giovedì 31 marzo 2016

L'utero come involucro e macchina della riproduzione


Segnalo una recensione comparsa ieri su il manifesto, a firma di Anna Curcio, dal titolo I colpevoli roghi della storia europea e le lotte delle donne, che ha per tema il libro di Silvia Federici, Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria.

Non tutto l'impianto del lavoro della Federici mi convince, almeno per come viene descritto nella recensione e da ciò che si desume dai brani riportati nell'articolo. A cominciare dalla “accusa” rivolta a Marx di aver “perso di vista le profonde trasformazioni che il capitalismo ha introdotto nella riproduzione della forza-lavoro nella posizione sociale delle donne”, come scrive Curcio.

Posso dissentire da questa tesi che a me pare, di primo acchito (non ho letto il libro della Federici), frutto di un fraintendimento su che cosa sia e non sia Il Capitale di Marx. Si tratterebbe anche di un’“accusa” un po’ alla leggera posto che Marx, per contro, si occupa, non solo incidentalmente, proprio della posizione della donna (e del lavoro minorile) nell’ambito delle “profonde trasformazioni che il capitalismo ha introdotto nella riproduzione della forza-lavoro”.

Le mie condizioni di salute non mi permettono attualmente di mettere mano (per fortuna dei lettori del blog) ai “sacri testi” per una estesa disanima sia, dapprima, su che cosa si proponga effettivamente Il Capitale di Marx (che non è uno studio storico-sociologico), e sia per dimostrare che Marx aveva ben presente il profondo significato trasformativo dei rapporti sociali intervenuti nella formazione storico-economica del capitalismo, e dunque nella divisione sociale del lavoro e nella modificazione dei rispettivi ruoli tra uomo e donna, segnatamente per quanto riguarda vecchie e nuove ineguaglianze e gerarchie costruite sul terreno del genere.

Ad ogni modo, posto che stiano effettivamente così le cose, ossia come le presenta la recensione (credo che il libro meriti di essere letto per la ricostruzione storica del tema), mi trovo molto d’accordo quando leggo che “il corpo e le attività legate alla riproduzione restano oggi, come agli albori del capitalismo, un campo di battaglia” (detto tra parentesi: non solo le attività legate alla riproduzione, ma tutte le fasi dell’intero ciclo vitale della merce salariata), laddove “il corpo della donna diventava macchina della riproduzione”. […] Il corpo – l’utero in particolare – si fa dunque macchina da lavoro: bestia mostruosa da disciplinare da una parte, involucro e contenitore della forza-lavoro dall’altra […]. Non sorprenderà allora che ogni pratica abortiva o contraccettiva sia stata condannata come maleficio, così le donne espulse da quelle attività come l’ostetricia o la medicina che avevano fin lì esercitato sulla base di saperi tramandati nel tempo”.

E, soggiungo, anche il cosiddetto “utero in affitto”, come involucro e «contenitore», resta “macchina della riproduzione”, sotto il segno del valore di scambio.
  

mercoledì 30 marzo 2016

Tendenze necessarie ed esplosive


Alcune delle cosine che vado scrivendo e ripetendo da oltre sei anni in questo blog cominciano, spinte dai fatti, a diventare – come tema ma non certamente come identità d’analisi – argomento di largo interesse, inteso questo in un senso compatibile con lo spettacolo autistico offerto dai media.

Vediamo, appunto, come la tecnologia tenda sempre più a sostituire lavoro vivo con macchine, e come molte attività stesse diventino sempre più obsolete, salvo enclavi corporative che tuttavia incontreranno presto il loro destino.

Ciò di cui ci si preoccupa – giustamente ma ahimè vanamente – è l’aumento dei senza lavoro e della precarietà dei posti di lavoro in essere, e ciò provocherà, entro qualche lustro, gravissimi problemi di sostenibilità previdenziale e acuti riflessi sulla tenuta del residuo welfare, come del resto sta dimostrando, in modo solo apparentemente paradossale, il Giappone. Se l’Italia avesse prigioni dove la violazione dei diritti umani non fosse così smaccata, lo stesso fenomeno nipponico prenderebbe piede anche da noi.

Aspetto non secondario – ma negletto per motivi ideologici e dunque d’interesse – è la tendenza sempre più marcata all’aumento del capitale costante (ciò che gli ignoranti chiamano semplicemente ed erroneamente “capitale fisso”) a scapito di quello variabile, con determinazioni decisive dal lato della valorizzazione del capitale stesso.

Tutte le forze produttive sono state poste al massimo grado sotto il dominio pieno della legge del valore. A tale legge devono rispondere. L’aumento della forza produttiva del lavoro e la riduzione del lavoro necessario ad un minimo è la tendenza necessaria del capitale. Ma si tratta di una tendenza esplosiva.

Questo è il vero tema, tale l’aspetto fondamentale che meriterebbe attenzione politica e analisi economica, altro che accusare i ricchi di non essere poveri, o i nemici di classe di non essere nostri amici (povero Gilioli & C.).

Non bisogna aver fretta, anche di ciò il delirio mediatico si occuperà con dovizia a tempo debito e già ora sono reclamizzate soluzioni che evocano magiche aspettative: robotica, intelligenza artificiale, ecc.. In fondo si tratta solo di disperazione, queste merde non possono non sapere che la tecnologia tampona i problemi del capitale nel momento stesso in cui crea le condizioni per il loro allargarsi e aggravarsi, anche sul piano sociale.


Ed è appunto per questo che hanno scatenato una lotta di classe forsennata e globale, sanno bene che l’umanità è giunta a uno snodo che non consente levantinismi. La storia è storia di lotte di classe, anche quando la classe dominante s’inventa di tutto per smentirlo e in tal modo per poter fottere meglio gli Iloti.

lunedì 28 marzo 2016

Quando a mettere le bombe erano i sionisti



Gli Stati Uniti d'America, nonostante tutto il rumore e le spese folli delle sue campagne elettorali, non è una democrazia, e, come più grande potenza imperiale del mondo, non è una nazione che onora veramente i diritti umani, sia a casa propria e sia all'estero, anche se i suoi politici non smettono mai di parlare di democrazia e diritti umani. È un paese controllato dalla ricchezza il cui scopo è l'accumulazione fine a se stessa, dotato di un apparato militare (e spionistico-repressivo) gigantesco coinvolto dopo l’ultimo conflitto mondiale in decine di guerre e interventi.

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La decisione inglese, con Balfour, e poi quella americana, con Harry Truman, di dar luogo a uno stato sionista e poi di appoggiarlo contro gli arabi, è senza dubbio alla radice dello sconquasso degli ultimi settant’anni in Medio Oriente. Con questo non voglio dire che gli arabi tra loro non si sarebbero fatti la guerra, ma è stata una follia (o un’astuta mossa, dipende dai punti di vista) far nascere in Palestina uno stato ebraico subito in contrapposizione con la popolazione araba autoctona (fortemente maggioritaria fino ad una certa epoca).

Oggi il Medio Oriente è in gran parte in rovina, interi stati e le loro società sono distrutti, milioni i morti, e ha fatto la sua comparsa il terrorismo, dapprima quello sionista del Irgun Zvai Leumi (cui fa seguito il razzismo ad un tempo biologico e teologico del Gush Emunim), poi quello palestinese, e ora quello di matrice islamista della cui nascita gli Usa non possono chiamarsi fuori.


A sentire i media occidentali sembra che tutto ciò accada improvvisamente a causa dell’impazzimento di qualche frangia estremista, o come prodotto della faida tra sunniti e sciiti, eccetera. Del resto i media sono un'industria come le altre e sono di proprietà di un numero relativamente piccolo di persone ricche e con vasti interessi, e dunque di gruppi di potere che hanno tutto da guadagnare a mantenere buoni rapporti con i governi e gli ambienti operativi. Esiste solo il presente, e quando si tratta del passato basta manipolarlo.

domenica 27 marzo 2016

È una vecchia storia


Chi oserebbe seriamente negare, oggi, le radici fondamentalmente sociali delle guerre di religione, specie quelle del XVI secolo? In ogni religione si può trovare, direttamente o nelle sue più riposte pieghe, tanto radicalismo e fondamentalismo da giustificare guerre e stragi di ogni tipo in nome di dio e della vera interpretazione della sua volontà. Se negli ultimi secoli non è avvenuto in Europa, ciò è dipeso dal fatto che la lotta si è trasferita sul piano politico. Se invece il fondamentalismo religioso rinasce da qualche altra parte ciò dipende dal semplice fatto che la lotta non potendo procedere sul piano politico, come per l’innanzi, ritorna sui suoi passi e procede su quello religioso, specie se ad essere coinvolte sono popolazioni che non hanno ancora conosciuto un pieno sviluppo delle loro società.


Il nemico da battere non è la religione in sé e nemmeno il fondamentalismo, ma le condizioni economiche, sociali e (geo)politiche che fin dalla spartizione della “carcassa del turco” hanno prodotto disordine e guerre nel Medio Oriente e in Nord Africa. Dapprima queste condizioni di sfruttamento e sottosviluppo avevano come agente principale il colonialismo, oggi il protagonista è l’imperialismo, cioè i grandi interessi e i grandi affari (petrolio, armi, traffici, rotte commerciali, ecc.).

È una vecchia storia: quale motivo più forte di una fede religiosa o di una "scontro di civiltà" per fare una guerra?