La guerra di Benjamin Netanyahu a partire dall’ottobre 2023 è direttamente influenzata dall’ideologia sionista. Il sionismo è soprattutto un progetto politico: ricostruire gli ebrei come nazione. Non volevano più essere una minoranza innestata in un collettivo nazionale europeo, ma formare il nucleo di una nazione ebraica. Un simile progetto richiedeva di riunire nello stesso luogo gli ebrei europei, ritenendo che il luogo più adatto fosse la Palestina, una minuscola regione del vasto Medio Oriente considerata la terra d’Israele, in nome di una storia e di una memoria ebraica di pura fantasia, così com’è pura ideologia il riferimento a un’origine biologica comune come criterio decisivo di definizione di appartenenza allo stesso popolo.
Nell’ideologia sionista l’occupazione della Palestina è insieme un ritorno (ritorno a Sion) e un nuovo inizio, in un Paese che deve essere aperto all’immigrazione ebraica. Ciò porta inevitabilmente a un conflitto che mette di fronte chi c’era da migliaia di anni e chi arriva con la pretesa fondarvi uno Stato (Grande Israele) in quella che ritiene essere la sua terra. Per gli arabi nativi, questi nuovi arrivati erano e sono degli estranei. Per gli ebrei diventa criminale l’opposizione violenta della popolazione locale.
Al giorno d’oggi, il sionismo si dichiara favorevole alla democrazia, ma ha solo una definizione di democrazia, nel senso strettamente elettorale: “Abbiamo la maggioranza, facciamo quello che vogliamo” e con questa maggioranza neutralizziamo, uno per uno, tutti gli oppositori al nostro potere (vedi la legge del 19 luglio 2018 approvata dalla della Knesset). È questa l’essenza ideologica del sionismo politico, sin dalla sua formulazione da parte di Theodor Herzl. Per gli ebrei in Israele, la parola “sionismo” ha un significato che non è altro che un sinonimo di “patriottismo”. Dire “sono un sionista” è dire “sono un patriota”.
La condizione ebraico-sionista si intreccia con la dimensione religiosa. Ebreo è chi nasce da madre ebrea; la nazione ebraica concepita dal sionismo ha inventato le procedure di naturalizzazione israeliane: chiunque voglia entrare nella nazione ebraica deve sottoporsi ad una conversione davanti alle autorità rabbiniche. Non solo Israele è lo Stato-nazione del popolo ebraico, ma l’appartenenza religiosa si confonde di fatto con la cittadinanza israeliana, con un ebraismo nazionalista standardizzato dal potere civile.
Una parte significativa della società israeliana è religiosa e praticante e quindi avanza esigenze specifiche riguardo all’organizzazione della vita pubblica in conformità ai comandamenti religiosi. Situazione non molto diversa da quella dei paesi islamici fondamentalisti.
L’attuale coalizione governativa è composta da cinque partiti: il Likud, di cui Netanyahu è a capo, ed è l’unico a non definirsi un partito religioso. Al contrario, gli altri quattro, Shas, Torah Judaism, Jewish Force e Religious Zionism, sono tutti partiti confessionali. Shas e Torah sono partiti ortodossi, il primo riunisce l’elettorato ultraortodosso dei mizrahì originari di Medio Oriente e Maghreb, il secondo è ortodosso ashkenazita (immigrati originari est Europa). Sono sulla stessa linea massimalista del governo riguardo ai territori occupati. Gli altri due gruppi, il Sionismo Religioso e la Forza Ebraica, seguono una linea suprematista, che traggono dalla loro interpretazione etnocentrica della fede ebraica e della promessa divina. Questi quattro partiti sono insieme perché il loro elettorato è religioso e tradizionalista.
Per il sionismo religioso, presieduto da Betsalel Smotritch, e il partito Jewish Force, guidato da Itamar Ben-Gvir, ciò che conta è l’ingiunzione della promessa divina, come la intendono loro. Secondo loro bisogna tornare nella Striscia di Gaza non solo per sradicare Hamas, ma per ricreare gli insediamenti smantellati nel 2005. Tutti e quattro i partiti invocano Dio nei loro discorsi, ma i due partiti più estremisti invocano Dio per giustificare colonizzazione e l’insediamento a Gaza e in Cisgiordania.
Oggi prevale la versione sionista che persiste nel voler colonizzare la Palestina con tutte le sue forze e tutti i mezzi. Chi non la pensa come loro è, ai loro occhi, un antisionista. Chi dice di essere sionista e però si dice anche contrario all’occupazione dei territori è in una palese contraddizione. Dichiararsi antisionista è come dichiarare il proprio antisemitismo, ossia negare il diritto degli ebrei ad essere un popolo come gli altri. Solo che gli ebrei non si considerano un popolo come gli altri.
Articolo interessante, potresti essere accusata di "essere antisemita". Conosco alcuni che difendono ad oltranza Israele contro "i terroristi palestinesi" la cui età varia da 0 a 99 anni.
RispondiEliminaNon c'è l'ho con gli ebrei in quanto tali, così come con i cattolici o gli islamici. La mia è una critica sull'uso politico delle credenze religiose, tanto più quanto più sono totalitarie. Anche l'accusa di antisemitismo è spesso strumentale e totalitaria.
EliminaSfonda una porta aperta con me, chi difende i palestinesi non è nemico degli ebrei, semplicemente non approva la politica dello stato di Israele.
RispondiEliminaInganno e Malafede con la copertura del "deus vult".
RispondiEliminaCercando la bio di un prof sono incappato in questa chicca...
RispondiEliminaNotevole la perizia nello stilare liste di proscrizione...
https://canarymission.org/
Divertiti 😘
Con affetto Gigi
grazie, ciao
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