venerdì 21 febbraio 2014

Il capitalismo delegato


Quando parliamo di “ricchi” e di élite ci riferiamo a figure sociali generiche ed indistinte. I ricchi, per esempio, fanno parte dell’élite del denaro, ma non necessariamente di quella del potere economico. Specie nelle grandi proprietà industriali non sono più i capitalisti ad essere – per dirla con un vecchio apologeta del capitalismo – l’anima dell’industria; essi spesso ignorano le caratteristiche stesse dei processi di produzione della propria industria, tanto che l’anima del sistema industriale sono i manager.

Quanto vale per il capitalista industriale, vale allo stesso modo per il capitalista monetario allorché con lo sviluppo del credito quello stesso capitale monetario ha assunto un carattere sociale concentrandosi nelle banche e nelle società di intermediazione finanziaria e da queste, non più dai suoi proprietari immediati, dato a prestito e investito speculativamente.



Sono ugualmente dei manager a gestire le società di intermediazione finanziaria, note come investitori istituzionali (sia ben chiaro: nulla a che spartire con i governi), che raccolgono denaro dei singoli investitori per farli fruttare a beneficio dei loro sottoscrittori investendoli prevalentemente in obbligazioni o in azioni [1]. Come investitori istituzionali vengono di norma intesi i fondi pensione, i cosiddetti fondi comuni o aperti, le compagnie assicurative, le banche d’investimento e le fondazioni. Non una piccola parte di questi investitori sono in realtà filiazioni dirette o indirette di grandi banche.

Come ho già avuto modo di dire in un post recente, le attività dei fondi pensione ammontano oggi a circa l’83% del Pil dei 13 maggiori mercati pensionistici, e assieme a quelle dei fondi comuni arrivano al 75% del Pil mondiale. In altri termini, decisivi pacchetti azionari e obbligazionari di corporation e società sono in mano agli investitori istituzionali. L’attività di questi fondi d’investimento e delle banche consiste nel creare denaro sottoforma di titoli, ossia creare denaro per mezzo del debito.

Il denaro con il quale si stima l’avere e l’essere di questo mondo, figura solo contabilmente ed esiste materialmente solo in misura marginale. Il denaro monetario, la cartamoneta che usiamo nel negozietto di prossimità, costituisce circa il 3% del totale; il resto, il 97%, è costituito da denaro virtuale, “simbolico”, compreso quello dei nostri salari e pensioni accreditati nei conti correnti (a pensarci bene, certe teorie cervellotiche sul cosiddetto signoraggio, sono quisquilie a confronto). Ciò consente, tra l’altro, di trasferire somme enormi da un conto all’altro, da un capo all’altro del mondo, istantaneamente nelle 24 ore. Si calcola che il 40% di tali movimenti avvenga automaticamente per mezzo di computer che si autogovernano.

In buona sostanza si tratta dell’intreccio di tre branche finanziarie: 1) le banche commerciali o di deposito (le cito, pur tenuto conto dell’abrogazione della Glass-Steagall); 2) il sistema finanziario di banche d’investimento e i fondi speculativi, che possono avere un altissimo rapporto tra indebitamento e capitale proprio, cioè di copertura di cassa; 3) un sistema finanziario ombra, non di rado emanazione delle banche (come le società dette “veicolo d’investimento strutturato”), delle quali è impossibile conoscere che cosa contengono e quali rischi incorporano, quanto valgono e da chi sono posseduti i titoli che circolano. Un mistero che neanche la massoneria …..


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Abbiamo fin qui due figure del capitalismo maturo, il capitalista, che scompare come figura principe del processo di produzione classico (mero proprietario giuridico del capitale) e come capitalista monetario (mero azionista della banca e della società finanziaria), e il manager, ossia colui che si occupa dell’amministrazione e controllo dell’attività imprenditoriale, sia di tipo industriale che di tipo finanziario, anche se a volte le due funzioni vengono ad incarnarsi nella stessa persona [2].

Più spesso, però, la figura del manager finanziario non è legata, almeno direttamente, all’attività industriale. Tuttavia, come detto, nel portafoglio delle società d’intermediazione finanziaria che essi gestiscono, detengono cospicue e spesso preponderanti partecipazioni azionarie di aziende industriali. Spesso più dei manager industriali essi godono di una grande autonomia, e nella gestione di enormi patrimoni essi esercitano un potere immenso sull’economia globale.

I manager industriali e i fund manager sono dei funzionari stipendiati. Il manager industriale vero e proprio è un salariato del capitale, i suoi emolumenti, per quanto cospicui, fanno parte del capitale variabile investito nell’attività industriale [3]. Diversamente, i manager della finanza sono retribuiti con una quota del profitto ottenuto dal capitale produttivo d’interesse [4]. Entrambe queste figure di manager possono personalmente detenere una quota societaria minima o anche nessuna quota delle società di cui sono al vertice.

Tuttavia l’identificazione della proprietà giuridica dei mezzi di produzione, o la proprietà di società finanziarie, con la proprietà economica di tali attività, risulta impropria, essendo la proprietà giuridica una delle determinazioni possibili della seconda, ma non necessariamente.

Va sottolineato che è l’occupazione della posizione reale nel rapporto di produzione che definisce l’appartenenza di classe, perciò il fatto che i manager siano dei funzionari salariati o stipendiati del capitale, non significa che essi facciano parte di una classe sociale distinta da quella dei capitalisti. Essi in ragione del posto che occupano nel rapporto di produzione sono parte integrante della borghesia, e ciò indipendentemente da altre considerazioni sulla provenienza di classe, sui livelli di reddito, ecc. [5].

Il lavoro di direzione di questi manager si manifesta come diretta funzione del capitale, e ciò gli conferisce poteri che riguardano sia l’utilizzazione delle risorse, la destinazione dei mezzi di produzione a questo o quell’impiego, sia la direzione del processo lavorativo o l’indirizzo sul tipo d’investimento. Ogni manager appartiene alla frazione di capitali di cui occupa il posto: capitale industriale, finanziario, commerciale, ecc..

A queste frazioni della borghesia se ne aggiunge un'altra, ossia quella del funzionario politico, quale manager del potere legislativo ed esecutivo, o quale manager di istituzioni con funzioni tecnico-politiche. Anche in tal caso la sua collocazione di classe è data dalla funzione, ossia dal posto che egli occupa in un determinato sistema di economia sociale. Ma non tutti i politici, in quanto parte della sfera “politica” dello Stato, di enti locali o di organismi politici sovranazionali, sono dei borghesi, essendo la “politica” una categoria sociale. Perciò bisogna distinguere di volta in volta il ruolo e la funzione specifica del singolo agente politico, prescindendo da considerazione sulla sua “relativa autonomia” rispetto al progetto politico su cui si muove nelle singole congiunture, o la sua retribuzione, ecc.. Ai suoi gradi più bassi e subalterni (i cosiddetti peones parlamentari, per es.), il funzionario politico è prevalentemente un piccolo borghese che in determinate circostanze può intervenire nella lotta di classe in posizione contraddittoria rispetto agli interessi della classe dominante o della frazione che controlla lo Stato (in tal caso si parla di “dialettica democratica”).

Per andare sul dettaglio, non è casuale che i leader politici in posizione apicali provengano quasi sempre da banche private, in pratica da Wall Street, in particolare dalla Goldman Sachs, da Blackstone, dalla J.P. Morgan Chase, dalla Barclays Plc, dal Carlyle Group ed altre banche d’affari presenti in ogni settore dell’economia, oppure dal mondo accademico laddove si distilla l’ideologia che permea il sistema economico vigente. Sono i consiglieri di quella stessa élite fatta di capitalisti (Bill Gates, Ingvar Kamprad, Lakshmil Mittal, Carlos Slim Helu, ecc.) e di grandi manager ad essere i reali padroni del mondo. Questo personale politico viene piazzato con funzioni fiduciarie in organismi come la Bce, la Commissione europea, la Trilaterale, il WTO, la Banca Mondiale, il Fondo monetario internazionale, la Federal Reserve, la Banca dei regolamenti internazionali e cupole simili che controllano la creazione e il flusso di denaro [6].

Il 2 per cento delle famiglie controlla l’80 per cento dell’intero patrimonio mondiale, e un numero ancor più esiguo di manager controlla la maggior parte degli assets mondiali, i mega-media, e tutto quanto c’è da tenere in pugno. Le loro risorse sono 15-20 volte il Pil mondiale, un oceano di denaro con cui comprare i personaggi politici (promuoverne la carriera e le campagne elettorali, i circoli, le fondazioni, ecc), funzionari e editorialisti di ogni paese, ossia quel grumo di poteri marci stipendiato direttamente con posti e incarichi milionari di consulenza e simili.

Il “popolo sovrano” ha accettato questo stato di cose, arrivando a riconoscerlo come il prodotto di leggi naturali ovvie, in cambio di un piatto di lenticchie peraltro sempre più precario. E questo stato di cose non potrà mutare ordinariamente.

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Chiudendo questo argomento, trattato necessariamente in modo assai sommario e schematico, mi resta da dire, per completezza e non perché ognuno non lo sappia, che qualsiasi operatore privato è del tutto indifferente e si ritiene irresponsabile alla natura e alle conseguenze del suo investimento, sia che si tratti di acquistare azioni o obbligazioni di società che producono farmaci o granaglie, sia che si tratti di società che producono armamenti, oppure ancora che si tratti di multinazionali che deforestano per coltivare mais per biodisel. La sola cosa che conta realmente per questi investitori istituzionali è la massimizzazione del profitto, ossia il più alto rendimento possibile delle loro attività.

Questo fatto non è nuovo, ciò che è cambiato rispetto al passato, in senso quantitativo e qualitativo, è la dimensione raggiunta dal gioco speculativo su scala globale. Gestori di enormi attivi con le loro speculazioni possono determinare aumenti o crolli di mercato per esempio delle materie prime, delle sementi o degli alimenti di base, con conseguenze importanti e talvolta drammatiche per la vita di centinaia di milioni di persone. Del resto, il lavoratore che affida i propri sudati denari a un fondo pensione vuole la massima redditività del proprio investimento e non si sente per nulla responsabile dell’aumento del prezzo del frumento o del riso, oppure del crollo del prezzo del caffè, o della fornitura di armi per massacri africani.

Di questi aspetti della realtà economica odierna si parla poco, ma è altresì importante aver chiaro 1) che è assolutamente folle lasciare decidere all’arbitrio del mercato in situazioni che hanno impatto sulla vita di miliardi di persone, e 2) che gli eventuali tentativi di regolamentazione del capitalismo sono semplicemente velleitari, laddove le contraddizioni proprie del mercato capitalistico agiscono per loro natura in contrasto di ogni vincolo.

Non si possono modificare le leggi della necessità, ma sulla base della loro effettiva conoscenza possiamo farle operare secondo un piano. È questa la vera sfida che l’umanità ha di fronte a sé, il salto dalla preistoria alla storia. E solo il buon Dio sa se siamo giunti finalmente a questa svolta e quanto sangue e quanti giri di clessidra avrà bisogno per compiersi.


[1] Le obbligazioni pubbliche (i titoli di stato, per esempio) o private (quelle societarie, dette anche corporate bonds), sono da un lato, per chi le compra, dei crediti, e dall’altro, per chi le vende, dei debiti. Il mercato mobiliare, fatto di questi pezzi di carta, è il più vasto al mondo, 90 trilioni di dollari (1 trilione corrisponde a 1.000 miliardi; il Pil mondiale è stimato a circa 72 trilioni), di modo che possiamo ben dire che l’economia mondiale, soprattutto quella degli Stati e enti locali, si regge su questi strumenti finanziari, ossia sui debiti.

A valutare il rischio d’insolvenza del debitore, ossia dell’emittente l’obbligazione, sono le famose agenzie di rating le quali pubblicano rating creditizi che oltre a segnalare agli investitori il grado di rischio, contribuiscono a determinare i tassi d’interesse delle singole obbligazioni (ovvio che più è alto il rischio d’insolvenza e maggiore è l’interesse). Alcune obbligazioni sono quotate in Borsa ma la maggior parte viene trattata (negoziata) tra grandi broker che operano in proprio o per conto di clienti.

In genere il piccolo risparmiatore acquista obbligazioni per proteggere il proprio capitale dall’inflazione e semmai lucrare qualche ulteriore plusvalenza, oltre che per diversificare l’investimento nel caso nel suo portafoglio detenga azioni, in modo da ridurre il rischio. Non così per i grandi investitori, i quali con strategie d’investimento prevalentemente attive puntano a massimizzare l’investimento con alte plusvalenze, così come fanno con gli investimenti in azioni.

Un segmento molto importante del mercato obbligazionario mondiale è costituito dalle cosiddette “cartolarizzazioni” (collateralized debt obligation o Cdo), nell’ambito del quale i crediti di una società, in genere una banca, legati a mutui ipotecari, finanziamento per acquisti privati, carte di credito, ecc., vengono impacchettati e venduti da particolari società e banche agli investitori (non sempre consapevoli di ciò che acquistano, ossia che il “sottostante” delle obbligazioni acquistate riguarda crediti di difficile recupero). Questi Cdo, sono dei pacchetti (dei veri e propri “pacchi” direbbero i partenopei) che contengono spazzatura in genere di due tipi (asset-bancked securities e mortage bancked securities), e servono soprattutto per pulire i bilanci delle banche trasferendo le “sofferenze” a prezzi stracciati ad organismi creati appositamente i quali poi piazzano la spazzatura ai piccoli risparmiatori con la lusinga di buone plusvalenze. Secondo alcuni esperti, “nemmeno molti banchieri capiscono appieno la complessità dei moderni prodotti della finanza”.

In questa nota ai Credit Default Swap (CDS) accenno semplicemente: funzionano praticamente come un’assicurazione contro il rischio d’insolvenza dell’emittente dell’obbligazione. Anche dei CDS esiste un fiorente mercato, prevalentemente si tratta di contratti privati, in definitiva di carta a cui viene attribuito un valore. In questo post del 2011 dicevo qualcosa anche per quanto riguarda i cosiddetti “derivati”.

Tornando alle azioni societarie, esse in buona sostanza non sono, come strumenti finanziari, molto diverse dalle obbligazioni, soprattutto per il piccolo risparmiatore che con il suo giardinetto azionario non ha alcuna possibilità di puntare al controllo di società quotate o di sedere nel consiglio di amministrazione.

Le società per azioni si sono sviluppate con il sistema creditizio e hanno in generale la tendenza a separare sempre più il lavoro di direzione e di sorveglianza, in quanto funzione, dalla proprietà del capitale, sia esso di proprietà personale oppure di proprietà diffusa tra innumerevoli azionisti.

[2] […] il semplice dirigente, che non possiede il capitale sotto alcun titolo, né a titolo di prestito né altrimenti, esercita tutte le funzioni effettive che competono al capitalista operante in quanto tale, rimane unicamente il funzionario, e il capitalista scompare dal processo di produzione come personaggio superfluo (K.Marx, III, cap. 23).

[3] […] il salario del dirigente […] costituisce una parte del capitale variabile speso, proprio come il salario degli altri operai (ibidem).

[4] La stessa cosa si verifica in alcune società capitalistiche per azioni, ad es. le banche per azioni […]. Lo stipendio dei dirigenti viene qui defalcato dal profitto lordo, assieme all’interesse per i depositi (ibidem). La seconda proposizione di questa citazione, nel testo marxiano in rete, viene omessa. Perciò consiglio sempre di leggere e verificare le fonti sui libri.

[5] Ciò vale anche per i manager delle partecipazioni statali, i quali, come borghesia di Stato, costituiscono una frazione della borghesia. Borghesia di Stato non significa burocrazia di Stato, essendo la prima, come detto, una frazione della borghesia quale classe sociale, mentre la seconda ha una qualità diversa essendo una categoria sociale (è un errore frequente presso i sociologi borghesi).


[6] Per quanto ci riguarda direttamente, personaggi come Romano Prodi, già presidente del consiglio e poi della commissione europea, Mario Draghi o Mario Monti, per citare alcuni nomi molto noti, sono i consiglieri di quella stessa élite.

10 commenti:

  1. Note di costume :

    - il post è propedeutico, o nel caso esplicativo, alla visione di 'Wolf of wall street' (l'elefante tecnico peraltro va aggredito a piccoli morsi)

    - per chi abbia avuto modo di frequentare alcuni operatori di livello, non necessariamente anglosassoni, si è accorto dell'uso abituale che tali soggetti fanno di stupefacenti, oltre alla specificità di classe. Non è un particolare da poco, considerando l'effetto su decisioni che ruoli di vertice comportano e che in alcuni casi hanno comportato (mi riferisco in particolare ad alcuni top managers di fondi pensione che li ha visti protagonisti in dissennate cartolarizzazioni). La bamba è una componente non prevista nella letteratura e disamina di settore,ma in alcuni casi elemento preponderante nella redazione di business plans.

    - non si può nascondere che tempo fa e non solo, una parte non indifferente di piccoli risparmiatori, definiti anche dagli addetti 'parco buoi', non si siano limitati per la tutela del loro piccolo capitale al settore pubblico a bassa redditività, ma si siano gettati invece nella piscina del grande rischio pilotati da squaletti bancari. Diciamo che non si sono accontentati di una modesta tutela finanziaria del proprio risparmio, ma protagonisti di un azzardo da raider in erba. L'occasione fa trasversalmente l'uomo ladro e la buona fede non è un alibi morale sufficiente.

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  2. "Un mistero che neanche la massoneria ….."
    Cara Olympe, permettimi una battuta: e se neanche la massoneria lo sa, figurati io!
    L'ignoranza e la scarsa attenzione a questi argomenti, fa il gioco del potere e delle élites che, vogliono proprio che sia quel lavoratore a mettere il risparmio nei fondi pensione, ignaro che quel suo sacrificio concorra a determinare le sorti di popoli,scientemente, costretti alla fame, per i giochini delle multinazionali che si " divertono " giocando sulle quotazioni di riso, grano, mais, ACQUA, energia ecc.
    E quello che hanno ottenuto è sotto i nostri occhi,pretenderanno ed otterranno sempre di più, purtroppo, fino ad oggi hanno vinto, stanno servendo il nostro sangue al banchetto di tutti quegli organismi internazionali che hai citato FMI,NWO ecc..
    Segnali di ribellione generale/mondiale sono ancora troppo flebili.

    Leggerò e rileggerò il tuo articolo per cercare di non dimenticare, mai, che il Potere, purtroppo, ci fotte, sempre! (cit. Paolo Barnard).

    Cari saluti Olympe

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  3. Credo che a latere della rassegnazione e una dose di rabbia sia opportuno l'esercizio di una certa onestà intellettuale. In alcune parti del mondo le persone difendono con la vita la propria sopravvivenza ambientale minacciata dai futures. Noi (chi scrive ne fa parte a pieno titolo) non siamo capaci di una costante e pesante ribellione contro coloro che costruiscono il condominietto sulle riva del fiume. I poveri cittadini - e i loro figli nel passeggino - sono in perenne ipnosi sotto l'influsso delle polveri sottili.
    Ognuno nel mondo ancorato ai propri immensi o piccoli privilegi.

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  4. Credo che oltre alla rassegnazione e rabbia, convenga esercitare un tentativo di onestà intellettuale. In alcune parti del mondo le persone hanno dato e danno la loro vita per la conservazione del proprio habitat in via di saccheggio da parte dei futures.
    Noi (e chi scrive ne fa parte a pieno titolo) non siamo in grado di gestire una potente e costante e vibrante opposizione (ribellione è una parola grossa) contro il condominietto sulla riva del fiume ; i cittadini – con i loro bimbi nel passeggino – sono in un avanzato stato di narcosi sotto l’effetto delle polveri sottili. Conservazione bipartisan di immensi e piccoli privilegi.

    Nella totale immersione capitalistica, confesso di preferire questa apnea in un parco di 60 ha e un altrettanto lago (Amburgo) piuttosto che in città dove si ha il coraggio di definire quattro scampoli di erba ‘verde pubblico’.
    Sic et simpliciter.

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  5. L'ignoranza informatica fa brutti scherzi. Chiedo scusa !

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  6. Analisi come al solito completissima e- pregio non indifferente- comprensibile a chiunque...
    Il problema che vedo è che molta troppa gente, anche attiva politicamente, crede ancora nella riformabilità del capitalismo non avendone compreso i meccanismi di funzionamento o pensando che "tanto alternative non ce ne sono": basta limare la eccessiva disuguaglianza, temperare gli eccessi finanziari, "bisogna tornare ad essere cittadini e per favore non parliamo di classi perché non esistono più", indignazione si ma conflittualità no...
    In questi atteggiamenti- che io ho visto e continuo a vedere- pesano campagne come quella chiamata "aboliamo la povertà" o quella sulla riforma della Banca mondiale o pure- se vissuta in maniera esclusivamente riformista- quella sulla Tobin tax.

    Il danno, che poggia su un ventennio di autentica devastazione culturale, di questo tipo di impostazione è stato ed è fortissimo. Forse peggio della situazione narcolettica descritta nei commenti dei "poveri cittadini con i loro passeggini".
    Tutto sommato però non sono pessimista anche se penso che bisogna tornare ad alfabetizzarsi in tempi strettissimi perché è questa crisi che lo impone: la corda prima o poi si spezzerà e le tante situazioni di conflitto, di lotta, di proposta o di contropotere esistenti non potranno continuare a stare sempre separate o ad unirsi solo episodicamente...

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    1. sempre ottimi e puntuali i tuoi commenti
      sulla prima parte del tuo commento ovviamente concordo
      anche sulla seconda sostanzialmente, e ho già scritto come la penso ed è probabile che ritornerò sul discorso

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  7. Grazie Olympe....è che questo blog è una autentica miniera di notizie e di analisi... Complimenti per il lavoro....

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