lunedì 28 ottobre 2024

Non è una parola del nostro mestiere

 

Sono all’opera forze sociali profonde e prevalentemente oscure delle quali solo ora cominciamo a intravedere con difficoltà il disegno; sono altresì in atto dinamiche globali che agiscono come leggi di natura e verso le quali dimostriamo un disincanto e una noncuranza che condurrà necessariamente a delle catastrofi storicamente inedite.

La rottura del vecchio ordine mondiale e l’insorgere di nuove grandi potenze che lottano per il proprio “spazio vitale” economico, è la causa principale della nuova corsa agli armamenti e la proliferazione nucleare. Sta per ripetersi, con ben altra forza, dimensione di scala e di strumenti, ciò che già avvenne tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima del Novecento con la comparsa sullo scacchiere mondiale degli Stati Uniti, della Germania e del Giappone.

Ad aggravare questo quadro d’incertezza e d’imprevedibilità, di accelerato disordine e di conflitti per il momento ancora locali, c’è il cambiamento climatico, fenomeno reale a prescindere da quali ne possano essere le varie cause.

La fecondità femminile è in caduta libera in modo drammatico nei paesi più sviluppati, ma ciò non esclude che essa è in drastico calo, dopo aver raggiunto il picco d’aumento otto anni fa, anche in aree come l’America latina e i Caraibi, in Asia e in Oceania, e perfino in Africa e Medioriente. Una voragine demografica tale che non si sarà più in grado di garantire la continuità della specie entro pochi decenni (di quella “bianca”, sicuramente).

L’ipertrofia finanziaria, le fibrillazioni caotiche dell’economia capitalistica, il denaro facile cui seguono le “strette” monetarie, la spesa pubblica e il debito ingestibili, preludono ineluttabilmente e nonostante l’euforia borsistica, a un crash che potrebbe essere dietro l’angolo. A partire forse dal Giappone, un grande paese che importa di tutto, e dalle sue difficoltà a gestire la propria valuta, per tacere della recessione tedesca e del persistente calo della produzione industriale italiana.

A ciò si aggiunge l’instabilità dei sistemi istituzionali (vedi negli Stati Uniti il successo di un palazzinaro golpista), la crisi/estinzione dei partiti politici, la sfiducia e la paura che serpeggiano ovunque nelle società occidentali ma non solo. Le élite, le famose élite, hanno imparato che è sufficiente assicurare panem et circenses per garantirsi la pace sociale o quantomeno per evitare rivolte popolari nelle piazze. Opportunamente, Jerome Powell, presidente della Federal Reserve, ha dichiarato: “Certezza non è una parola del nostro mestiere”. Ciò che vale per l’economia e la finanza, vale anche per tutto il resto.


sabato 26 ottobre 2024

Per governare che cosa?

 

Dio, Patria e Famiglia. In maiuscolo. Bene, prendiamo sul serio questo frasario di nostalgici. La religione è servita per qualche millennio principalmente per razionalizzare la morte. Oggi, in Occidente, vi sono altri modi per far fronte a queste e altre ansie esistenziali. La religione è diventata sempre più un fatto residuale. Patria. I grandi gruppi finanziari esteri si stanno pappando anche gli ultimi ghiotti bocconi della nostra “patria”, mentre la nostra libera stampa si occupa da mane a sera del giro di mutande tra politici e troiaio vario. Famiglia. C’è qualcosa di più in crisi e sbrindellato della “famiglia”? Quella che un tempo aveva il compito di riprodurre la forza-lavoro, praticamente non esiste più. Se ne preoccupano i pedofili e i segaioli. Perché non sentiamo mai la nostra nipotina proclamare con orgoglio durante i pasti in famiglia che la sua vita ideale sarebbe fare l’insegnante o l’infermiera? I pochi giovani scappano all’estero, se possono, per sfuggire a precarietà, incertezza e salari di fame. Importiamo a prezzi stracciati braccia dai polmoni demografici di Africa e Asia. Per la gioia e la fortuna dei nostri “imprenditori” esentasse.

Questo per quanto riguarda le parole d’ordine dei reazionari. E quelle dei conservatori? I diritti civili, ma tanto per parlarne. Si concentrano sull’individuo e non sulla società. Lavoro, scuola e sanità, solo vaghi cenni elettorali dopo le devastazioni degli ultimi decenni di cui la “sinistra” senza identità è stata la principale responsabile. Ed è questa gentaglia qui che vuole tornare a governare. Per governare che cosa, le rovine?

giovedì 24 ottobre 2024

[...]

 

E se fossero stati due stronzi, che cosa sarebbe cambiato?


È Dio che lascia un bordello ubriaco fradicio in Les Chants de Maldoror di Lautréamont. Non poteva essere che lui.


mercoledì 23 ottobre 2024

La stessa matrice classista

 

Kamala Harris ha fatto sapere una decina di giorni fa di essere in perfetta salute fisica e mentale, supportata da una valutazione medica. Questa è una buona notizia, soprattutto per lei. Resta però da chiedersi in seguito a quale attacco di delirio psicotico si sia sviluppato il programma “Opportunità per gli uomini neri” che la candidata democratica ha presentato ai media il 14 ottobre.

Si capisce che, a tre settimane dalle elezioni, i responsabili della campagna elettorale si siano lasciati prendere dal panico analizzando i risultati dei sondaggi che rivelano che un quarto dei maschi neri intendono votare per Donald Trump il 5 novembre, rispetto solo all’8% delle donne nere. Perché i neri non hanno il diritto di essere di destra?

Agli “uomini neri” viene promessa una “iniziativa sanitaria nazionale focalizzata sulle malattie che colpiscono in modo sproporzionato gli uomini neri”, quindi un accesso facile e sicuro alle criptovalute – segno che, agli occhi di Kamala Harris, evidentemente hanno un problema con le valute legali. Ancora, la candidata promette anche “la legalizzazione della marijuana ricreativa” allo scopo di “creare opportunità per gli uomini neri di avere successo in questo nuovo settore”. Nuovo settore? Non solo gli “uomini neri” trascorrono le loro giornate fumando petardi e cantando reggae, ma in più sognano tutti di diventare spacciatori.

Tutto questo non nasce da errori grossolani di comunicazione. Queste “proposte” sono il frutto di un pensiero perfettamente strutturato, che si fonda su un’ideologia secondo cui i “poveri” meritano di essere sostenuti e difesi nei loro diritti solo se rispondono a stereotipi che costituirebbe la loro “identità” e che li definirebbe una volta per tutte. Di conseguenza, un musulmano è necessariamente un islamista, un cinese è una spia comunista, un ispano- americano fa a pezzi i suoi nemici con una motosega in una vasca da bagno, e gli “uomini neri”, quindi, hanno il senso del ritmo e degli affari loschi.

I ricchi “progressisti”, non importa se neri o bianchi, sembrano avere difficoltà a reprimere il loro imbarazzante disprezzo di classe nei confronti del popolo che pretendono di difendere. Così come i dirigenti del partito democratico verso i lavoratori salariati italiani. La matrice classista è la stessa.

martedì 22 ottobre 2024

Stati Uniti: un sistema elettorale corrotto

 

Che cos’è un Pac? A Napoli risponderebbero con una battuta. Negli Usa i Pac e i Super Pac sono organizzazioni politiche che lavorano per riscuotere contributi illimitati da parte di persone fisiche e giuridiche per tradurli in spese pubblicitarie anch’esse illimitate. L’America PAC è un comitato di azione politica pro-Trump fondato da Musk con una donazione di 75 milioni di dollari.

Da quando, tre mesi fa, Musk ha aderito pienamente alla campagna di Trump, è diventato uno dei quattro principali finanziatori del candidato repubblicano, unendosi a Timothy Mellon (patrimonio netto della famiglia: 14 miliardi di dollari), erede della fortuna bancaria, che ha donato 150 milioni di dollari al super PAC Make America Great Again; Miriam Adelson (patrimonio netto: 35 miliardi di dollari), che ha donato 95 milioni di dollari al super PAC Preserve America; e Richard Uihlein (patrimonio netto: 6 miliardi di dollari), che ha immesso 49 milioni di dollari nel Restoration PAC.

Un articolo di Forbes, pubblicato la scorsa settimana, nel titolo afferma che “Kamala Harris ha più miliardari che la sostengono in modo evidente rispetto a Trump”. La ripartizione di Forbes ha registrato 79 miliardari che sostengono la candidata democratica, rispetto ai 50 dietro la repubblicana.

Tra i 28 miliardari che hanno donato almeno 1 milione di dollari a gruppi che sostengono Harris ci sono l’ex CEO di Google Eric Schmidt (patrimonio netto di 38 miliardi di dollari); Michael Bloomberg (patrimonio netto di 105 miliardi di dollari); il co-fondatore di Home Depot Arthur Blank (patrimonio netto di 9,5 miliardi di dollari); e l’erede dell’impero alimentare Cargill Gwendolyn Sontheim Meyer (patrimonio netto di 5,1 miliardi di dollari), tra molti altri.

Il principale PAC per l’ala democratica dell’oligarchia capitalista, Future Forward, ha raccolto 700 milioni di dollari, principalmente da magnati nella Silicon Valley. Il co- fondatore di Facebook Dustin Moskovitz ha donato più di 50 milioni di dollari dal 2020.

Questi miliardari, gli uomini più ricchi della storia, possiedono un potere enorme che viene loro dato dalla ricchezza, un potere di persuasione che viene esercitato attraverso i mezzi di comunicazione di massa, ossia con una pubblicità martellante che rappresenta una forma degradata e corrotta del discorso politico.

I contributi elettorali di questi miliardari non sono certamente gratis, e dunque questo finanziamento illimitato costituisce una forma grigia di corruzione, che si risolve nella “privatizzazione” o nel dominio degli interessi privati di pochi a scapito degli interessi di tutti. Infatti, un regime il cui sistema di finanziamento elettorale promuove grandi disuguaglianze politiche a causa di alcuni individui e gruppi di ricchi, che esercitano un’influenza sproporzionata sulla determinazione e sulla gestione degli affari pubblici, diventa inevitabilmente preda della corruzione sistemica.


venerdì 18 ottobre 2024

Perché ha rifiutato il Nobel

 

A che cosa serve il premio Nobel per la pace? Ce lo chiediamo quando ci rendiamo conto che abbiamo già dimenticato i nomi dei vincitori degli anni precedenti, tranne quello conferito maldestramente (eufemismo) ad Obama. Chi ricorda l’argentino Carlos Saavedra Lamas, premiato nel 1936 per aver voluto porre fine alla guerra del Chaco tra Paraguay e Bolivia, durata dal 1932 al 1935?

Nel 1955, 1956, 1966, 1967 e 1972 il premio non fu assegnato. La guerra era stata ovviamente la più forte. Soprattutto in medio oriente. Quest’anno è andato a Nihon Hidankyo, un’organizzazione giapponese di hibakusha per l’abolizione delle armi nucleari. Già in passato il Nobel era stato assegnati a personalità e associazioni mobilitate contro la proliferazione delle armi atomiche.

Ma i premi Nobel per la pace più sconcertanti sono quelli assegnati a leader politici quando ancora dei ragazzi si uccidevano a vicenda. Nel 1973, in piena guerra del Vietnam, lo ricevono il segretario di Stato americano Henry Kissinger e il vietnamita Lê Duc Tho. Nel 1978, il presidente egiziano Anwar Sadat, che cinque anni prima aveva lanciato la guerra dello Yom Kippur contro Israele, godette di questo onore insieme al primo ministro israeliano dell’epoca, Menachem Begin, un ex terrorista responsabile di stragi. Nel 1993 fu la volta del presidente afrikaner Frederik De Klerk e del suo ex prigioniero Nelson Mandela.

Nel 1994 ne ebbero diritto Yitzhak Rabin, Shimon Peres e il loro nemico giurato, Yasser Arafat. Rabin fu fatto assassinare per i suoi accordi con Arafat, e quest’ultimo fu assassinato ugualmente dagli israeliani. Gli israeliani sono dei grandi specialisti nell’assassinio politico, non meno degli americani e dei russi.

I premi Nobel per la pace premiano sempre più spesso solo persone e associazioni piene di buone intenzioni, ma che sembrano parlare solo a sé stesse.

Quello che ci aspettiamo da un premio Nobel per la pace e di premiare i nemici di ieri che oggi sono diventati, se non amici, comunque non più nemici. Quando ci sarà un premio Nobel per la pace che incoronerà congiuntamente Putin e Zelenskyj, Hezbollah e Netanyahu? Ma perché questa formula sia credibile occorre prima ottenere la cosa più difficile: la giustizia. Non stringiamo la mano all’ingiustizia. Questo è il motivo per cui Lê Duc Tho ha rifiutato conferimento del Nobel. Non è la pace che è difficile da raggiungere, ma la giustizia. E nelle guerre, ciascuna parte è convinta di essere l’unica vittima dell’ingiustizia. L’altro non esiste, va bombardato, liquidato, cancellato. Impossibile fare pace con chi pensa solo a mandarti in una fossa comune.


giovedì 17 ottobre 2024

Un secolo abominevole

 

Al punto in cui siamo della storia, gli ebrei hanno tutte le ragioni per desiderare più di ogni altra cosa un paese dove sentirsi al sicuro. Per arrivare a questo scopo, avrebbero dovuto innanzitutto rispettare le risoluzioni dell’ONU e comunque trattare i palestinesi loro concittadini alla pari e non occupare i territori che spettano di diritto ai palestinesi, non derubando le risorse idriche e altro.

Trasformare Gaza in una terra di nessuno, seppellire Beirut sotto le bombe, puntare a una sorta, tutto sommato, di Hiroshima-Nagasaki senza bomba nucleare, non aiuta questo processo di pace e di condivisione, ma favorisce Hamas e Hezbollah, ossia tutti coloro che sognano l’annientamento, cosa che al punto in cui siamo può trovare presso molti anche delle giustificazioni.

Rispondere a uno shock traumatico con un altro shock traumatico non è la soluzione migliore, né per Israele né per il mondo.

È mia facile convinzione che i nazionalismi, insieme a molti altri crudeli errori contemporanei, abbiano reso il XX secolo un secolo abominevole. La storia si sta ripetendo con troppa facilità anche nel secolo presente (compreso il nazionalismo etnico-religioso israeliano e quello dei suoi avversari). Bisognerebbe capire che una terza guerra mondiale, una guerra combattuta anche con armi nucleari, non è una minaccia vuota. Chi dubita della realtà di questa abominevole minaccia, non ha compreso nulla della storia. Capire che l’unica soluzione per l’umanità, ma la cosa non va di moda, è il socialismo o il comunismo o che dir si voglia, tenendo presente che il socialismo e il comunismo sperimentati nel XX secolo non sono uno stampo di gesso.

mercoledì 16 ottobre 2024

Non è la Wehrmacht, è Israel Defense Forces

 

Che cosa comporta la dualità del sistema giudiziario per gli abitanti dei territori occupati dagli israeliani in Palestina? I palestinesi sottoposti ad apartheid sono innegabilmente nutriti di odio verso Israele, ma anche sottoposti ad una vita di costrizioni arbitrarie che risultano evidenti quando sei costretto a deviazioni di quarantacinque minuti per coprire 1 km a causa di una diga chiusa dal 7 ottobre 2023; controlli infiniti, posti auto rimossi e centinaia di piccoli fastidi quotidiani.

I palestinesi nei territori occupati sono soggetti alla legge militare dal 1967, mentre i coloni israeliani sono soggetti alla legge civile del loro Paese, anche se vivono al di fuori dei confini stabiliti nel 1948. Ciò significa che nei tribunali militari l’esercito è tanto un legislatore quanto un pubblico ministero e un giudice.

Le Convenzioni di Ginevra autorizzano i tribunali militari in tempo di guerra, quando la legge locale non può garantire la sicurezza di un paese occupato. Ma coloro che hanno redatto queste convenzioni non immaginavano un’occupazione così prolungata e, soprattutto, in tal caso si tratta di un’occupazione illegale.

In linea di principio, i palestinesi hanno diritto a un avvocato e spesso vengono difesi gratuitamente da avvocati palestinesi. Ma la difesa non sarà mai molto efficace, perché la legge militare è così dura e parziale che c’è poco che si possa fare. L’intero sistema è ineguale. Gli avvocati palestinesi spesso non sono in grado di visitare i loro clienti – la maggior parte dei quali sono detenuti in Israele – a causa della mancanza di permessi, così che gli imputati preparano la loro difesa solo poco prima del processo. La maggior parte delle decisioni del tribunale sono in ebraico, il che significa che se l’avvocato parla solo arabo, non sarà in grado di fornire una difesa come possiamo immaginarla in un tribunale civile.

Le prime vittime di questa giustizia a due livelli sono i bambini. Facciamo il caso concreto di un bambino di nome Ali, residente nel quartiere di Al-Issawiya, ai confini di Gerusalemme Est. Ufficialmente Ali è accusato di aver lanciato pietre contro un autobus. Da allora, cioè da un anno, è in carcere in attesa del processo.

Un minore israeliano non può essere processato prima dei 14 anni, mentre un palestinese può essere processato a partire dai 12 anni. I minori palestinesi accusati di reati penali vengono processati secondo la legislazione militare in vigore in Cisgiordania, che garantisce loro pochissimi diritti riservati ai loro coetanei israeliani. Queste tutele, come la separazione dagli adulti durante la detenzione e la reclusione, non sono sempre rispettate. Lo stesso vale per le tutele previste dal diritto militare per tutti gli indagati, particolarmente importanti nel caso dei minorenni, come il diritto di consultare un avvocato.

Nel 2009 Israele, in risposta alle critiche, ha creato un tribunale militare per i minorenni. Ma i miglioramenti sono minimi, perché la competenza del tribunale è limitata alla fase del giudizio. Non vi è alcun effetto sulle fasi di arresto, indagine e detenzione. I minorenni quindi generalmente arrivano al processo e alla sentenza nel tribunale dei minorenni dopo essere già stati incarcerati come adulti per la durata della custodia cautelare e poi del processo.

Secondo la ONG Military Court Watch, al 30 giugno 2024 erano 209 i bambini detenuti dall’esercito israeliano. L’obiettivo di Israele è intimidire i minori fin dalla tenera età. Se lanciano una pietra sono considerati terroristi a pieno titolo. L’intero sistema li porta a dichiararsi colpevoli, firmando frettolosamente le confessioni in ebraico. Perché anche quando si svolge un vero processo, le procedure sono così lunghe e le sentenze così severe, sulla base del diritto militare, che spesso non vale la pena dichiararsi non colpevoli. I bambini se la passano meglio se si dichiarano colpevoli e pagano una multa. Nella migliore delle ipotesi, possono essere condannati agli arresti domiciliari, anche se il carcere rimane la norma.

martedì 15 ottobre 2024

La lobby ebraica

 

Ieri sera, aspettavo che la nota giornalista televisiva Lilli Gruber, parlando di quanto sta avvenendo in Libano, facesse un cenno a quanto accaduto nelle ultime ore, ossia l’attacco israeliano all'ospedale "Shuhadah Al-Aqsa” a Deir al-Balah. Ci sono immagini che mostrano donne e bambini palestinesi bruciati vivi nel rogo delle tende di un campo profughi in cui stavano dormendo. L’ospedale di Al-Aqsa stava già lottando per curare un gran numero di feriti da un precedente attacco a una scuola trasformata in rifugio nelle vicinanze che ha ucciso almeno 20 persone quando è stato sferrato un raid aereo di prima mattina.

Gruber non vi ha fatto cenno, così come non fa cenno di molte altre cose. È in buona compagnia, quella di gente che sta molto attenta a non scontentare la grande lobby ebraica. Nulla a che vedere con le stronzate dei Protocolli dei Savi di Sion e altri complottismi consimili. So bene che la tesi della lobby, invocata senza ulteriori precisazioni, non è né vera né falsa, ma vaga, e tuttavia si riferisce a un fenomeno concreto.

Una lobby ebraica esiste, molto potente e ramificata. Nel novembre 1978, Nahum Goldmann, presidente del World Jewish Congress, arrivò al punto di chiedere al presidente Carter di spezzare la ”lobby ebraica” che egli paragonava a “una forza di distruzione”, a “un ostacolo alla pace in Medio Oriente”. Una voce fuori dal coro, che oggi sarebbe additata, paradossalmente, come antisemita.

Cito la Conference of Presidents of Major American Jewish Organizations, dunque all’American Israel Public Affairs Committee (è difficile sopravvalutare l’influenza politica dell’AIPAC nella politica americana), il National Jewish Community Relations Advisory Council, l’Israeli American Council (IAC),la B'nai B'rith, il World Jewish Congress o, per esempio, l’Alliance israélite universelle o l’Organizzazione per il lavoro di ricostruzione, conosciuta con l’acronimo ORT e altre organizzazioni similari.

Queste e molte altre organizzazioni ebraiche svolgono innanzitutto un ruolo eminentemente politico e strategico: non sono “ebrei” in generale, ma professionisti del lobbying, molto più motivati nei confronti di Israele rispetto a molti altri ebrei. La missione essenziale dell’AIPAC (con centinaia di dipendenti, un team di ricercatori specializzati e un budget annuale di decine di milioni di dollari) è monitorare il Congresso, sostenere tra i funzionari eletti una linea incrollabile di sostegno a Israele e, infine, opporsi a coloro che criticano la politica israeliana, qualunque essa sia.

A livello apicale si tratta di ebrei coinvolti nei grandi interessi. Sono parte attiva e numericamente rilevante della lobby mondiale del denaro, quella che controlla il mondo, ossia l’industria, la finanza e le banche, i giornali e altri media, la ricerca e l’università, eccetera. È per molti aspetti una lobby a sé. Un’analisi politica reale del fenomeno è oggi quasi impossibile.

Infatti, questo argomento è considerato, nel mondo politico occidentale, politicamente sensibile, da trattare con grande cautela e addirittura da evitare. La nozione di “potere ebraico” viene interpretata da alcuni come una prova di antisemitismo, e coloro che osano parlarne pubblicamente sono esposti a tale accusa.

Il New York Times, nel 1989, stimava che “la lobby” potesse contare su un minimo di quaranta-quarantacinque senatori (su 100) e duecento dei quattrocentotrentacinque rappresentanti.

Leslie Gelb, editorialista del New York Times, aveva osservato: “Shamir e i suoi alleati possono resistere a qualsiasi pressione da parte dell’amministrazione Bush. Sanno che il Congresso rifiuterà, qualunque cosa accada, di prendere in considerazione una riduzione degli aiuti americani a Israele.» Ciò che valeva per Shamir, vale per i suoi successori, compreso Netanyahu.

Jonathan Jeremy Goldberg, autore di Jewish Power (1996), giornalista specializzato in vita e cultura ebraica, parlava senza complessi, e talvolta non senza ironia, del “potere ebraico” nel sistema politico americano. Nessuno però si sognava allora di accusarlo di antisemitismo o di “odio verso sé stesso”. Oggi queste cose non si possono più pubblicare, né in un libro, né sul New York Times, né altrove.

Gli ebrei hanno etnicizzato la loro religione; da perseguitati, sono diventati persone speciali, si sentono diversi dagli altri esseri umani, sicuramente diversi dagli arabi, e con un diritto speciale sulla Palestina, che fanno risalire a duemila anni addietro. Perciò si sentono legittimati a una lotta che va oltre la semplice difesa di uno Stato, e dunque in diritto di compiervi qualsiasi abominio. In ciò Israele è sostenuta e difesa incondizionatamente da tanti stronzi bianchi, non ebrei, per ragioni che non sfuggono alla logica di una “guerra di civiltà”. Questi stronzi, anche se non lo vorranno mai ammettere, sono complici di quelli che chiamano i territori della Cisgiordania “Giudea e Samaria”. Hanno la stessa posizione della destra e dei fascisti.

lunedì 14 ottobre 2024

[...]

 

Come si può parlare di “legittimità” quando Israele ha violato la Carta delle Nazioni Unite e ignorato sistematicamente decine di risoluzioni dellAssemblea generale e del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, violato la IV Convenzione di Ginevra e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, colonizzando abusivamente i territori palestinesi (tra il 1972 e il 2021, il numero dei coloni israeliani è passato da 1.500 coloni a più di 465.000 nel 2021), praticando l’apartheid, incarcerando migliaia di palestinesi anche solo per il sospetto che siano degli oppositori, torturato, facendo stragi di civili, espulsioni forzate, eccetera. Sarebbe questa l’unica democrazia mediorientale?

Va ricordato che l’articolo 25 della Carta delle Nazioni Unite richiede l’applicazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, e che la Risoluzione 273 (III) dell’UNGA (Assemblea Generale dell’ONU) che ammette Israele all’ONU, prevede che lo Stato: “accetta senza alcuna riserva gli obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite e si impegna a rispettarli dal giorno in cui diviene membro dell’ONU”.

Chiedo a questi “legittimisti” senza vergogna: la vita di un bambino palestinese vale meno di quella di un bambino israeliano? Quanto meno?

giovedì 10 ottobre 2024

[...]

 


(Pieve di Soligo, 10 ottobre 1921 – Conegliano, 18 ottobre 2011)


In questo progresso scorsoio
non so se vengo ingoiato
o se ingoio.

mercoledì 9 ottobre 2024

Il mistero risolto


Non sappiamo ancora con quale salsa fiscale verremo mangiati. Ascolto disperatamente i soliti attori televisivi gonfiati dalla comunicazione mediatica, senza una cultura adeguata, svuotati nell’ideologia (che non è una brutta roba), che non sanno cosa sia il lavoro, la sottomissione alla disoccupazione o a lavori precari. Non sanno nulla di che cosa significhi tirare a campare in tempi di magri salari e alta inflazione.

È impossibile, politicamente, aumentare significativamente le tasse a quel “blocco centrale” chi ha tutti i mezzi per evaderle ed eluderle, grazie alla destra reazionaria e alla sinistra conservatrice (la “patrimoniale” è un pourparler) che hanno l’interesse di rendere qualsiasi aumento della tassazione degli alti cespiti un tabù. Infine, si taglierà la spesa sociale con un’ascia, poi ci saranno i soliti, prevedibili, imprevisti: siccità, inondazioni, nugoli di locuste, ecc..

Quando il Pil crolla, il deficit si allarga, e così il rapporto debito pubblico/Pil esplode. Non è teoria, è storia, la nostra. Prendiamo il caso degli enti locali, che realizzano quasi la metà degli investimenti pubblici. Se si riduce la loro spesa, si costruirà di meno. Il settore delle costruzioni e dei lavori pubblici licenzierà i lavoratori, che vedranno diminuire il loro reddito, con un impatto sulle imprese locali, che porteranno al licenziamento e alla chiusura delle loro attività.

Tutti sanno che meno crescita significa più deficit. Ma oltre alle esportazioni, sono la spesa pubblica, i rimborsi sanitari, le pensioni di anzianità, i sussidi di disoccupazione a sostenere il reddito delle famiglie, e quindi i consumi. E queste spese diminuiranno, come avviene da decenni.

Un’economia tutta volta alle esportazioni, fornendo alle aziende una forza lavoro sempre più precaria e sempre meno costosa, è un’economia malata. Il primo gettito fiscale è l’Iva. E chi paga l’Iva? Il consumatore. Quando compro la mia Golf o Kia, pago l’Iva allo Stato italiano. Non tedesco o coreano. Quando esporto per i fan newyorkesi o cantonesi il made in Italy, costoro pagano l’Iva allo Stato americano o cinese. Da qui il nostro deficit! Questo è il mistero risolto. 

martedì 8 ottobre 2024

Autodenuncia

 

Da giorni abbiamo acceso il riscaldamento senza attendere l’autorizzazione preventiva da Roma o da qualunque altro posto. Con ciò mi autodenuncio. Quali sanzioni siano previste non so, forse il carcere? Purché sia riscaldato.

Un’altra cosa mi preme oggi, sapere di quanti comandanti dispone ancora Hamas ed Hezbollah. Appena lo saprò, lo comunicherò immediatamente all’ambasciata d’Israele, con fiducia in una conclusione rapida della guerra in atto.

Quanto al ministro Giorgetti, che si appresta a 3 miliardi di tagli lineari, prego mettersi in contatto con me. Posso suggerirgli dove facilmente tagliare spese e recuperare evasione/elusione. Certo, poi non troverebbe i voti necessari in parlamento per far passare la manovra, essendo quel consesso diviso tra conservatori di sinistra e reazionari di destra. Distinguerli non è facile.

Domenica prossima sarò, mio malgrado, a una cerimonia: un bimbo di tre mesi deciderà di diventare cristiano e per giunta cattolico.

domenica 6 ottobre 2024

I palestinesi hanno un futuro (*)

 

Le dinamiche demografiche sono molto complesse e l’unica cosa certa è che se morissero molti più bambini ovvero si riducesse di molto l’aspettativa di vita, tornando al passato, la fertilità tornerebbe a crescere. (Gilberto Corbellini, articolo nell’inserto del Sole 24ore di domenica 6 ottobre 2024 pagina VII).

(*) Anche gli ucraini, i russi, i siriani, gli yemeniti, i curdi, eccetera.

venerdì 4 ottobre 2024

[...]

 

Giusto celebrare i sessant’anni dell’inaugurazione dell’autostrada del Sole, magari ricordando che vi furono almeno 160 operai morti per la sua costruzione.


giovedì 3 ottobre 2024

Risparmi

 

Quando pendolavo in su e in giù per il Veneto sui treni, questi immancabilmente arrivavano con qualche minuto di ritardo. Ce n’era qualcuno che arrivava con un ritardo cronico, non c’era modo di arrivare in orario e prendere una coincidenza. Vi furono molte proteste per anni, quando finalmente fu varato il nuovo orario ferroviario. Beh, non ci crederete, ma da allora i treni cominciarono ad arrivare quasi sempre in orario. Qual era stato il miracolo? Molto semplice: erano stati aumentati di pochi minuti i tempi di percorrenza dei treni. È un fatto vero, una soluzione tipicamente italiana. Propongo al ministro dei trasporti attuale: si annuncino i treni solo quando sono in orario. Ciò comporterà fino all’80% di annunci in meno, con un notevole risparmio di tempo da parte del personale ferroviario.


martedì 1 ottobre 2024

E tutti quanti a fare il tifo

 

Chi ha ragione, chi ha torto? La questione, messa così, non trova soluzione. L’esercito israeliano, dopo settimane di bombardamenti sul Libano, ha deciso di invadere. Che altro doveva fare, posto che da mesi dal Libano partono razzi che vanno a colpire le zone residenziali israeliane?

E però tutto nasce, in origine e poi si complica nel tempo, dalla politica di occupazione e di segregazione attuata dal sionismo nei confronti della popolazione palestinese. La soluzione stava nel compromesso, che sia da una parte e sia dall’altra non si è voluta trovare. Soprattutto i sionisti non hanno alcuna intenzione di tenersi i palestinesi tra i piedi se non come utile manodopera.

Il piano post bellico di Netanyahu (il pano Gaza 2035) prevede di ricostruire da zero la Striscia, collegarla alla penisola arabica con nuove infrastrutture, trasformarla in una zona di libero scambio detassata e offrirla ai “Paesi arabi moderati”. Ecco perché è molto sospetto che l’attacco del 7 ottobre scorso abbia trovato davvero impreparata l’intelligence israeliana.

Smantellare Hamas era e rimane il principale obiettivo. Non è da escludere che anche l’autorità palestinese fosse coinvolta in questo piano e per quanto riguarda l’attacco del 7 ottobre 2023 fosse al corrente e abbia lasciato fare.

Una Gaza prospera, facente parte di un’architettura regionale abramitica. Ciò era incompatibile con Gaza avamposto iraniano che stava sconvolgendo l’architettura regionale moderata e le catene di approvvigionamento emergenti dall’India attraverso la Striscia di Gaza fino all’Europa.

Tutto il resto, smentendo anche il pano Gaza 2035, che così com’è non vedrà mai realizzazione, dovrà far parte della Grande Israele. I palestinesi, la loro storia e loro legittimi diritti saranno cancellati per sempre.

L’Europa in tutto questo ha delle responsabilità storiche enormi. La maggiore di queste responsabilità è stata quella di avere consentito e anzi favorito il progetto sionista di immigrazione e occupazione della Palestina. Questa è acqua passata, il domani non appartiene ai palestinesi, ma a un accordo tra Israele e Arabia Saudita, Emirati, Egitto, Bahrein, Giordania, Marocco. Le decine di migliaia di morti assassinati, sono solo danni collaterali nel grande gioco geopolitico ed economico. E tutti quanti a fare il tifo.

sabato 28 settembre 2024

La realtà dissanguata

 

In questi tempi, in cui la realtà sembra ovunque sotto attacco, la concezione ipocrita della verità sembra essere condivisa da molti. I difensori della realtà che cercano di arginare il torrente di disinformazione che si riversa su tutti noi spesso commettono l’errore di desiderare un’età dell’oro in cui la verità fosse indiscussa e universalmente accettata. Affermano che questo è ciò di cui abbiamo bisogno, tornare ai bei tempi. La verità è che la verità è sempre stata un’idea controversa.

Il passato è costantemente rivisitato secondo gli atteggiamenti del presente. Lo sarà anche il nostro presente quando diventerà storia. C’è, tuttavia, del vero nell’idea che nel XX secolo esistesse un consenso diffuso sulla natura della realtà. In generale, condividevamo la stessa concezione della natura della realtà, e il racconto storico, di ciò che era stato, era costruito su questa base. Questo consenso si basava anche su una serie di esclusioni, ma non è questo il punto.

Verso la fine del secolo scorso, sotto la pressione di enormi cambiamenti geopolitici e sociali, la concezione della realtà ha cominciato ad apparire falsificata. Si è creata così un nuovo tipo di realtà. Credo che l’influenza nel discorso pubblico di voci sempre più diverse sia stata una buona cosa, che abbia arricchito e aperto la nostra comprensione del mondo a una maggiore complessità, a una moltitudine di realtà. E però in questa nuova realtà, diventata multidimensionale, fratturata e frammentata, coesistono informazioni importanti e le più palesi sciocchezze, apparentemente con lo stesso grado di autorità.

Il bombardamento di uno Stato sovrano con centinaia di morti civili; a fianco la notizia che ci rivela che il Papa ha preso un caffè a Bruxelles. Una vertigine epistemologica: intorno alla manipolazione dei fatti c’è battaglia, e se diventiamo increduli per prudenza, si corre il rischio di una sordità infame. L’eccesso di menzogna ha reso incredibile l’eccesso di verità, banalizzando il nostro rapporto con la realtà. Quaranta o cinquanta mila morti, un milione, per ora, sono solo numeri. La nostra epoca ha deciso che la realtà di cui ha bisogno per i propri affari deve essere dissanguata.


mercoledì 25 settembre 2024

La notte scende sul deserto

 

«In cima ad un altopiano battuto dal vento, il sergente Nabil passa in rassegna gli uomini. Tutti stanno dritti, il collo allungato, le mitragliatrici in spalla. Nabil consegna a ciascuno un Corano con la copertina di percalina blu decorata con arabeschi dorati. È con il cuore pieno di emozione che Fouad riceve il suo. Alza gli occhi al cielo, cercando la pallida traccia di Al- Buraq, il cavallo alato che portò Maometto dalla Mecca ad Al-Quds, chiamata Gerusalemme, poi da lì al firmamento. Attento! grida il comandante. Stringendo con la mano destra il sacro Corano, Fouad proclama all'unisono con i suoi compagni il giuramento di fedeltà all'IDF e allo Stato di Israele. l’espressione con cui completa il giuramento e che segn la fine della sua formazione di base e un omaggio a coloro che “hanno dato la vita per la difesa della patria e della libertà di Israele.

Negli anni scorsi, prima dei fatti recenti, il numero di musulmani e cristiani, ragazze e ragazzi, che hanno scelto di prestare servizio nelle file dell’IDF è aumentato di dieci volte. Ciò che agli albori di Israele era ancora un aneddoto era diventato un vero e proprio fenomeno sociale».

Questo è il “fenomeno sociale” secondo la propaganda sionista in occidente. Ma come stanno effettivamente le cose?

La legge richiede che ogni cittadino arabo-israeliano (il 21,1% della popolazione nel 2022) si rechi all’ufficio di reclutamento e lì si dovrebbe prendere la decisione in merito al suo arruolamento. Questo non accade, l’articolo 1 della legge sui servizi di sicurezza applica effettivamente l’obbligo di arruolarsi nel servizio di sicurezza a ogni cittadino israeliano e residente permanente, indipendentemente da razza, religione, nazionalità o origine. Si tratta cioè di un “obbligo individuale derivante dall’essenza stessa della cittadinanza israeliana”. Ma nella stessa legge, all’articolo 13, viene conferita al “comandante” la facoltà di non far rispettare tale obbligo.

Il ministro della Difesa ha delegato l’autorità militare, lasciandogli un ampio margine discrezionale quando si tratta di decidere chi convocare all’ufficio di reclutamento. Inoltre, nelle istruzioni della Divisione del personale dell'IDF (istruzione Mag 01-01) è scritto in relazione al “reclutamento delle minoranze” che “come regola generale questa popolazione non sarà reclutata per il servizio nelle IDF”, ad eccezione di “persone che esprimono la loro volontà”.

Vediamo fino al marzo 2023 quanti arabi israeliani, che i concittadini ebrei con sarcasmo e altro chiamano “i cugini di quinto grado”, avevano deciso di indossare la divisa israeliana. Il tenente colonnello Hisham Abu Riya, responsabile del reclutamento dei musulmani nell’esercito presso il Ministero della Difesa, in un’intervista alla rete Herenet B: «Oggi, più di 350 soldati musulmani prestano servizio nell’esercito, la maggior parte di loro nelle unità combattenti. 10 anni fa si contavano sulle dita di una mano».

La maggior parte di loro viene impiegata nel controllo delle migliaia di lavoratori palestinesi che si presentano quotidianamente ai vari punti di passaggio tra le enclavi palestinesi e Israele.

Quali sono o possono essere i motivi che spingono dei giovani arabo israeliani ad arruolarsi nell’esercito israeliano? Innanzitutto molteplici vantaggi economici e sociali come del resto succede in qualunque esercito di volontari. Il servizio nell’IDF consente di beneficiare di una certa formazione professionale, stipendio molto alto rispetto agli standard arabi, e, al ritorno alla vita civile, assistenza abitativa e borse di studio. Anche maggiori possibilità di trovare lavoro, la presentazione di un curriculum militare di buon livello offre un sicuro vantaggio nelle assunzioni.

Altra motivazione adotta, ma tutta da verificare, riguarda lo scisma tra l’OLP e Hamas che ha lacerato la causa palestinese, specie tra i palestinesi non musulmani, e il crescente disincanto nei confronti delle figure dominanti sia a Ramallah che a Gaza.

lunedì 23 settembre 2024

Sapevano

 

L’esercito israeliano ha invaso e bombardando Gaza uccidendo decine di migliaia di persone e radendo al suolo più di 80mila edifici. Per selezionare questi obiettivi, Israele usa un sistema di intelligenza artificiale chiamato Habsora: “Il Vangelo”, il cui utilizzo è stato menzionato anche nell’accusa di genocidio presentata dal Sudafrica contro lo Stato ebraico presso la Corte internazionale di giustizia.

Che cos’è Habsora? È una tecnologia organizzata intorno a un archivio di fonti documentarie che Israele costruisce da anni, a partire semplicemente dagli smartphone e da WhatsApp. Su WhatsApp è possibile rastrellare qualsiasi genere di fonte, anzitutto raccogliere informazioni, che consegniamo a Facebook, o meglio a Meta, la corporation che utilizza Facebook, Instagram, WhatsApp ecc., su chi lo usa e sulla sua rete di relazioni.

Reti che dopo un po’ sono talmente ovvie, evidenti e dichiarate, che consentono di dire: il tal dei tali è militante in una certa formazione politica e i suoi amici più stretti sono A, B, C, D mentre gli altri sono conoscenti, li ha tenuti fuori da un gruppo e sono dentro un altro. Questa tecnologia ha consentito una mappatura assoluta, per esempio, dell’intero mondo palestinese; una mappatura che permette di dire che il tal dei tali abita al settimo piano di un certo palazzo, alla finestra 22, e che ha delle reti che lo identificano come uno che ha molte relazioni in quel particolare mondo.

Quindi sai chi è, sai dov’è, sai il suo grado e gli dai anche un punteggio: lo qualifichi non solo come un interessante obiettivo dal punto di vista della sorveglianza, ma per la sua graduatoria di relazioni molto alta. Questo ti consente di fare una terza operazione: dire alle tue macchine che lo colpiranno, quando deciderai che deve essere colpito, la quantità di “danno collaterale” accettabile rispetto al suo grado di importanza. Importanza minima: tre civili morti; media: dieci civili morti; alto livello: non ha importanza quanti civili morti. Se ne fottono del Diritto umanitario internazionale.

Sono in grado tecnologicamente di decidere i danni collaterali, il possibile e il non-possibile nella nostra vita. Le tecnologie sono pronte, sono in vendita e vengono proposte: Israele vende le proprie garantendo la loro IA come sperimentata sul campo. E vende la penultima versione, tenendosi il modello più avanzato, che usa per controllare l’utilizzatore della tecnologia che ha venduto.

I morti di Gaza, della Cisgiordania, del Libano, non solo soltanto morti degli israeliani. Sono anche morti nostri, perché siamo in grado di sapere che cosa sta effettivamente accadendo. Il nostro silenzio è complice. Perché quei morti, feriti e mutilati non sono solo dello Stato israeliano, sono anche di tutti quelli che dicono che va bene così e di coloro che non sono capaci di vedere la gravità di ciò che accade.

Se condividi il contesto geopolitico statunitense, non fai altro che riprodurre esattamente la logica di potere e la logica del contesto geopolitico di Washington e dei suoi alleati. Non fai altro che lo stesso lavoro di un soldato israeliano sul fronte. Lo stesso lavoro che facevano e che hanno fatto per anni i cittadini tedeschi di fronte ai campi di concentramento: c’erano, i prigionieri venivano prelevati al mattino per fare dei lavori e riportati al campo la sera. Tutti coloro che volevano sapere, sapevano.

domenica 22 settembre 2024

Il mercato della carne (umana)

 

Un milione di morti, scrive il Wall Street Journal. La responsabilità di questa guerra e di questi morti è di Putin, l’invasore. Oppure, Putin non ha fatto altro che difendere la popolazione russa delle regioni ucraine massacrata da quelli che potremmo definire i nazisti dell’Illinois. E ancora: la Russia non poteva fare altrimenti, minacciata da ogni lato dalla protervia bellicosa della Nato e dei suoi vassalli.

Stiamo ancora a discutere su chi ha ragione e su chi ha torto. Un milione di morti, un’ecatombe che però per noi diventa un’astrazione. Il nostro mondo immediato sembra in pace, costruito sui valori della libertà e degli ideali. È solo una finzione rassicurante, tutto può precipitare da un giorno all’altro. Ci siamo già dimenticati di cosa è successo nell’ex Jugoslavia.

Per citare solo un dettaglio, la cui forza testimonia l’entità della regressione nell’odio: al banco della macelleria del mercato di Mostar – oggi deserto di ogni presenza serba – il pezzo di carne corrispondente al filetto di manzo si chiama “braccio serbo”. Già solo questo riferimento antropofagico illustra chiaramente la dimensione culturale che l’odio occupa ancora oggi in questa popolazione uscita dalla guerra civile quasi trent’anni fa.

Prima o poi le armi taceranno anche in Ucraina, ma i traumi causati da questa guerra dureranno per sempre. Una guerra, un massacro, che i responsabili politici occidentali non solo non hanno saputo evitare, ma hanno favorito in ogni modo. Poco importa se l’aggressore è Putin o chi altri, resta il fatto che non hanno fatto nulla per impedire il conflitto e invece hanno fatto e continuano a fare di tutto perché continui. Con armi sempre più potenti e micidiali. Con profitti sempre più cospicui per chi le produce e le smercia. Disposti a scatenare qualunque cosa, pur di poter vantare “vittoria”.

mercoledì 18 settembre 2024

Ci rimane un sogno

 

I trattati europei sono soprattutto testi per la distruzione del potere degli Stati, molto più che per la costruzione di qualsiasi cosa. Questi trattati vietano qualsiasi aiuto degli Stati alle imprese, aiuti che sono alla base del successo americano e cinese, paesi che elargiscono sussidi ai loro investitori e innovatori, li proteggono con dazi doganali, li aiutano a conquistare i mercati, ecc. Il divieto generale degli aiuti pubblici da parte dell’Ue è uno degli esempi più spettacolari del rifiuto intransigente di riconoscere allo Stato anche la possibilità di intervenire nell’economia secondo una propria logica.

Quelli della generazione post 1945 avevano tutto: ottimi servizi pubblici e forte crescita, pur tra gli alti e bassi del ciclo capitalistico. Poi sono arrivati “loro”: l’esperienza democratica e riformistica era durata abbastanza. E ci hanno regalato, facendoci votare per un parlamento fasullo, una tecnocrazia europea al servizio delle imprese multinazionali in ogni settore.

I nostri figli e nipoti, invece, dovranno saper convivere con poco e poi con pochissimo. Oppure andarsene. L’Ue ha preferito spaccare tutto, imponendo a ogni mercato nazionale di “aprirsi alla concorrenza” con l’ossessione dalla riduzione dei costi, che in primis significa bassi salari e lavori precari. Un “mercato unico dei capitali” per indirizzare magicamente gli enormi risparmi europei verso gli investimenti produttivi. Ma i ricchi preferiscono da sempre alimentare la speculazione finanziaria e immobiliare che rischiare i loro capitali nella produzione o nei servizi.

Ecco che cosa avrebbe dovuto scrivere Mario Draghi, se fosse una persona intellettualmente onesta, nel suo rapporto sulla “competitività” dell’Unione europea. Le grandi multinazionali statunitensi e cinesi hanno alle loro spalle lo Stato: non è difficile dimostrare che nella terra della Silicon Valley al centro c’è anche lo Stato e, per quanto riguarda quelle cinesi, è come sfondare una porta aperta.

L’ideologia liberista, o comunque la si voglia chiamare, ha corroso il cervello di troppa gente. Ovvio che l’ideologia da sola non basta a spiegare l’alto livello di autolesionismo e stupidità della UE e di chi sostiene il “libero mercato” (non esiste da un secolo almeno, si tratta con tutta evidenza di un falso libero mercato e libero scambio!). Ad ogni modo, senza entrare in altre questioni e allungare il brodo di questo post, questa locuzione, libero mercato, è diventata uno slogan ideologico che giustifica l’arricchimento smodato di alcuni e lo sfruttamento e l’impoverimento di tutti gli altri.

Il conio di certi concetti ha i suoi orafi: gli anarco-liberali individualisti che il progresso degli indici azionari fa ridere selvaggiamente, un gruppo di poligrafi con pretese di essere sottili e colti. Ci rimane un sogno, quello di immergerli, insieme a tutti gli altri della loro specie, in un bagno di furia e di sangue.

lunedì 16 settembre 2024

La questione demografica: Marx e Malthus

 

Seppur tardivamente, la questione demografica, il drastico calo delle nascite, sembra preoccupare perfino la politica italiana, notoriamente e abitualmente affaccendata su questioni di più grave momento. Gli incentivi a favore della natalità, che in Germania sono cospicui mentre in Italia sono praticamente inesistenti o quasi, non sembrano dare i risultati auspicati. Se non altro nei paesi dove questi incentivi esistono realmente il problema della denatalità è mitigato rispetto al crollo verticale dell’Italia. Del resto in Italia non esiste una politica della casa a favore delle giovani coppie, non esistono politiche salariali e dell’occupazione degne di questo nome, eccetera.

Quella che passa per essere la sinistra, non ha uno straccio di proposta concreta, e del resto non c’è da aspettarsi che gente di certi ambienti sociali, dove prevale l’ideologia liberale tout court, possa proporre alcunché di alternativo in chiave riformistica, quale potrebbe essere un piano casa, da finanziarsi con i proventi dei canoni demaniali rivisti e aggiornati, tassazione dei super profitti bancari, aumento di quella del mercato oligopolistico del gioco d’azzardo (i proventi netti delle slot sono attualmente tassati al 24%), con la confisca dei patrimoni degli evasori fiscali piccoli e grandi, con una tassazione “europea” sulle successioni e donazioni, sulle polizze vita, eccetera, eccetera. Né ci si può aspettare da chi vive di alti emolumenti parlamentari, di partecipazioni societarie e lucrose cedole, di affitti e canoni, l’introduzione della scala mobile anche per i salari. Di questo passo, la destra, qualunque possa essere la sua bandiera, semplicemente conservatrice o spavaldamente reazionaria, governerà l’Italia e l’Europa per tutto questo secolo, forse anche per il successivo.

*

Malthus fu il responsabile intellettuale della riforma della Legge sui Poveri del 1833, che abolì ogni forma di soccorso a livello parrocchiale. Non è questo l’unico motivo per cui fu tanto inviso a Marx ed Engels. Malthus fu anche l’autore del Saggio sul principio della popolazione (1798), e Marx ed Engels, al contrario di altri autori del loro tempo, non si proponevano di confutarlo sul punto centrale della fertilità, trascurando altre variabili (*).

Gli orientamenti del pensiero di Marx sulla popolazione, erano direttamente collegati a due elementi teorici fondamentali del Capitale, l’accumulazione e il plusvalore, che rimandano ad una questione centrale, la previsione del collasso del capitalismo. Per Marx ed Engels era necessario adottare l’approccio opposto a quello “naturalistico” (“eterna legge di natura”) di Malthus, perché la teoria demografica può essere compresa solo attraverso la teoria economica.

Marx propone una legge sulla popolazione e cita i dati demografici che è riuscito a raccogliere. Nei termini di Marx, la legge della popolazione si riduce a spiegare la crescita demografica attraverso l’accumulazione di capitale e soprattutto attraverso l’evoluzione della sua composizione organica.

Tutto separa Malthus da Marx: l’approccio stesso del pensiero, ondulato nell’uno, strutturato nell’altro, la costruzione teorica e infine il ruolo politico. Una cosa li accomuna: entrambi hanno proposto una vera legge sulla popolazione. O meglio, entrambi erano fermamente collocati sul piano teorico, Malthus credendo nell’universalità nel tempo e nello spazio del principio di popolazione, Marx postulando l’esistenza di leggi demografiche specifiche per ciascun modo di produzione.

Come leggere ciò che Marx scrisse sulla popolazione? È certamente necessario verificare la coerenza della costruzione teorica, che riguarda l’economia politica – poiché la legge della popolazione è quella di un modo di produzione – concentrandosi più particolarmente sui suoi concetti centrali, quelli di domanda di lavoro e di plusvalore (capitolo 25 del I libro del Capitale). Ma non solo: un primo contributo era stato dato da Engels con l’analisi della povertà della classe operaia come fattore di matrimonio precoce e di elevata fecondità. Un altro è il riconoscimento delle varie forme di mobilità e in particolare dell’entità dell’esodo rurale. La morbilità, la malnutrizione e la mortalità negli ambienti della classe operaia sono un terzo contributo.

Ora, se l’economista Marx propone una legge demografica del capitalismo, essa deve tenere conto di tutti i comportamenti socio-demografici, quelli dei capitalisti, dei lavoratori, delle altre classi sociali, anche se sono condannati a scomparire. Ma se la qualità del sociologo delle classi lavoratrici è indiscutibile, Marx dice ben poco sul comportamento demografico delle altre classi sociali. Il che, a sua volta, priva la sua costruzione teorica della verifica sperimentale.

Mentre collega magistralmente l’analisi del funzionamento concreto del capitalismo alla teoria dell’accumulazione di capitale, il concetto di sovrappopolazione relativa per analizzare il funzionamento del mercato del lavoro, e infine sono convincenti i dati demografici specifici della condizione di lavoro, tuttavia l’osservazione demografica complessiva relativa a quella stessa Inghilterra negli anni Sessanta dell’Ottocento lo mette in difficoltà per il motivo che non poteva utilizzare i dati relativi all’intera popolazione, interpretandoli come se fossero rilevanti per una sola classe sociale.

Non avendo potuto distinguere ciò che era specifico della classe operaia da ciò che riguardava l’intera popolazione, Marx non relativizzò le implicazioni teoriche delle sue concezioni molto concrete in termini di fertilità, matrimonio, mortalità e migrazione. Non tenne conto insomma, in termini di teoria della popolazione, del ruolo delle altre classi sociali e in particolare di quella classe sempre più allargata che oggi definiamo come classe media. Né ancora si manifestava così chiaramente – e dunque non possiamo farne troppo torto a Marx – ciò che è avvenuto in seguito, ossia il tramonto della famiglia patriarcale e l’impatto della nuova condizione della donna in rapporto alla produzione di figli.

Malthus, dal canto suo, mettendo in guardia contro il rischio di insufficienza della domanda effettiva, aveva di fatto minato definitivamente l’ottimismo liberale riguardo al futuro del capitalismo. Keynes, che condivideva anch’egli questa opinione, aveva, come noto, proclamato Malthus il primo degli economisti di Cambridge, per aver previsto, contro Ricardo, il rischio di una crisi generale legata ad un’insufficienza della domanda effettiva.

Ciò detto, tuttavia, dal punto di vista della dottrina sociale, Malthus si pronuncia in modo molto moderno, ossia a favore di una società composta da classi medie, che consentirebbe di massimizzare la domanda effettiva. È l’industria che permette, a lungo termine, come principale fonte di domanda di lavoro, di migliorare il benessere e risolvere il problema sociale, stimola la crescita demografica senza comportare un peggioramento delle condizioni di vita della popolazione. Nel breve termine, la regolamentazione si ottiene attraverso le fluttuazioni del tenore di vita e dei tassi di matrimonio, che variano entrambi con la domanda di lavoro.

Marx vide chiaramente la posta in gioco politica, ed infatti scriveva nelle Teorie del plusvalore: “Malthus ammette la produzione borghese purché non sia rivoluzionaria, che non sia una forza storica, ma che crei una base materiale più ampia e più conveniente per la vecchia società”. Del resto, non è aumentando le classi improduttive che si eviteranno le crisi. Su questo punto Marx non poteva quindi che combattere strenuamente Malthus. Infatti, se esiste una soluzione alla crisi del capitalismo dal lato dei consumi, se nonostante il processo di accumulazione, le scorte derivanti dalla produzione di massa a prezzi bassi possono affluire sui mercati grazie alle classi medie consumatrici, allora le contraddizioni del capitalismo vengono disinnescate.

L’equivoco di base di Malthus e dei suoi epigoni, è pensare che la contraddizione centrale dell’economia capitalistica sia da rintracciarsi nel rapporto tra produzione e consumo. Pertanto essi individuano la causa della crisi nella sovrapproduzione di merci determinata dalla loro difficoltà a realizzarsi in seguito al sottoconsumo, vale a dire alla povertà e alla limitatezza di consumo delle masse.

Tra parentesi, anche la cosiddetta teoria di sproporzionalità appartiene al novero delle concezioni che individuano la causa della crisi nella sola sovrapproduzione di merci. Per i sostenitori della teoria della sproporzionalità, la crisi dell’economia capitalistica deriverebbe da uno sviluppo sproporzionato dei diversi settori della produzione sociale.

Nel modo di produzione capitalistico la contraddizione tra produzione e consumo assume effettivamente una rilevanza di primo piano, poiché la crisi di sovrapproduzione è anche “crisi di sottoconsumo”, benché quest’ultima ne rappresenti unicamente un lato, un aspetto, non la necessità.

Le contraddizioni operanti nella sfera del consumo, infatti, sono indotte da quelle interne alla sfera della produzione. Di conseguenza la genesi della crisi va ricercata nella produzione di plusvalore, e non nella sua realizzazione. Procedere in senso inverso, collocando cioè la contraddizione principale nella circolazione, conduce inevitabilmente alle interpretazioni della crisi come, appunto, crisi di sottoconsumo. Questa tesi alimenta l’illusione che sia possibile risolvere la crisi intervenendo sulla sfera del mercato e degli investimenti, in definitiva agendo sul movimento del denaro, dei tassi e sulla fiscalità.

(*) Schumpeter, tanto per citare un autore noto alla larga platea, discute brevemente ed evasivamente le leggi demografiche malthusiane e marxiste e le rimanda una dopo l’altra. Anche il pensiero economico recente si rivela deludente (potrebbe essere diversamente con questi chiari di luna?).

domenica 15 settembre 2024

Un "popolo" diverso dagli altri

 

La guerra di Benjamin Netanyahu a partire dall’ottobre 2023 è direttamente influenzata dall’ideologia sionista. Il sionismo è soprattutto un progetto politico: ricostruire gli ebrei come nazione. Non volevano più essere una minoranza innestata in un collettivo nazionale europeo, ma formare il nucleo di una nazione ebraica. Un simile progetto richiedeva di riunire nello stesso luogo gli ebrei europei, ritenendo che il luogo più adatto fosse la Palestina, una minuscola regione del vasto Medio Oriente considerata la terra d’Israele, in nome di una storia e di una memoria ebraica di pura fantasia, così com’è pura ideologia il riferimento a un’origine biologica comune come criterio decisivo di definizione di appartenenza allo stesso popolo.

Nell’ideologia sionista l’occupazione della Palestina è insieme un ritorno (ritorno a Sion) e un nuovo inizio, in un Paese che deve essere aperto all’immigrazione ebraica. Ciò porta inevitabilmente a un conflitto che mette di fronte chi c’era da migliaia di anni e chi arriva con la pretesa fondarvi uno Stato (Grande Israele) in quella che ritiene essere la sua terra. Per gli arabi nativi, questi nuovi arrivati erano e sono degli estranei. Per gli ebrei diventa criminale l’opposizione violenta della popolazione locale.

Al giorno d’oggi, il sionismo si dichiara favorevole alla democrazia, ma ha solo una definizione di democrazia, nel senso strettamente elettorale: “Abbiamo la maggioranza, facciamo quello che vogliamo” e con questa maggioranza neutralizziamo, uno per uno, tutti gli oppositori al nostro potere (vedi la legge del 19 luglio 2018 approvata dalla della Knesset). È questa l’essenza ideologica del sionismo politico, sin dalla sua formulazione da parte di Theodor Herzl. Per gli ebrei in Israele, la parola “sionismo” ha un significato che non è altro che un sinonimo di “patriottismo”. Dire “sono un sionista” è dire “sono un patriota”.

La condizione ebraico-sionista si intreccia con la dimensione religiosa. Ebreo è chi nasce da madre ebrea; la nazione ebraica concepita dal sionismo ha inventato le procedure di naturalizzazione israeliane: chiunque voglia entrare nella nazione ebraica deve sottoporsi ad una conversione davanti alle autorità rabbiniche. Non solo Israele è lo Stato-nazione del popolo ebraico, ma l’appartenenza religiosa si confonde di fatto con la cittadinanza israeliana, con un ebraismo nazionalista standardizzato dal potere civile.

Una parte significativa della società israeliana è religiosa e praticante e quindi avanza esigenze specifiche riguardo all’organizzazione della vita pubblica in conformità ai comandamenti religiosi. Situazione non molto diversa da quella dei paesi islamici fondamentalisti.

L’attuale coalizione governativa è composta da cinque partiti: il Likud, di cui Netanyahu è a capo, ed è l’unico a non definirsi un partito religioso. Al contrario, gli altri quattro, Shas, Torah Judaism, Jewish Force e Religious Zionism, sono tutti partiti confessionali. Shas e Torah sono partiti ortodossi, il primo riunisce l’elettorato ultraortodosso dei mizrahì originari di Medio Oriente e Maghreb, il secondo è ortodosso ashkenazita (immigrati originari est Europa). Sono sulla stessa linea massimalista del governo riguardo ai territori occupati. Gli altri due gruppi, il Sionismo Religioso e la Forza Ebraica, seguono una linea suprematista, che traggono dalla loro interpretazione etnocentrica della fede ebraica e della promessa divina. Questi quattro partiti sono insieme perché il loro elettorato è religioso e tradizionalista.

Per il sionismo religioso, presieduto da Betsalel Smotritch, e il partito Jewish Force, guidato da Itamar Ben-Gvir, ciò che conta è l’ingiunzione della promessa divina, come la intendono loro. Secondo loro bisogna tornare nella Striscia di Gaza non solo per sradicare Hamas, ma per ricreare gli insediamenti smantellati nel 2005. Tutti e quattro i partiti invocano Dio nei loro discorsi, ma i due partiti più estremisti invocano Dio per giustificare colonizzazione e l’insediamento a Gaza e in Cisgiordania.

Oggi prevale la versione sionista che persiste nel voler colonizzare la Palestina con tutte le sue forze e tutti i mezzi. Chi non la pensa come loro è, ai loro occhi, un antisionista. Chi dice di essere sionista e però si dice anche contrario all’occupazione dei territori è in una palese contraddizione. Dichiararsi antisionista è come dichiarare il proprio antisemitismo, ossia negare il diritto degli ebrei ad essere un popolo come gli altri. Solo che gli ebrei non si considerano un popolo come gli altri.

venerdì 13 settembre 2024

Determinismi interiorizzati

 

Negli anni 1960, Andy Warhol spiegò di amare gli Stati Uniti perché, in questo paese, un milionario e un senzatetto bevevano la stessa Coca-Cola. Non gli venne nient’altro in mente a proposito della produzione d’identità e, per contro, delle reali differenze di classe. Anche i suoi “dipinti” erano prodotti in serie, ma non li vendeva ai senzatetto. Come fabbricare un paio di jeans per i ricchi e un altro per i poveri?

Prima di essere un sistema, il capitalismo è un problema: come creare distinzione? Come possiamo garantire che la stratificazione sociale venga perpetuata? La sopravvivenza del sistema dipende dalla sua capacità di rispondere a questa domanda. Ogni classe sociale non ha solo gli articoli a lei destinati, ma anche i luoghi in cui può acquistare i suoi.

In passato il lusso era naturalmente riservato ai nobili; oggi, ci sono negozi riservati a una manciata di persone facoltose, di proprietà di miliardari e destinati ai milionari. Un nuovo modo di considerare il privilegio. I poveri restano fuori, a guardare le vetrine. E andranno a casa per ordinare su Internet. Tutti interiorizzano i vincoli di classe, ed è così che il sistema regge: facendo liberamente le nostre scelte.

Lo stesso vale per gli asili nido, le scuole, le spiagge e anche per i partiti politici e i loro elettori. Sempre di braghe di tela e altri bling-bling si tratta, ma ad ognuno sono offerte le sue preferite. Comprese le “idee” politiche.

Poiché la maggior parte dei bisogni primari è stata soddisfatta, non restano che oggetti inutili che devono essere resi essenziali. Lo scopo del capitalismo consiste nell’inventare costantemente nuovi desideri. Quello della politica è d’inventare nuovi miti, nuovi slogan, nuove bugie, nuove stronzate profonde in cui credere. Sfumature senza le quali il sistema non sopravviverebbe.

mercoledì 11 settembre 2024

Il vento maligno

 

Normalmente, quando un partito ottiene poco più del 50% dei voti, vince le elezioni e ottiene il diritto di governare. E peccato per il 49% degli elettori del campo avversario. Tuttavia, anche se il 49% non è la maggioranza, rappresenta comunque quasi la metà degli elettori. È davvero democratico che il 51% degli elettori imponga il proprio programma al restante 49%? Non proprio, ma è così che funziona in democrazia, compresa la repubblica di Weimar.

Salvo che negli Stati Uniti, il paese più democratico del mondo, in realtà un paese binario e diviso. Puoi prendere anche 3 milioni in meno di voti popolari e però prendere possesso legalmente della Casa Bianca e dei relativi poteri, compreso quello di dichiarare guerra a chiunque.

Ci sono posti come il Nevada dove firmi su un registro e voti. Nello Stato di New York esiste anche la descrizione fisica dell’elettore, mentre in California è sufficiente inserire il tuo nome e indirizzo in un registro e gli addetti al seggio devono solo verificare che i recapiti compaiano sulle liste elettorali.

A novembre si terrà un referendum a favore o contro Trump. È sulla base di queste anacronistiche follie che Trump farà affidamento per contestare le elezioni qualora dovesse essere battuto da una maggioranza risicata. Il vento maligno della Storia, dei suoi demagoghi e dei suoi assassini, ha ripreso a soffiare con forza.

domenica 8 settembre 2024

Una gigantesca menzogna

 

«Una persona che, come me, si è occupata per gran parte della vita di letteratura inglese e americana, dovrebbe aspettarsi come prima domanda al suo ritorno da un viaggio negli Stati Uniti: «Qual è la situazione presente nella letteratura americana?» e se non sapesse rispondere con informazioni precise e dettagliate, magari accomodate in una prospettiva speciosa, non dovrebbe meravigliarsi di sentirsi rimproverare di non conoscere il proprio mestiere e il proprio dovere. Non è che io non abbia fatto sondaggi, ma l’unica conclusione a cui mi par lecito giungere è la stessa che in ogni altro Paese culturalmente di primo piano nel mondo occidentale: si possono fare dei nomi come John Updike, Malamud, Truman Capote, ma la verità è che dopo la scomparsa di Faulkner nessuna figura cospicua, neanche Steinbeck, come vorrebbero alcuni, è da segnalare nella letteratura americana. Quanto poi ai cappelloni di qui, sono ancora infatuati del romanzo utopistico dell’inglese Tolkien, su un popolo completamento immaginario.» (Mario Praz, Il mondo che ho visto, p. 158).

Nell’aprile del 1927, nel delta del Mississippi, dopo i violenti temporali durante il fine settimana di Pasqua, il fiume ha iniziato la sua più grande piena a memoria d’uomo (bianco). Milioni di ettari sommersi, mezzo milione di sfollati, centinaia di morti, soprattutto neri sfruttati nelle piantagioni di cotone. Appare subito evidente che le cause di questa devastante alluvione non sono solo meteorologiche: le capacità di assorbimento dei suoli del bacino del Mississippi furono ridotte dalla deforestazione, dal drenaggio delle zone umide e dalla monocoltura, che mirava ad espandere lo sfruttamento industriale del cotone. Gli ingegneri che costruirono il sistema di dighe si sbagliavano nella comprensione del comportamento del fiume. L’intera nazione è colpita da questa tragedia, si riattivano le divisioni della Guerra Civile: il Nord giudica il Sud arcaico e razzista, e il Sud accusa il Nord di sfruttare le sue risorse.

William Faulkner aveva compreso molto presto questo problema. Cresciuto sul fiume, ha capito prima di chiunque altro che gli atti politici hanno un peso anche sulla natura. La grande alluvione del 1927 gioca un ruolo importante in molti dei suoi capolavori, come L’urlo e il furore o Mentre morivo (As I Lay Dying). È durante la grande alluvione che i neri, forza lavoro delle piantagioni, non poterono andarsene: furono trattenuti con la forza dai proprietari, con l’aiuto della guardia nazionale. La Croce Rossa rinchiuse le famiglie nere in quelli che lei stessa chiamava campi di concentramento, per tenerle a disposizione e per farle lavorare rafforzando le dighe.

Non esiste un luogo in cui commemorare la memoria della schiavitù, non più di quanto esista un luogo dedicato alla memoria della distruzione dei nativi americani, l’altro crimine su cui sono stati costruiti gli Stati Uniti.

La storia ufficiale degli Stati Uniti d’America è una gigantesca menzogna.