martedì 31 gennaio 2023

La guerra semifredda


I semiconduttori alimentano i computer e armi avanzate. Fanno girare il mondo, sempre più digitale. I componenti elettronici che per molti settori sono stati per lungo tempo solo un pezzo del puzzle tra gli altri, un mattone essenziale ma spesso intercambiabile, sono diventati cruciali. Senza di loro un’auto non si mette in noto, un aereo non decolla, un telefono non squilla, un computer non gira. I chip più efficienti sono diventati l’elemento chiave dell’elettronica civile e militare. Temendo di essere superata da Pechino in questo campo, Washington ha lanciato un’ondata senza precedenti di sanzioni contro la rivale, segnando il ritorno del protezionismo. Siamo (quasi) tutti liberali, adoratori del “libero mercato”, a parole.

Il futuro sembrava roseo per Yangtze Memory Technologies Corp (YMTC), un produttore cinese di chip di memoria flash, semiconduttori essenziali per il funzionamento di computer, smartphone e molti dispositivi elettronici. In meno di sei anni, YMTC era riuscita a elevarsi al livello tecnologico dei leader del settore. Consacrazione definitiva quando Apple, all’inizio di settembre scorso, ha pianificato di ottenere da questa società forniture per equipaggiare i suoi iPhone.

Una vittoria di breve durata. Sotto la pressione del Senato degli Stati Uniti, Apple ha prima fatto marcia indietro, rinunciando a ordinare da YMTC. Poi, il 7 ottobre, Washington ha annunciato drastiche restrizioni all’esportazione di semiconduttori avanzati, in nome della “sicurezza nazionale” e al fine di “impedire che l’esercito della Repubblica popolare cinese, nonché i suoi servizi di intelligence e sicurezza acquisire tecnologie sensibili che possono essere utilizzate per scopi militari”.

Da un giorno all’altro, YMTC si è trovata privata dei suoi fornitori americani, essenziali per la produzione dei suoi chip di memoria avanzati. YMTC ha dovuto sbarazzarsi di una parte del suo personale, i cittadini americani così come i residenti permanenti (titolari di una Green Card) essendo soggetti all’obbligo di una licenza per lavorare nelle fabbriche cinesi di chip elettronici o per partecipare al loro sviluppo. Il suo amministratore delegato, Simon Yang, nato in Cina ma titolare di passaporto americano, si è dimesso.

La giovane ammiraglia cinese non è sola nel mirino di Washington. Dopo aver preso di mira alcune aziende, come il colosso delle telecomunicazioni Huawei nel 2019, gli Stati Uniti a fine agosto, hanno vietato l’esportazione delle schede grafiche più avanzate (unità di elaborazione grafica o GPU) di Nvidia e Advanced Micro Devices (AMD) in Cina, segnalando un cambiamento di approccio. Le GPU sono fondamentali per le prestazioni di intelligenza artificiale, data center o supercomputer, utilizzate per la ricerca scientifica, ma anche per migliorare le prestazioni di aerei da combattimento o missili ipersonici.

Quindi hanno preso di mira l’intero settore dei semiconduttori, richiedendo alle aziende americane del settore, nonché ai loro clienti internazionali, di ottenere una licenza per vendere componenti avanzati o le apparecchiature di produrli ad aziende cinesi, con la certezza che tali licenze saranno rifiutate.

Si parla spesso della contesa tra Washinton e Pechino, e in concreto si tratta di una vera e propria guerra industriale e commerciale. Che alla lunga non potrà che mutarsi in un’escalation molto pericolosa. Tra l’altro, vale ricordare che il gigante taiwanese Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC), è il produttore di chip numero uno al mondo in outsourcing. Infatti produce il 90% dei chip più avanzati al mondo: quelli che consentono agli iPhone più recenti di essere i più potenti, ai data center per eseguire il calcolo globale e ai supercomputer per risolvere problemi sempre più complessi. La TSMC ha una gigantesca fabbrica a Nanjing, cioè a Nanchino, nella provincia cinese di Jiangsu.


Se gli Stati Uniti hanno promesso di difendere Taiwan in caso di invasione cinese, la pressione americana per isolare tecnologicamente la Cina costa sempre di più all’industria taiwanese. Nonostante gli sforzi di diversificazione dell’isola, la Cina rimane il principale partner commerciale di Taiwan, ricevendo, con Hong Kong, il 42% delle esportazioni taiwanesi (2021), il 55% delle quali sono chip elettronici, per oltre cento miliardi di dollari. Come si vede, Taiwan è un anello chiave nelle catene commerciali globali, e la geopolitica un po’ più complessa da come ce la raccontano le marionette in tv. 

[...]

 









lunedì 30 gennaio 2023

Etiamsi omnes, ego non

 

Novanta anni fa, il 30 gennaio 1933, il presidente Paul von Hindenburg nominò il leader del Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori (NSDAP), Adolf Hitler, cancelliere del Reich tedesco.

Non ha dovuto conquistare il potere statale con la forza o con le elezioni: gli è stato consegnato dalle élite politiche, economiche e militari. Non perché non sapessero quale fosse il suo programma politico, ma proprio perché lo conoscevano.

Il NSDAP di Hitler – sotto la bandiera della razza e dell’anticomunismo – riuniva ufficiali frustrati dall’esito della prima guerra mondiale, strati piccolo-borghesi e contadini rovinati dalla depressione economica. Ottenne il suo miglior risultato elettorale nell’estate del 1932, con il 37.3%, mentre nel novembre successivo il risultato fu decisamente sfavorevole, perdette due milioni di voti e 34 seggi.

Il calo si era verificato ovunque nella stessa misura. Il NSDAP (33,1) più il DNVP (8,5) avevano in totale 248 seggi su 584, troppo pochi per governare. I due partiti operai, i socialdemocratici (SPD) e il Partito comunista (KPD), ricevettero un numero di voti significativamente maggiore rispetto ai nazisti. Il partito stava affrontando la bancarotta e Hitler pensò persino al suicidio.

La situazione del partito nazista era così tragica che Shirer scrive: «Non vi erano fondi per i mensili di migliaia di funzionari di partito e per mantenere le SA che da sole costavano due milioni e mezzo di marchi alla settimana». Il 31 dicembre Goebbles scrive: «sparite interamente ogni prospettiva e ogni speranza». Il 15 gennaio, Kurt von Suhschnigg, allora ministro austriaco della Giustizia, in visita dal cancelliere Schleicher, assicurò che «il signor Hitler ha cessato di costituire un problema, il suo movimento non rappresenta più un pericolo politico, tutta la questione è risolta, non è più che una cosa del passato» (Shirer, Storia del Terzo Reich, pp. 194 e 196).

La situazione si capovolse in pochi giorni, non per l’esito del voto, come abbiamo visto, o per la costituzione di una nuova maggioranza parlamentare che non c’era nei numeri, ma per i maneggi nei palazzi che contano, con al centro dell’intrigo von Papen, gli agrari, l’aristocrazia, i capi dell’industria e la Reichbank. Solo così Hitler divenne cancelliere di un governo in cui i ministri nazisti erano in netta minoranza.

Quando Hitler entrò nella Cancelleria del Reich nel gennaio 1933, le istituzioni democratiche della Repubblica di Weimar erano state distrutte da tempo. Nei tre anni precedenti, i cancellieri avevano governato attraverso decreti di emergenza firmati dal presidente del Reich.

In febbraio fu inscenato l’incendio del Reichstag, con il conseguente arresto dei leaders comunisti; il 5 marzo il NSDAP di Adolof Hitler ottiene alle elezioni il 43,9% dei voti: alleandosi in parlamento con i nazionalisti del DNVP (8%) raggiunge finalmente la maggioranza con complessivi 340 (288+52) seggi su 647. Per far passare la legge delega che gli dà i poteri dittatoriali, entrata in vigore il 27 marzo, Hitler ha bisogno della maggioranza dei due terzi: la trova questa volta nell’appoggio del Partito di Centro.

Nel giro di pochi mesi, i nazisti instaurarono un regno del terrore che combinava i più moderni mezzi di propaganda con una sorveglianza totale e un’oppressione spietata.

Distrussero le organizzazioni operaie, uccisero o rinchiusero in campi di concentramento allestiti appositamente i dirigenti e membri delle opposizioni di sinistra. Nel 1933, i 13 milioni di elettori dell’SPD e del KPD avrebbero potuto fermare Hitler, ma per fare ciò era necessario opporsi alle armi con le armi, ma i loro leader li hanno delusi e traditi.

Dieci anni dopo l’ascesa al potere di Hitler, il 2 febbraio 1943, la sconfitta della Wehrmacht da parte dell’Armata Rossa a Stalingrado segnò una svolta decisiva nella guerra. L’aggressione nazi-fascista alla Russia costò la vita di 27 milioni di cittadini russi.

Ciò che non riuscì alle armate nazi-fasciste è da anni nei programmi di Washington e del suo braccio armato, la Nato (basta leggere Der Spiegel nel suo ultimo numero). Annientare la Russia, spartirsi le sue immense risorse naturali e accerchiare la Cina.

Chi lo nega è complice (un idiota nella più blanda delle ipotesi); chi appoggia la Nato è un farabutto.

domenica 29 gennaio 2023

La petizione che non potrai mai firmare

 

Potrà sembrare uno scherzo, ma 200 milionari in occasione del recente forum di Davos si sono appellati ai leader politici presenti: vogliono essere tassati di più e subito. Il loro commovente appello lo potete leggere qui, ma non potrete mai firmarlo.

Tutto ciò non è molto bello e fantastico? Sì, fantastico, perché una piccola tassa non cambierà nulla, non impedirà al sistema che crea miliardari di essere un disastro per il nostro pianeta, le nostre società, la nostra immaginazione.

Mistero al centro della Terra

 

Ieri, ci sono stati momenti di divertita ilarità in libreria. È bastata una sciocchezza e la voglia di leggerezza. È arrivato un libro prenotato, edito nel 1989, fatidico, giusto un anno prima della morte della sua Autrice. Con l’amica libraia abbiamo riso perché sulle prime ha letto un prezzo che le riusciva strano. E vorrei ben vedere, 35.000 euro per un libro del secolo scorso. Le ho risposto: a casa ho ancora un salvadanaio zeppo di monetine fuori corso, potrei pagare con quelle. Abbiamo riso ancora.

Pensavo poi, incamminandomi per le piazze dove incontravo vecchie signore impellicciate per un modico freddo, al tempo che fu, quando a gennaio il freddo pungeva davvero e tutto ghiacciava. A quelli che ci hanno preceduti, come l’Autrice del libro, e che inevitabilmente sono diventate ombre, nella migliore delle ipotesi. Leggo: “Intanto la Casa si è svuotata con la partenza di mamma, la mia cara mamma vecchia ormai e prossima ai settant’anni”. Allora, negli anni Cinquanta, la vecchiezza arrivava non ancora settantenni.

Come possono le giovani generazioni credere in un futuro che ci viene ripetutamente detto sarà oscuro e minaccioso? Intensa apprensione, paura, che può essere associata a un sentimento di destino imminente. La natura oppressiva del presente, la formattazione dei desideri e delle angosce globali. Tutto è mercato, mercato, marchi e scarpe da ginnastica, non lontano dal vortice di una guerra crudele e insensata quante altre mai. Possiamo dire da quanto tempo la nostra vita, l’aria stessa che respiriamo, è stata avvelenata?

sabato 28 gennaio 2023

Un nuovo mondo ci inghiotte

 

Leggo da un diario:

I fascisti dall’ora, con distintivo all’occhiello, badavano ai fatti loro qui a Roma e via via poi, constatando le malefatte del Regime, potevano attendersi di meglio da chi sarebbe venuto dopo. Ora invece tutti a denunziare il fallimento degli antifascisti.

Miracoli non avvenuti, posti tutti presi e poi questi politici non sono abbastanza “decorativi” ecc. ecc.. Dimenticati i propri torti ci fanno loro quel processo, che si è avuto la dabbenaggine di risparmiargli. È una gara di lezioni e di fandonie, di timori comunisti, di pretese nazionaliste, di rifiuti fiscali.

D’altra parte che tristezza constatare le debolezze, gli errori, le piccolezze dei nuovi governanti! Quelli che fanno ora politica parevano decisi, davanti al muro che stava per crollare, a fare il meglio, ma poi? Anche gli errori insignificanti finiscono per risultare significativi. Così Sforza [min. degli Esteri] dovrebbe smetterla di vantarsi discendente del condottiero e, più ancora, non dovrebbe stupirsi di una serie inchiesta del Mondo sull’emigrazione (condotta da Magrini). Proprio Sforza dimenticare il valore della sana critica, dall’opposizione necessaria ad aprire gli occhi dei responsabili mal informati se non forse male intenzionati. Alla nostra stampa si va rimettendo il bavaglio. E ordini ancora arrivano alle redazioni dei giornali. [...] Salvemini ha ben detto: infilatisi nella prima crepa, e raggiunti i posti ambiti, hanno dimenticato i santi propositi.

[...] Già ... Einaudi ... Preferisco tacere le critiche che si fanno a lui, anche dai nostri. Di più potrebbe fare da quel posto, influendo sugli uni e sugli altri, esercitando un controllo. Ma è da un po’ che non credo più ai vecchi nella vita politica, quando è stata rivoluzionata come la nostra.

[...] C’è chi ha detto, ma non abbastanza pubblicamente, ai fascisti: voi per portare avanti il paese, con quello che di positivo si può anche ammettere, avevate gli uomini dell’Italia liberale mentre ora, per ricostruirla, la vostra malconcia Italia, sia materialmente che moralmente, abbiamo per la maggior parte uomini diseducati dal fascismo. E su tali uomini che si basano, ad esempio, i ministeri. Nicolò [Carandini] filosofo, fondamentalmente ottimista pur vedendo, e sapendo, dice che deve nascere un tempo completamente nuovo, di cui nessuno ha ora l’idea. E un giorno nascerà a dispetto di tutto e di tutti, faticosamente. Voglio mettere qui quanto ho letto su Horizon di giugno, scritto da Cyril Conolly, in piena rispondenza con tale sua attesa, seppure da un altro angolo e con un altro spirito:

The particular note for the midcentury is hopelessness, and the artists who reflect the feeling of their time have to struggle against this desperate indifference, not in the public only but in themselves. The robust and elderly, with a pre-1914 intellectual formation, are able to do this; very few others can and the youngest are perhaps the weakest of all. This is a kind of galloping demoralization of the West which affects everybody. America cannot save us, for it is the more demoralized than anywhere; it is unlikely that Russia, beneath the veneer, is any better. French humanism or English fertility can preserve a few, but they cannot inspire us because the truly modern world to which we all shut our eyes is ingulfing us too fast, and brings with it a complete negation of all aesthetic values of the past. The great artists of the past, despite love lavished on them by scholars and aesthetes, are becoming more and more unfamiliar. They are not replaced by others because we are moving into world of non- art.

[La nota particolare di questa metà del secolo è la disperazione, e gli artisti che riflettono il sentimento del loro tempo devono lottare contro questa disperata indifferenza, non solo nel pubblico ma in se stessi. I più solidi e anziani, con una formazione intellettuale precedente al 1914, sono in grado di farlo; pochissimi altri possono e i più giovani sono forse i più deboli di tutti. Questa è un tipo di demoralizzazione galoppante che colpisce tutti nell’Occidente. L’America non può salvarci, perché è la più demoralizzata di altri; è improbabile che la Russia, di là dell’apparenza, stia meglio. L’umanesimo francese o la fecondità inglese possono conservare qualcosa, ma non possono ispirarci perché il mondo moderno, davanti alla quale tutti chiudiamo gli occhi, ci sta ingoiando troppo in fretta, e porta con sé una completa negazione di tutti i valori estetici del passato. I grandi artisti del passato, nonostante l’amore profuso loro da studiosi ed esteti, stanno diventando sempre più sconosciuti. Non vengono sostituiti da altri perché ci stiamo muovendo nel mondo della non-arte.]

Chiude Elena così: “Dovrò cercare di scrivere un po’ più seriamente, ma attenta a smorzare il fuoco e l’impeto di certi disgusti che arrivano a darmi una vera nausea della realtà.”

Tratto da: Elena Carandini Albertini, Le case, le cose, le carte, diari 1948-1950, Il Poligrafo 2007, fine ottobre 1949 (riporto i corsivi come da originale).

venerdì 27 gennaio 2023

[...]

 

Nessuno degli odierni liberali da strapazzo ha ricordato oggi che Auschwitz fu liberata dall’Armata rossa. La falsificazione storica è arrivata al punto di attribuire un Oscar cinematografico a un film italiano dove Auschwitz è liberata dagli “americani”.

Da maggio 2022, la mostra russa nel Museo di Auschwitz-Birkenau è chiusa, dal momento che il curatore del Museo della Vittoria di Mosca non può trasferire in Polonia le risorse per il suo mantenimento a causa delle sanzioni occidentali e la direzione del museo si rifiuta di concordare soluzioni alternative a questo problema.

La legge polacca approvata nel 2018 per punire chiunque attribuisca i crimini nazisti commessi in Polonia “alla nazione o allo stato polacco” ha prodotto i suoi effetti perché tende a punire anche i ricercatori interessati alla storia dell’antisemitismo in Polonia prima, durante e anche dopo la guerra.


Una partita a rubamazzo

 

Leggo dal capitolo terzo di un libro di tale Ludger Eversmann, pubblicato dalla Luiss con il titolo Karl Marx nell’era digitale:

«La teoria dello sfruttamento era sbagliata. Quando l’ora della proprietà privata giunse al termine, Marx volle “espropriare gli espropriatori”. Era convinto che i capitalisti fossero espropriatori per il semplice fatto di essere capitalisti: perché “sfruttavano” i lavoratori. Alla base c’era la sua “teoria del plusvalore”, forse l’elemento più debole del suo apparato teorico. La sua argomentazione procedeva così: in un capitalismo produttore di merci, la stessa forza lavoro è una merce con un valore derivabile dai suoi costi di produzione. Tali costi sono calcolati a partire dai mezzi utilizzati per “produrre” la forza lavoro dell’operaio: cibo, vestiario, un’abitazione con l’arredamento necessario e magari una formazione professionale; in altre parole, tutto l’essenziale per metterlo nelle condizioni di lavorare quotidianamente. Tuttavia, il capitalista vende le merci prodotte dal lavoratore a un prezzo superiore al loro valore effettivo, corrispondente al valore delle ore lavorative dell’operaio. Si genera così un plusvalore, sottratto ingiustamente al lavoratore; il capitalista sfrutta cioè la forza lavoro dell’operaio».

Dunque è questa la teoria del plusvalore marxiana che s’insegna alla Luiss !!!!!!!

Il plusvalore sarebbe generato dall’applicazione di un sovrapprezzo alle merci. Come non averci pensarci prima. Povero Marx, davvero sbagliava.

Sia chiaro, questa non è l’unica enorme sciocchezza che si può leggere nel libro di Ludger Eversmann. Mi limito a questa perché sta un po’ ad architrave di tutto le altre scemenze, cosa frequentissima quando questi pasticcioni e lazzaroni pensano di trattare da par loro Karl Marx.

*

Già confondere plusvalore e profitti ingenera confusione, come già spiegavo per esempio in un post di 11 anni or sono. Non parliamo poi dell’ignoranza che vige sulla differenza tra massa del plusvalore e saggio del plusvalore, ciò che vale anche per il profitto. Altro discorso ancora riguarda la differenza tra plusvalore assoluto e relativo, che non è semplicemente una questione concettuale.

Come si vede, l’ignoranza regna sovrana, ma non si deve mai sottostimare la malafede di questi cialtroni.

Non starò qui ad illustrare che cos’è la teoria del plusvalore di Marx (tra i tanti post che ho scritto sull’argomento segnalo questo), mi limito quindi di seguito ad alcune osservazioni sui prezzi delle merci, questione nebulosa anche questa, specie in epoca di inflazione galoppante.

I prezzi delle merci non sono arbitrari; né sono decisi dai capricci soggettivi dei capitalisti. Piuttosto, i prezzi sono determinati da leggi e dinamiche oggettive.

I prezzi non sono determinati dalla somma di costi produttivi e da un sovrapprezzo (ridicolo che da tale pratica derivi il plusvalore), piuttosto i prezzi sono, in senso classico, l’espressione monetaria del valore delle merci.

Come per i prezzi, i profitti dei capitalisti non sono arbitrari. Non si ottengono barando, “comprando a buon mercato e vendendo caro”. Le leggi della concorrenza, in generale, impediscono ai capitalisti di aggiungere semplicemente un sovrapprezzo ai loro costi.

Questo almeno fino a una certa epoca. In effetti, nell’epoca in cui dominano le multinazionali, molte aziende – in particolare quelle più piccole, prive delle dimensioni e del potere di determinazione dei prezzi dei grandi monopoli – si lamentano di non poter semplicemente trasferire ai clienti l’aumento dei costi (in particolare per l’energia e i trasporti), senza vedere un impatto negativo sui loro saldi.

Questa è una questione vera e riguarda la lotta tra i grandi monopoli internazionali (si astrae qui dalla speculazione prettamente finanziaria), che puntano ad accaparrarsi quote di ricchezza a danno dei produttori più piccoli e dei consumatori. Tuttavia ciò non ha alcun riguardo con l’origine e la natura del plusvalore, ma semplicemente con la sua distribuzione tra i soggetti della produzione e del mercato. Né le politiche monopolistiche sui prezzi rendono la società più ricca in termini di ricchezza reale, ma ridistribuiscono la ricchezza socialmente prodotta a vantaggio dei più forti. È una partita a rubamazzo. Ciò vale anche nella lotta tra capitalisti e lavoratori, normalmente a scapito dei lavoratori (anche qui valgono i rapporti di forza).


giovedì 26 gennaio 2023

Si chiama lotta di classe

 

Perché i più giovani dovrebbero preoccuparsi dell’età in cui potranno andare in pensione? Devono prima affrontare la questione della scelta del lavoro che permetterà loro di contribuire alle pensioni in essere e a quelle d’imminente maturazione. Un delizioso brivido che gela la schiena dello studente delle superiori di fronte alla dolorosa domanda: “Che cosa potrò fare nella mia vita dopo il diploma di maturità?”.

Da qui il proliferare di guru dell’orientamento scolastico, che offrono i loro servizi a genitori che temono che la loro prole non abbia il giusto senso dell’avvenire e diventi dipendente da ansiolitici (o peggio) nel non sapersi destreggiarsi nell’opaca giungla. Presto diventerà, se già non lo è, una professione anche questa. Lo chiameranno coach di orientamento? Non sappiamo ancora, l’importante è che nel titolo professionale vi sia qualcosa in americanese.

Nell’economia capitalistica ci sono più corteggiatori che posti disponibili. Ma niente panico. Contrariamente a quanto dicono i pettegolezzi disfattisti, tutto sta andando come previsto. Come dimostrato dai “più meritevoli”, che già dal primo anno alle elementari s’impara a riconoscere secondo l’algoritmo di classe, che comanda più che mai. Tutti gli altri avranno diritto di partecipare a una lotteria.

Tutto è fatto per il nostro bene, non c’è alternativa, bisogna fare dei sacrifici per riportare in su la crescita e riconquistare competitività, eccetera. L’Italia ha i suoi incredibili talenti, il futuro ci appartiene. Perciò piano con le doglianze, tu sei l’unico responsabile della tua sorte. Se già all’atto del concepimento hai premuto il tasto sbagliato, potrai sempre aiutare ad organizzare la lotta di classe e la rivoluzione proletaria.

Prima però devi imparare che cos’è un proletario. Non è semplicemente un poveraccio che si fa il culo da mane a sera per racimolare un reddito di sopravvivenza. È un individuo ridotto alla sua unica potenza di lavoro, e di riproduzione. Se diventassimo tutti “meritevoli”, chi solleverebbe i massi nelle cave di granito? La prima esigenza del sistema è quella di creare “immeritevoli” a cui affidare i lavori più faticosi, alienanti e pagati peggio. Ma qui siamo solo e ancora in presenza dell’aspetto sociologico della questione che ci pone l’economia e la società borghese. Manca ancora l’approccio scientifico alla questione.


Pertanto, tutti i bei discorsetti sul “merito”, si riducono a un equivoco che ci distrae. Molto più interessante sarebbe studiare Marx, Keynes, Hayek e la crisi del capitalismo. Dico: studiare sul serio. In tale ambito, relativamente alle pensioni e in generale al welfare, salta fuori il tema della sostenibilità della spesa statale. Non basta decidere se più cannoni o più pensioni, in ogni caso bisogna decidere a chi sottrarre ricchezza: alla classe capitalista o alla classe operaia?

La ripartizione del prelievo non viene decisa quando vai a votare da bravo “cittadino”, ma dai rapporti di forza tra le due grandi classi sociali. Si chiama lotta di classe. Quella dei padroni non ha interesse a rivelarsi come tale, per mascherarla essi sono disposti ad accollarsi grandi debiti arruolando la coglioneria librale sui giornali e altri media di loro proprietà. Facendosi pagare democraticamente da noi non solo la loro propaganda ma anche la pubblicità delle loro merci.

mercoledì 25 gennaio 2023

Siamo complici

 

la Repubblica: ipocriti mestatori

650 deputati del Bundestag si sono alzati in piedi e hanno applaudito calorosamente. Chi hanno applaudito? Era il 25 settembre 2001, Vladimir Putin aveva iniziato il suo discorso con alcune espressioni in russo, poi aveva parlato in perfetto tedesco. Si era detto convinto che la Russia sarebbe dovuta ritornare nella “casa comune europea” (definizione già usata da Gorbaciov) dal momento che ormai la guerra fredda era alle spalle.

Che cosa è successo da allora? Bisogna anzitutto ricordare che nel 1991 la Russia aveva subito un arretramento del proprio territorio di 5 milioni di chilometri quadrati, pari a quasi 17 volte l’estensione dell’Italia. Quando una grande potenza subisce un declassamento di tale rilevanza anche in termini territoriali, molto maggiore in proporzione alle amputazioni subite dalla Germania dopo Versailles, non cè da stupirsi che si inneschino spinte alla revanche, spesso non controllabili.

Del resto, vediamo come la Germania dopo il 1989 abbia ripreso l’antico disegno della Mitteleuropa di bismarkiana memoria, per tacere che quest’anno ricorre il bicentenario della dottrina Monroe, che nel 1823 stabilì l’egemonia statunitense sull’emisfero americano. “L’America agli americani” non ha altro significato che il dominio di Washington su tutto il continente.

Fino al 2007 vi fu una sostanziale disponibilità di Mosca a un confronto su una ridefinizione dei rapporti geopolitici. In seguito vi è stato un progressivo raffreddamento rispetto all’apertura di credito dimostrata inizialmente. La svolta avviene a Monaco nel 2007, alla conferenza sulla sicurezza, dove Putin criticò l’Occidente senza mezzi termini, in particolare accusava Washington di voler inseguire il progetto di un mondo unipolare e denunciava l’allargamento della Nato come una provocazione.

Già nel 1999, l’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico aveva inglobato l’Ungheria, la Polonia e la Repubblica Ceca e nel 2004 erano entrate Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovenia e Slovacchia. Anche dopo il discorso di Putin del 2007: nel 2009 l’Albania e la Croazia, nel 2017 il Montenegro e nel 2020 la Macedonia del Nord. Al vertice dell’Alleanza atlantica, nell’aprile 2008, gli Stati Uniti ottennero che all’Ucraina e alla Giorgia venisse prospettata la possibilità di un loro possibile inserimento nell’Alleanza, nonostante che la Francia e la Germania fossero contrarie. È del novembre 2021 la stipula di un partenariato militare Usa-Ucraina.

L’autorevole settimanale tedesco Die Zeit, nel n. 49 del 2 dicembre 2021, rilevava che il potenziale militare dell’Ucraina aveva superato quella della Bundeswehr. Il settimanale Der Spiegel, nel n. 8 del 19 febbraio 2022 (p. 25), rilevava come sia ora emerso dagli archivi britannici il documento nel quale i direttori degli Affari politici dei ministeri degli Esteri di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania, nella riunione del 6 marzo 1991 a Bonn, avessero ribadito l’impegno assunto nelle trattative per l’accordo “Due più quattro” (con il quale si era posto fine all’occupazione della Germania) di non estendere la Nato oltre la linea dell’Elba (vedi nota alla fine del post).

martedì 24 gennaio 2023

È ridicolo e da irresponsabili

 

«Nous devons avoir une guerre d’avance. Il ne faut jamais être en retard d’une guerre». Che tradotto non ha lo stesso significato del motto latino: Si vis pacem, para bellum. Emmanuel Macron chiede un aumento di quasi il 40% delle spese militari, a 413 miliardi di euro nel periodo 2024-2030 per fare la guerra, perché la Francia e i Paesi della Nato sono già parte di una contesa globale e si stanno preparando per intervenire ancora più direttamente e massicciamente in ogni scacchiere della contesa globale (leggi Usa-Cina, Medio Oriente, Africa) e nella guerra in atto tra Russia e Ucraina.

Il presidente francese mentre s’impegna a tagliare 13 miliardi di euro all’anno dalle pensioni punta a una completa modernizzazione delle testate, dei sistemi di lancio dei missili nucleari francesi, un aumento delle dimensioni della sua flotta di sottomarini con missili balistici e un aumento del 60% dei budget per l’intelligence militare e la guerra informatica. Questo chiarisce meglio di ogni altra cosa quale sia la volontà di potenza delle élite politiche ed economiche occidentali, quale sia il futuro che ci aspetta.

Come scrissi all’inizio del conflitto tra Russia e Ucraina, quella guerra non la può vincere realmente nessuno. Certamente non l’Europa. Quanto agli Stati Uniti, che l’hanno voluta e pianificata, dal punto di vista economico e strategico hanno ottenuto importanti risultati, a netto svantaggio degli interessi europei che, tra l’altro, devono procedere a un massiccio riarmo mentre tagliano la spesa sociale.

Inutile nascondercelo, negarlo, minimizzarlo: siamo in presenza dei prodromi di un conflitto su scala planetaria. Secondo modalità e dagli esiti che ancora nessuno può prevedere se non per larga approssimazione, non esclusa una guerra nucleare tra grandi potenze. La Cina e la Russia sono potenze nucleari. La Russia è la prima potenza nucleare del pianeta. Lo scrissi da ultimo sabato scorso, lo ripeto: le potenze nucleari non perdono i grandi conflitti da cui dipende il loro destino. La perdita di una potenza nucleare in una guerra convenzionale può provocare lo scoppio di una guerra nucleare.

È ridicolo e da irresponsabili, data la situazione, parteggiare per l’uno o per l’altro dei contendenti.

lunedì 23 gennaio 2023

Nemmeno alla vigilia della fine del mondo

 

Scrive Sergio Fabbrini in chiusa il suo articolo di ieri sul Sole 24ore: «Contrariamente a ciò che si pensa a Palazzo Chigi, la primazia dell’interesse nazionale fa il gioco di Berlino e Parigi, non già di Roma».

Spiega il perché: «certamente, di fronte alla crisi energetica, l’UE ha fatto bene a sospendere le regole che proibiscono gli aiuti di Stato. [...] gli Stati membri hanno potuto mobilitare 672 miliardi di euro di fondi pubblici per sostenere le loro imprese nazionali. Tuttavia, il 53% di questi aiuti è stato notificato dalla Germania, il 24% dalla Francia, il 7% dall’Italia, il rimanente 16% dagli altri 24 Stati membri».

Come se ciò non bastasse, con il General Block Exception Regulation, che consente agli Stati membri di fornire aiuti pubblici alle loro imprese senza il bisogno di notificare la decisione alla commissione europea (come previsto dai trattati), lasimmetria tra Stati membri è destinata ad accentuarsi ulteriormente. Ciò vale anche per altri provvedimenti di aiuti di Stato per installare tecnologia solare o eolica, per produrre idrogeno rinnovato, batterie ed elettronica. Si tratta complessivamente di altri 100 miliardi che gli Stati potranno mobilitare.

Di qui il paradosso, dice Fabbrini, di cui l’Unione Europea è prigioniera. «Se mantiene le regolamentazioni interne non può affrontare le sfide esterne, se le de-regolamenta per affrontare queste ultime finisce per aumentare le asimmetrie tra i propri Stati membri». Tali asimmetrie favoriscono gli Stati membri come la Germania, che dispongono di spazi fiscali per promuovere aiuti pubblici, ma indeboliscono gli Stati membri come l’Italia, che invece non possono farlo.

Ciò a fronte dell’Inflation Reduction Act (IRA), varata da Washington nell’agosto scorso, che secondo Fabbrini costituisce l’esempio più eclatante del cambiamento di cui ha parlato anche Ursula von der Layen a Davos: “Nei prossimi decenni assisteremo alla più grande trasformazione industriale del nostro tempo, probabilmente di tutti i tempi”.

Fin qui Fabbrini.

L’IRA statunitense in buona sostanza è un emendamento legislativo che va a modificare il Build Back Better Act, approvato dalla Camera il 27 settembre 2021), che di là della riduzione dei costi energetici per le famiglie e le piccole imprese (*), destina centinaia di miliardi di dollari alla riduzione del deficit e agli investimenti “verdi” (l’elenco in dettaglio è davvero impressionante e si può scaricare in Excel da questo sito), trai quali 13 miliardi di dollari in incentivi per i veicoli elettrici, 37 miliardi di dollari in produzioni avanzate, 20 miliardi agli investimenti nell’agricoltura, eccetera, purché ciò che viene prodotto e venduto sia Made in Usa.

L’UE dovrebbe rispondere con provvedimenti quali il Clean Tech Europe (o Net-Zero Industry Act), per un “continente decarbonizzato e ampiamente elettrificato entro il 2050”.

Siamo in presenza del solito ottimismo euforico sullo sviluppo lineare delle forze produttive in forza dell’innovazione tecnologica. In realtà è solo una lotta tra grandi interessi, che trova nel green un nuovo campo di battaglia per la spartizione di grandi profitti. La gestione detta democratica del capitalismo, la sua sedicente lotta contro l’inquinamento, non può diventare volontà reale se non trasformando il sistema produttivo dalle sue fondamenta.

Tutto ciò che consumiamo e respiriamo è alterato, inquinato e avvelenato. Persino l’erba dei parti e la possibilità di bere acqua effettivamente potabile, di dormire senza sonniferi o di lavarsi senza soffrire di troppe allergie o con il pensiero alla bolletta, sono diventati dei “problemi”, e ciò nel momento in cui la vecchia politica specializzata deve confessare di essere completamente finita e fallita, lasciando il posto a dei tecnocrati.

Siamo noi che non vogliamo cambiare, nemmeno quando il mondo cambia sempre più precipitosamente intorno a noi. Siamo dei conservatori, mentre le condizioni di esistenza della società capitalista non hanno mai potuto essere conservate. Come diceva 170 fa il vecchio Marx: si modificano senza interruzione e sempre più rapidamente. Alla fine si lascia fare al processo stesso della produzione di merci e ai suoi specialisti. Questo stato di cose non saremmo disposti a cambiarlo nemmeno alla vigilia della fine del mondo.

(*) Il Congressional Budget Office ha stimato che il disegno di legge non avrebbe alcun effetto statisticamente significativo sull’inflazione.


domenica 22 gennaio 2023

Nei difficili cammini dell’arte

 


Leggo dal libro diaristico Le case, le cose, le carte, di Elena Caradini Albertini, queste sue annotazioni alle pagine 278-79 riferite alla data del 9 maggio 1949:

Vado al Museum of Modern Art da non mancare a New York. Cuore dell’Arte Avanzata, mecca degli spiriti liberi. Edificio che s’spira all’ultimissimo stile nordico tedesco che poco si vede in questa città, a tutto suo vantaggio [della città, ovviamente].

[...] Nello squallido giardinetto, m’imbatto in una creazione surrealista a base di pezzi di metallo stranamente connessi e soggetti ad un certo movimento secondo quel poco fiato d’aria che può circolare in fondo a questo misero spazio libero tra altissimi edifici.

Due ragazzine slavate, intellettualissime, sono sedute in quel poco invitante angoletto ove proprio l’arte non “ride” né ride il cielo. Mi rivolgo a loro un po’ ironica e chiedo che significhino i pretensiosi rottami di ferro meno estetici e altrettanto ingombranti d’un’altalena abbandonata.

Difficult to explain, but you must look at the ... mobile, haning on the staircase from the top-floor. Surley you will like it!”. Non ci credo. Comunque salgo all’ultimo piano e m’infilo subito nelle salette seguendo istruttive spiegazioni che dalle pareti guidano l’inesperto nei difficili cammini dell’arte moderna.

[...] per quest’arte non ho mai provato e non riesco a provare desiderio. I sensi hanno pure la loro parte nell’apprezzamento artistico e i miei tacciono, semmai infastiditi o appena lontanamente attratti.

Finito il giro, eccolo lo strano coso ammirato da quelle ragazze. Un coso straordinario che ti prende come una piccola stregoneria. Pendaglio metallico leggero leggero che dondola al respiro d’un ventilatore o forse per l’air-conditioning nascosto. Seduta sul primo gradino della scala, guardo in su come una stupida a quella specie di aquilone ancorato che invita a fluttuanti pensieri e a relaxation. Si può dire quel che si vuole. Ma le ragazze avevano ragione, poverine. And I like it, I don’t know why: Calder autore di questo nonsense» [Alexander Calder, 1898-1976].

*

Elena C.A. era una persona, non solo per i suoi tempi e per la sua classe sociale, di non comune sentire e di cultura artistica superiore, aperta alle novità (fino a un certo punto, però). Uscendo dal museo: “Sto per comperare delle riproduzioni ma me lo vieto perché si tratta di arte che non so amare”.

Puoi amare un qualsiasi dipinto, anche non ben riuscito, ma come fai ad amare una lisca di pesce incollata su una tela bianca? Si può detestare il realismo sovietico, ma ha un suo perché e una sua identità riconoscibile. Quale identità se non quella della ripetitività stereotipata o della provocazione possono avere le opere degli “artisti” contemporanei?

La questione è sempre la stessa. Quando ti trovi di fronte a una cosiddetta opera d’arte contemporanea, ciò vale per le arti figurative così come per l’architettura o la musica, c’è sempre bisogno che qualcuno te la spieghi. Insomma, devono soccorrere delle parole, altrimenti non si capisce un tubo (neanche dopo la “spiega”, s’è per questo!). In pratica i dipinti e altre opere esistono soltanto per illustrare il testo, per diventare null’altro che teoria, nel migliore dei casi pura e semplice letteratura (neanche quella, date retta!).


Dopo la spiegazione, devi annuire fingendo di aver capito e di essere convinto della bontà artistica dell’opera, del suo alto significato, altrimenti passi per un ignorante, per un bimbo di cinque anni alle prese con un film pornografico di cui puoi seguire l’azione dei corpi ma non può comprendere le sfumature.

Eppure una pittura rupestre o una statuetta stilizzata del neolitico hanno già una loro qualità narrativa, non hanno bisogno di complesse e astruse spiegazioni per essere colte nel loro significato, almeno quello più immediato e percepibile ad oculum. Fu Gregorio Magno a dire che la pittura serve all’analfabeta quanto la scrittura a chi sa leggere. Oggi siamo tutti più istruiti e colti, la Fontana di Duchamp e per il resto l’intelligenza artificiale.

È il trionfo del formalismo considerare questa supposta arte con una sua logica interna, che in realtà non esiste. Non si tratta della difesa di un realismo ingenuo: l’analisi formale è importante, ma tenendo presente che le forme artistiche sono un prodotto e un riflesso della società, altrimenti incomprensibili se non inserite nel loro contesto storico. Al contrario, l’arte contemporanea non rivela alcun preciso contesto, se non quello del disorientamento e disfacimento, è diventata un gioco di società e soprattutto di mercato (eloquente l’episodio della ragazzina “artista” nel film La grande bellezza).

Non so quanto valgano queste mie considerazioni che possono apparire “retró”, ad ogni modo mi faccio accompagnare da quanto scriveva Elena nel suo libro in data 22 gennaio 1949 (lascio al lettore curioso eventualmente scoprirlo).

sabato 21 gennaio 2023

In attesa di Sanremo

 

In Europa c’è la guerra. Missili, artiglierie, carri armati, offensive e controffensive. Decine di migliaia di morti. Sanzioni economiche distruttive, soprattutto per i paesi della UE. In attesa del festival canoro di Sanremo, dove Zelenskyj, l’eroe di Kiev manovrato da Washington che ha portato il suo paese in guerra e al disastro, canterà la sua canzone preferita.

Ieri, il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, e il presidente dei capi di stato maggiore congiunti, il generale Mark Milley, hanno tenuto un briefing alla base aerea di Ramstein in Germania, dove hanno promesso la sconfitta militare della Russia.

Con questa dichiarazione si gioca tutto il prestigio dell’alleanza NATO sulla riconquista di tutto il territorio ucraino, che secondo gli Stati Uniti comprende sia l’intero Donbass che la penisola di Crimea.

Milley è un ufficiale militare in servizio attivo e Austin è un generale a quattro stelle in pensione a cui è stata concessa una dispensa speciale dal Congresso per prestare servizio come segretario alla Difesa. Questi due generali a quattro stelle stanno effettivamente impostando la politica estera degli Stati Uniti, ed è la dimostrazione del potere dei militari nella società americana (*).

Come in tutte le guerre, man mano che i combattimenti procedono, il dibattito su chi “ha sparato il primo colpo” svanisce e vengono alla luce le vere e complesse forze sociali che guidano la guerra.

Un paio di cose: 1) la popolazione ucraina è usata come carne da macello per una guerra per dominare la massa continentale eurasiatica; 2) le potenze nucleari non perdono i grandi conflitti da cui dipende il loro destino. La perdita di una potenza nucleare in una guerra convenzionale può provocare lo scoppio di una guerra nucleare.

(*) Leggo da Wikipedia a riguardo di Lloyd Austin: «I suoi legami con la lobby delle armi hanno attirato critiche. Per esempio, secondo la giornalista Sarah Lazare: “La persona che Biden avrebbe scelto per dirigere il Dipartimento della Difesa è un membro del consiglio di amministrazione di Raytheon, un fornitore chiave di bombe per la guerra USA-Saudita in Yemen che ha fatto pressione in modo aggressivo contro il taglio delle vendite di armi alla coalizione a guida saudita. Lloyd Austin si è impegnato a vendere la sua partecipazione in Raytheon entro tre mesi dalla sua nomina governativa per evitare un conflitto di interessi, che lo pagherebbe 1,7 milioni di dollari secondo la stampa».

Più in dettaglio dal sito Forbes.com:

«Nell’agosto 2016 è diventato direttore di Guest Services Inc., una società di gestione dell’ospitalità. Un mese dopo, è entrato a far parte del consiglio di amministrazione di United Technologies Corporation, un conglomerato da 56 miliardi di dollari (vendite) con una presenza nel settore aerospaziale e delle costruzioni. Quando United Technologies si è fusa con Raytheon, un enorme appaltatore della difesa, nellaprile 2020, Austin è rimasto direttore della società mista. In cinque anni, Austin ha guadagnato $ 643.000 in contanti, secondo un’analisi dei documenti della Securities and Exchange Commission. Ha anche ricevuto premi azionari alla fine per un valore stimato di $ 1,1 milioni.

Nel maggio 2017, Austin è entrato a far parte del consiglio di amministrazione di un’organizzazione no profit chiamata Carnegie Corporation di New York, dove ha prestato servizio insieme allex ambasciatrice Caroline Kennedy e allanchorman della PBS Judy Woodruff. La maggior parte dei direttori esterni della Carnegie Corporation ha aiutato gratuitamente, ma Austin ha raccolto dei soldi. Durante i quasi quattro anni in cui ha prestato servizio nel consiglio, ha ricevuto almeno $ 39.000 di compenso, secondo il suo rapporto di divulgazione finanziaria e la dichiarazione dei redditi dellorganizzazione no profit. Quattro mesi dopo essersi unito a quel consiglio, Austin ha aggiunto un’altra posizione, diventando direttore presso il produttore di acciaio Nucor. Ha ricoperto quel ruolo fino al giorno in cui è diventato segretario alla difesa, guadagnando $ 411.000 in contanti e circa $ 500.000 in azioni.

Con tutti questi nuovi soldi in arrivo, Austin ha deciso che era tempo di spendere. Nellaprile 2018, lui e sua moglie hanno acquistato una casa da 2,6 milioni di dollari nella periferia di Washington. Il mese successivo, l’ex generale è entrato a far parte del consiglio di Tenet Healthcare Corporation, una società che gestisce centinaia di ospedali e altre strutture sanitarie. Austin ha ricevuto $ 328.000 in contanti nei successivi tre anni da Tenet. Ancora meglio: ha ottenuto premi in azioni che, dopo un’impennata delle azioni durante la pandemia, valevano circa $ 1,5 milioni quando ha disinvestito a febbraio.

C’erano anche altre opportunità. Austin ha guadagnato almeno $ 200.000 servendo nel consiglio consultivo per la sicurezza nazionale di Booz Allen Hamilton, un altro grande appaltatore della difesa. Con l’avvicinarsi delle elezioni del 2020, è entrato a far parte di una società di private equity chiamata Pine Island Capital Partners, dove il futuro Segretario di Stato Antony Blinken ha servito come consulente. Nel novembre 2020, Fidelity Investments ha accolto Austin nel suo comitato consultivo, pagandogli più di $ 40.000.

L’afflusso di denaro è rallentato a gennaio, quando Austin è diventato segretario alla difesa. Nei due mesi successivi, ha venduto le sue partecipazioni azionarie, intascando più di $ 2 milioni. Austin si è impegnato a ritirarsi da questioni che coinvolgono Raytheon Technologies».


venerdì 20 gennaio 2023

La dittatura della borghesia

 

Questa "sfortuna" continuerà fino a quando non verrà eliminata la posizione dei vari Bezos.

Due milioni di persone hanno scioperato o hanno manifestato ieri contro i tagli alle pensioni che aumenterebbero l’età minima di pensionamento a 64 anni con un periodo minimo di versamenti di 43 anni. Hanno aderito agli scioperi i lavoratori delle ferrovie e dei mezzi di trasporto, il personale scolastico e i lavoratori dell'elettricità e delle raffinerie, e si sono svolte 200 manifestazioni di protesta nelle città di tutta la Francia.

I sindacati hanno riferito che 400.000 persone hanno manifestato a Parigi, 140.000 a Marsiglia, 38.000 a Lione, 60.000 a Bordeaux, 50.000 a Tolosa e Lille, e 55.000 a Nantes, 35.000 a Strasburgo. Inoltre, anche in molte città più piccole, cosa che ha sorpreso le autorità di polizia: 25.000 a Orléans, 21.000 a Le Mans, 20.000 a Nizza, 19.000 a Clermont-Ferrand, 15.000 a Tours, 13.000 a Pau, 10.000 a Chartres, 9.000 ad Angoulême e 8.000 a Châteauroux.

Non basta scendere in piazza. Non basterà rifarlo il prossimo 23 gennaio. Servirebbe uno sciopero generale ad oltranza e non solo contro le misure previdenziali annunciate. Mandare a casa la vecchia casta politica e amministrativa, comprese le burocrazie sindacali che con Macron hanno trattato, indire elezioni per organismi popolari di governo, nazionalizzazione dell’industria e confisca delle grandi proprietà, scioglimento delle forze di repressione e istituzione di una guardia popolare armata. Insomma uno scontro sociale a tutto campo, senza esclusione di colpi. Tuttavia i rapporti di forza tra le classi sociali richiamano alla realtà, ci si deve accontentare delle marcette di un giorno e di qualche tafferuglio.

Ieri sera il ministro della funzione pubblica Stanislas Guérini ha dichiarato a TF1 che Macron non modificherà i tagli in risposta alla protesta. Possono permettersi questa iattanza fino a quando avranno a disposizione gli apparati di polizia e i media, ossia fino a quando la testa dei Guérini resterà attaccata ai loro corpi. Ecco dunque spiegato il significato di “dittatura della borghesia”.

La dittatura dei ricchi mira a tagliare 13 miliardi di euro all’anno dalle pensioni, ma gli stati dell’Unione Europea distribuiscono trilioni di euro a banche e società in massicci salvataggi e altri maneggi, spendono miliardi per inviare carri armati e altre armi in Ucraina per la guerra con la Russia, perché la carneficina continui e le sanzioni vadano in culo alla gente più povera (naturalmente per gli spudorati e smemorati lacchè della borghesia sei filorusso se dici questo).

Il rapporto Oxfam ha rivelato che i due terzi della nuova ricchezza creata dal 2020 sono andati all’1% più ricco, ha anche rilevato che i primi 10 miliardari francesi hanno aumentato la loro ricchezza di 189 miliardi di euro dal 2020. Il miliardario francese Bernard Arnault è attualmente l’uomo più ricco del mondo, la sua ricchezza ammonta ora a 213 miliardi di euro. I 13 miliardi di euro che la borghesia francese vuole tagliare dal budget pensionistico annuale della Francia sono di molto inferiori all’importo del profitto che Arnault ha aggiunto alla sua fortuna personale ogni anno dal 2020, quando era di 79 miliardi di euro.

Altro che taglio alle pensioni! Basta questo dato per capire in che cosa consista la dittatura della borghesia, alla quale si può rispondere adeguatamente solo in un modo. Ma, ripeto, i rapporti di forza sono al momento tutti a favore della dittatura della borghesia, che da decenni con la sua propaganda, le sue lusinghe, paventando paure sociali accompagnate da minacce, riesce vincente e se ne sta comoda nei suoi agi e protetta nei suoi covi.


giovedì 19 gennaio 2023

Liberali col culo dei poveracci

 


La spesa per pensioni nel 2021 è stata di 273,959 miliardi (+1,8% rispetto al 2020). Aggiungendo in un triennio, in via approssimativa, altri 2 miliardi per quota 103, si tratta di un aumento dello 0.7 per cento a regime. Il sostegno al reddito è stato pari a 24,356 miliardi (-27,4%). Sempre nel 2021, 22,62 miliardi sono stati destinati per sgravi contributivi e agevolazioni alle imprese (Rendiconto generale dell’Inps, approvato dal Consiglio di Indirizzo e Vigilanza).

Nella storia umana, la vecchiaia è sempre stata sinonimo di povertà, ad eccezione di quella, mediamente più lunga, dei ricchi, cioè di sfruttatori, approfittatori e loro lacchè. La questione, come si sa, riguarda da migliaia di anni la divisione della torta. C’è chi si serve con comodo al tavolo (viene chiamato anche “merito”) e chi, invece, deve sgomitare sotto il tavolo per raccogliere le briciole.

Il nostro sistema di protezione sociale dovrebbe garantire per ognuno di noi una vita non di miseria dopo quella lavorativa. Se “libertà” non si accompagna con “uguaglianza”, la democrazia non serve a un cazzo.

Un po’ la nostra previdenza ci riesce, anche se un terzo dei pensionati (32,8%), ha un reddito pensionistico complessivo inferiore a 1000 euro. E però c’è chi non gradisce che chi ha lavorato per 41 anni (magari non proprio col culo al caldo d’inverno e al fresco d’estate) e con 62 anni d’età vada in pensione. Ragione? Il sistema non sarebbe in equilibrio.

Lho spiegato ieri: se i giovani fanno fatica è perché i governi hanno dato priorità alla redditività del capitale. Quindi non è perché siete giovani che siete poveri, ma perché viviamo in un’economia in cui la quota dei salari nella torta nazionale è crollata e dove il progresso tecnico sta distruggendo posti di lavoro molto più velocemente di quanto la maledetta “crescita” stia creando.

Perciò un modo per far stare in equilibrio il sistema previdenziale c’è se le giovani generazioni decidono che è ora di cambiare musica. 

Il Global Risks Report 2023

 

Per una volta non sarò io a recitare la parte di Cassandra. Il Global Risks Report 2023 presenta i risultati dell’ultima Global Risks Perception Survey. Leggiamo:

All’inizio del 2023, il mondo affronta una serie di rischi che sembrano completamente nuovi e stranamente familiari. Abbiamo visto un ritorno dei rischi “più vecchi” – inflazione, costo della vita crisi, guerre commerciali, deflussi di capitali dagli emergenti mercati, disordini sociali diffusi, confronto geopolitico e lo spettro della guerra nucleare – che pochi dei leader aziendali di questa generazione e i responsabili delle politiche pubbliche hanno sperimentato. Questi vengono amplificati da sviluppi relativamente nuovi nel panorama dei rischi globali: insostenibili livelli di indebitamento, una nuova era di bassa crescita, bassi investimenti e de-globalizzazione, un declino dello sviluppo umano dopo decenni di progresso, sviluppo rapido e senza limiti di tecnologie a duplice uso (civile e militare), e la crescente pressione degli impatti e delle tendenze del cambiamento climatico in una finestra sempre più ridotta per una transizione verso un mondo di 1,5°C. Insieme, questi rischi stanno convergendo per plasmare un decennio unico, incerto e turbolento [p. 6].

Tradotto: le contraddizioni accumulate dalla crisi capitalista mondiale hanno raggiunto l’equivalente della massa critica, ossia hanno raggiunto il punto in cui la dinamica della crisi è andata oltre la capacità dei governi di controllare il movimento che porta verso un cataclisma sociale.

Tutto nel Global Risks Report conferma, a suo modo, la veridicità di questa analisi, motivo per cui il documento del WEF ha ricevuto poca o nessuna copertura nei cosiddetti media mainstream.

Si tratta di una serie di crisi sempre più profonde, tra cui il continuo peggioramento delle prospettive economiche, l’intensificarsi dei conflitti e delle tensioni geopolitiche, il rapido deterioramento dell’assistenza sanitaria e gli effetti del cambiamento climatico.

Anche se alcune economie subiranno un atterraggio più morbido del previsto, la fine dell’era dei bassi tassi di interesse avrà conseguenze significative per i governi, le imprese e gli individui. Gli effetti a catena saranno avvertiti in modo più acuto dalle parti più vulnerabili della società e dagli stati già fragili, contribuendo all’aumento della povertà, della fame, delle proteste violente, dell’instabilità politica e persino del collasso dello Stato.

Quindi, a conferma di quanto scrivevo in un post dell’altro ieri:

[...] I governi continueranno ad affrontare un pericoloso equilibrio tra la protezione di un’ampia fascia di cittadini da una crisi prolungata del costo della vita senza incorporare l’inflazione e il pagamento del debito e dei costi di servizio poiché le entrate sono sotto pressione di una recessione economica, una transizione sempre più urgente verso nuovi sistemi energetici e un contesto geopolitico meno stabile.

Il rapporto avverte che i disordini sociali e l’instabilità politica non si limiteranno ai mercati emergenti, poiché le pressioni economiche colpiscono la fascia del medio reddito:

La crescente frustrazione dei cittadini per le perdite nello sviluppo umano e il declino della mobilità sociale, insieme a un crescente divario nei valori e nell’uguaglianza, stanno ponendo sfide esistenziali ai sistemi politici di tutto il mondo.

Il rallentamento globale e lo sviluppo della recessione in molte parti del mondo aumenteranno le tensioni e i conflitti geopolitici:

La guerra economica sta diventando la norma con l’aumento degli scontri tra potenze globali e l’intervento statale nei mercati nei prossimi due anni.

Le politiche economiche non saranno utilizzate solo in modo difensivo, ma “in modo sempre più offensivo per limitare l’ascesa di altri”.

Il rapporto sottolinea anche l'aumento della spesa militare in proporzione al PIL da parte degli Stati Uniti, insieme ad altri, e rileva la decisione del Giappone di raddoppiare la sua spesa militare:

L’ampia spesa per la difesa, in particolare per la ricerca e lo sviluppo, potrebbe aggravare l’insicurezza e promuovere una corsa tra potenze globali e regionali verso armamenti più avanzati.

Ciò sarà accompagnato dalla nascita di blocchi che legano insieme i paesi in termini di sicurezza, commercio, innovazione e investimenti.

Queste valutazioni spazzano via le precedenti dichiarazioni del World Economic Forum secondo cui la globalizzazione della produzione e della finanza attraverso il “libero mercato” avrebbero portato il mondo alla pace e alla prosperità.

In realtà, un tale organico sviluppo pacifico era impossibile perché il mondo è lacerato dalla contraddizione tra l’economia globale e il sistema degli stati-nazione.

Lo stato moderno, sia esso democratico o autoritario, di cui quello imperiale romano fu una prefigurazione, deve assolvere a due esigenze fondamentali: uno sviluppo economico adeguato al fine di garantirsi il consenso politico e sociale interno. L’obiettivo di adeguare lo sviluppo economico (che si traduce nelle esigenze indotte dal processo di accumulazione), e di contrastare le crisi (prodotte dalle dinamiche dello stesso processo), ha l’effetto perverso di esportare sul piano geopolitico gli antagonismi tra gli Stati.

Non la politica determina le scelte dello Stato, ma le leggi dell’accumulazione capitalistica, che plasmano la sua politica interna e internazionale. Questo modo irreversibile di essere dello Stato non è privo di rovinose conseguenze tanto dal lato della mediazione degli interessi tra le varie fazioni della borghesia, quanto da quello della simulazione della sua pretesa autonomia formale, che è la condizione del suo rappresentarsi come portatore di un determinato interesse generale.

La grande borghesia si trova ovviamente in una posizione privilegiata rispetto alle altre classi, ma tale privilegio ha tuttavia un costo, perché nella fase della crisi generale del modo di produzione capitalistico (che, come ricordo sempre, coincide paradossalmente col suo massimo trionfo) mina alla base l’edificio ideologico che fino a oggi ha sorretto gli Stati borghesi.

Ciò spiega, in gran parte, perché si siano andate progressivamente perdendo le condizioni di relativa autonomia che fino a ieri avevano caratterizzato il rapporto tra capitalismo e personale dello Stato, tanto a livello di sistema dei partiti, quanto a quello più profondo dell’apparato amministrativo. L’ineludibile dipendenza sostanziale del politico dall’economico, rivelandosi anche nella forma (lo vediamo bene nelle determinazioni della Ue e della Bce), disegna una diversa simmetria nel soddisfacimento degli interessi particolari e costruisce un dualismo aperto agli sviluppi più contraddittori.