lunedì 31 maggio 2021

Il Covid 19, il laboratorio di Wuhan e i soliti babbei


La scorsa settimana, i media statunitensi hanno fatto propria la tesi sostenuta dallex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e dai suoi alleati politici, secondo cui il Covid-19 avrebbe a che fare con il Wuhan Institute of Virology.

domenica 30 maggio 2021

E quando la sorte ...

 

“E quando la sorte fa che il popolo non abbi fede in alcuno, come qualche volta occorre, sendo stato ingannato per lo addietro o dalle cose o dagli uomini, si viene alla rovina di necessità (Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio).

Il 30 maggio 1924, Giacomo Matteotti prese la parola alla Camera dei deputati per contestare i risultati delle elezioni tenutesi il precedente 6 aprile sulla base della legge Acerbo, voluta da Benito Amilcare Mussolini per assicurare al Partito Nazionale Fascista una solida maggioranza parlamentare. La legge prevedeva un premio di maggioranza in quota fissa, pari ai 2/3 dei seggi, a beneficio del partito più votato qualora questo avesse superato il quorum del 25%.

Il 21 luglio del 1923 il disegno di legge Acerbo fu approvato dalla Camera. A favore si schierarono il Partito Nazionale Fascista, buona parte del Partito Popolare Italiano, una vasta maggioranza dei componenti dei gruppi parlamentari di tendenze liberali, fra i quali Antonio Salandra ed Enrico De Nicola, futuro primo presidente dalla Repubblica e allora presidente della Camera, della quale mantenne la presidenza fino al conseguente scioglimento della stessa, il 25 gennaio 1924.

Nelle elezioni precedenti, quelle del maggio 1921, i fascisti avevano ottenuto solo 35 seggi. In quel 15 maggio vi furono 29 persone uccise, 104 i feriti. Il giorno successivo i socialisti uccisi furono 10, i fascisti 2 e 2 tra gli estranei; 34 i feriti tra i socialisti, 14 fascisti e 16 tra gli estranei. Da sei mesi i fascisti colpivano e uccidevano gli avversari politici. Italo Balbo inventò la “punizione all’olio di ricino” (numerosi comuni italiani lo celebrano nella toponomastica; ma quanti sono gli odonimi di fascisti? Centinaia!). Gli agrari e la borghesia volevano e ottenevano la loro vendetta. Nel 1924 la vittoria fu completa.

giovedì 27 maggio 2021

Un francobollo in camicia nera

 

Il 25 maggio è uscito il libro di uno storico, cioè di uno studioso che scrive basandosi su fonti di prima mano, non di rado inedite. Sto leggendo il suo libro, Il filosofo in camicia nera, e mi chiedo, pagina dopo pagina, come sia stato possibile che nell’Italia repubblicana e sedicente antifascista sia stato emesso un francobollo celebrativo di una simile merda umana. Dopo le prossime elezioni politiche succederà anche di peggio.


In attesa di fare altrettanto

 

L’annuncio dato nelle prime ore del 15 maggio dalla China National Space Administration (CNSA ) dell’arrivo con successo del rover Zhurong su Marte, non ha avuto la stessa eco e la notizia non è stata accolta in Occidente con la stessa enfasi che fu data nel 1997 al rover Sojourner, o di recente per Perseverance e il suo piccolo elicottero robotico Ingenuity. Eppure è una notizia a suo modo storica, perché ci dice forse meglio di qualunque altro evento quanto la Cina ci sia vicina.

Basti pensare che cos’era la Cina solo un secolo fa, quando masse enormi di popolazione pativano la fame e vivevano nella miseria più nera. Una miseria di dimensioni così ampie e persistenti nel tempo che l’Europa non conobbe nemmeno nei secoli più bui della sua storia, che pure non furono poca cosa in tal senso, basti pensare alla “recente” guerra dei Trent’anni, o alle condizioni disperate in cui si trovò la Germania nel primo dopoguerra.

Basti andare con la memoria al decennio che seguì la proclamazione della Repubblica popolare, quando decine di milioni di cinesi sperimentarono sulla propria pelle che la storia non fa salti, nemmeno se sono chiamati “balzi”; che sulla miseria non si costruisce nulla, che bisogna attendere si producano le condizioni più favorevoli per costruire la base reale d’una forma superiore di società, come ebbe a ripetere, inascoltato, il Grande Vecchio.

*

mercoledì 26 maggio 2021

Rivelazione sugli oggetti extraterrestri

 

Sapete che cos’è la schreibersite? Non lo sapevo neanche io, nonostante cinquant’anni fa fosse quasi il Nobel per la chimica, ossia prima di darmi alla falsificazione dei biglietti di banca con i pennarelli.

La schreibersite è un composto di fosforo, ferro e nichel. Per molto tempo si è ritenuto che la principale fonte terrestre della schreibersite (e di fosforo) fosse da cercare nei flussi di meteoriti che hanno colpito la terra miliardi di anni fa.

L’importanza della schreibersite è data dal fatto che entrando in contatto con l’acqua, cioè quando è idratata, produce composti organici del fosforo, uno degli ingredienti chiave per la vita e base per biomolecole con DNA e RNA. Questo spiega perché le meteoriti sono imputate di essere i messaggeri della vita sul nostro pianeta.

Fino ad ora, almeno. Perché un’équipe guidata da Benjamin Hess della Yale, di cui parla l’ultimo numero della rivista le Scienze (pp. 18-19), ha osservato che la schreibersite è presente in grande quantità nella folgorite, un minerale vetroso nato dall’impatto tra fulmini e terreni ricchi di argilla.

Pertanto, la vita sul nostro pianeta non ha origine da impatti con oggetti extraterrestri, ma è autoctona. Cazzo, questo cambia tutto. Quando i testimoni di Geova mi suoneranno il campanello, dovrò dire loro che hanno ragione: è Geova Fulgurator (o Fulminator) ad aver innescato tutto il nostro bordelloהַלְּלוּיָהּ .


La lingua dei filantropi

 

Alcuni lustri or sono, mi trovavo a Ragusa (l’attuale Dubrovnik), una bella e antica città che in un certo periodo storico fu possedimento veneziano. Ebbene, notavo con un certo stupore che, nonostante la nutrita presenza di turisti, non solo italiani, le indicazioni, comprese quelle destinate specificatamente ai turisti, erano scritte in croato e non riportavano alcuna traduzione, vuoi in inglese o altra lingua e tantomeno in italiano. Un paradosso, che ha ovviamente una sua motivazione (nazionalistica).

Accenno ora a uno dei paradossi, opposto a quello descritto, della comunicazione odierna: si avverte la necessità di una comunicazione universale, laddove i contenuti veicolati siano gli stessi. Assistiamo a una specie di razionalizzazione della semantica sulla base della lingua inglese. Che poi, per quanto riguarda la pronuncia, non è sempre inglese, e penso, per fare un esempio banale, a una parola di uso corrente: privacy, pronunciata all’americana.

lunedì 24 maggio 2021

Tesla

 

Vi sentireste di acquistare azioni di una società che ha guadagnato oltre il 700% nel 2020? Le azioni Tesla il 3 gennaio 2020 erano a 88 dollari, un anno dopo toccavano 880, oggi sono a 610. Troppo facile rispondere che le avreste comprate venerdì scorso quando erano a 580. Attenti comunque al cerino, anche se una quotazione a 900 non mi sorprenderebbe.

Il produttore di veicoli elettrici Tesla è diventato rapidamente un attore dominante nel settore automobilistico, almeno a giudicare dalla quotazione delle sue azioni. Nonostante sia scesa di recente sotto l’impatto della volatilità di Bitcoin, Tesla conserva una capitalizzazione di mercato di circa 750 miliardi, maggiore delle tre grandi case automobilistiche messe insieme (Toyota, Volkswagen, Daimler). Il primo trimestre del 2021 è stato il più redditizio per Tesla, con un profitto di 438 milioni di dollari.

Il prezzo delle azioni di Tesla è costruito sulla speculazione di Wall Street, seguita a sua volta dalle altre borse. Il costruttore americano può contare sul 25% del mercato delle auto elettriche (la cinese SAIC il 17, Volkswagen l’8, Stellantis il 5), ma l’azienda produce molti meno veicoli rispetto ai suoi concorrenti.

Toyota, con sede in Giappone, con una capitalizzazione di mercato di 211 miliardi di dollari, ha venduto 9,5 milioni di veicoli nel 2020, seguita dalla tedesca Volkswagen con 148 miliardi di dollari e 9,3 milioni di veicoli, Daimler 94 miliardi di dollari e 2,8 milioni di veicoli, e General Motors 80 miliardi con 2,5 milioni di veicoli. Pertanto, i quattro maggiori concorrenti di Tesla rappresentavano oltre 24 milioni di veicoli prodotti nel 2020, che è più di 48 volte i 500.000 veicoli venduti da Tesla.

domenica 23 maggio 2021

Se va bene sarà il solito brodo

 

È solo una boutade, un pourparler per farci abboccare all’amo come pescetti. Non se ne farà nulla, figuriamoci. Oltretutto, fissando una franchigia di cinque milioni di euro, decine di migliaia di patrimoni sfuggirebbero ugualmente alla maggiorazione impositiva. Con il catasto che abbiamo, poi.

Ah già, i famosi “dati incrociati”. Neanche quelli sanitari e sulle vaccinazioni ci sono. 

Eppure Lilli Gruber, per ben due sere, sembrava seriamente preoccupata, visibilmente allarmata. Solo finzione. La ricca giornalista si mostrava agitata fino al punto di dire cose palesemente non vere. Ieri sera, con enfasi, ha esclamato testualmente a tale riguardo: «C’è già il 4 per cento, e poi in modo progressivo andrebbe avanti».

Che significa “andrebbe avanti”? Non c’è alcuna progressività dopo la franchigia di un milione. Il 4 per cento è un’imposta di successione fissa, vale per due milioni così come per dieci o cento. Come per le imposte sui conti correnti bancari: tale è l’imposta fissa su un conto medio di 5.001 euro e così su quello di 500.000 mila, su 100 milioni.

Non è casuale, bensì il prodotto di una politica fiscale a suo modo efficiente: di classe. Il ricco e l’abbiente pagano le stesse aliquote fisse come chi possiede solo il gruzzolo per il proprio funerale.

L’on. Bersani insiste sull’agognata riforma fiscale organica. Ricordo le ipotesi di Tremonti a tutta pagina, con le quali trascorrevamo divertiti l’estate. Solo per dire di cose recenti, réclame politica di meno di vent’anni fa. Ecco perché bisognerebbe accontentarsi del qui e ora, ma neanche questo poco è possibile.

I rapporti di forza tra le classi sociali, dunque i rapporti di forza politici, sono impari. Già la proposta di aumentare l’aliquota sulle successioni, basata una mera intervista giornalistica e che prevederebbe una franchigia di ben cinque milioni di euro, non è una cosa seria.

Un segretario di partito, degno di questo nome, la fa portare in consiglio dei ministri perché venga presa in esame, ponendola come condizione sul piatto della maggioranza di governo. Non laffida alla cassetta della posta, non si fa rispondere con uno sberleffo.

La verità è che quelli che hanno molto, vogliono continuare a tenersi stretta la roba. Solo a parlare della questione li manda nel panico e in bestia. Europeisti a chiacchiere, l’ho già detto.

Quanto poi a una riforma fiscale degna di questo nome, davvero progressiva e con le debite distinzioni redittuali e patrimoniali, che elimini o riduca i mille balzelli con i quali è tosato il gregge, non si farà mai. Se va bene, sarà brodo fatto con quattro ossa.


sabato 22 maggio 2021

La "sciocchezza" di Marx

 

C’era una volta l’aristocrazia di sangue e sembrava dovesse esserci per sempre.
L’aristocrazia del denaro sembra dover esserci per sempre.
Nulla è per sempre.

*

Ferdinand Domila Nieuwenhuis, il maggior esponente della lega socialdemocratica, la principale forza politica socialista in Olanda, il 6 gennaio 1881 scrisse a Karl Marx chiedendo quali misure legislative in tema politico ed economico avrebbero dovuto prendere i socialisti nell’eventualità di una loro conquista del potere.

Roba da far tremare i polsi.

Tale “questione” i socialisti olandesi intendevano discuterla al Congresso internazionale di Zurigo (si tenne poi a Chur, alias Coira) dal 2 al 4 ottobre 1881. Il congresso era stato convocato su iniziativa dei socialisti belgi per discutere la creazione di una nuova Internazionale, decisone che non fu adottata.

La domanda posta da Nieuwenhuis, offrì a Marx l’occasione per precisare, ancora una volta, il suo pensiero in merito alla “questione” che turbava i sonni di molti socialisti e avrebbe continuato ad agitarli per generazioni, fino a quando, sfiniti da questo enigma della Sfinge, gli apostati dell’ultimo “comunismo” getteranno la spugna sputando sulle reliquie.

Non c’è conservatore borghese al quale non venga facile porre la domanda sul futuro eden comunista per mettere in difficoltà chiunque s’attardi sulla “questione” e non s’accontenti di brucare l’erba nel pascolo capitalista. Al balbettio evanescente che può seguire la fatidica domanda, il borghese gongola per la sua vittoria a tavolino, per aver inchiodato l’avversario sulla dirimente “questione”.

Né sono da meno, per contro, i compagni tutto pane e rivoluzione, con le loro rappresentazioni, i miti, le icone, le suggestioni, le invenzioni. Gestori dell’osteria dell’avvenire, sciorinano la ricetta della felicità perpetua, che contempla la “socializzazione dei mezzi di produzione” quale ingrediente principale con proprietà legante dell’insieme.

Come rispose, a sua volta, il Moro alla domanda posta da Nieuwenhuis? In premessa scrisse che la “questione” era una “sciocchezza” (*), che anzi doveva essere assunta come critica della questione stessa.

Oh, che delusione per coloro che s’attendevano i decreti attuativi pronti per la firma. Quale più smaccata conferma della mancata “soluzione” per chi lo considera alla stregua di un utopista. “Marx ha eluso la questione”, spettava a lui l’onere di dimostrare il “che fare del comunismo al potere, e invece ha nascosto il proprio fallimento teorico nella “prolissità e oscurità” del suo linguaggio. Ecco perché non ha “concluso il secondo e il terzo volume del Capitale”, non ha saputo andare oltre l’uomo medio di Adolphe Quetelet !

Nella traduzione italiana, sostanzialmente corretta, della lettera marxiana, si legge:

venerdì 21 maggio 2021

Nessuno tocchi la robba


È vero, la mano del fisco è più pesante in Italia per alcune imposte, per esempio l’IVA rispetto alla Germania per i trasferimenti della proprietà della casa, mentre da noi è 4% per l’acquisto con requisiti “prima casa“, 10% per l’acquisto “non prima casa”, in Germania si può essere esenti per l’abitazione (ma l’imposta di registro è più alta, tra 5 e 6,5%, secondo i Land). Va anche detto che gli estimi catastali all’estero sono una cosa seria, e non, come non di rado accade in Italia, una burla. In Francia, per gli edifici completati da meno di cinque anni, l’aliquota da applicare è del 20%. La solita grandeur.

Più in generale ci sono troppe tasse, che molti evadono o è consentito eludere, dedurre, detrarre, aggirare con artifici. Raggiungeremo mai una certa agognata uniformità fiscale in Europa? Che facciamo noi su questo tema, aspettiamo che ce lo facciano notare? L’ha già fatto la Banca d’Italia, per dire.

Prevedere questo tipo d’imposte (successione, donazioni, ecc.) come una tassazione “di scopo”, non è sbagliato. Tutt’altra faccenda, come sempre alle nostre latitudini, saranno i criteri di applicazione nella eventuale fase “distributiva”.

Parlare di “aumento della pressione fiscale”, che nel caso delle aliquote su successioni e donazioni non incide sul reddito da lavoro o di altra attività, bensì sul trasferimento di ricchezza post mortem, mi pare davvero strumentale, per dire garbatamente. 

giovedì 20 maggio 2021

Signori europeisti a chiacchiere

 


Perché aumentare l’imposta solo all’1 per cento ai più ricchi? Perché non tassare le successioni secondo progressione? Con quali aliquote? Qui sta il punto vero della questione. E senza tetti massimi.

Ora vige un’aliquota fissa del 4% sulle successioni (e donazioni !!), con una franchigia di un milione di euro. Non è una seria elusione fiscale vidimata dalla legge?

L’imposta al 4% è meramente simbolica. In Giappone è al 55%, ma lì hanno gli occhi a mandorla e perciò vedono le cose diversamente. Nel paese più capitalista del mondo, gli Stati Uniti d’America, secondo Roger Abravanel, che scriveva di questo tema sul Corriere della sera nel 2017, si tratterebbe del 40% sui beni del defunto.

Nell’articolo, non a caso, Abravanel taceva sulla tassazione vigente negli altri paesi della UE (accenna alla Svezia quale “paese socialista”). Sosteneva Abravanel che alzare l’imposta di successione nel nostro paese “sarebbe l’ennesima proposta populista di tassare il patrimonio dei più ricchi che porterebbe molto meno risorse di una seria lotta all’evasione dell’imposta sul reddito che vale 150 miliardi l’anno”.

Ah già, la seria lotta all’evasione. In Italia è come la lotta alla grandine.

Se l’esempio di tassazione americano può sembrare esoso, adottiamo allora, parola per parola, la legislazione tedesca. Oppure quella francese. Piace di più quella inglese? Ok. Come detto, Roger Shylock non ne faceva menzione nel suo articolo. Né altri lupi mannari del liberalismo ne fanno menzione ora.

Sosteneva Abravanel che nessun aumento dell’imposta sulle successioni in Italia avrebbe effetto, perché “se la elusione nei Paesi dove la tassa esiste è massiccia, da noi arriverebbe a livelli record”. E come avverrebbe? Risponde Abravanel: con “donazioni e fondazioni”. Bravo.

È ovvio che l’imposta dev’essere comune alle donazioni, alle polizze vita e a tutte le altre forme equivalenti e legali di trasferimento di beni agli eredi con le quali normalmente viene occultato sia il grosso che l’argent de poche. In tal modo l’evasione e l’elusione di questo tipo d’imposta diventerebbe molto più complicata. E non è assolutamente vero che il gettito per l’erario sarebbe minimo, tutt’altro. Quella sulle donazioni, successioni ed affini, e stata storicamente l’imposta più temuta dai proprietari.

Ad ogni modo: il gettito sarebbe poco? Eleviamo, come detto, le aliquote. Imitiamo l’Europa, signori europeisti a chiacchiere, liberali col culo degli altri.


martedì 18 maggio 2021

Sussidi pubblici e salari

 

Se i salari sono da fame e per contro aumentano i sussidi pubblici fintanto da renderli preferiti al lavoro salariato, viene a decrescere l’offerta di forza-lavoro. Ciò è banale, osserva qualcuno. Concordo, è banale. Allora, si propone, bisogna ridurre i sussidi pubblici per costringere la forza-lavoro a mettersi sul mercato.

Eh, quando si dice vedere il bicchiere mezzo vuoto (o mezzo pieno, ovviamente). Del resto, si osserva, se margini di profitto in certi settori sono scarsi, se la produttività del lavoro è bassa, non si possono aumentare i salari per invogliare i fannulloni a lavorare, ma bisogna diminuire o non rinnovare i “salari di riserva”. Non fa una grinza.

Inoltre, aumentare i salari comporterebbe un aumento dei prezzi delle merci, la qual cosa non sarebbe gradita dai consumatori, già con scarsa “propensione al consumo”, come si sa. Oltre al fatto, non trascurabile, che mantenere questa massa di sfaccendati con i sussidi grava sul debito pubblico.

In sintesi estrema: non c’è abbastanza offerta di forza-lavoro in certi settori economici, dove il lavoratore non può, anche volendo, essere sostituito dalle macchine; non si può aumentare i salari perché già si piange miseria dal lato dei costi, ovvero dal lato dei margini di profitto. Il rimedio è ridurre i sussidi e, se del caso, anche la platea dei destinatari.

In realtà il grido di dolore ha causa da un semplice fatto: i sussidi pubblici vanno ad incidere sui salari minimi, la determinazione dei quali viene sottratta a chi acquista la forza-lavoro.

Ciò che si vuole è mantenere il potere di decidere i salari minimi della forza-lavoro più debole e meno tutelata. La cosa si riduce alla questione dei rapporti di forza delle parti.

Squama l’economista e sotto ci trovi l’ideologo.

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Più in generale ciò dimostra, ancora una volta, che il lavoro è parificato alle merci, e che perciò è soggetto alle leggi che regolano il movimento generale dei prezzi delle merci. Basti dunque dire che il prezzo di mercato del lavoro, come quello di tutte le altre merci, si adatterà a lungo andare al suo valore.

Malgrado tutti gli alti e bassi e tutto ciò che il lavoratore possa fare o non fare, egli non riceverà in media che il valore del suo lavoro, il quale si risolve nel valore della sua forza-lavoro, determinato a sua volta dal valore medio dei mezzi di sussistenza (valore medio storico o sociale, tenore di vita tradizionale, che può anche gradualmente ridursi, ecc.).

Perciò non serve ridurre l’importo dei sussidi per indurre il lavoratore a cercare impiego, è sufficiente non aumentare i sussidi, poi ci penserà il mercato a trovare i suoi valori. Non è nemmeno detto che aumenti l’inflazione, la quale può aumentare o diminuire per diverse altre cause.


domenica 16 maggio 2021

La libera America

 

Sammy Davis Jr. moriva 21 anni fa.

Aveva sposato una donna “bianca”. Inaudito. In California i matrimoni “misti” erano legali da dodici anni, ma in 23 stati statunitensi era ancora un reato! Cinque anni prima un “nero” era stato linciato per aver fischiato al passaggio di donna “bianca”.

Kennedy, quando vinse le elezioni, ricevette dai suoi “grandi elettori” Democratici la minaccia di non partecipare al gran gala presidenziale se fosse stato presente Sammy Davis, che della campagna elettorale era stato un attivo sostenitore. Kennedy cedette al ricatto. In seguito Sammy Davis fece propaganda per Nixon.


venerdì 14 maggio 2021

Il libero mercato

 

Balzac, nel suo Il deputato d’Arcis, ebbe a scrivere che le dinastie, come i bambini, agli inizi hanno i panni sporchi (per chi s’attarda col francese: Les dynasties qui commencent ont, comme les enfants, des langes tachés).

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Come già accennato in un precedente post sull’argomento (del quale immagino trepidanti lettori attendessero il seguito), secoli di segregazione e di persecuzione hanno costretto gli ebrei a trovare mezzi di sussistenza nel traffico delle merci e del denaro. Qualsiasi altra attività era loro interdetta. Si deve tener conto che almeno fino al secolo XVIII, il divieto di possedere proprietà fondiarie di qualsiasi entità nell’ambito di un’economia prevalentemente agricola, li obbligava al commercio e alla attività consustanziale che è appunto il commercio di denaro. Fatto tesoro di questa grama esperienza, i loro pronipoti espropriarono i palestinesi.

La frammentazione politico-amministrativa della Germania di allora (300 tra Stati, principati e città libere) favoriva i commercianti, fossero essi ebrei o gentili, perché rendeva difficile gli scambi e complicati i circuiti monetari nel reticolo estremamente complesso delle frontiere e delle dogane. Ogni mercante agiato, ossia in possesso di pecunia, diventava un prestatore di denaro.

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Nella lussureggiante periferia di Londra, a Kaw, negli Archivi nazionali del Regno Unito, sono accatastati centinaia di faldoni di documenti contrassegnati dalla sigla T/71. Riportano, scritti a mano, i dettagli delle tenute coloniali, ivi compreso il valore degli schiavi negri.

Nel complesso questi documenti costituiscono l’archivio più completo sui proprietari di schiavi delle ex colonie britanniche. Mai aperti e consultati fino a tempi recenti, tenuti segreti, riguardano famiglie ed istituzioni che trassero profitti dallo sfruttamento degli schiavi.

Il documento contrassegnato T71/1222, riguarda una richiesta di risarcimento pari a 3000 sterline presentata da Nathan Mayer Rothschild e da suo fratello, il barone James (Giacobbe o Giacomo) de Rothschild, entrambi rampolli dell’omonima dinastia.

Nel documento in questione si descrive un accordo tra i due fratelli in virtù del quale essi si facevano garanti delle 3000 sterline dovute al lord James O’Bryen da parte dell’acquirente della sua proprietà in Antigua grazie a un’ipoteca messa su 88 schiavi della tenuta.

Gli schiavi sarebbero serviti da garanzie collaterali nel caso in cui il debitore fosse risultato insolvente. Quando l’acquirente fallì, Nathan Rothschild fece ricorso al programma di risarcimento messo in piedi dal governo britannico dopo l’abolizione della schiavitù per ottenere le 3000 sterline. Quei soldi furono versati alla proprietà di Nathan Rothschild dopo la sua morte.

I Rothschild non furono gli unici a fare affari simili. La banca d’investimenti JPMorgan nel 2005 ha presentato scuse formali per il proprio ruolo ricoperto come creditore ipotecario di schiavi della Louisiana. Non estranea nemmeno la Royal Banck of Scotland, e nemmeno importanti studi legali londinesi che, in qualità d’amministratori fiduciari e di proprietari essi stessi, s’interessarono dei risarcimenti per i proprietari di schiavi dopo l’abolizione della schiavitù.

Come già accennavo nel precedente post sui Rothschild (ha avuto l’onore di ben quattro commenti, che in questa sede equivalgono a un Premio Goncourt), Napoleone fu sconfitto più sul campo di battaglia finanziario che non in quello propriamente bellico. Difatti sono i Rothschild a finanziare quello che poi diventerà il duca di Wellington e che porteranno alla vittoria nota come Waterloo.

I Rothschild ebbero uno stretto legame con il ricchissimo langravio Guglielmo IX dell’Assia-Kassel, effimero elettore imperiale nel momento in cui l’impero cessava di esistere. Donde derivava la sua traboccante ricchezza? Cosa poco nota ai più, Guglielmo aveva come principale attività economico-finanziaria quella di vendere uomini all’Inghilterra.

Guglielmo aveva legami di parentela che lo univano alla dinastia regnante inglese, quella dei Giorgi, antenati degli attuali regnanti, originari dell’Hannover e sovrani dell’Inghilterra solo dall’inizio del XVIII secolo. Si trovò ben piazzato quando, negli anni della guerra d’indipendenza delle colonie inglesi dell’America del Nord, il governo di Londra ebbe bisogno di truppe per domare i coloni ribelli.

Guglielmo continuò il fruttuoso traffico che fu già di suo padre, vendendo i suoi sudditi maschi al miglior offerente perché ne facesse dei soldati, stipulando forti premi che intascava per quelli che morivano all’estero, negli ospedali o sui campi di battaglia.

Il libero mercato dei corpi e delle braccia non è solo retaggio antico. Per chi vuole vedere e intendere, quel mercato costituisce la fonte principale della ricchezza anche ai nostri giorni.


Or tu, sì memorandi casi a noi rivela


Più è grossolana una balla, maggiore sarà il suo successo e il persistere nella comune opinione. Lo sapevano bene Eusebio di Cesarea e i suoi collaboratori di cancelleria quando sistematizzarono il mito evangelico improntandolo su quelli più antichi, facendovi poi apporre il sigillo imperiale in quel di Nicea. Ancora oggi molti storici di professione trattano la faccenda come cosa seria.

Abbiamo evidenza solare, nel corso di quest’ultimo anno e mezzo, di quanto siano attendibili gli “esperti” pangolini parlanti in camice bianco. Non ci resta che contemplare con nuova curiosità il precipitare della comune fiducia nella “scienza” e nei “dati”.

Più modestamente, ma non meno gagliardamente, si sono cimentati alcuni burloni dell’Archivio di Stato di Venezia, come già scrivevo lo scorso 3 aprile, ripresi con enfasi narrativa dai media nazionali e anche esteri. Hanno inventato, sulla scorta di due documenti artefatti in modo maldestro, ma non più di Eusebio, la data di fondazione della città di Venezia. E oggi cosa fa il Fondo per l’Ambiente Italiano?




giovedì 13 maggio 2021

Due pesi e due misure

 

Il 7 maggio, Amnesty International ha annunciato di riassegnare lo status di “prigioniero di coscienza” ad Alexei Navalny, che gli aveva tolto alla fine di febbraio a causa della sua storia d’incitamento all’odio. La decisione di Amnesty non ha a che fare con un cambiamento nelle idee politiche di Navalny, ma accoglie le sollecitazioni (di chi?) per presentare un personaggio della destra più ideologica e fanatica come una sorta di crociato della “democrazia”.

Nel 2007, Navalny ha lasciato il partito di opposizione Yabloko (con stretti legami americani e che ha unito le forze con il National Bolshevik Zakhar Prilepin, cosa che potrebbe sembrare paradossale solo agli ingenui), per aderire al National Russian Liberation Movement. Il manifesto di questo movimento è una classica combinazione di critiche (sul tipo CasaPound) alle élite e appelli d’impronta etnica per il risveglio nazionale.

Pur offrendo alcuni contentini alle minoranze, il movimento di Navalny si rivolge ai “russi” usando un termine (russkie) che si riferisce esclusivamente alle persone di etnia russa, non a tutti i cittadini del paese, che è composto da più di 180 gruppi etnici non-russi (quasi il 20% della popolazione). Per diversi anni, Navalny ha co-organizzato la Russia March, una manifestazione annuale di fascisti e neonazisti.

Sempre nel 2007, Navalny ha pubblicato due video deliranti su YouTube in cui incita alla violenza contro le popolazioni del Caucaso, chiedendo di sparare a queste persone e di deportare gli immigrati. Anche senza la conoscenza della lingua russa, si può avere un’idea del carattere di questi video prendendone visione: qui e qui. Navalny (quello nelle immagini dei due filmati non è un sosia) non solo non ha mai ripudiato queste posizioni, ma si è rifiutato di rimuovere i video e ha affermato che queste posizioni fanno parte del suo curriculum politico.

La campagna pro-Navalny è imbastita da Washington e sostenuta da molti governi europei. È oggetto d’innumerevoli articoli e servizi televisivi che hanno utilizzato l’avvelenamento di Navalny attribuendolo al Cremlino sulla base di affermazioni non provate e perfino assurde, allo scopo di far apparire Navalny come un oppositore democratico al regime di Putin e degli oligarchi che hanno in mano il paese.

L’opposizione interna ha un qualche sostegno negli strati più ampi della popolazione, e trova alimento nella rabbia diffusa per la corruzione e il carattere grottesco dell’oligarchia russa. Navalny, tuttavia, ha tra i suoi sostenitori proprio certi ambienti oligarchici, in particolare quelli affiliati al magnate russo-israeliano Mikhail Fridman e del suo Gruppo Alfa.

Amnesty International ora si rammarica della sua passata decisione di privare Navalny dello status di “prigioniero di coscienza”, sottintendendo che le posizioni politiche di Navalny costituivano poco più che errori che riguardano il passato, e che fa parte della missione di Amnesty incoraggiare le persone ad abbracciare positivamente una visione dei diritti umani e di non rimanere prigioniere della loro passata condotta politica (testuale).

Amnesty riconosce all’oppositore anti-Putin lo status di “prigioniero di coscienza”, ma rifiuta di riconoscerlo, per esempio, a Julian Assange o Chelsea Manning, che hanno denunciato i crimini di guerra degli Stati Uniti. La vicenda di Assange è (dovrebbe essere) troppo nota per essere rievocata qui, e quanto a Manning, rinchiuso per anni in carcere, è stato continuamente torturato e perseguitato.

martedì 11 maggio 2021

La casta dei meritevoli

 

Alla Leopolada del 2019 il ministro Teresa Bellanova affermò con orgoglio: «chi ce l’ha fatta ce l’ha fatta per merito e il merito è di sinistra [...] e il merito, che si tratti della selezione delle classi dirigenti, che si tratti di concorsi, che si tratti di dirigenti nella pubblica amministrazione, il merito è il nostro unico parametro di misura».

Quello citato rappresenta uno degli innumerevoli esempi, di fatto e di concetto, che rispondono alla domanda delle domande, ossia sulle ragioni del fallimento della “sinistra” e con essa dell’adiacente sindacato.

Obama sostenne che «chi ci prova ce la fa» e se tu non ce la fai, allora vuol dire che, in fondo, non ci ha provato abbastanza e la colpa del fallimento è solo tua. La stessa motivazione ideologica può essere traslata sul piano etnico e diventare vieto razzismo (è successo, succede e succederà ancora).

Il “merito” non è semplicemente un “mito”, come suggeriscono certi critici che scrivono anche sul quotidiano di Confindustria, né solo la legittimazione morale delle diseguaglianze sociali. Questo tipo di critica non disturba nessuno, alla pari delle opinioni sulla scomparsa delle mezze stagioni, delle disquisizioni sul Recovery Plan e di come saranno sperperate e “arrubbate” le relative dotazioni.

Nella struttura piramidale della società fino a pochi decenni or sono c’era, almeno teoricamente, la possibilità di salire verso il vertice; nell’attuale struttura ad “uovo” questa possibilità è scomparsa. In questa seconda struttura le “uova” sono due: uno molto piccolo che rappresenta la proprietà e la direzione, l’altro molto grosso che rappresenta l’esecuzione e il controllo.

Sul piano pratico ci si avvale di una serie di figure professionali specifiche, un’élite di collaboratori, esperti nel piegare e rendere compatibili i comportamenti sociali secondo la codificazione dispotica dei programmi riproduttivi alienati.

Consapevoli, cinici o solo utili idioti? Che importa, il capitalismo è diventato una macchina pazza, il loro lavoro consiste nel lasciare il campo aperto all’avidità planetaria degli azionisti nella dura e morbosa competizione.

Mai abbiamo avuto un così esemplare saggio di abilità di questa casta di “meritevoli” come nell’ultimo anno e mezzo. Mai sono stati così scoperti i programmi basati sulla paura, sui divieti e i recinti, dentro ciascun nodo vitale della materia sociale.

Mai è stata così delirante la macchina mediatica, penetrante nelle sue conseguenze personali, politiche, economiche, estetiche, psicologiche, morali, etiche, da non lasciare alcuna parte intatta, vergine, immutata.


lunedì 10 maggio 2021

Vaccini: la posta in gioco


Quando il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha annunciato mercoledì scorso che la sua amministrazione stava valutando la possibilità di sospendere i brevetti sui vaccini Covid-19, la cancelliere Angela Merkel ha chiamato personalmente Uur ahin, fondatore dell’azienda Biontech con sede a Magonza, che ha portato sul mercato il primo vaccino contro il coronavirus insieme al gigante farmaceutico statunitense Pfizer.

sabato 8 maggio 2021

Pfizer e Nutella

 

«I vaccini Covid-19 sono miracoli della scienza e delle catene di approvvigionamento». Personalmente non credo ai miracoli, anche se evidentemente per arrivare a un vaccino non bastano delle burette, provette e qualche centrifuga. Quanto ai componenti realmente necessari per produrlo non so nulla, però tenderei a distinguere ciò che avviene nei laboratori di ricerca da ciò che poi avviene negli stabilimenti di produzione.

«Pfizer-BioNTech è appena sufficiente per coprire lunghia media del mignolo, ma è composta da più di 280 componenti e richiede almeno tre stabilimenti per la produzione».

“È davvero molto complesso”, ha affermato Germain Morin, vicepresidente di Pfizer, responsabile delle catene di fornitura globali per i farmaci e i vaccini per le malattie rare dellazienda. Sono coinvolti 25 diversi fornitori, che coprono 19 paesi diversi.

Chi sono io per mettere in dubbio queste affermazioni? È molto probabile che i componenti di simili vaccini siano molto numerosi e possano provenire dai quattro angoli (ne ha quattro, vero?) della Terra. Su questo non voglio esprimere giudizi perché non ne ho assolutamente le competenze.

Tuttavia, da persona curiosa, penso che l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, possa essere una buona fonte:



Dopo di che, in merito ai componenti, ognuno interpreti e creda ciò che vuole. Da parte mia parto dal presupposto che un farmaco è una merce, sotto tale profilo non diversamente dalla Nutella, perciò leggo l’etichetta.


venerdì 7 maggio 2021

Vaccini e paninoteca


Domande e risposte facili: che cos’è un vaccino? Un farmaco che può prevenire la malattia e poi anche la morte delle persone; quali obiettivi perseguono le società che attraverso i laboratori di ricerca e i loro impianti producono vaccini? L’obiettivo legittimo, così come per la produzione di qualsiasi altra merce, è il profitto. 

Sempre per restare nel banale: dopo aver coperto le spese di ricerca, dopo aver incassato profitti miliardari, posto per certo che altri cospicui profitti seguiranno anche in caso di moratoria sulla proprietà intellettuale sui vaccini anti-Covid, tale decisione vanificherebbe lo scopo della ricerca e produzione dei vaccini stessi?

A questo punto le risposte tendono a colorarsi dideologia.

Tutto ciò, è bene ricordarlo, avverrebbe nel corso di una calamità naturale che avvelena la vita di milioni di persone oltre che l’economia d’interi sistemi. Chiedo ancora: l’obiettivo profitto illimitato anche in tal caso deve avere priorità su tutto il resto?

Dopo questultima domanda, certe risposte scivolano nel sofismo.

*

C’è chi ritiene sia necessario tenersi in “casa le galline dalle uova d’oro”, succeda qualunque cosa si possa ragionevolmente ipotizzare. È un punto di vista, non “neutro” e rispondente a una certa logica, sempre la stessa, quella della contrapposizione strategica tra grandi potenze nella lotta per l’egemonia. E noi sappiamo da che parte stare, ovviamente.

Henry Kissinger, del quale si può dire tutto il male possibile, ma che non è certamente uno sciocco, ha ribadito che continuando così, ossia con questo genere di contrapposizioni geopolitiche frontali, il rischio concreto di estinzione non è più una possibilità remota, ma una eventualità assai prossima.

Se non si troverà un accordo sulla libera produzione dei vaccini Covid-19, come si potrà raggiungere e far rispettare accordi sul clima, sulla limitazione degli armamenti, eccetera? come si potrà evitare ciò che prefigura Kissinger e qualsiasi persona avveduta?

*

Torno sul tema dell’obiettivo “profitto” per svolgere una personalissima considerazione finale.

Una paninoteca a Paulsboro, la Your Hometown Deli, situata nel New Jersey, ha un bilancio di vendite per soli 13.976 dollari, pochi dollari al giorno. The New Yorker sostiene che il servizio offerto ai clienti non è dei migliori: accoglienza fredda, menù costoso, molti piatti non disponibili, cibo discreto. Se negli Usa dicono che il cibo è discreto, posso assicurare che il suo livello è spazzatura indifferenziata, e non per modo di dire.

Ha fatto notizia che le azioni della sua società madre, Hometown International, che detiene solo la proprietà della paninoteca, il mese scorso ha ottenuto una valutazione di mercato di 100 milioni di dollari. Due dei suoi maggiori azionisti sono le università Duke e Vanderbilt. Un altro caso GameStop. Finché dura, è un’altra “gallina dalle uova d’oro”.

Negli ultimi giorni, anche il livello di speculazione sui bitcoin è stato messo in ombra da un’altra criptovaluta, il Dogecoin, creato nel 2013 per scherzo.

I promotori di Bitcoin insistono sul fatto che questo tipo di “valuta” ha un valore intrinseco (??) perché può essere utilizzato per organizzare transazioni finanziarie senza l’intervento di una banca o di qualche altra terza parte tramite un sistema di registro blockchain (registrazione delle transazioni). Nel caso di Dogecoin non vengono fatte tali affermazioni.

Nonostante sia totalmente inutile, Dogecoin è aumentato di prezzo dell’11.000 per cento solo quest’anno. Questa settimana il suo valore di mercato ha raggiunto 87 miliardi di dollari rispetto ai 315 milioni di un anno fa.

Il fenomeno Dogecoin non è un evento isolato, è l’espressione di quello che potrebbe essere descritto come un nuovo principio operativo nel mondo della speculazione: più è inutile il cosiddetto “bene”, più alto è il suo prezzo.

Gli obiettivi di profitto sono ineliminabili, come nel caso dei token non fungibili (NFT). Si tratta d’immagini di “opere d’arte”, una foto di sport o anche un tweet: il primo tweet in assoluto pubblicato dal fondatore di Twitter, Jack Dorsey, è stato venduto come NFT per 2,9 milioni di dollari. Sono considerati come oggetti da collezione, ma non vengono archiviati fisicamente, bensì in genere digitalmente su blockchain, che ne attesta la proprietà.

Sarà per una mia prevenzione (ideologica, psicologica, a libera scelta), ma colgo solo una marcata differenza tra ciò che sta avvenendo con i vaccini anti Covd e la speculazione finanziaria qui descritta, nel senso che la speculazione sui vaccini è un atto eminentemente criminale. Se non ne cogliete il motivo, vuol dire che avete un problema, non di lieve entità. 

giovedì 6 maggio 2021

Meglio in salute

 

Le persone che ambiscono al potere non sono sempre dominate, come spesso si è portati a credere, da brama di ricchezza e di onori. Esistono anche casi di persone, onuste di agiatezze e confermate nel proprio ego, che sono spinte dal gusto astratto di essere protagoniste di avvenimenti, di agire nel mondo e di imporre, laddove e quando riescono, la loro ragione. Ne abbiamo oggi conferme plurime e cito ad esempio quella categoria schizoide che ogni sera in tv ci intrattiene sullo stesso tema da 15 mesi in qua. Mai ho detto che Freud ha scritto solo boiate.

Nel caso delle persone molto ricche, il denaro diviene uno strumento della loro azione, il segno distintivo della propria importanza. Se fosse concesso parafrasare il Corano, si potrebbe dire che il Denaro è il dio dell’epoca borghese, e ogni ricco ne vuole essere il profeta. Del resto anche Lutero aveva visto giusto, pur non essendo mai stato a cena con imprenditori lombardo-veneti.

Fu anche il caso dei Rothschild. In tal senso chi può ritenere che essi non abbiano diritto alla storia? Tanto più che le dinastie di sangue passano, ma la Compagnie du chemin de fer du Nord resta, come ebbe ad osservare Kees Popinga.

A tale proposito, ossia a riguardo del dio di cui sopra, come si mantiene unito, affinché non vada sciupato e disperso, il patrimonio economico di una famiglia? Senza scomodare l’oracolo di Phastidio, in videoconferenza con Draghi, un caso di scuola è offerto gratis dalla famiglia Rothschild, originaria di Francoforte: dalla fine del Settecento al 1905, non meno di 38 matrimoni su 58 furono contratti tra i componenti della stessa famiglia.

Il capostipite, Meyer Amschel Rothschild, ebbe cinque figli, i quali furono a capo delle rispettive filiali della stessa banca: Amschel jr. (Germania), Salomon (Austria), Giacomo (Francia), Nathan (Inghilterra), Carl (Napoli).

Amschel jr., sposatosi nel 1796, fu l’unico senza discendenti. Salomon, sposò Caroline Stern.
Nathan, nel 1806 sposò Hannah Barent Cohen.
Carl, nel 1818 sposò Adelheid Herz.

Giacomo, nel 1842 sposò Betty Salomon Rothschild, figlia di suo fratello Salomon. Da qui comincia la saga degli “incroci”.

La figlia di questa coppia del ramo francese, Charlotte Rothschild, sposò nel 1842 il suo primo cugino, Nathaniel Rothschild, figlio di Nathan. Una figlia di questi, Leonora, sposò nel 1857, suo cugino Alfonso, figlio di Giacomo. Una figlia di costui, Bettina Caroline, sposò nel 1876, Albert Salomon Rothschild, suo secondo cugino, figlio di Anselmo Salomon, ramo austriaco. Sempre un figlio di Giacomo, Edmond, sposò nel 1877 Adelheid Rothschild, nipote di Carl e figlia di Wilhelm Carl Rothschild e di Mathilde Rothschild, sposati nel 1849.

Per quanto riguarda il ramo inglese, un altro figlio di Nathan, Lionel, sposò nel 1836 una sua prima cugina, un’altra Charlotte Rothschild, questa volta del ramo di Napoli, ossia figlia del citato Carl. Un figlio di Lionel, Nathan Meyer, nel 1867 sposò Emma Louise Rothschild, sempre della famiglia di Napoli. L’elenco potrebbe continuare, citando per esempio Giulia, figlia del citato Anselmo (ramo austriaco), che andò in sposa ad Adolfo, ramo Napoli, mentre Ferdinando, altro figlio di Anselmo, sposò Evelina figlia di Lionel.

Non solo cospicue ricchezze ma anche certi caratteri fisionomici si spiegano così. I Rothschild adottarono la stessa politica matrimoniale delle case regnanti, con i risultati che poi si sono visti per esempio nel caso degli Asburgo, ma anche nella trasmissione di malattie genetiche, come nell’arcinoto caso dell’emofilia che la regina Vittoria (asintomatica) trasmise all’erede dell’ultimo zar che aveva sposato una parente tedesca della regina.

Meglio poveri, in salute e ... bellissimi.

P.S.: ho in canna un altro post sui Rothschild (e il loro rapporto con la schiavitù), perciò fatevi coraggio.


Macché

 

Nelle elezioni regionali di Madrid (14% dei 47 milioni di abitanti della Spagna) del 4 maggio, il Partito popolare di destra (PP) ha sconfitto il Partito socialista spagnolo (PSOE), ed è stata una debacle per Podemos, il cui segretario generale, Pablo Iglesias, già rivoluzionario, ha annunciato la sua decisione di ritirarsi dalla politica. Il ministro Ione Belarra si sta preparando a succedergli (*).

Il PP ha ottenuto più seggi rispetto ai tre partiti di sinistra messi insieme, il che gli consentirà di governare comodamente e senza bisogno di Vox (partito di destra cristiano-monarchico) per ogni legge. Il blocco di destra è nettamente rinforzato e occupa 78 seggi (65 del PP e 13 di Vox) contro i 58 di sinistra (24 di Más Madrid (scissione di Podemos), 24 di PSOE e 10 di Podemos).

Il PP ha prevalso in 175 delle 179 circoscrizioni locali di Madrid, comprese le “periferie rosse” che da lungo tempo votavano per il PSOE e i suoi alleati. Solo due anni fa la differenza tra i due blocchi era di quattro parlamentari, adesso è di 20 sul totale di 136 seggi.

Il presidente regionale in carica del PP, Isabel Díaz Ayuso, ha diretto la sua campagna elettorale con lo slogan “Comunismo o libertà”. Anche in Spagna, e non solo in Italia, c’è molto comunismo, com’è noto. Il leader del partito nazionale Vox, Santiago Abascal, e il leader Vox della regione di Madrid, Rocio Monasterio, stanno negoziando con Ayuso se Vox entrerà a far parte di un governo regionale di Madrid guidato dal PP.

Un peso importante per questo risultato è stato dato anche dalle condizioni di vita di molte persone nelle fasce popolari a causa delle misure di blocco delle attività per l’epidemia virale. Tuttavia è innegabile che già prima la tendenza elettorale era inequivocabilmente questa. Se la sinistra è senza popolo, se nuove formazioni come Podemos e M5S fanno il pieno di voti e poi falliscono, qualche domanda seria bisognerà pur farsela. Macché.

(*) Iglesias ha dichiarato di non sapere ancora quale sarà il suo destino. Suggerisco: potrebbe seguire l’esempio di Veltroni, trasferirsi in Africa; di Letta, trovarsi uno stipendio a Parigi e farsi dimenticare; oppure fare la cocotte di uno sceicco non è un’opzione da buttar via.


mercoledì 5 maggio 2021

Che schifo

 

Quanta ipocrisia della sinistra engagé sul caso della povera Luana. Sono cose che succedono tutti i giorni, come prova lennesimo caso qui sotto, solo che non fanno notizia sui giornaloni e tantomeno in televisione.

Nessuna pietà, vanno spremuti come limoni, dando la caccia a chi si lamenta rovistando ciò che si scrive su facebook. Un tempo si dava la caccia ai volantini negli armadietti. Già essere iscritto alla CGIL (pensa un po!) e venivi segnato a dito e a vita. Non lo dico per sentito dire.

Si sente: il governo questo, il ministro quello, il figlio di puttana quell’altro; ma resta pur sempre una politica economica e sociale invariata: il clan dei ricchi che schiaccia i poveri. Che cazzo è mai cambiato? Andate a fare in culo, stronzi del politicamente corretto.

Come pensate sia prodotto ciò che mangiamo, vestiamo, abitiamo, cazzeggiamo. Siete mai stati in una fabbrica? Non in quelle che si vedono in televisione pulite e a lustro, ma in una dove si produce tanto “valore aggiunto” senza riguardo per i sistemi di sicurezza che rallentano la produzione. Conoscereste il vero volto del capitalismo della “sicurezza” nei posti di lavoro. Vi fareste un’idea di quale materiale umano è fatta realmente la “catena del valore” di cui sproloquiate nei vostri articoli e commenti social.

Com’è andata a finire per i dirigenti della Thyssenkrupp condannati per omicidio colposo come responsabili della morte di sette operai? E gli omicidi di ogni giorno, dei mille e mille che si susseguono di anno in anno? Ah già, operai distratti, che non si attengono alle norme.

Vi ricordate degli omicidi dei padroni solo quando fanno titoli che acchiappano. Per un giorno, due, tre al massimo. Poi intervistate il figlio di quello lì, non certo le vedove dei defenestrati e degli operai assassinati, riempiendovi la bocca e il portafoglio di “anni di piombo”, come se gli anni del cloruro di vinile monomero non fossero mai esistiti.

Scrisse in chiusa di un suo libro l’ex magistrato Felice Casson, uomo di indiscussa fede (salesiani di Castello di Godego, non come certi mattacchioni):

“Se le istituzioni non rispondono, se la giustizia e l’equità sociale non hanno più alcun significato, se la tranquillità e la sicurezza personali sono divenute una chimera, se le esigenze e le necessità più comuni rimangono inascoltate, si rischia un declino pericolosissimo. Verso la negazione dei valori etici e sociali, costati lacrime e sangue, verso la distruzione di ogni forma di uguaglianza, di solidarietà, di democrazia”.

E c’è ancora chi chiede conto degli anni di piombo, da che parte stavi in quella guerra, quando allora i padroni e i loro complici assassinavano, ben coscienti di farlo, centinaia di operai di una fabbrica di Marghera così come di tante altre?

Compagni che sbagliavano, o padroni che assassinavano troppo? Basta decidersi, non si può stare eternamente in bilico appesi a sottili distinguo, porco di un Giove.

E di Michele, per esempio, chi si ricorda più? E della sua lettera censurata dal Corriere della sera?

Che schifo fate, ipocriti, riandate a fare in quel culo che vi piace tanto.

Ei fu per sé


Favorito da circostanze storiche eccezionali, seppe sfruttarle al meglio grazie a volontà e talento. Attrasse a sé forze magiche che gli consentirono di conseguire un prestigio nell’opinione universale non inferiore a quello riconosciuto ai più notevoli personaggi della storia.

Artefice di straordinarie imprese militari, creatore della più cospicua configurazione geopolitica della moderna Europa, credeva alla legittimità della sua opera ed impresse il proprio nome a un’epoca.

Doveva passare di successo in successo, oppure soccombere, perché la legittimità conquistata mancava del sostegno che possiedono i sovrani che regnano per diritto divino. Poteva appellarsi all’esito del plebiscito che l’aveva innalzato, ma sapeva che quel tipo di legittimità sono labili e transitorie.

Occorreva soltanto che una condizione fosse adempiuta: che tutti facessero quello che lui voleva. Allora – pensava – non poteva esserci alcuna manchevolezza. Sentiva di essere lui il principio universale superiore verso il quale tutti dovevano inchinarsi. Perciò si scagliava impetuoso contro ogni resistenza, spesso disperando degli altri, ma sempre sicuro di sé.

Cancellando la principale conquista politica della Rivoluzione, ossia una vera rappresentanza parlamentare, il suo autoritarismo, lungi dall’essere un elemento transitorio dettato dalla necessità del conflitto europeo, fu costitutivo della sua politica quanto la seduzione della gloria.

Già come primo console e ancor più sul trono, la sua autorità senza controlli o limiti fu per lungo tempo ben accetta dalla borghesia liberale, che per condurre i propri affari ha bisogno, di preferenza, di essere garantita nella gerarchia sociale basata sulla proprietà e il denaro.

Amò l’ebbrezza dell’inaudito e il fascino della leggenda, come provano le sue campagne in Egitto e in Russia, dove sperimentò che l’insuccesso è sempre più vicino del successo. Fu lo spirito incessante per l’impresa e il dèmone di conquista a spingerlo oltre. L’irrequietezza fu di tutta un’epoca travagliata da trasformazioni profonde non ancora emerse in piena luce, ma che presto lo saranno.

Non diversamente dagli altri despoti di ogni epoca, confondendo l’ambizione personale coll’interesse della propria nazione, condusse decine di migliaia di giovani uomini sui campi di battaglia. Anche un potere troppo assoluto si perdona finché è vincente.

Bisogna riconoscere che difese il drappo della rivoluzione, della quale diffuse i principi, affrettando straordinariamente il passaggio tra l’antico regime e l’ordine moderno.

Non fu solo oggetto d’“indomato amor”, ma d’odio “inestinguibile” e proporzionato alla sua grandezza. Chi vive così vicino alle grandi vicende storiche non può pretendere di vivere in pace e di essere felice. Né del resto cercò la pace suggeritagli, implicato com’era nell’intreccio tra la sua natura, che nulla mai poteva appagare, e le resistenze di un vecchio ordine che non voleva mollare: “due secoli, l’un contro l’altro armato”.

Mirava a un avvenire che riteneva di poter dominare, ma finché fosse rimasto sul trono una decisione fra l’Inghilterra e la Francia sarebbe stata impossibile, e così l’Europa non poteva vivere. Finì per cedere al dio più corteggiato: il caso.

A vincere fu l’Inghilterra, che mantenne il suo predominio commerciale. A Vienna fu stabilito un equilibrio basato sul bilanciamento delle forze fra le potenze continentali, senza alcuna considerazione per il principio di nazionalità, rivendicato poi col sangue per un secolo e più.

Abbandonato dalla moglie (*), separato dal proprio figlio (**), tradito da molti che gli dovevano tutto, gli riuscì intollerabile prendere atto che l’impresa verso cui tanto s’era speso non poteva vivere senza di lui.

Non potendo più fare storia, favorì abbondante aneddotica, diventando l’eroe ispiratore dei suoi poeti (***).

Infine, pure nell’ultima “deserta coltrice”, egli sapeva bene che il “Massimo Fattor” è un’ipotesi troppo semplice per indurre a una seria considerazione.

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(*) La moglie apprese della morte del marito il 15 luglio dalla Gazzetta piemontese. Il 31 luglio, la vedova assistette a un rito funebre in memoria del defunto, il cui nome non venne citato dal celebrante. L’8 agosto la vedova sposò il suo amante, dal quale aveva già avuto due figli, nel 1817 e 1819; era in attesa di un terzo figlio, che morì poco dopo la nascita. Il nuovo matrimonio fu possibile perché il divorzio del suo defunto marito con la sua prima moglie non fu riconosciuto dal Papa. Ciò nonostante, il padre di Maria Luisa, cattolicissimo imperatore d’Austria, aveva a suo tempo acconsentito all’unione della coppia: la ragion di Stato. Lo stesso Francesco I non s’era fatto scrupolo, nel 1813, di rompere l’alleanza con la Francia e dichiararle guerra, nonostante sua figlia fosse, non certo contro la volontà del padre, l’imperatrice dei francesi.

La coppia parmense avrà poi anche una figlia. Si presentò un problema: nel trattato di Parigi del 1817, venne stabilito che alla morte di Maria Luisa i ducati di Parma, Piacenza e Guastalla spettassero ad un altro principe, trascurando peraltro di precisare come sarebbe dovuto avvenire tale passaggio e che cosa sarebbe spettato al patrimonio privato della principessa Maria Luisa. Pertanto per Guglielmo, Alberto e Albertina i genitori si preoccuparono di lasciare loro un cospicuo patrimonio.

In buona sostanza con il trattato di Parigi del 1817 si puntava ad escludere il figlio dell’ex imperatore dei francesi e di Maria Luisa, ossia il duca di Reichstad ed ex re di Roma, dal rivendicare eventuali eredità e potestà sui citati ducati italiani.

Per costituire un patrimonio privato in capo a Maria Luisa, di cui sarebbero divenuti eredi i tre figli avuti dal nuovo marito, venne imbastita una commedia finanziaria che meriterebbe di essere descritta per atti singoli, nella quale entrarono in scena Metternich e il suo amico Salomone Rothschild. Dirò solo che Metternich, in una lettera privata, consigliava Maria Luisa di dar corso a opere pubbliche importanti nei suoi possedimenti italiani al fine di nascondere meglio il saccheggio delle casse pubbliche a scopo privato. La grande Maria Luisa, quanto bene ha fatto a Parma con una parte dei denari versati dai parmigiani.

(**) Il figlio, anche se solo formalmente, fu imperatore dei francesi dal 22 giugno 1815 fino al 7 luglio successivo. In realtà fu sempre, dal 1814, ostaggio presso il nonno, a Vienna. Già solo il suo nome destava preoccupazione. Le sue spoglie, al momento delle morte, furono inumate, ironia della sorte, nella cripta degli Asburgo. Il 15 dicembre 1940, un altro austriaco dispose che i resti del giovane fossero trasferiti accanto a quelli del padre, salvo il cuore, che rimase prigioniero a Vienna. L’arrivo a la Gare de l’Est e la traslazione agli Invalides avvenne di notte, sotto la neve, alla presenza di pochi invitati.

Il 15 dicembre di cento anni prima, in una gelida mattina in cui su Parigi cadeva la neve, i resti del padre, su un monumentale carro funebre, alto dieci metri e largo quasi 5, con agli angoli quattro aquile con le ali spiegate, trainato da sedici cavalli con le gualdrappe recanti gli emblemi imperiali, percorsero le strade invase da migliaia di parigini, di veterani nelle antiche uniformi. Lungo il percorso erano state erette delle statue allegoriche: l’ultima delle quali rappresentava l’Immortalità. Il feretro giunse dapprima agli Champs-Élysées, tra una folla strabocchevole, poi si fermò sotto l’Arco di trionfo, dove fu salutato da numerose salve di cannone, ed infine arrivò alla spianata degli Invalides. Qui il principe di Joinville si rivolse al padre dichiarando: “Sire, vi consegno il corpo dell’imperatore”; Luigi Filippo rispose: “Lo ricevo a nome della Francia”. La giornata si concluse con l’esecuzione del Requiem di Mozart.

Chateaubriand, con pungente ironia, scrisse: “Privato del suo catafalco di rocce, è venuto a seppellirsi nelle immondizie di Parigi [...]. Qualunque cosa si faccia, si vedrà sempre nel mezzo del mare il vero sepolcro del trionfatore”.

Sant’Elena, nonostante tutto, resterà la vera depositaria del significato della sua parabola umana.

(***) Lo scrittore inglese W.M. Thackeray, che nel romanzo La fiera delle vanità avrebbe dimostrato la sua capacità di rappresentare con fine ironia le ipocrisie, perbenismi e stereotipi della vita sociale, fu molto colpito dallo spettacolo al quale assisté di persona in occasione del ritorno delle spoglie:

“Deve esserci stato in quest’uomo qualcosa di grande e di nobile, qualcosa di generoso, di avvincente per avere lasciato un ricordo così caro al popolo, un nome circondato di un rispetto così costante, di un affetto così durevole”.

Heinrich Heine, che si trovava a Parigi in quel dicembre 1840, affermò che non s’intendeva affatto esaltare il liberticida, il conquistatore, bensì celebrare un uomo che rappresentava la giovane Francia di fronte alla vecchia Europa e a dispetto di quel “nuovo mondo di droghieri, borghesi e industriali”.

In realtà, il tentativo di mettere d’accordo il prestigio trionfale di quell’uomo e lo spirito del liberalismo è un tipico esempio di romanticismo o di frode. Dopo la Rivoluzione, la borghesia aveva bisogno di un governo autoritario per venire a patti tra le fazioni; la dittatura militare però non comportava di per sé la restaurazione della monarchia ereditaria e tantomeno un’aristocrazia nobiliare. Ma dell’involucro formale importa relativamente a chi dietro le quinte gestisce realmente il potere.

Tra il suo dispotismo temperamentale e gli elementi durevoli della sua opera modernizzatrice (in campo amministrativo agì con mano da maestro non meno che sui campi di battaglia), la contraddizione è evidente. L’equivoco provocherà poi alla Francia l’impero del nipote, ossia la farsa dopo il dramma. Alla fine e in ogni caso a vincere furono i notabili e i padroni della borsa.