giovedì 4 novembre 2021

Dietro i paraventi della battaglia sui vaccini e la guerra sul pesce

 

Il G20 è il forum internazionale che riunisce le principali economie mondiali. I suoi membri rappresentano oltre l’80% del PIL mondiale, il 75% del commercio globale e il 60% della popolazione del pianeta. Tanta roba, eppure ... .

I partecipanti al G20 romano, a latere dei festeggiamenti, si sono occupati della tassazione delle multinazionali, del clima e del Covid-19. I primi due temi in agenda hanno catturato l’attenzione dei media, l’ultimo invece era assente o quasi. Come se ciò che è accaduto e continua a tormentarci fosse di scarsa importanza.

Come sappiamo, i paesi ricchi, i principali produttori di dosi vaccinali, compresa l’Unione Europea, si oppongono alla revoca dei brevetti sui vaccini. Quello che invece si sarebbe dovuto fare, da tempo, è semplice: rendere pubbliche le formule dei vaccini, per accelerarne la produzione. E tutto il bla-bla sulla “ricerca” e altri pretesti consimili? Non bastava girare qualche miliardo – miliardi, eh – ai laboratori di ricerca? Gli ideologi oltranzisti del “libero mercato” hanno detto di no.

Non potremo uscire dal Covid fino a quando non saranno stati vaccinati il maggior numero possibile di esseri umani. L’anno scorso è stato creato un aggeggio chiamato Covax, pomposamente descritto come “meccanismo multilaterale per la distribuzione dei vaccini”. Sono state consegnate 400 milioni di dosi a 145 paesi, ma è ovvio che sono niente. Siamo molto lontani dai contratti firmati, che prevedevano la somministrazione di 4 miliardi di dosi. Uno zero in più che fa una certa differenza.

Ebbene, i responsabili di Covax, Chrysoula Zacharopoulou, Lia Tadesse, Fernando Ruiz Gómez e Seth Berkley, in una lettera aperta pubblicata nei giorni del G20, hanno ricordato che “nei paesi a reddito medio-basso, solo il 35% della popolazione è stato protetto da almeno una iniezione di vaccino, percentuale che scende a meno del 3% nei Paesi classificati come a basso reddito dalla Banca Mondiale”. Per i firmatari della lettera “è evidente che la risposta della solidarietà internazionale non è stata all’altezza del compito”.

I medici della Covax chiedono cose semplici: la fine delle restrizioni all’esportazione, l’accesso per tutti i paesi alle materie prime essenziali per la produzione dei vaccini e donazioni con una durata di conservazione sufficiente per garantire che “possano essere consegnati con successo e non gettati nella spazzatura perché scadute o mal conservate, come troppo spesso è accaduto”.

Soprattutto, ricordano, i Paesi ricchi devono “cedere il passo a Covax nelle linee di produzione dei vaccini, affinché le dosi raggiungano subito i Paesi che ne hanno più bisogno”. Chiedono di “fare pressione sui produttori di vaccini affinché siano trasparenti sui programmi di produzione, in modo che gli ordini Covax non subiscano più ritardi per favorire accordi bilaterali”.

Queste richieste erano chiare, precise, logiche e note ai leader del G20 da molto tempo. Come hanno risposto? Con la solita svogliata vaghezza degli uffici stampa: nel comunicato finale hanno dichiarato di impegnarsi a “continuare i loro sforzi per garantire un accesso rapido, equo e universale a vaccini, prodotti terapeutici e diagnostici, di adottare misure per contribuire ad aumentare la fornitura di vaccini e prodotti medici essenziali e input nei paesi in via di sviluppo, ed eliminare i relativi vincoli di approvvigionamento e finanziamento”.

I brevetti restano intangibili. Il grande business può continuare, i media si dedichino a quei gruppetti d’idioti (quanto infiltrati?) che giocano a carnevale. Diciamola tutta: a governare le sorti di questo pianeta ci sono dei criminali. Il loro crimine in fatto di vaccini? Non aver fatto quanto dovevano e potevano preferendo proteggere i profitti delle multinazionali, così come sono complici tutti quelli che prendono le parti delle multinazionali a “difesa dei brevetti”.

Un’altra prova lampante dei reali interessi in gioco è offerta dal vertice mondiale sul clima COP26, che è stato dominato dall’aspra contesa anglo-francese sulle licenze di pesca. Tra i discorsi di “unità internazionale” e “soluzioni globali”, Gran Bretagna, paese ospitante del vertice, e Francia non sono riuscite a mettere a tacere una disputa su alcune dozzine di licenze di pesca nel Canale della Manica.

Lungi dal disinnescare la questione, i governi di Boris Johnson ed Emmanuel Macron hanno intensificato il conflitto al punto da lanciare minacce di “forza”, guerre commerciali e azioni legali internazionali.

Per diversi mesi, la Francia ha accusato la Gran Bretagna di rifiutare maliziosamente di concedere licenze di pesca ad alcuni dei suoi pescherecci da traino. Mercoledì della scorsa settimana, le autorità francesi hanno fermato una nave britannica, la Cornelis Gert Jan, nel porto di Le Havre, sostenendo che non era nell’elenco delle licenze di pesca concesse al Regno Unito dalle autorità francesi e dall’Unione europea.

I ministri francesi hanno poi minacciato una serie di controlli intensificati sulle merci dirette dalla Francia alla Gran Bretagna e sulle navi britanniche in acque francesi, se le licenze non fossero state concesse a tutte le navi francesi entro il 2 novembre. Macron ha detto ai giornalisti che la Francia ha sospeso le misure pianificate contro la Gran Bretagna, almeno finché dura COP 26.

Nel maggio scorso, sia la Gran Bretagna che la Francia hanno inviato cannoniere nelle acque intorno a Jersey durante una protesta di circa 60 navi francesi fuori dal porto di St Hellier. Altre minacce sono state fatte per interrompere le forniture di elettricità francese all’isola.

L’industria della pesca nel suo insieme rappresenta non più dello 0,1 per cento del PIL annuo di ciascun paese. Sospettare che ci sia dell’altro è cosa ovvia.

Dietro i paraventi si canta un’altra canzone. La Gran Bretagna continua a perseguire l’appartenenza alla cerchia ristretta dell’alleanza politica e militare guidata dagli Stati Uniti, diretta principalmente contro la Cina, con lo scopo di mettere l’UE recalcitrante in condizione di non nuocere (la vicenda della fornitura dei sottomarini all’Australia è in tal senso eloquente). La Francia, per contro, sta cercando di fermare questi piani e costruire nell’UE un blocco in grado di concludere accordi con l’America alle proprie condizioni, soprattutto per quanto riguarda le diverse strategie economiche nei riguardi di Russia e Cina, partner economici e commerciali di primaria importanza.

Non vado oltre. La situazione generale mi ricorda molto quella che precedette il primo conflitto mondiale. Un intero mondo, che per tanto tempo sembrava intramontabile e che però in realtà aveva sempre meno motivo di continuare così com’era, crollò facendo strage. Fu quella la prima guerra condotta con i mezzi tecnologici della grande industria. Mezzi tecnologici che oggi sono ferraglia antiquata quanto le corazze medievali.

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