venerdì 6 settembre 2013

Siria


Sulla natura e gli scopi del conflitto siriano si possono leggere in rete cose interessanti. Per esempio, scopo delle grandi potenze (chi per un verso e chi per l’altro) sarebbe quello di lasciar incancrenire la situazione, senza vincitori netti e senza sconfitti definitivi. Non concordo con questa tesi.

Posto che noi giudichiamo a distanza di migliaia di chilometri e in possesso solo di notizie di produzione giornalistica, ampiamente intossicate dagli interessi che i media rappresentano, oppure di fonti molto sospette, come Médecins sans frontières, possiamo solo congetturare ipotesi sul piano logico.

La tesi succintamente esposta e con la quale non concordo non tiene conto del fatto che la Russia – che ha una sua importante base navale in Siria e teme l’accendersi attraverso il Caucaso di pericolose micce jihadiste – ha tutto l’interesse a chiudere il conflitto, mentre per contro, nella situazione venutasi a creare in Siria dopo la presa da parte di Assad della città di Al Qusayr, gli Usa hanno l’interesse opposto, e in tal caso effettivamente di creare una situazione di stallo. Ciò che in definitiva conta per gli Usa e i suoi alleati, è di continuare a plasmare l'ordine internazionale in base al proprio tornaconto in un contesto internazionale che si sta disgregando.

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La più grave sconfitta Usa del dopoguerra sul piano geostrategico – forse più grave di quella patita nel sud-est asiatico negli anni Settanta – è stata la perdita del controllo sulla Persia. È sufficiente un’occhiata a una carta geografica per rendersene conto, considerando che le più grandi riserve petrolifere mondiali sono localizzate tutt’intorno a questo paese che ha una superficie pari a Regno Unito, Francia, Spagna e Germania messi assieme, e con quasi 80 milioni di abitanti.

La Persia ha migliaia di chilometri di coste sull’omonimo golfo e su quello di Oman, divisi dallo Stretto di Hormuz. Confina con la Turchia, l’Iraq, l’Azerbaijan, l’Armenia, il Turkmenistan, l’Afghanistan, e a sud-est con il Pakistan, è ha contatto diretto con il Mar Caspio e non dista molto dal Mar Nero. Un vero cardine strategico.

Chi immagina la Persia sull'immagine stereotipata offerta dai media, ossia come una landa semi-desertica, consideri invece che è uno dei paesi più montuosi del mondo, con vette che sfiorano i seimila metri, e ad appena un’ora d’auto da Teheran (metropoli di 12 milioni di ab.) la borghesia persiana va a sciare. Il nord del paese è ricoperto da foreste con un clima molto piovoso, un territorio ideale per la difesa da attacchi esterni e per praticarci la guerriglia.


Dal 1978 è al potere una teocrazia sciita che alla luce del Corano contesta in toto il modello culturale occidentale e la mercificazione integrale dei rapporti sociali. Al riguardo, più di altre considerazioni, è illuminante la corrispondenza intercorsa, nel 1989, tra Michail Sergeevič Gorbačëv e l’ayatollah Ruhullah Musavi Khomeini (detto Hindi, per le origini indiane della sua famiglia), leader della rivoluzione islamica in Iran e sostanzialmente uno gnostico.

La costituzione della repubblica islamica dell’Iran fu redatta da 73 persone elette tra le quali 55 erano studiosi in materie religiose. Lo stesso Consiglio islamico rivoluzionario è composto soprattutto di ulema, organismo che ha come braccio operativo il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica (i famosi Pasdaran). Per contro, il primo governo islamico, guidato da Bazargan e comprendente molti tecnocrati liberali di orientamento islamico, considerava irrinunciabile una normalizzazione della situazione, più rapida possibile, ed il graduale abbandono degli organismi nati con la rivoluzione. La rottura tra governo dei moderati e il Consiglio islamico rivoluzionario (che godeva le simpatie di Khomeini) fu inevitabile e si determinò in seguito all’occupazione dell’ambasciata Usa a Teheran, compiuta da un gruppo di khomeinisti fanatici verso i quali immediatamente l’illuminato leader estese la sua protezione. Il Consiglio della rivoluzione islamica assunse pro tempore il governo del paese.

Bisogna considerare che gli Usa fecero molti passi falsi, uno di questi fu l’ospitalità che accordarono all’ex Shah e a altri gerarchi del passato regime nel proprio territorio. Un secondo e più grave passo falso fu quello di affidare all’Iraq, tramite il sostegno dell’Arabia Saudita, il compito di attaccare militarmente e frontalmente l’Iran. Questo ci dà chiara l’idea di come in quel frangente gli Usa fossero governati da uomini poco inclini alla prudenza e alla riflessione, e mal consigliati.

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La vera spina nel fianco degli Usa è l’Iran, l’irriducibile avversario che tramite Hezbollah, l’organizzazione politica ed economica sciita libanese, sta sovvertendo gli equilibri in Medio Oriente. La guerra in Siria è testimonianza di quanto questa situazione preoccupi gli Usa e Israele, fino a scatenare una guerra civile che vede opposti sciiti e sunniti, questi ultimi sostenuti da Usa e Israele, dai paesi del Golfo e da Al Qaeda. Ad aggravare negli ultimi mesi la situazione è stata la perdita, da parte dei “ribelli”, di Al Qusayr, una località d'importanza militare fondamentale, poiché chiude un percorso importante che le forze dell'opposizione usano per infiltrarsi e inviare armi alla provincia di Homs, punto strategico per raggiungere il resto della Siria dal vicino Libano settentrionale.

Inoltre la presa di Al Qusayr permette al regime di controllare le strade principali che collegano Homs e Damasco per la regione costiera intorno a Tartus (flotta russa) e Latakia, che sono i principali corridoi di transito per materiale bellico, carburante e beni di sussistenza spediti via mare. Peraltro la caduta della città consente di liberare uomini e mezzi dell’esercito per schierarli sul fronte di Aleppo, caduta la quale la sconfitta delle forze ribelli – che non hanno una leadership politica e militare unitaria – appare realisticamente possibile.

Dunque, tutto ciò sta avvenendo perché l’esercito di Assad sta vincendo sul terreno, e gli Stati Uniti hanno bisogno di riequilibrare le sorti di una guerra che appare perduta, e nonostante sia già costata 100mila morti e milioni di profughi essi puntano a prolungarla alla faccia dei diritti umani e di altre parolette d’ordine buone a smuovere una lacrimuccia compassionevole per la sorte delle vittime all’ora di cena davanti alla televisione.

Sullo sfondo, la diatriba russo-americana sulla dislocazione dei missili Usa da un lato, e dall’altro la questione nucleare iraniana.

9 commenti:

  1. intervista ad un siriano in italia, forse la hai già letta ma per molti potrebbe essere illuminante
    http://siamolagente.altervista.org/mimmo-srour-siriano-vi-racconto-cosa-sta-accadendo-in-siria-e-perche-in-italia-non-viene-detta-la-verita/#
    bellissima anche la tua analisi

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  2. Il quadro rappresentato chiarisce credibilmente la situazione. Non capisco però come Israele non preferisca la stabilità (dittatoriale) di Assad all'instabilità. Non si fidano dei russi che garantiranno loro per Assad che, dopo, stia calmino? Questo perché, se non sbaglio, i russi sono alleati di Israele, no?

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    1. caro, tu poni domande alle quali, dopo cena, proprio non so rispondere. che verdure hai raccolto nell'orto?

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  3. Elenco: cipolla, carota, zucchina, pomodoro, patata (già raccolta), prezzemolo, sedano, basilico... roba da kibbutz.

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  4. Pietro Mennea (si, avete capito bene, il fu recordman del mondo dei 200m)...sull'Afghanistan, e...altro. Pochi minuti interessantissimi da ascoltare.

    http://youtu.be/AlsDKDZQgF8


    Luigi

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  5. http://www.pane-rose.it/files/index.php?c3:o40356:e1

    Ex parlamentare Usa: la Siria è la via per “marciare sull’Iran”.

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  6. Bel post, bella analisi.

    Grazie.

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