Sabato 30 gennaio, nella trasmissione televisiva Correva l’anno, andava in onda sulla terza rete RAI la puntata dal titolo Hitler-Röhm. Un’ambigua amicizia. Tra le molte banalità e volute approssimazioni, una frase in particolare mi ha colpito, poiché essa esemplifica in modo chiaro l'interesse attuale di riscrivere la storia come scienza della giustificazione menzognera. Si diceva che il partito nazista, nel novembre 1932, “raggiunse il 36% dei voti”, alludendo che fu quel risultato a portare Hitler al cancellierato nel gennaio successivo. Questa tesi, cioè dell'ascesa parlamentare del nazismo al potere, è un truismo molto diffuso, radicato, trasversale e sapientemente coltivato.
Al di là del dato, del mero numeretto, che il telespettatore dopo poco già non ricorda più, quello che conta è il senso del messaggio. E del resto, quel dato, in sé non significa niente se non è posto in un quadro di raffronto con le altre forze politiche e soprattutto se è omesso il risultato ottenuto precedentemente e il numero dei seggi conquistati.
Ma facciamo un passo indietro, all’inizio di quel travagliatissimo 1932. Il 2 febbraio di quell’anno, Goebbles annotava nel suo diario: «Il Führer ha deciso di presentarsi come candidato». Si tratta delle elzioni presidenziali, l’altro candidato di spicco è il presidente in carica, Hindenburg. Hitler non è nemmeno cittadino tedesco: «il 25 febbraio fu annunciato che il ministro nazista degli Interni dello Stato di Brunswick aveva nominato il signor Hitler addetto alla legazione di quello Stato a Berlino. Grazie a questa manovra da operetta il capo nazista divenne automaticamente cittadino tedesco, e di conseguenza eleggibile» [1].
Al primo turno Hindenburg sfiora l’elezione con il 49,6 dei voti, mentre Hitler sarà il suo avversario al ballottaggio avendo ottenuto il 30,1. Il 10 aprile Hindenburg ottiene la vittoria con il 53%, Hitler è votato dal 36,8% e il comunista Thälmann dal 10,2.
Nelle successive elezioni legislative del luglio 1932, il partito di Hitler, il NSDAP, era arrivato al 37.3%, mentre nel novembre successivo «il risultato fu decisamente sfavorevole al partito di Hitler che vide i suoi consensi scendere sotto il 33 per cento [in realtà: 33.1]». Questa la situazione dal lato numerico, ma dal lato politico il partito volgeva verso la disfatta: «Gli elettori erano chiaramente delusi dal mancato insediamento [dopo le elezioni del luglio precedente] di Hitler. Gli attivisti del partito cominciarono a perdere entusiasmo. Lo slancio che aveva portato il NSDAP di vittoria in vittoria fin da 1929 si era ormai esaurito. All’indomani della sconfitta elettorale di novembre, le divisioni tra ala destra e ala sinistra che avevano afflitto il nazionalsocialismo negli anni Venti riemersero improvvisamente. Nel dicembre 1932 il generale Schleicher, autentico kingmaker della politica tedesca, assunse pienamente il potere e fece una mossa popolare avviando la prima iniziativa nazionale per la creazione di lavoro. Gustav Stolper ricordò poi una scherzosa colazione tenutasi presso la cancelleria del Reich nel gennaio 1933, in cui Schleicher e i suoi collaboratori fecero a gara nel prevedere quanti voti avrebbero perso i nazisti nelle elezioni che Schleicher intendeva indire nella primavera successiva. […] Certamente, il 1° gennaio 1933 gli editoriali di capodanno della stampa berlinese erano ottimisti. “Vorwats”, il quotidiano socialdemocratico, salutò il nuovo anno con il titolo: Ascesa e caduta di Hitler» [2].
È interessante leggere cosa scriveva a tale riguardo Goebbels nel suo diario già poco prima delle elezioni di novembre: «l’organizzazione è divenuta assai nervosa, come è ovvio a causa delle molte campagne elettorali. L’organizzazione è sfinita, come una compagnia che sia rimasto troppo a lungo in trincea». Alle elezioni perdettero due milioni di voti e 34 seggi. Il calo si era verificato ovunque nella stessa misura. Il NSDAP (33,1) più il DNVP (8,5) avevano in totale 248 seggi su 584, troppo pochi per governare.
Scrive Joachim Fest: «Hitler avrebbe potuto divenire cancelliere soltanto di un governo che avesse dalla sua la maggioranza parlamentare; e poiché il capo dello NSDAP evidentemente non era in grado di assicurarsela, il segretario di stato di Hindenburg, Meissner, gli indirizzò una lettera» in cui liquidava ogni velleità del «Signor Hitler» alla nomina a cancelliere. Nella lettera si diceva testualmente: «il Signor Presidente del Reich non può non temere che un gabinetto del genere da Lei guidato si trasformi inevitabilmente nella dittatura di un partito» [3].
La situazione del partito nazista era così tragica che Shirer scrive: «Non vi erano fondi per i mensili di migliaia di funzionari di partito e per mantenere le SA che da sole costavano due milioni e mezzo di marchi alla settimana». Il 31 dicembre Goebbles scrive: «sparite interamente ogni prospettiva e ogni speranza». Il 15 gennaio, Kurt von Suhschnigg, allora ministro austriaco della Giustizia, in visita dal cancelliere Schleicher, assicurò che «il signor Hitler ha cessato di costituire un problema, il suo movimento non rappresenta più un pericolo politico, tutta la questione è risolta, non è più che una cosa del passato [Shirer, p. 194, 196 e 198]».
In quello stesso mese, il giorno 28, il governo Schleicher, non avendo una maggioranza parlamentare e non ottenendo da Hindenburg gli invocati poteri speciali, rassegnò le dimissioni. La mattina del 30 gennaio il generale von Blomberg arrivò alla stazione ferroviaria di Berlino e si recò subito dal presidente Hindenburg che lo aveva convocato in tutta fretta. Prestò subito giuramento e si ritrovò ministro della Difesa, «ottenendo l’autorità necessaria non solo per stroncare qualsiasi colpo di mano dell’esercito», il cui capo di stato maggiore era favorevole a Schleicher, «ma anche a far sì che i militari appoggiassero il nuovo governo che sarebbe stato nominato qualche ora dopo [Shirer, pp. 199-201]». Pertanto la situazione si capovolse in pochi giorni, non per l’esito del voto o per la costituzione di una nuova maggioranza parlamentare che invece non c'era e non ci sarà, ma per i maneggi nei palazzi che contano, con al centro dell'intrigo von Papen, gli agrari, l'aristocrazia, l'industria e la Reichbank. Solo così Hitler divenne cancelliere di un governo in cui i ministri nazisti erano in netta minoranza. Infatti Hitler, non disponendo di una maggioranza nel governo e soprattutto al Reichstag (mancò l'accordo col Partito di Centro) si affrettò a convocare le elezioni avendo in mano tutte le leve del potere statale. In febbraio ci fu l’incendio del Reichstag (il cui significato e portata è ben delineato nel film di Luchino Visconti, La caduta degli dei) con il conseguente arresto dei leaders comunisti; il 5 marzo il NSDAP di Adolof Hitler, già cancelliere, ottiene alle elezioni il 43,9% dei voti: alleandosi in parlamento con i nazionalisti del DNVP (8%) raggiunge finalmente la maggioranza con complessivi 340 (288+52) seggi su 647. Per far passare la legge delega che gli dà i poteri dittatoriali, entrata in vigore il 27 marzo, Hitler ha bisogno della maggioranza dei due terzi: la trova questa volta nell'appoggio del Partito di Centro.
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[1]William L. Shirer, Storia del Terzo Reich, Einaudi, p. 173.
[2] Adam Tooze, Il prezzo dello sterminio. Ascesa e caduta dell’economia nazista, Mondadori, 2008, p. 54.
[3] Joachim C: Fest. Hitler, Rizzoli, 1974, pp. 417 e 422. Di interesse le pagine che J. Fest dedica alla bancarotta finanziaria del NSDAP dopo le elezioni di novembre e l’annotazione tratta dal diario di Goebbels secondo cui Hitler, in dicembre, se ne uscì con questa frase: «Se il partito va a pezzi, tempo tre minuti e la faccio finita con un colpo di pistola» p. 427. La stessa frase è riportata da Shirer a p. 195.
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