sabato 31 dicembre 2016

Il ritorno di Edmond Dantès



Pronostici per il 2017? Compito arduo. Prendo la cosa alla larga, sulle generali, per poi accennare a qualche dettaglio, miserevole per quanto riguarda la politica di palazzo italiana.

La rivolta contro le condizioni presenti cova ovunque, come mostrano molti sintomi. Non ha ancora, e chissà per quanto, un progetto esplicito e organizzativo perché risente del fatto che il posto è occupato dalla vecchia politica. Questa politica ha fallito e si è trasformata in costante menzogna perché non ha progetto – se non quello di garantire l’esistente –, ed è incapace di definire l’inaccettabile e vedere nella sua globalità il possibile.

venerdì 30 dicembre 2016

L'eredità di Barack Hussein Obama



Difficile dire quale sia stato il peggior presidente degli Stati Uniti d’America dal dopoguerra ad oggi. La scorsa settimana Obama ha firmato la sua ultima legge di spesa per il Pentagono, che ammonta a 619.000.000.000 di dollari (l’anno prima furono stanziati 598mld). Il provvedimento di spesa è contenuto in una legge di 3.000 pagine che sicuramente i 92 senatori che l'hanno approvato (solo 7 i voti contrari) si sono letti da cima a fondo. Un bilancio militare – contratti lucrativi per miliardi di dollari – che serve, tra l’altro, a mantenere circa 800 basi militari all'estero e continuare la guerra in almeno sette paesi. 67 miliardi sono stati destinati all’Overseas Contingency Operations (OCO), ossia legali ma senza controllo per finanziare operazioni sporche all’estero.


martedì 27 dicembre 2016

Spacciandolo per il più conseguente dei modi di stare al mondo



È sempre più difficile avere per fine la verità pratica, specie se questa poggia su una legge economica che l’ignoranza e la sciatteria si pregia voler ignorare.

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Nel maggio del 1968, su un muro di boulevard Port-Royal si poteva leggere una frase che era comparsa quindici anni prima su un altro muro, posto qualche chilometro più a nord-ovest, in rue de la Seine, dunque in Saint-Germain-des-Prés. Quelle frasi enunciavano un’utopia: Né travaillez jamais. Molti decenni dopo, i nipoti di coloro che tracciarono quelle frasi sono stati accontentati.

Poco dopo, anche sui muri italiani comparve una frase sovversiva, meno utopica ma coerente col background cattolico del nostro paese. Essa scandiva: Lavorare meno, lavorare tutti. Figli e nipoti del 1968 oggi preferiscono un’altra frase, che non ha ad oggetto il lavoro, bensì il “reddito minimo garantito”.

Il reddito minimo ha come obiettivo implicito la creazione di una grande classe di senza lavoro ai quali viene offerto un minimo di mera sussistenza. In prospettiva, da qui a un decennio, si tratta di 15 o 20 milioni di persone per recuperare le risorse necessarie, bisognerà tagliare le spese inutili, gli sprechi, tassare le rendite, e naturalmente approntare otto milioni di baionette contro l’evasione fiscale.

Politicamente e socialmente la cosa si rivelerebbe un po’ meno potabile, ma non è il caso di sottilizzare. Però la sportula dopo un po’ resterebbe comunque vuota (*). La mungitura si sposterebbe dalla rendita ai profitti della sfera produttiva. Che direbbero i magnati dell’industria, le banche e i fondi pensione, se gli si dicesse che con i loro profitti e dividendi devono mantenere una pletora di disoccupati che consumano senza produrre, che non sono utili alla valorizzazione del capitale, che non servono nemmeno come forza-lavoro di riserva? Sarebbe una guerra di religione.

La nuova fase del capitalismo (possiamo chiamarlo come vogliamo, anche digitale) comporta trasformazioni sociali profondissime, che coinvolgono il nostro modo di essere all’interno della società, e tuttavia in discussione non sono solo gli aspetti soggettivi e di classe dei rapporti sociali di produzione, ma le più cogenti determinazioni connesse allo sviluppo delle forze produttive, laddove una massa sempre più grande di capitale costante richiede una quota di lavoro vivo sempre più piccola.

Lo sviluppo progressivo della produttività sociale del lavoro, conseguenza della stessa natura della produzione capitalistica, induce la tendenza progressiva alla diminuzione del saggio generale del profitto, nonostante dall’altro vi sia un costante aumento della massa assoluta del plusvalore acquisito. La diminuzione del saggio generale del profitto è un’espressione peculiare del modo di produzione capitalistico, una necessità logica del suo sviluppo. Per contro, il capitale complessivo aumenta in progressione più rapida della diminuzione del saggio del profitto, e ciò dimostra il modo dialettico in cui procedono le cose, da una parte la caduta del saggio e dall'altra ciò che lo contrasta. Ecco perché il "crollo" non è immediato e definitivo, ma punteggiato da crisi sempre più ravvicinate e di lungo periodo. 

Questi fatti, che ai più possono sembrare secondari e trascurabili, denotano invece implicazioni decisive per quanto riguarda il modo di produzione capitalistico e il suo destino storico. E, naturalmente, entro tale destino ci siamo noi. Scrive Marx nel cap. 15° del III Libro:

“il modo di produzione capitalistico trova, nello sviluppo delle forze produttive, un limite che ha nulla a che vedere con la produzione della ricchezza in quanto tale; e questo particolare limite testimonia del carattere ristretto, semplicemente storico, transitorio, del modo di produzione capitalistico; prova che esso non costituisce affatto l’unico modo di produzione in grado di generare ricchezza, ma, al contrario, arrivato ad un certo punto entra in conflitto con il suo stesso ulteriore sviluppo”.

È su tale carattere ristretto e limite storico del modo di produzione capitalistico che si dovrebbero misurare le idee e l’organizzazione della lotta della sinistra (l’intervento possibile sulla storia). Questa sarebbe già una vittoria!  Si stanno producendo le condizioni materiali di una nuova società e la sinistra che fa? Scimmiotta e punta sull’elemosina, al pasto gratis, spacciandolo per il più conseguente dei modi di stare al mondo.

(*) Basterebbe richiamare alla memoria le vicende del III e IV secolo. L’intuizione costantiniana di affidare le plebi alla caritatevole manumissio ecclesiastica, trasformando gli schiavi in servi del Signore, fu sicuramente geniale e rivoluzionaria, e tuttavia ciò non impedì, complici eventi demografici e migratori, il crollo della civiltà antica e con essa del relativo modo di produzione.


Furto con destrezza



Siamo in attesa di conoscere (dalla liberissima stampa italiana, segnatamente dal quotidiano la Repubblica) i nomi dei “risparmiatori” che verranno rimborsati del 75% (istituzionali) e del 100% (retail) dei loro incauti investimenti in Montepaschi. Ci svelassero almeno qualche nome importante, anche se con passaporto foresto. Tutti rimborsati con i soldi di chi paga le tasse, soprattutto con i denari di coloro ai quali le imposte sono trattenute alla fonte, dunque obtorto collo e fino all’ultimo centesimo.

venerdì 23 dicembre 2016

Comunque la pensiate



Il capitalismo “è il male assoluto”, come sostiene Michael Moor nel suo documentario Capitalism: A Love Story? E la “democrazia”, sempre seguendo il regista statunitense, è il suo rimedio? La prima affermazione è il prodotto di un sentimento emotivo, mentre la seconda professa un’illusione. Per una minoranza di persone il capitalismo è il bene assoluto, ossia il loro. Per molti altri (ma sempre di meno) il capitalismo è diventato l’unico sistema economico possibile. Altri ancora, e sono la maggioranza, lo subiscono e basta.

Il modo determinato in cui gli uomini producono e riproducono la loro vita immediata, e cioè la struttura dei rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in cui essi operano ad ogni determinato grado di sviluppo delle forze produttive è ciò che chiamiamo modo di produzione. Il capitalismo, in sé e per sé, non va dunque giudicato secondo parametri etico-morali. È un modo di produzione.