«Ripeto: l’Iran non è l’Iraq di Saddam, sia sul piano della capacità militare che relativamente alla sua posizione geo-strategica. Tutte le osservazioni secondo cui il ritardo degli attacchi militari di Trump contro l’Iran aprirebbe la strada verso la pace commettono l’errore di separare le azioni di Trump dalla crisi di fondo che ha guidato la politica estera americana per 30 anni. Nulla di ciò che è accaduto negli ultimi due giorni cambierà gli obiettivi militari degli Stati Uniti. Gli stessi imperativi geopolitici che hanno causato la crisi di questa settimana ne porteranno di nuovi.»
Questo è ciò che scrissi più di cinque anni fa e che ricalca quanto già scrivevo il 5 marzo 2012 con il titolo “Rinviata la terza o quarta guerra mondiale” (*). In un altro post, del 3 gennaio 2020 e dal titolo “Un film visto un secolo fa”:
«La più grave sconfitta patita dagli Usa nel dopoguerra sul piano geo-strategico, ancor più di quella patita nel sud-est asiatico negli anni Settanta, è stata la perdita del controllo sull’Iran. Oggi la più grave sciagura che possa capitare agli Usa e ai suoi alleati sarebbe un conflitto armato con l’Iran. Al Pentagono conoscono la geografia politica e anche quella fisica, perciò non ignorano che l’Iran rappresenta uno dei più essenziali cardini strategici dell’equilibrio mondiale.»
E proseguivo così: «È sufficiente un’occhiata a una carta geografica per rendersi conto che le più grandi riserve petrolifere mondiali sono localizzate tutt’intorno all’Iran, un paese che ha migliaia di chilometri di coste sul Golfo Persico e su quello di Oman, divisi dallo Stretto di Hormuz. Confina con la Turchia, l’Iraq, l’Azerbaijan, l’Armenia, il Turkmenistan, l’Afghanistan, e a sud-est con il Pakistan, è a contatto diretto con il Mar Caspio e non dista molto dal Mar Nero.
«L’Iran ha una superficie pari a Regno Unito, Francia, Spagna e Germania messi assieme, con quasi 80 milioni di abitanti. Un paese che dal punto di vista orografico è tutt’altro che una landa semi-desertica, ma uno dei più montuosi del mondo, con vette che sfiorano i seimila metri, tanto che a un’ora d’auto da Teheran la borghesia persiana va a sciare. Il nord del paese è ricoperto da foreste con un clima molto piovoso, un territorio ideale per la difesa da attacchi esterni e per praticarci la guerriglia.»
E difatti, oggi, Washington non ha invaso l’Iran ma lo bombarda da 18.000 piedi. Si dice che si punti a un cambio di regime a Teheran, e per una volta tanto questa tesi corrisponde al vero. Nel quadro strategico complessivo gli Stati Uniti non possono permettersi di avere un Iran ostile in prospettiva di una guerra con la Cina. L’obiettivo principale della strategia statunitense è sempre e comunque quello: la Cina. Questione di vita o di morte.
In un post del 18 maggio 2019, osservavo: «Emmanuel Macron si è lamentato del siluro americano all’accordo nucleare iraniano (l’Iran è la seconda economia nel Medio Oriente, quarto produttore di petrolio al mondo e secondo per riserve di gas naturale, 80 milioni di abitanti di cui più del 60% sotto i 30 anni). In un vertice UE della scorsa settimana in Romania, ha dichiarato: “Innanzitutto, l'Iran non si è ritirato da questo accordo. Secondo, se l’Iran si ritira da questo accordo, sarà responsabilità degli Stati Uniti”. Nel gennaio 2019, Francia, Germania e Regno Unito hanno costituito INSTEX, Instrument for Support of Trade Exchanges, uno special purpose vehicle (SPV) per permettere alle proprie aziende di fare affari con l’Iran senza incorrere nelle sanzioni statunitensi. È stato progettato con lo scopo di convincere il governo iraniano a non affossare l’accordo sul nucleare concluso nel 2015. Lo SPV ha sede a Parigi ed è diretto dal tedesco Per Fischer, che in precedenza ha ricoperto il ruolo di direttore di Commerzbank.»
Nello stesso post: «L’Istituto Internazionale di Studi Strategici di Londra, certo una fonte non indipendente, stima in 110 miliardi di dollari gli investimenti necessari all’Europa per lo sviluppo di capacità navali e 357 miliardi per prepararsi alla guerra contro la Russia. Per quale motivo l’Europa dovrebbe fare la guerra alla Russia non è detto nel documento dell’IISS.» Oggi lo sanno tutti.
(*) Come passa il tempo, era il 2012, ma il tema anche allora era esattamente quello di oggi: «Il generale Norton Schwartz (cognomi così sono un prerequisito per fare carriera) ha detto che i piani d’attacco sono pronti e sono stati inviati a chi di dovere. Oggi l’incontro tra Obama e Netanyahu. Il paradosso è che – a differenza d’Israele – l’Iran è firmatario del trattato di non proliferazione e, per il momento, e nel suo programma non c’è violazione. A confermarlo, secondo l’articolo del NYT, è l’intelligence che negherebbe che ci siano in corso programmi di armi nucleari. Cosa dire? Se l’Iran vendesse carrube alla Cina invece che petrolio forse gli Usa userebbero una tattica diversa.»
Nessun commento:
Posta un commento