Una sera dello scorso luglio ero sul Grappa. Da lassù lo sguardo abbraccia un bella fetta della pianura veneta, dal Pasubio al Montello e poi oltre, quindi dalla pedemontana alla laguna. Uno spettacolo, decisamente. Molto diverso da come lo si poteva vedere (e ho visto) solo quarant'anni fa. Tutto brilla che sembra un presepio, non una sola zona, per quanto piccola, che non sia illuminata: strade, case, capannoni, negozi e supermercati, senza soluzione di continuità tra un centro urbano e l’altro. Ma dov’è finita la campagna, dove trovare un posticino per infrattarsi, come dicono a Roma? Non c’è.
Il passatempo preferito di noi veneti non è il lavoro, l’osteria, il ballo, la caccia, l’andar per funghi o a puttane. Ci sono anche quelli di passatempi, ma il più praticato con gusto è la sega. Modernamente si chiama: motosega. Segare quel che c’è, tagliare fin che ce n’è. Non solo siepi, che sarebbe anche normale, ma soprattutto gli alberi. Di tutte le razze e le stazze, di ogni colore e senza distinzione di fronda. Appena se ne vede uno che “intriga”, zac, resta solo il ceppo e poi neanche quello.
Il passatempo per gli amministratori pubblici, invece, il passatempo che si può raccontare, è la copertura dei corsi d’acqua minori, quali canali, roste e assimilati. Le motivazioni non mancano: allargamento carreggiata, pista ciclabile, rotonda, parcheggio, villette a schiera, nuova zona industriale o centro commerciale, ecc..
Poi però piove, ostrega.
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