo etico" o si "indignano" cercando ciambelle di salvataggio illusorie o pensano davvero che il benessere sia per tutti e qualche briciola stando buoni arrivi sempre...

    L'unica differenza è forse nella parte finale: conservo ancora un po' di ottimismo per il futuro che è quello che mi spinge ancora a fare politica attiva...
    Per il resto non posso che apprezzare il riferimento alla categoria "stato imperialista delle multinazionali", tra l'altro quello che scrivi l'ho sempre pensato anch'io e anch'io sono rimasto vittima del tabù. Ma almeno mi sono fatto una domanda che molti non credo si siano fatti: era una categoria che descriveva la realtà e la prospettiva che il capitalismo aveva preso oppure no? La mia risposta è sempre stata silenziosa ma affermativa.
    Ma quando si legge- ad esempio nel rapporto di Oxfam- che 85 persone valgono economicamente come 3 miliardi di cosa stiamo parlando se non di questo?

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    1. dal punto di vista concettuale "stato imperialista delle multinazionali" è superato, meglio sarebbe dire sistema imperialista delle multinazionali in quanto lo stato nazionale è stato del tutto esautorato dalle sue funzioni trasferite a organismi sovrannazionali

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    2. Anche qui concordo...l'acronimo però è ancora salvo....

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  2. Confusion.
    Stavo riflettendo sul fatto che sarebbe interessante avere delle specifiche sul dato delle multinazionali. Quanto sono trasversali ai due blocchi attuali usa e brics ( brics x schematizzare un aggregato anche se non omogeneo) e quanto prefigurano frizioni o convergenze. Attualmente ricordo di aver letto analisi documentate in cui si valutavano gli scenari, entrambi possibili ma contrastanti, di scontro o di fusione.
    Perchè si sà che la tendenza inarrestabile dell'economia del profitto è la concentrazione, ma si sa anche che, fino ad ora, nei suoi salti più rilevanti è passata attraverso l'uso delle armi.
    Come appendice, una notazione sui richiami al ritorno alle sovranità nazionali, che si stanno moltiplicando a destra come a sinistra. Il solito riflesso pauloviano che cerca di far girare all'indietro la ruota della storia (nel caso della destra), o la ricerca di qualche punto d'appoggio necessario su cui far leva per rimettere in moto il peso degli interessi dei popoli (nel caso della sinistra). L'internazionale è fuori portata anche per i più impenitenti ottimisti, scomparsa adirittura dall'orizzonte della teoria. In una società che produce l'uomo come individuo, passare dall'individuo singolo all'individuo nazione è un passo che ripropone la contraddizione (uomo /individuo) a un livello più allargato. Se se ne ha piena consapevolezza può essere un buon passo intermedio, che inizia a porre il tema di una collettività, viceversa ...
    Mah...ciao,g

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  3. daccordo con le analisi ma le conseguenze non sono ineluttabili.
    La tendenza mondiale è ad un livellamento delle condizioni e del tenore di vita, per cui in cina, india, ed ex paesi in via di sviluppo stanno molto meglio ora di venti anni fa.
    Quello che non si sopporta è il fatto che il tenore di vita si sia abbassato nei paesi in via di sottosviluppo. ( europa, america)
    L'incremento della popolazione mondiale si è quasi arrestato ed entro pochi anni vi potrebbe essere una decrescita demografica.
    Ma l'equilibrio alimentare è a rischio e basterebbe una stagione disastrosa per metterlo in crisi.
    Allora i valori reali di cibo ed energia metterebbero in crisi il sistema, in particolare in uno scontro anche armato tra cina e usa in africa.
    Unica nostra possibilità è un ritorno a produzioni autarhiche, alimentazione quasi vegetariana, dazi doganali, blocca armato dei flussi migratori, decremento del pil, riconversione enrgetica e restauro del paesaggio agrario, redistribuzione del reddito, nazionalizzazione delle reti dei servizi pubblici, etc.
    Ci sarà molto da lavorare per distruggere tutte le edificazioni sbagliate e riportare allo stato naturale il territorio.

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    1. Dalla 7a riga in giù è il programma gandhiano. Perfetto ma molto impegnativo. Prima di bloccare i migranti africani bisognerà restituire loro i controvalori di materie prime saccheggiate e i rifiuti scaricati da anni.

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  4. Gruppi, il capo della CGIL in Emilia-Romagna, qualche anno fa suscitò uno scandalo con una frase rivolta - durante un comizio - agli imprenditori della regione: "vi faremo male".

    Oggi il vertice della CGIL regionale - che voleva fare male agli imprenditori, nei comizi - pubblica una servile dichiarazione di sostegno ad uno dei più vergognosi padroni della regione, il capoccia della Granarolo, che tratta gli operai della logistica (in gran parte poveri immigrati, naturalmente) letteralmente come schiavi, come carne umana da buttare sulla strada quando non serve più. Da tempo quegli operai sono in rivolta, sostenuti solo dai sindacati di base, dando prova di uno splendido coraggio e di una determinazione che non si è ancora piegata alle manganellate e al 99,99% della cosiddetta informazione libera, tutta schierata contro di loro.

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  5. Ottimo post.
    Salvo l'affermazione su Grillo che farà sparire le pensioni di chi prende 700 euro al mese, che trovo sopra le righe. Il fatto che Grillo abbia più volte sottolineato che una delle cause dell'immobilismo del sistema italiano è costituita anche da quell'ampio settore di popolazione che vive di pensioni, non porta alla conseguenza da te prospettata e mai da lui esposta.
    In verità, il pensiero di base di Grillo, esposto ripetutamente, è che tutti devono avere un reddito e che le risorse del paese, gestite e distribuite in modo differente, siano perfettamente in grado di dar corso pratico a quest'idea.
    D'altro canto come poter immaginare che un governo possa stare in piedi dopo aver abolito pensioni da 700 eu? Anche se ormai (e vediamo fino a quando) siamo abituati a digerire le peggio cose, questa mi sembra molto inverosimile. E comunque mai profferita.

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    1. «Ci sono una ventina di milioni di italiani che hanno galleggiato sulla crisi, che non hanno voluto osare perché forse forse, sotto sotto, gli sta bene così.

      […] La cosa che mi dà malessere sono questi milioni di persone che galleggiano nella crisi, che sono stati solo sfiorati dalla crisi, che sono riusciti a vivacchiare a discapito degli altri milioni che non ce la fanno più. Il problema dell'Italia sono queste persone. E finché non gli toccheranno gli stipendi o le pensioni, per loro va benissimo immobilizzare il Paese, ma durerà poco, molto poco questa situazione».

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    2. Apprezzo la tua precisione ma io non ci leggo che lui vorrebbe togliere queste pensioni.
      Ci leggo invece l'individuazione di una scelta immobilista di un ceto che "finché non gli toccheranno gli stipendi o le pensioni, per loro va benissimo immobilizzare il Paese". Scelta ottusa e suicida xchè, se si guardano i conti dell'inps, il debito pubblico, la svendita di ogni realtà produttiva pubblica, la deindustrializzazione e la mancanza di un qualsiasi progetto economico, per forza "durerà poco, molto poco" anche per loro.

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    3. Forse non capisco, ma a me sembra un'analisi non un programma.

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