C’è chi ama la montagna e chi il mare. Anche entrambi, ma per una vacanza diventiamo monoteisti, ci sono delle preferenze. Quando guardo dalle finestre di casa e vedo le montagne, mi assale tanta malinconia, specie la sera. Quello della montagna è un mondo affascinante, certo, di alte vette e laghetti algidi, ma quando cerco l’orizzonte lo sguardo sbatte contro un muro di carbonato doppio di calcio e di abeti assiderati.
Il mare è bellissimo e preziosissimo. Eppure, per molto tempo, lo abbiamo visto in un modo molto meno romantico: recetto della spazzatura, anche della più pericolosa, ovvero di quella nucleare. Tra il 1946 e il 1993 – data in cui queste discariche marine furono vietate – 14 paesi hanno scaricato i loro rifiuti radioattivi in 80 siti in tutto il mondo, nell’Artico, nel Pacifico e nell’Atlantico (circa 200.000 barili di rifiuti nell’Atlantico nord-orientale, al largo delle coste europee).
Gli Stati Uniti e l’URSS hanno addirittura sommerso i reattori altamente radioattivi delle centrali elettriche, e la Francia ha scaricato i residui dei test nucleari al largo delle coste della Polinesia. Anche Regno Unito e Svezia vi si sono dedicate con impegno. I relativi bidoni sono stati progettati per contenere la radioattività per circa vent’anni, non molto di più. È evidente che ora sono completamente fatiscenti. Su quale sia l’impatto basterebbe chiederlo al tonno, in vasetto o scongelato “fresco”, che oggi o domani sarà il nostro pranzo. L’isotopo fissile che si taglia con un grissino.
Gli “scienziati” approvarono in genere il metodo: l’idea era che i barili alla fine avrebbero avuto delle perdite, ma che la radioattività si sarebbe diluita così tanto nell’oceano da non avere più alcun effetto. Scienziati, appunto, non necessariamente tutti al soldo dell’industria nucleare. Com’è possibile abbiano avallato un simile demenziale inquinamento?
In linea di principio, la teoria della diluizione non è del tutto assurda. Sappiamo che urinare in una piscina o nel Mediterraneo non ha gli stessi effetti. Ma questo non è un motivo per applicare questo ragionamento a priori alla radioattività, e c’è ovviamente anche una differenza tra urina e uranio.
Il mare pullula di vita, di innumerevoli microrganismi e persino di pesci, e non sappiamo quasi nulla delle interazioni tra le profondità e la superficie, e poco anche delle interazioni biologiche. Supponiamo che un gambero si aggiri vicino a un bidone radioattivo, venga poi mangiato da uno squaletto che ci viene venduto come vitello di mare, oppure venga inghiottito dall’amico tonno di cui sopra, e che dunque finisca nel nostro piatto. La probabilità di contaminazione potrebbe essere bassa, ma non completamente nulla. Se hai 70anni d’età è una cosa, ma se ne hai solo 10, sappi che la radioattività ha il difetto di accumularsi.
Si potrebbe sperare che le autorità nucleari si sarebbero almeno prese la briga di localizzare i bidoni e le fuoriuscite. Figuriamoci! I bidoni radioattivi sono stati rilasciati un po’ dappertutto, ma non si dispone di dati molto più precisi. Forse non si è trattato di un desiderio di nasconderlo, ma hanno semplicemente pensato che non fosse importante. Specie da qualche anno a questa parte, quando sento parlare di “scienziati” e di “autorità” preposte a qualche cosa mi prende come un raptus ...
Dato lo stato di degrado di questi bidoni, pensare di riportarli in superficie (da 4.000 metri e oltre?) è ancora più pericoloso che lasciarli dove sono. Oltre ai rifiuti scaricati deliberatamente, ci sono anche gli oggetti radioattivi accidentalmente (?) finiti in acqua. Ad esempio, diversi sottomarini nucleari sono andati perduti nell’Atlantico. Ci sono persino bombe atomiche inesplose! Negli anni ‘60, i missili intercontinentali non erano ancora comuni, di conseguenza, le potenze nucleari avevano una flotta di aerei che solcava costantemente i cieli, trasportando bombe apocalittiche pronte per essere sganciate. Alcuni di questi bombardieri si schiantarono in mare con il loro carico radioattivo (per i curiosi, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) ha stilato un elenco di incidenti che hanno coinvolto materiali nucleari negli oceani.
I mari sono serviti da discarica non solo per il nucleare. Sono stati usati per ogni sorta di veleni. Durante la Seconda guerra mondiale, l’esercito tedesco accumulò grandi quantità di armi chimiche. Cosa fare di questa roba? Beh, semplicemente scaricarla nel Baltico! Sempre con la stessa argomentazione: niente di male, perché diluisce. Sempre dal lato “discarica chimica”: dopo che il DDT fu vietato negli anni ‘70, gli Stati Uniti se ne sbarazzarono scaricando 25.000 barili di questo insetticida altamente tossico al largo della costa californiana. L’impatto ambientale? Non lo sappiamo ancora oggi.
Ora abbiamo qualche remora in più nel considerare il mare come una discarica. La tendenza attuale è più quella di sfruttare le profondità marine per estrarre minerali per cellulari o batterie elettriche. Ma il problema è lo stesso. Dato che non sappiamo nulla o quasi di questi ecosistemi, non sappiamo nemmeno quali conseguenze questo possa avere. Chi sogna di industrializzare gli abissi sta commettendo gli stessi errori idioti di chi ieri li ha usati come discarica.
Ottima disamina della spaventosa e criminale approsimazione che caratterizza l'agire umano quando c'è da risparmiare.
RispondiEliminaDario