L’Introduzione per l’edizione in opuscolo
di Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, che uscì a Berlino nel 1895,
fu scritta da Engels pochi mesi prima della sua morte, fra il 14 febbraio e il
6 marzo 1895. Proprio il 6 marzo, tramite una lettera di Richard Fischer, la
direzione del Partito socialdemocratico tedesco, adducendo motivi di
opportunità tattica e accennando al pericolo sempre incombente di una legge
contro i socialisti (*), chiese ad Engels di attutire il tono, ritenuto troppo
rivoluzionario, dell’Introduzione e
di accogliere una serie di modifiche che si considerava necessario apportarvi.
martedì 31 maggio 2016
lunedì 30 maggio 2016
Il lungo sonno di Ricolfi
L’editoriale
di ieri su Il Sole 24 ore è a firma
di Luca Ricolfi, con un titolo chandleriano: Il lungo sonno della produttività italiana. Il prof. Ricolfi ci ricorda subito che il risveglio della produttività è la condizione necessaria per la ripresa del Paese. Caso mai l'avessimo dimenticato tra un sorso e l'altro di delorazepam.
Per
spacciare un simile mito ci vogliono delle motivazioni “giuste”, che
coinvolgano una vasta platea: bisogna scrivere che l’aumento di produttività deve accompagnarsi alla creazione di nuovi e migliori posti di lavoro, all’aumento
dei salari e ad aziende più dinamiche e moderne.
Balle. Primo: è la produzione basata sul valore di scambio che sta mostrando sempre più la sua divaricante contraddizione e il suo limite storico. Secondo: il lavoro in forma immediata cessa sempre più di essere la grande fonte della ricchezza.
Poi, di contorno: quante
altre auto inquinanti, cibo spazzatura, appartamenti sfitti, illusioni a buon
mercato bisogna produrre in surplus per soddisfare il mito della produttività,
il bisogno insaziabile di valorizzazione del capitale, la brama del profitto?
Nuovi
e migliori posti di lavoro non ci saranno, la disoccupazione – sanno benissimo
– nel medio-lungo e lunghissimo periodo aumenterà per effetto delle nuove tecnologie, quanto all’aumento dei salari esso pregiudica la cosiddetta “competitività” in presenza di un
quadro di stagnazione e caduta del saggio del profitto (in rapporto al capitale
investito).
La
banda larga, canta Ricolfi. Sì, quella c’è l’abbiamo già da secoli e dobbiamo
mantenerla. E poi vai col valzer della riduzione della pressione fiscale, degli
investimenti in R&S, “il caso italiano difficile da spiegare in modo
convincente”, “che la stagione del ristagno duri ininterrottamente da
vent’anni”. Eppure, non era con “la più grande ondata di privatizzazioni mai
vista in un’economia occidentale”, quindi “Imponendo un decennio di sacrifici alle
famiglie”, ossia tagliando i salari, che sarebbe aumentata efficienza, produttività e redditività?
Ah, secondo Ricolfi la causa del disastro sarebbe riconducibile al mito nefasto del “federalismo”, tanto per citare qualcosa, quindi l’immane
moltiplicazione dei centri di decisione, dei soggetti coinvolti nei processi
politici, e poi le “esternalità” positive e quelle negative. E dunque, in
definitiva, il problema sarebbe eminentemente politico. Ma allora la soluzione è a portata di mano, di riforma.
Professor
Ricolfi, le dice niente “struttura produttiva”, rapporti di forza, quote di
mercato, scomparsa della grande impresa, debolezza di quella media ed eccessiva
ampiezza di quella piccolissima, divisione internazionale del lavoro e collocazione
assegnataci dagli anelli forti della catena (europea ed internazionale), quindi
ferrea legge del profitto che costringe alla delocalizzazione, eccetera? Non le pare evidente che la spinta al rinnovamento tecnologico ed alla crescita degli
impianti, cioè all’aumento della composizione tecnica del capitale (sennò
l’aumento della produttività come lo realizzi, coltivando marjuana? è un'idea!), è ben
diversa per chi produce scarpe, tessili ed elettrodomestici, e per chi, invece,
sforna acciai speciali ed elettronica? Certo, soggiungo, che Marchionne torna qui a
produrre le sue macchine, ma non per aumentare i salari e diminuire il saggio
di sfruttamento. Non per pagare le tasse sugli utili.
Ricolfi, ci dice nulla sui motivi della sua decennale letargia?
venerdì 27 maggio 2016
Il golpe democratico
Nel
2013 alle elezioni per la Camera il Pd ottenne il 25,42% dei voti, il Movimento
di Grillo il 25,55, vale a dire circa 8,6 milioni di voti per lista. Il Pd in
forza dei voti ottenuti in coalizione ottenne la maggioranza di 345 seggi alla
Camera. Ma al Senato le cose andarono, in
forza del Porcellum, diversamente.
Con
la nuova legge elettorale, l’Italicum,
basta poco più di un terzo dei voti (37%) perché una lista o una coalizione
ottenga 340 seggi su 618. Nel caso una lista ottenesse almeno il 37% dei voti,
ma un numero inferiore di seggi per raggiungere la maggioranza assoluta,
scatterebbe ugualmente il premio di maggioranza (+ 15 per cento) fino ad un
massimo di 340 seggi. otterrebbe così, rispetto a un sistema proporzionale puro, oltre cento deputati in più. Cosa che del resto accade, per la Camera ma non per il Senato, anche con il Porcellum.
Poniamo, per contro, che né il Pd e né il M5S alle prossime elezioni ottengano il 37% dei voti, che
essi registrino lo stesso risultato del 2013. Con un sistema
proporzionale puro si avrebbe la seguente assegnazione di seggi:
Partito
democratico:
8.600.000 voti, 158 seggi circa.
Movimento
cinque stelle:
8.600.000 voti, 158 seggi circa.
Con
l’Italicum si andrà al ballottaggio.
La lista vincente otterrebbe, nell’esempio dato, un premio di maggioranza con
321 seggi su 630. Vale a dire circa 163 seggi
in più di quanti ne avrebbe ottenuti sulla base dei voti espressi al primo
turno.
Solo
un piccolo, ininfluente dettaglio: il nuovo Senato, non più eletto
direttamente, non conta più una cippa, con una maggioranza assoluta di 340 o anche solo di 321 seggi alla
Camera, cioè di deputati che rispondono solo al loro capo – sia esso Renzi,
Grillo o Pinco Pallino – e che da esso dipendono per la loro riconferma, il Capo stesso può far approvare
sul tamburo qualunque legge. Spetterà poi alla Consulta, dopo anni,
pronunciarsi eventualmente sulla loro costituzionalità.
Come
non avvedersi che, posto il trucco della riduzione del Senato a una accolta di
belle statuine (ecco perché modificazioni costituzionali e legge elettorale vanno assieme sulla scheda del referendum), con la nuova legge elettorale va in scena un altro e decisivo
atto di un golpe … democratico?
Il mero titolo di cittadini
Scrive
il direttore del Sole 24ore che il
costo del lavoro in Italia è cresciuto negli ultimi lustri più che in paesi
come la Germania o la Francia. Non so s’è vero, ad ogni modo si tratta di oneri,
di tassazione, poiché i salari dell’industria italiana non sono paragonabili a
quelli dell’industria tedesca e nemmeno di quella francese. Sono tra i più
bassi dell’area euro. Ma questo particolare viene taciuto, poiché la malafede è
tanta e non ci si può aspettare, al riguardo, alcuna parola di verità da chi
scrive unicamente in difesa degli interessi del padronato e da questi è pagato.
La
stessa cosa dicasi per quanto riguarda la produttività del lavoro: lo
sfruttamento della forza-lavoro italiana è tra i più intensivi non solo in
Europa, ma nell’Occidente. E dunque se la produttività del lavoro, pur in
presenza di uno sfruttamento più elevato della forza-lavoro, ristagna,
evidentemente cause e motivi vanno ricercati altrove. E perciò c’è tanta
ideologia e malafede nelle dichiarazioni del nuovo presidente degli industriali
italiani: “costruire un capitalismo moderno fatto di mercato, avendo come
bussola lo scambio salari-produttività”. Tradotto, significa: aumentare ancor
di più il saggio di sfruttamento della forza-lavoro.
Da
questa gente non c’è da aspettarsi nulla, essi possono confidare altresì nella
mansuetudine dei lavoratori italiani. In Francia non è così. Verrebbe quasi da
dire che i lavoratori italiani sono in generale senza dignità. E però bisogna
tener conto di una situazione assai diversa da quella francese. I lavoratori
italiani sono stati, più ancora che in Francia, abbandonati da tutti, dai partiti
(che non esistono più) e dai sindacati, i quali sono gli unici attori
accreditati a negoziare i contratti collettivi nazionali: niente sindacati di
base, niente sciopero (il conflitto non è più ammesso, pena sanzioni [*]), di
modo che lo sfruttamento da individuale e privo di regole diventa collettivo e
regolato (vedi accordi sottoscritti del 28 giugno 2011, del 31 maggio 2013, e
del 10 gennaio 2014).
I lavoratori sono stati abbandonati anche da quel ceto intellettuale
che almeno a parole un tempo si schierava dalla parte di chi per sopravvivere
deve sfangarla davvero. A questi milioni di lavoratori rimane il mero titolo di
cittadini, nel loro insieme costituiscono ancora formalmente il popolo sovrano,
ma la realtà è ben diversa, poiché quando tutto è aleatorio e i lavoratori sono
sottoposti alla volontà incondizionata dell’impresa da cui dipende la loro
vita, allora questi lavoratori non diventano altro che oggetto di scambio,
degli schiavi dei loro padroni.
[*]
Lo sciopero è un diritto individuale, che però viene sempre esercitato in forma
collettiva: presuppone quindi l’esistenza di una organizzazione dei lavoratori che
lo dichiari. Con gli accordi sottoscritti da CGIL, CISL, UIL e Confindustria, un
sindacato è sottoposto a sanzioni economiche e sospensione di diritti
sindacali, nel caso utilizzi l’arma dello sciopero come “iniziativa di
contrasto”, ossia l’unica forma di lotta con cui i lavoratori abbiano mai
ottenuto risultati concreti. Sono state create pertanto le condizioni perché
nessuna associazione sindacale possa dichiararlo, e ciò significa nei fatti
rendere nullo il diritto di ogni singolo lavoratore.
giovedì 26 maggio 2016
A proposito di tubi
Per
un paio di giorni, tanto dura un dibattito in questo paese sulle questioni più
serie, si parlerà di tubature e di acqua. Giustamente, anche perché l’acqua che
esce dal rubinetto di casa quasi mai è davvero potabile. Diciamo
che il più delle volte è passabile. Si tratta ad ogni modo di chiacchiere poiché
poi non succederà nulla.
Anche
di un altro tema si dovrebbe dire e a lungo poiché riguarda la nostra salute,
segnatamente la salute dei cosiddetti meno abbienti, vale a dire dei comuni
mortali. E comuni mortali non è un’espressione a caso in una società di classe.
Perciò, nel caso fosse sfuggito, segnalo questo articolo, soprattutto a coloro
che dicono che il capitalismo non c’entra mai nulla. Il trucco, l’infamia, è di
far passare per “naturale” ciò che invece è definito dal sociale.
Pertanto,
“malattia” è una comoda classificazione che consente di rimuovere dei problemi
e perpetuare le condizioni sociali che nel determinarla hanno tanta parte. Un
esempio: il lavoro salariato ammala e uccide. Ridurre la giornata lavorativa
significa ridurre anche l’incidenza delle malattie (non solo di quelle
classificate “professionali”) e delle morti. Il capitale non succhia solo
valore dal lavoro dell’operaio e del salariato, ma la sua stessa vita.
Per
capire l’uomo abbiamo bisogno di un modello qualitativamente diverso da quello
del verme; per comprenderne la complessità non basta scansionarne il corpo
inserito in un tubo.
mercoledì 25 maggio 2016
Una svolta che oggi non siamo ancora in grado di valutare appieno
“Un mese poco brillante per la
produzione, peggiore per le vendite. A marzo
i ricavi dell’industria italiana cedono l’1,6% su base mensile
destagionalizzata, il 3,6% in termini annui, peggior dato da agosto 2013. Una
caduta in entrambe le misurazioni Istat legata soprattutto alla frenata sul
mercato interno, dove il fatturato cede il 4,4% rispetto allo stesso mese
dell’anno precedente”.
“Su base mensile il fatturato è invece in flessione dell'1,6% a marzo e nella media
dei primi tre mesi dell'anno dell'1,1%. L'andamento del fatturato è peggiore
per il mercato interno mentre sul mercato estero si registra un leggero aumento
sul mese (+0,1%) e una diminuzione del 2,2% sull’anno. I ricavi su base annua
segnano una diminuzione del 4,4% sul mercato interno e del 2,2% su quello
estero.”
C’è
sempre da imparare qualcosa dalla stampa economica, specie quando mischia pere
e patate, ossia quando parla di calo dei ricavi mettendoli in rapporto al calo
del fatturato (e viceversa). Tra l’altro sarebbe bene sapere che non sempre i
ricavi, ossia i profitti, vanno di pari passo con l’andamento del fatturato.
Il
mondo dell’informazione procede così, zoppo. Si titola, per esempo: “Siderurgia,
in aprile l’Italia leader globale della crescita”, per poi scoprire due
cosette interessanti: 1) su oltre mezzo miliardo di tonnellate di acciaio
prodotte annualmente, l’Italia è leader globale della crescita con … circa lo
0,4 per cento della produzione globale; 2) tale pseudo primato della crescita
pare peraltro dovuto alla “diversa scansione delle ferie pasquali tra il 2015 e
il 2016: il maggiore tonnellaggio di questo aprile si giustificherebbe perché
rapportato con un periodo condizionato dal rallentamento produttivo dovuto ai
fermi pasquali”.
*
martedì 24 maggio 2016
Si fa strada
Dalla
crisi del capitalismo non si esce ed ognuno s’arrangia come può. È la
ripetizione, come già scrivevo sei anni fa, degli stessi temi e degli stessi
problemi degli anni Trenta. Ma con varianti di cui tener conto: non si tratta
di una classica crisi di ciclo, come ormai tutti hanno finalmente capito. Si
tratta – e di questo non se ne vuole prendere atto – della crisi
generale-storica del modo di produzione capitalistico.
Un
sistema sociale ed economico in crisi profonda che produce insofferenza, paura
e irritazione in ogni classe sociale, dove ognuno tende a risolvere,
illudendosi, i problemi in proprio. Non solo l’Inghilterra e l’Austria, ma
anche l’America, affidandosi a Donald Trump, un miliardario che promette di
“fare grande l'America di nuovo”, a base di sciovinismo e di nazionalismo
estremo.
Altra
variante rispetto al passato riguarda l’armamento bellico disponibile. I carri
armati di Hitler con cannoncini da 60 mm., a confronto, fanno tenerezza. Ciò di
cui non ci si rende ben conto è che tutto può precipitare all’improvviso, nel
torno di alcuni mesi o anche poche settimane.
*
Sul
fronte interno sarà bagarre fino ad ottobre e oltre. Con la nuova legge
elettorale il partito che vincesse le elezioni anche con un vantaggio dello 0,1
per cento dei voti, potrebbe aggiudicarsi anche 200 deputati in più. Il governo
potrà così far approvare da una maggioranza assoluta di nominati ciò che vuole.
Cosa che del resto già avviene. Infatti, quanto alle modificazioni
costituzionali, di là del fatto che esse siano buone o cattive, resta che esse
sono state scritte da un governo presieduto da un parvenu che nessuno popolo
sovrano ha eletto, e soprattutto sono state approvate da un parlamento eletto con una legge elettorale
che la corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale su due punti
fondamentali, il premio di maggioranza e la mancanza delle preferenze.
Il
bonapartismo si fa strada. Quale pensiero antagonista può opporsi a quello
dominante?
*
Alle
elezioni del 1933, il partito nazista ottenne il 43,9 per cento dei voti. Per governare
Hitler aveva bisogno della maggioranza assoluta, perciò promosse la coalizione con
il Partito Popolare Nazionale Tedesco. Invece, per approvare il “decreto dei
pieni poteri”, Hitler aveva bisogno ben più della maggioranza assoluta, cioè
gli era necessaria la maggioranza dei due terzi, che ottenne solo con
l’appoggio del Centro cattolico. Le dittature fasciste nel Novecento sono nate
solo grazie all’appoggio delle classi possidenti e dei cattolici.
venerdì 20 maggio 2016
Sua Maestà il Caso
La prima linea è una gabbia in cui si
attende nervosamente ciò che sta per avvenire. Siamo stesi sotto la tettoia
incrociata delle granate, nella tensione dell’ignoto. Sopra di noi sta sospeso
il caso. Quando arriva un colpo tutto quello che posso fare è ripararmi la
testa; dove cadrà non posso saperlo con precisione, né posso intervenire.
E’ proprio la causalità che ci rende
indifferenti. Alcuni mesi fa ero in un rifugio e giocavo a carte: dopo un po’
di tempo mi alzai e andati a trovare alcuni amici in un altro rifugio. Quando
tornai, del primo non rimaneva più nulla: era stato annientato da un grosso
calibro. Tornai allora al secondo e giunsi in tempo per aiutare a
dissotterrarlo perché, nel frattempo, era franato.
Per puro caso posso essere colpito e per
puro caso rimanere in vita. In un rifugio a prova di bomba posso essere
schiacciato e allo scoperto posso resistere incolume a dieci ore di fuoco
tambureggiante. I soldati rimangono in vita soltanto per casualità; perciò
ciascuno crede e ha fiducia nel caso.
(Erich
Paul Remark, Niente …, Neri Pozza
2016, p. 76).
giovedì 19 maggio 2016
L’equivoco di fondo
Molte,
diverse e contrapposte le interpretazioni che vengono offerte sui media in riferimento ai nuovi dati
forniti dall’Inps sull’occupazione. L’equivoco di fondo però resta sempre lo
stesso: le nuove norme sulla regolamentazione dei contratti di lavoro (Jobs
act) non possono di per sé cambiare di segno l’andamento dell’economia. Se
la domanda ristagna per quale motivo dovrebbe ripartire la produzione? Se una
trattoria ha sempre lo stesso numero di clienti – tanto per tenerci su un
esempio di buonamano – per quale motivo dovrebbe assumere altro personale di
servizio?
Chiaro
che le agevolazioni per i padroni (totale decontribuzione per i contratti a tempo
pseudo-indeterminato) hanno favorito soprattutto la trasformazione di molti
contratti, ma per quanto riguarda la nuova e reale occupazione di forza-lavoro
non c’è stato e non poteva esserci alcun significativo e duraturo cambiamento. Per
incidere sull’occupazione bisogna che l'economia cresca, dunque è necessario mettere quattrini per allargare la domanda (quella che un tizio spiritoso chiamava propensione al consumo).
Questo
fatto del resto è noto, anche se fa comodo ai pescetti in barile fingere d’ignorarlo. Ed ecco dunque
che si annuncia da un lato delle misure di detassazione per il ceto medio, in
modo da aumentarne la capacità di spesa, e dall’altro di chiudere Equitalia, in
modo da favorire “risparmi” sulle imposte dovute. Si tratta in ogni modo di
misure che se anche andassero a buon fine avrebbero il fiato corto, anche e
soprattutto per quanto riguarda l’occupazione. Di là degli aggiustamenti congiunturali
di breve periodo (al massimo della durata di qualche semestre), l’occupazione
tenderà invece a cadere per i noti e ribaditi motivi.
Inoltre,
non va mai dimenticato che i debiti nuovi vanno a sommarsi con quelli
pregressi. Come diceva l'Immenso: è la somma che fa il totale. Pagheremo tutto, pagheremo caro, soprattutto le illusioni distribuite a gratis.
mercoledì 18 maggio 2016
Senza bisogno di catene o particolari costrizioni
Ciò
che è accaduto negli ultimi tre decenni ha cambiato il nostro modo di pensare e
di relazionarci con il mondo. A questi cambiamenti non abbiamo opposto, sul
piano generale, alcuna resistenza, anzi, li abbiamo accolti come un segno, in
realtà un mito, di progresso e di maggiore libertà, e comunque come un fatale
destino. Del resto, come opporsi alle nuove tecnologie e a un certo loro
impiego? Tecnologie, specie quelle digitali, con le quali entriamo in un certo ordine
del discorso, in una sintassi di pensiero predetermina e che non controlliamo.
Al contempo, utilizzatori e riproduttori di un sistema che ci domina e nella
sua albagia ci ricatta.
Accettiamo
tutte le nuove forme di schiavitù, che vanno a sommarsi a quelle più
“classiche”, senza bisogno di catene o particolari costrizioni. La
nostra è una schiavitù volontaria e spesso bene accetta, proprio perché abbiamo
perso, o non abbiamo avuto abbastanza, il senso vero di che cos’è, o dovrebbe
essere, la libertà. Se solo prendiamo ad esempio la comunicazione, abbiamo la
prova di come sia stata ridotta la nostra libertà, laddove la comunicazione
passa necessariamente su delle piattaforme controllate da alcune delle più
grandi imprese multinazionali, che solo alcuni lustri or sono non esistevano, le
quali realizzano i più alti fatturati e all’interno di essi i più cospicui
profitti.
lunedì 16 maggio 2016
Il vero rimedio a tutto
Se
una colonia di topi ha la possibilità di accedere a una maggiore quantità di
cibo, il numero dei suoi individui, fatte salve le altre circostanze, aumenterà
più velocemente e in una progressione data. Con apparente paradosso, se nella
società umana aumenta la disponibilità di cibo e diminuisce quella lavorativa, fatte salve le altre
circostanze, si assisterà ad un fenomeno opposto, ossia a un calo demografico.
Evidentemente le colonie di topi e la società umana seguono leggi demografiche
diverse. I topi seguono leggi di natura, mentre la società umana segue leggi
storico-sociali.
Vi
sono due modi per affrontare la questione demografica: da un punto di vista
scientifico o da quello empirico. Quest’ultimo si basa sempre su opinioni ideologicamente definite. Ecco
il motivo del successo delle idee maltusiane in materia. Eppure, per rimanere
sulla traccia dell’empirismo in modo da non affaticare troppo il lettore,
basterebbe chiedersi per quale motivo un secolo fa o anche solo cinquant’anni
or sono si facessero più figli. La risposta dovrebbe sorgere spontanea se non
fossimo stati disabituati dal nostro "ambiente sociale" a ragionare con la nostra
testa.
Il
governo nel distribuire quante elemosine sostiene di favorire la natalità, tuttavia
non saranno pochi i nati che, raggiunta la maggiore età, decideranno – obtorto collo – di cercare lavoro e
fortuna altrove. E poi, per quale motivo aumentare le nascite a fronte di
un’altissima disoccupazione giovanile?
Ebbene,
per sintetizzare, è la domanda di uomini a regolare necessariamente la
produzione degli uomini, come di qualsiasi altra merce. In altri termini, il
cambiamento della composizione tecnica del capitale, in virtù del quale la
parte costitutiva variabile diventa sempre più piccola a paragone di quella
costante, ha un effetto demografico molto più decisivo di qualsiasi pensata
governativa.
L’ho
già scritto, il vero rimedio è l’eutanasia obbligatoria per gli over 70, ciò consentirebbe
consistenti risparmi sulle pensioni, la sanità, l’assistenza, dando al contempo
un forte impulso alle innumerevoli attività connesse al “caro estinto”.
venerdì 13 maggio 2016
La contesa è aperta
Vuolsi così colà dove si puote / ciò
che si vuole, e più non dimandare
Anche
se non tutti i politici sono dei ladri sono in molti a rubare. Così la pensano
i magistrati. Al resto pensano i media, l’informazione ridotta a cronaca
giudiziaria, gossip, scandali e intercettazioni, veline dalle procure. Con le
loro inchieste i magistrati non hanno mai colpito il sistema, tant’è che è
rimasto in piedi nei suoi due più importanti pilastri: la corruzione e la
criminalità organizzata. Che non sono realtà che appaiono o scompaiono, non solo
sono consustanziali al capitalismo, ma ne sono per molti aspetti l’anima. E
questo non si può ammettere.
L’intera
responsabilità viene scaricata sull’individuo non sul sistema nel suo complesso,
e del resto compito del magistrato nell’applicare le leggi non è quello di
portare alla sbarra l’ordine costituito. Inoltre, pareva che le forme d’illecito
fossero una peculiarità della pubblica amministrazione, statale e locale, con i
partiti come comitati d’affari. Era così ferma tale convinzione, che dopo aver smantellato
il sistema dei partiti della prima repubblica, e l’aver privatizzato tutto o
quasi, l’aver decantato il project finance, il federalismo, la deregulation, la
spending review, nel 2008 fu soppresso L’Alto commissariato per la prevenzione
e il contrasto della corruzione.
giovedì 12 maggio 2016
[...]
La
gente non aveva la più lontana idea di ciò che stava per accadere. In fondo i
soli veramente ragionevoli furono i poveri, i semplici, che giudicarono subito
la guerra come una disgrazia, mentre i benestanti non si tenevano dalla gioia,
nonostante proprio loro avrebbero potuto rendersi conto molto prima delle
conseguenze.
Katczinsky
sostiene che ciò proviene dall’educazione, che rende idioti; e quando Kat dice
una cosa, ci ha pensato a lungo.
mercoledì 11 maggio 2016
Lascia o raddoppia
L’ultimo
editoriale di Eugenio Scalfari è di raro interesse: dopo essersi opposto alle
modificazioni costituzionali di Matteo Renzi, ora dà sostanzialmente il suo via
libera, pur tra qualche proposta di modifica che non ha ovviamente alcuna
probabilità di essere presa in considerazione.
Renzi “è bravo, ha un carisma
che eguaglia e forse supera quello che ebbe Craxi ai suoi tempi”. Scalfari
scrive che non si oppone “affatto al monocameralismo, esiste in quasi tutti i
Paesi d'Europa”. E rincara: “Non mi oppongo neppure a chi comanda da
solo, con un ristretto cerchio magico di devoti: anche questa, in una società
complessa come quella in cui viviamo, è diventata di fatto una necessità”.
Con
un’eccezione, chiarisce Scalfari, fondamentale: “ci dovrebbe essere una
oligarchia invece del cerchio magico dei devoti”. Cita l’esempio
dell’oligarchia che ha governato durante la prima repubblica, un’oligarchia
formata allora da “un personale politico molto qualificato e una struttura
operativa che furono gli elementi essenziali della libertà democratica”.
Scalfari rammenta un quadro politico e sociale che non esiste più: oggi invece Renzi e
il renzismo sono un prodotto culturale e politico di una società che da allora
ha subito mutazioni radicali. Svuotata la funzione dei vecchi partiti
sclerotizzati, c’è bisogno di leader che sappiano evocare le pulsioni e cogliere
i bisogni di buona parte di quella società che viene definita “liquida”, con il
sostegno del capitale industriale e finanziario, dunque dei media, nonché di
quelle consorterie affaristiche in odor di massoneria nostrana e internazionale
che chiamano lobby.
La feticizzazione dello sviluppo tecnologico
Al
riformismo non è mai interessato l’abolizione del lavoro salariato, ha puntato
sempre sullo sviluppo delle forze produttive per giungere a condizioni di vita
migliori per le classi lavoratrici. Ciò sembrò realizzarsi nelle fasi alte del
ciclo economico, tanto che la questione del socialismo, dopo una certa data,
complici le esperienze pseudo socialiste del Novecento, non si è più posta nel
dibattito politico della sinistra, se non in termini estremamente generici e in
ambiti assai marginali.
Come
dire: sviluppiamo le forze produttive capitalistiche e raggiungeremo il socialismo!
Questo
modo d’intendere lo sviluppo storico affonda le proprie radici nella Seconda e Terza Internazionale, e si regge sulla falsa convinzione che lo
sviluppo delle forze produttive sia di per sé misura del “progresso sociale”.
Ma, nel modo di produzione capitalistico, “progresso tecnico” e “progresso
sociale” non sono affatto equivalenti come si vuol far credere.
Sicuramente
senza “progresso tecnologico” il “progresso sociale” resta fermo all’utopia, ma
è altrettanto vero che dal momento che il cosiddetto “progresso tecnologico” è
anzitutto progresso delle tecniche capitalistiche, ogni feticizzazione della
tecnologia è fuori luogo!
Infatti,
dal lato della classe operaia, il "progresso tecnico" si manifesta
come aumento della produttività e dell'intensificazione del lavoro, nonché come
aumento della disoccupazione; dal lato del capitale, invece, come accrescimento
del tempo di pluslavoro. Come si vede, uno stesso fenomeno provoca non solo
differenti interpretazioni, per quanto la borghesia intenda spacciarlo
univocamente come “progresso sociale”, ma soprattutto diverse determinazioni
concrete.
martedì 10 maggio 2016
Le disuguaglianze sociali: materializzazione del dominio reale di classe
Ieri
pomeriggio, nella trasmissione Geo
della Rai, fascia oraria per i più giovani, era ospite in studio uno dei soliti
esperti sui “mali” che affliggono l’umanità, il quale poneva in rilevo che: 1)
almeno un milione di bambini italiani vive in povertà assoluta; 2) il 15 % dei
ragazzi fino ai 15 anni non è in grado di risolvere la più elementare
operazione aritmetica e il 25 % non è capace di comprendere il più semplice dei
testi scritti. Tali percentuali diventano rispettivamente del 25 e del 40 per
cento nelle famiglie povere e del 7 e 10 per cento in quelle benestanti.
La
conduttrice della trasmissione, che non fa mai, tra l’altro, mistero della sua
confessione religiosa, si è lasciata andare, in riferimento ai dati riferiti, a
tutta quella serie di frasi retoriche che hanno lo scopo di non dire
assolutamente nulla sulle cause di simili condizioni sociali. Avrebbe potuto
far riferimento alle disuguaglianze sociali, ma nemmeno questo s’è sentito
dire.
Ad
ogni modo, anche le anime belle che a ogni piè sospinto chiamano in causa le
“disuguaglianze sociali”, non fanno altro che menar il can per l’aia. Le
disuguaglianze sociali non sono la causa
della povertà e dei suoi corollari, esse sono la conseguenza di determinati rapporti sociali, dunque dei rapporti di classe, ossia dei rapporti economici tra le diverse
classi sociali. Quante volte sentiamo in televisione o leggiamo nella stampa di classi sociali,
di rapporti di sfruttamento?
lunedì 9 maggio 2016
Non ti abbiamo dimenticata
Il
7 ottobre 1934 nasceva Ulrike Meinhof, una donna straordinaria, un’intellettuale
coraggiosa, tra i più acuti commentatori politici tedeschi degli anni Sessanta,
la quale diventerà la figura simbolo della Rote Armee Frakion. Caduta
prigioniera, dopo quattro anni d’isolamento totale, il 9 maggio 1976, dopo aver
subito torture quotidiane, fu assassinata orribilmente su mandato della
socialdemocrazia tedesca nel lager di Stammheim.
Gran
parte di ciò che è stato scritto sulla figura di questa militante rivoluzionaria,
è falso. Ulrike non era una “teorica disperata” come l’ha definita Heinrich Böll,
né un’eroina del revolver alla Bonnie, ma una persona che conosceva paure e
scrupoli. Era una donna di quasi quarant’anni, madre di due figlie, separata.
Il suo impegno politico fu determinato, dapprima, da ragioni morali. Da
studentessa, uscendo dal torpore borghese e dalla torre d’avorio degli
interessi scientifico-letterari, aderiva all’appello di 18 professori contro l’armamento
atomico della Repubblica federale.
venerdì 6 maggio 2016
La Cupola
Prendiamo
per valido il principio che la sovrastruttura democratica sia effettivamente attuata,
ossia che non sussistano motivi economici e sociali che inficiano fin dalle
fondamenta tale principio, e che dunque siamo in presenza di uno Stato di
diritto, dove una Costituzione non può essere violata e che lo stesso Stato
deve rispettare nel proprio agire, dove la sovranità appartiene effettivamente al
popolo e il Parlamento è suo rappresentante, con il potere di emanare le leggi,
e dove il governo è espressione della maggioranza politica, a cui spetta il
compito di governare, e insomma dove la separazione dei poteri – legislativo,
esecutivo e giudiziario – non è solo un modo di dire.
Prendiamo,
dicevo, per buona questa favola e ubriachiamoci di buoni propositi e rechiamoci
alle urne. Sennonché c’è l’Europa, la UE, con le sue istituzioni che sono
tutt’altro che democratiche. Il Parlamento europeo, per esempio, è l’unica
istituzione eletta direttamente dal popolo, ma di poteri reali non ne ha manco
l’ombra. Infatti, non esercita alcun potere legislativo, il quale resta nelle mani
dell’esecutivo, in concreto in quelle della Commissione europea e del Consiglio
europeo (composto dai capi di Stato o di governo): la prima propone il testo di
legge, il secondo lo approva o respinge; il Parlamento ha il solo potere di
emettere un parere non vincolante
(*).
giovedì 5 maggio 2016
Di che cosa si duole Prodi e quelli come lui?
Sembra
che il primo vero problema comune dell’Unione Europea sia quello
dell’immigrazione. Al fondo però vi è un altro problema che sta minando la tenuta
della UE, più ancora dell’arrivo in massa degli immigrati, e riguarda
l’economia, il perdurare della crisi o stagnazione che dir si voglia, peraltro
accompagnata da demenziali politiche di rigore (politiche anticicliche
avrebbero comunque il fiato corto). La situazione bancaria e del credito in generale
ne è solo un aspetto, rilevante, ma non la causa. Né, al contrario di quanto
afferma Romano Prodi, la causa della crisi può essere ricondotta al
sottoconsumo (*).
Innanzitutto
ha prevalso un postulato economico che non ha alcun fondamento teorico
scientifico, tanto è vero che è smentito anche dal punto di vista empirico. Che
poi, per contro, sia un problema di banca centrale nazionale che emette moneta
è un fatto che solo dei superficiali possono credere. È ciò trova clamorosa ma
anche banale conferma con quanto succede da un quarto di secolo in Giappone, il
quale ha una banca centrale che emette moneta e partecipa all’asta dei titoli
pubblici, acquistandoli direttamente (90% dei titoli in mano ai giapponesi).
E
sia chiaro che la soluzione della crisi, compresa quella bancaria (che può far
saltare il tappo), non passa attraverso Francoforte (che non potrà fare “acquisti”
all'infinito). La crisi è intrinseca alle leggi del capitalismo, peraltro un sistema economico che non ha nulla di
sociale e non è riformabile, così come, del resto, il capitalismo etico
propugnato da Bergoglio è solo un’illusione, tanto quanto quello che chiacchiera
di decrescita. Stiamo andando a passi veloci verso la resa dei conti.
*
mercoledì 4 maggio 2016
Sinistra & bla bla bla
Nel
question-time di oggi alla Camera si poteva ascoltare il deputato Scotto, di
Sel, rivolgere al presidente del Consiglio la richiesta di rendere illegali
i voucher (nel 2015 ne sono stati
venduti 115 milioni, dei quali, tra l’altro, 30 milioni sono scomparsi,
sottratti al fisco). Renzi ha risposto che non ci pensa proprio di abolirli, e
ciò non sorprende nemmeno un poco. Il deputato Scotto, nella sua replica, ha
affermato che “La vera questione morale di questo paese si chiama lavoro povero, caporalato del XXI secolo”.
Il
lavoro salariato, in qualunque forma esso si esprima, non rappresenta una
questione morale (peraltro non avvertita come tale da parte di chi lo sfrutta),
non più di quanto fosse avvertita come tale la schiavitù antica, o la schiavitù
denunciata da Harriet Beecher Stowe.
La
sinistra (quel che passa per essere tale) non è capace di produrre un pensiero
di verità in grado di scardinare il racconto menzognero proposto e riproposto
dalle élite attraverso i media e che diventa parte del lessico comune. Una
cultura che non vuole criticare il sistema capitalistico se non per smussarne
le contraddizioni più stridenti, una sinistra che nel nome si richiama alla
libertà, ma di fatto si lascia suggestionare da questa parola astratta.
Libertà di chi? Non è la libertà di un singolo individuo di fronte a un altro
individuo. È la libertà che ha il capitale di schiacciare il lavoratore. E al capitale questa sinistra sta solo reggendo il moccolo.
domenica 1 maggio 2016
Le persone per bene come Eugenio Scalfari
L’articolo
odierno di Eugenio Scalfari se la prende con tutto e con tutti, tranne che con
se stesso. Di quest’uomo vanesio non ricordo di aver mai letto un accenno di reale
autocritica, come se non c’entrasse nulla con quanto è successo in questo paese.
Denuncia spesso un’élite politica incompetente, certamente, ma egli fa parte a
pieno titolo e in posizione di grande rilievo di un ceto intellettuale compiacente
e complice, venduto totalmente alla filosofia del sistema capitalistico, di rigattieri
della pace sociale, sirene della retorica democratica che si collocano sempre
sopra le responsabilità. Scrive:
La corruzione diffusa purtroppo in
tutte le classi sociali, dai più abbienti al ceto medio fino a quelli sulla
soglia della povertà, ha come condizione preliminare il declino della
democrazia partecipata. Di fatto è la scomparsa dello Stato come soggetto
riconosciuto dai cittadini e quindi la scomparsa, nella coscienza delle
persone, del concetto d’interesse generale. L'effetto è il sovrastare degli interessi
particolari, delle lobby economiche, delle clientele regionali, dei singoli e
del loro circondario locale.
È
operazione ipocrita ed odiosa quella di mettere tutti nello stesso calderone,
le lobby politiche ed economiche e chi nella disperazione cerca di avere un
posto di lavoro. In questa situazione di degrado e corruzione diffusa le
responsabilità non possono essere spalmate in modo uguale su tutte le classi sociali, dai più abbienti al ceto medio
fino a quelli sulla soglia della povertà. Perché non dire che mentre la spesa
amministrativa e sociale non si discosta dalla media europea (*) le
privatizzazioni sono state vergognose svendite per foraggiare i profitti degli
amici imprenditori, faccendieri, banchieri nostrani ed esteri, professionisti (in
cordata)?
La
corruzione ha, tra le altre, come condizione preliminare che un funzionario del
capitale guadagni 100 o 2.500 volte il salario di un operaio; inoltre, la sfiducia
nello Stato trova ottimi motivi laddove l’operaio e il datore di lavoro, sulla base
della legge, sottoscrivono un patto che poi la Monti-Fornero rende carta
straccia. Il “mercato nero e il lavoro nero”, in seguito citati da Scalfari,
sono diventati istituti legali (voucher, ecc.), dando modo al padrone di fare
del lavoratore ciò che vuole.
La
scomparsa, nella coscienza delle persone del concetto d’interesse generale
nasce dall’esempio offerto da chi predica sacrifici per gli altri senza mai
rinunciare a un proprio privilegio, da chi legalmente, per esempio, può
permettersi di (non) pagare le tasse dove vuole. Da chi non dedica nemmeno un
rigo nel suo articolo odierno al Primo Maggio …
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