mercoledì 4 dicembre 2024

L'unica giustizia

 

Ascoltavo, qualche sera fa, il prof. Massimo Cacciari dolersi che da decenni l’Italia è sprovvista di un piano industriale. Più modestamente io sono dell’avviso che è da decenni che il padronato italiano, in stretta colleganza con quello multinazionale e i centri essenziali e dinamici dello Stato, si è dotato di un preciso e articolato piano di ristrutturazione industriale. Del resto, è sufficiente leggere quanto scrivevano le Brigate Rosse a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta per rendersi conto che con quel piano non c’è mai stata discontinuità. Non la politica determina le sue scelte, ma le leggi dell’accumulazione capitalistica.

Nella lotta tra capitale privato e capitale pubblico alla fine prevalse la logica dell’accumulazione. Il supporto ideologico veniva dato da personaggi come Guido Carli quando parlava di una “imprenditorialità burocratizzata, scarsamente amante dell’innovazione”. La livida faziosità di questo tipo di analisi tagliava il mondo in due, schierando il settore privato dell’economia nella parte produttiva della società e dipingendo il settore di Stato a fosche tinte.

È vero che le imprese dello Stato formalmente erano pubbliche, ma in realtà esse dipendevano dalla Democrazia cristiana che, per loro tramite, controllava l’industria, le funzioni creditizie, i servizi pubblici di ogni tipo, e dunque estendeva incessantemente il suo sistema di potere. A partire dagli anni ‘80 cambia tutto, e negli anni ‘90 ci si sbarazza completamente del controllo politico sull’economia facendo intervenire la magistratura a colpi di maglio.

Ma i militanti delle B.R. erano “terroristi”, per definizione farneticanti, al di fuori della realtà. Quante volte abbiamo ascoltato questi giudizi accompagnati dalla solita bava. Prima di giudicare, bisogna leggere, documentarsi, rompere il diaframma che ci tiene prigionieri e accucciati nella nostra quiete coatta. Il fatto che ormai la metà del corpo elettorale non risponda all’appello conferma la tendenza all’indebolimento della funzione di rappresentanza e della capacità di controllo del sistema politico dei partiti.

Questo rifiuto aperto a delegare ai partiti la propria rappresentanza politica e a legittimare lo Stato come luogo di mediazione dei propri interessi di classe, emana da un’area emergente che si va costituendo come sistema antagonistico. È solo questione di tempo e di circostanze.

Quanto al terrorismo, ogni reale resistenza alle ingiunzioni è classificata come terrorismo, quantomeno come pratica illegale e pericolosa per l’ordine esistente. Ma di forme di terrorismo ne esistono di diversi tipi, la principale è data nella versione mostruosa dei rapporti di produzione borghesi.

Oggi è di un aspetto in particolare di tale versione mostruosa del terrorismo borghese che voglio scrivere.

Il reparto CV6 veniva chiamato “il reparto della morte”. Operai che “uno dopo l’altro e un po’ alla volta, morivano e morivano di tumore, giovani: sui 50 anni”. A raccontarlo al giudice Casson un operaio, Gabriele Bortolozzo, che disse al magistrato: «A un certo punto, quando vedevo questi compagni di lavoro che stavano male [il primo disturbo provocato dall’esposizione al CVM è il morbo di Raynaud] e poi morivano [l’86% degli addetti è deceduto per questa malattia; il 25% degli addetti al reparto Cvm sono morti a un’età media di 55 anni], ho cominciato a chiedere, a raccogliere carte e documenti. Lì hanno cominciato a guardarmi storto. Tutti quanti, sia nellambiente di lavoro, sia i sindacati e sia i capi.»

Il CVM, ossia il cloruro di vinile, un composto organico clorurato che a temperatura e pressione ambiente è un gas incolore dal tipico odore dolciastro, insolubile in acqua. È necessario per fare il PVC, il cloruro di polivinile, una specie di resina che viene lavorata e questa resina può diventare finissima, come il talco o il borotalco, oppure diventare granulosa. Mescolandola con altre sostanze (polimerizzazione in emulsione del CVM) si produce la plastica, il PVC. Di PVC siamo pieni: nelle nostre case, nelle nostre auto, nelle scuole, dappertutto.

Nei reparti della Montedison si lavoravano ogni anno 250 mila tonnellate di CVM e 170 mila di PVC.

L’angiosarcoma epatico è il tipico tumore da CVM. Dice Casson: «Il primo dato è che le industrie multinazionali – in Italia Montedison in particolare – sapevano quanto pericolosa fosse la sostanza, tanti tanti anni prima, e hanno continuato a produrre senza pensare alla salute degli operai, senza pensare alla tutela ambientale.»

Ma la fabbrica non ne aveva mai voluto sapere di attribuire tutto ciò al CVM: «Zecchinato Gianfranco beve troppo», rispondevano. E anche a lui era toccata la stessa sorte di Tullio e di decine di altri operai: la direzione non rispondeva nemmeno alle sollecitazioni degli stessi sanitari e men che meno si sognava di allontanare Gianfranco dalle sostanze epatotossiche fino a quando non dovete essere ripetutamente ricoverato, nel corso del 1985 ... » (F. Casson, La fabbrica dei veleni, pp. 238-39).

«I vertici delle industrie – continua Casson – sapevano ed hanno tenuto tutto nascosto per tanti anni fino a che è scoppiato il caso mondiale, lo scandalo Goodrich. Noi abbiamo trovato in questi studi negli Stati Uniti, perfino i documenti con scritto “Strettamente confidenziale”, “Riservato”. Addirittura Montedison, che stava facendo delle ricerche in Italia, a Bologna al castello di Bentivoglio, aveva trovato dei risultati sulla pericolosità cancerogena del CVM e aveva imposto il segreto a tutte le aziende mondiali, facendo firmare un patto di segretezza, una roba da film.»

E poi i rifiuti industriali, come i famosi “fanghi rossi”. Con quei rifiuti della zona industriale di Marghera, in particolare di Montedison, “imbonivano certi quartieri di Mestre. Oltre a riempire tutta la zona del petrolchimico nelle varie buche, c’era una zona che chiamavano Katanga, nella quale buttavano di tutto, perché c’erano i peggiori rifiuti. Ma oltre a imbonire questa zona, c’erano anche delle corti, per esempio la Corte della Mirandolina nel quartiere Pertini, dove avevano spianato tutto e portato e messo lì i peggiori rifiuti”.

Com’è possibile che non sia mai intervenuta la Polizia Giudiziaria o la Magistratura, chiede Casson a Bortolozzo? Che risponde: «Guardi, io, anzi noi, anche con Medicina Democratica ogni tanto, negli ultimi anni, abbiamo presentato delle denunce e degli esposti. Lo facciamo quando c’è un morto o quando c’è inquinamento o quando c’è una fuga di gas (fosgene), che all’epoca era molto frequente a Marghera. Decine di operai alla settimana intossicati: però non succede niente, nessuno fa inchieste, nessuno ha mai fatto indagini, praticamente archiviano tutto e al massimo danno una multa, quella volta di 100.000 lire, una cosa ridicola, e tutto poi continua come prima.»

Casson: «Che cosa era successo in passato? Era successo che innanzitutto la politica non aveva capito o non aveva voluto capire che stava creando, sulle sponde della laguna di Venezia, a 4-5 km dal centro storico di Venezia e attaccata a Mestre, una bomba chimica. I sindacati si sono trovati sempre in difficoltà in questa situazione; non solo i lavoratori, ma anche in fabbrica i sindacati hanno allontanato, isolato Bortolozzo. Ad un certo punto lo accusavano di essere un terrorista e amico dei terroristi

In un’intervista fatta nel 1974 al presidente del consiglio dell’amministrazione Montedison, Eugenio Cefis, questi diceva: “Se i pretori ci condannano per le denunce e gli esposti noi chiudiamo la fabbrica e andiamo via”. Come si vede anche da questi fatti, la borghesia e i padroni avevano un’idea molto ben precisa di “piano industriale”.

28 dirigenti del petrolchimico vengono imputati di essere stati a conoscenza della cancerogenicità del CVM e, nonostante ciò, di non aver provveduto a mettere in sicurezza gli operai né a risanare gli impianti. Inoltre, avrebbero addirittura contraffatto i sistemi di controllo: una nota interna del 1978 di Montedison dice: «Obiettivo primario e costante di tutta la divisione è la competitività; [...] bisogna correre dei ragionevoli rischi [...]. Ognuno di noi paga un premio a una società assicuratrice, per cautelarsi da rischi derivanti dall’uso di questa attività» (dall’esposizione introduttiva al processo di Felice Casson).

Si arriva alla sentenza, il 2 novembre del 2001: gli imputati di Montedison, Montefibre ed Enichem, nonostante la caterva di elementi a loro carico, vengono tutti assolti! Con formule varie: non aver commesso il fatto, il fatto non sussiste, il fatto non costituisce reato, prescrizioni, amnistie. Insomma, per un motivo o l’altro, tutti assolti!

«La battuta più feroce ed al contempo più devastante percepita in aula fu che giustizia vera, l’unica giustizia, era stata quella delle Brigate Rosse, quando avevano deciso di ammazzare i dirigenti del petrolchimico Sergio Gori e Giuseppe Taliercio.» (ibidem, pp. 300-301).

In seguito, con la sentenza d’appello vengono condannati tre amministratori delegati di Montedison, un direttore generale centrale, il responsabile medico igienico ambientale di Montedison e altri due (quello più basso in grado e quello più alto), che erano morti nel frattempo: il direttore dello stabilimento e il presidente del consiglio di amministrazione di Montedison, Eugenio Cefis, a cui viene data l’estinzione del reato. Per il resto, specialmente per le questioni ambientali, tutte le violazioni, erano andate in prescrizione perché all’epoca poi la prescrizione del reato maturava in quattro anni e mezzo o cinque, massimo sette anni, quindi ovviamente era tutto prescritto.

Gabriele Bortolozzo, che aveva depositato il suo esposto in procura nell’agosto 1994, muore nel 1995 in un incidente, era in bicicletta, a Mogliano Veneto, travolto da un camion ... .

4 commenti:

  1. Gabriele Bortolozzo, che aveva depositato il suo esposto in procura nell’agosto 1994, muore nel 1995 in un incidente, era in bicicletta, a Mogliano Veneto, travolto da un camion ...

    Guarda caso!
    Ecco perché bisogna essere uniti in molti!

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  2. Grazie per il post, davvero molto istruttivo e documentato, per chi, come me, è giovane e non conosce tutte le vicende con questi dettagli.
    Dario

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  3. L'aria di Porto Marghera l'ho respirata, sia in senso fisico che sociale. Sono cresciuto presso l'altro stabilimento Montedison, quello che faceva fertilizzanti chimici. (A dire il vero, era stato fondato dalla famiglia Agnelli, e poi venduto alla Montecatini). Giocavamo a pallone, e a un certo punto uno gridava: "i gas, i gas!". Era, credo, acido solforico, che veniva mollato nell'aria per ragioni che ignoro. A quel punto, la partita di pallone poteva essere interrotta, ma anche continuata, se era interessante. Io sono ancora qui, ma altri no.
    L'altra aria che ho respirato è quella sociopolitica, e anche di questa ho ricordi.Però no, non ricordo che nei comunicati delle BR per Taliercio e Gori fossero menzionati l'inquinamento e i pericoli per la salute dei lavoratori.
    Altra notazione un po' pettegola: curioso rivedere accomunati Cacciari e Casson.

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