lunedì 16 settembre 2024

La questione demografica: Marx e Malthus

 

Seppur tardivamente, la questione demografica, il drastico calo delle nascite, sembra preoccupare perfino la politica italiana, notoriamente e abitualmente affaccendata su questioni di più grave momento. Gli incentivi a favore della natalità, che in Germania sono cospicui mentre in Italia sono praticamente inesistenti o quasi, non sembrano dare i risultati auspicati. Se non altro nei paesi dove questi incentivi esistono realmente il problema della denatalità è mitigato rispetto al crollo verticale dell’Italia. Del resto in Italia non esiste una politica della casa a favore delle giovani coppie, non esistono politiche salariali e dell’occupazione degne di questo nome, eccetera.

Quella che passa per essere la sinistra, non ha uno straccio di proposta concreta, e del resto non c’è da aspettarsi che gente di certi ambienti sociali, dove prevale l’ideologia liberale tout court, possa proporre alcunché di alternativo in chiave riformistica, quale potrebbe essere un piano casa, da finanziarsi con i proventi dei canoni demaniali rivisti e aggiornati, tassazione dei super profitti bancari, aumento di quella del mercato oligopolistico del gioco d’azzardo (i proventi netti delle slot sono attualmente tassati al 24%), con la confisca dei patrimoni degli evasori fiscali piccoli e grandi, con una tassazione “europea” sulle successioni e donazioni, sulle polizze vita, eccetera, eccetera. Né ci si può aspettare da chi vive di alti emolumenti parlamentari, di partecipazioni societarie e lucrose cedole, di affitti e canoni, l’introduzione della scala mobile anche per i salari. Di questo passo, la destra, qualunque possa essere la sua bandiera, semplicemente conservatrice o spavaldamente reazionaria, governerà l’Italia e l’Europa per tutto questo secolo, forse anche per il successivo.

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Malthus fu il responsabile intellettuale della riforma della Legge sui Poveri del 1833, che abolì ogni forma di soccorso a livello parrocchiale. Non è questo l’unico motivo per cui fu tanto inviso a Marx ed Engels. Malthus fu anche l’autore del Saggio sul principio della popolazione (1798), e Marx ed Engels, al contrario di altri autori del loro tempo, non si proponevano di confutarlo sul punto centrale della fertilità, trascurando altre variabili (*).

Gli orientamenti del pensiero di Marx sulla popolazione, erano direttamente collegati a due elementi teorici fondamentali del Capitale, l’accumulazione e il plusvalore, che rimandano ad una questione centrale, la previsione del collasso del capitalismo. Per Marx ed Engels era necessario adottare l’approccio opposto a quello “naturalistico” (“eterna legge di natura”) di Malthus, perché la teoria demografica può essere compresa solo attraverso la teoria economica.

Marx propone una legge sulla popolazione e cita i dati demografici che è riuscito a raccogliere. Nei termini di Marx, la legge della popolazione si riduce a spiegare la crescita demografica attraverso l’accumulazione di capitale e soprattutto attraverso l’evoluzione della sua composizione organica.

Tutto separa Malthus da Marx: l’approccio stesso del pensiero, ondulato nell’uno, strutturato nell’altro, la costruzione teorica e infine il ruolo politico. Una cosa li accomuna: entrambi hanno proposto una vera legge sulla popolazione. O meglio, entrambi erano fermamente collocati sul piano teorico, Malthus credendo nell’universalità nel tempo e nello spazio del principio di popolazione, Marx postulando l’esistenza di leggi demografiche specifiche per ciascun modo di produzione.

Come leggere ciò che Marx scrisse sulla popolazione? È certamente necessario verificare la coerenza della costruzione teorica, che riguarda l’economia politica – poiché la legge della popolazione è quella di un modo di produzione – concentrandosi più particolarmente sui suoi concetti centrali, quelli di domanda di lavoro e di plusvalore (capitolo 25 del I libro del Capitale). Ma non solo: un primo contributo era stato dato da Engels con l’analisi della povertà della classe operaia come fattore di matrimonio precoce e di elevata fecondità. Un altro è il riconoscimento delle varie forme di mobilità e in particolare dell’entità dell’esodo rurale. La morbilità, la malnutrizione e la mortalità negli ambienti della classe operaia sono un terzo contributo.

Ora, se l’economista Marx propone una legge demografica del capitalismo, essa deve tenere conto di tutti i comportamenti socio-demografici, quelli dei capitalisti, dei lavoratori, delle altre classi sociali, anche se sono condannati a scomparire. Ma se la qualità del sociologo delle classi lavoratrici è indiscutibile, Marx dice ben poco sul comportamento demografico delle altre classi sociali. Il che, a sua volta, priva la sua costruzione teorica della verifica sperimentale.

Mentre collega magistralmente l’analisi del funzionamento concreto del capitalismo alla teoria dell’accumulazione di capitale, il concetto di sovrappopolazione relativa per analizzare il funzionamento del mercato del lavoro, e infine sono convincenti i dati demografici specifici della condizione di lavoro, tuttavia l’osservazione demografica complessiva relativa a quella stessa Inghilterra negli anni Sessanta dell’Ottocento lo mette in difficoltà per il motivo che non poteva utilizzare i dati relativi all’intera popolazione, interpretandoli come se fossero rilevanti per una sola classe sociale.

Non avendo potuto distinguere ciò che era specifico della classe operaia da ciò che riguardava l’intera popolazione, Marx non relativizzò le implicazioni teoriche delle sue concezioni molto concrete in termini di fertilità, matrimonio, mortalità e migrazione. Non tenne conto insomma, in termini di teoria della popolazione, del ruolo delle altre classi sociali e in particolare di quella classe sempre più allargata che oggi definiamo come classe media. Né ancora si manifestava così chiaramente – e dunque non possiamo farne troppo torto a Marx – ciò che è avvenuto in seguito, ossia il tramonto della famiglia patriarcale e l’impatto della nuova condizione della donna in rapporto alla produzione di figli.

Malthus, dal canto suo, mettendo in guardia contro il rischio di insufficienza della domanda effettiva, aveva di fatto minato definitivamente l’ottimismo liberale riguardo al futuro del capitalismo. Keynes, che condivideva anch’egli questa opinione, aveva, come noto, proclamato Malthus il primo degli economisti di Cambridge, per aver previsto, contro Ricardo, il rischio di una crisi generale legata ad un’insufficienza della domanda effettiva.

Ciò detto, tuttavia, dal punto di vista della dottrina sociale, Malthus si pronuncia in modo molto moderno, ossia a favore di una società composta da classi medie, che consentirebbe di massimizzare la domanda effettiva. È l’industria che permette, a lungo termine, come principale fonte di domanda di lavoro, di migliorare il benessere e risolvere il problema sociale, stimola la crescita demografica senza comportare un peggioramento delle condizioni di vita della popolazione. Nel breve termine, la regolamentazione si ottiene attraverso le fluttuazioni del tenore di vita e dei tassi di matrimonio, che variano entrambi con la domanda di lavoro.

Marx vide chiaramente la posta in gioco politica, ed infatti scriveva nelle Teorie del plusvalore: “Malthus ammette la produzione borghese purché non sia rivoluzionaria, che non sia una forza storica, ma che crei una base materiale più ampia e più conveniente per la vecchia società”. Del resto, non è aumentando le classi improduttive che si eviteranno le crisi. Su questo punto Marx non poteva quindi che combattere strenuamente Malthus. Infatti, se esiste una soluzione alla crisi del capitalismo dal lato dei consumi, se nonostante il processo di accumulazione, le scorte derivanti dalla produzione di massa a prezzi bassi possono affluire sui mercati grazie alle classi medie consumatrici, allora le contraddizioni del capitalismo vengono disinnescate.

L’equivoco di base di Malthus e dei suoi epigoni, è pensare che la contraddizione centrale dell’economia capitalistica sia da rintracciarsi nel rapporto tra produzione e consumo. Pertanto essi individuano la causa della crisi nella sovrapproduzione di merci determinata dalla loro difficoltà a realizzarsi in seguito al sottoconsumo, vale a dire alla povertà e alla limitatezza di consumo delle masse.

Tra parentesi, anche la cosiddetta teoria di sproporzionalità appartiene al novero delle concezioni che individuano la causa della crisi nella sola sovrapproduzione di merci. Per i sostenitori della teoria della sproporzionalità, la crisi dell’economia capitalistica deriverebbe da uno sviluppo sproporzionato dei diversi settori della produzione sociale.

Nel modo di produzione capitalistico la contraddizione tra produzione e consumo assume effettivamente una rilevanza di primo piano, poiché la crisi di sovrapproduzione è anche “crisi di sottoconsumo”, benché quest’ultima ne rappresenti unicamente un lato, un aspetto, non la necessità.

Le contraddizioni operanti nella sfera del consumo, infatti, sono indotte da quelle interne alla sfera della produzione. Di conseguenza la genesi della crisi va ricercata nella produzione di plusvalore, e non nella sua realizzazione. Procedere in senso inverso, collocando cioè la contraddizione principale nella circolazione, conduce inevitabilmente alle interpretazioni della crisi come, appunto, crisi di sottoconsumo. Questa tesi alimenta l’illusione che sia possibile risolvere la crisi intervenendo sulla sfera del mercato e degli investimenti, in definitiva agendo sul movimento del denaro, dei tassi e sulla fiscalità.

(*) Schumpeter, tanto per citare un autore noto alla larga platea, discute brevemente ed evasivamente le leggi demografiche malthusiane e marxiste e le rimanda una dopo l’altra. Anche il pensiero economico recente si rivela deludente (potrebbe essere diversamente con questi chiari di luna?).

3 commenti:

  1. Tuttavia, se ben ricordo (non posso controllare ora) Malthus differisce da Keynes in quanto gli sfugge la faccenda della propensione al consumo, più alta nelle classi a minor reddito. Malthus, invece, auspica più soldi per i ricchi, che consumano di più. Naturalmente, al di là delle considerazioni etiche, aveva torto perché lo stesso importo distribuito agli indigenti genera più consumi che se distribuito agli abbienti. Rimane quindi difficile da spiegare l'amore di Lord Keynes per Malthus.
    Quanto alle faccende demografiche e alla natalità, mi pare che tutti gli autori che hai citato siano poco attuali. La denatalità dei giorni nostri dipende principalmente dall'edonismo di massa.

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