La politica finanziaria del governo [… è] destinata […] a […] “salvataggi” bancari e industriali, e a coprire le perdite causate dalle ruberie [… degli] amministratori del pubblico denaro al di fuori di qualsiasi controllo.
[Domina] la teoria della cosiddetta “politica fiscale produttivistica”, con la quale ven[gono] giustificati tutti i privilegi tributari concessi ai padroni dal governo […]; teoria […] continuamente ripetuta sui giornali della destra economica: per non accrescere i costi di produzione – si dice – non conviene colpire con le imposte dirette i profitti industriali: questi profitti, se esentati dalle imposte, vengono reinvestiti in attività produttive, sviluppando l’economia nazionale, con vantaggio dell’intera collettività; vale, per i grandi industriali, quello che Virgilio diceva delle api: Sic vos non vobis mellificate; quante meno imposte gravano su di loro, tanti minori ostacoli frenano lo sviluppo dell’economia nazionale.
I disinteressati sostenitori di questa teoria non tengono conto del fatto che il prezzo dei servizi pubblici [sanità, previdenza, trasporti, energia, istruzione, burocrazia, sgherri, cortigiani, ecc.] costituisce un elemento del costo di produzione di qualsiasi attività industriale; elemento che se non viene coperto con le imposte sul reddito […] deve necessariamente essere caricato sulle spalle degli altri contribuenti; né tengono conto del fatto che una gran parte dei redditi industriali, lasciata libera dai carichi tributari, invece di venire investita nel finanziamento delle imprese, è sperperata dai Grandi Baroni, dalle loro famiglie, dalle loro amanti, dai loro parassiti, dai loro eredi, in ville, gioielli, pellicce, feste, crociere, servitù, gioco e speculazioni sballate.
Questo scritto, datato ma sempre attuale, di Ernesto Rossi, si riferisce alla politica economica e fiscale del fascismo. L’unico punto in cui potrei trovarmi in disaccordo è nel credere o dubitare che i padroni “non tengono conto del fatto”. Ma sono certo che l’espressione sia solo un modo retorico.
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Scrive Romano Prodi sul Sole24ore:«Debbo tuttavia ammettere che un errore l'ho fatto davvero nel volere a ogni costo il cuneo fiscale. Come professore sapevo infatti (e ne sono ancora oggi convinto) che esso sarebbe stato molto utile all'economia italiana ma, come politico, ho fatto qualche calcolo sbagliato perché, dopo l'ottenimento dei vantaggi dello scudo, l'opposizione della Confindustria al mio governo si è fatta ancora più dura e quotidiana. Dato però che il provvedimento era buono in sé, almeno come professore, non me ne sono pentito».
Nessun errore, Professore, lei ha solo svolto il compito al quale era stato adibito, cioé di servire la causa del capitale, per sua natura avido di zeri ma irriconoscente. Le sue parole però rivelano un fatto, del resto confermato implicitamente dalle parole di Ernesto Rossi: gli intellettuali al servizio del sistema sono più in declino del sistema stesso, ed è caratteristico e sempre pateticamente uguale il loro tentativo di manipolare i veleni per trovare degli antidoti.
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