martedì 7 marzo 2017

Rampini ne venderebbe milioni di copie



Giorni addietro ascoltavo Federico Rampini (quel tipo che porta le bretelle alla Truman Capote senza averne lo charme) dichiarare che chi dice che la globalizzazione è irreversibile sostiene una sciocchezza.

Da ciò che dice e scrive Rampini, si deduce che egli è convinto che descrivere un fenomeno equivalga ad analizzarlo nelle sue cause immanenti. Egli crede, a pari dei suoi sodali, che il capitalismo sia rappresentato essenzialmente dal “mercato”. E, peggio ancora, che a questo "mercato" si possano dettare delle regole!

Il mercato rappresenta solo un lato del capitalismo, la sfera della circolazione del capitale e delle merci, ma nel suo insieme e nella sua essenza il modo di produzione capitalistico è processo di valorizzazione del capitale stesso.

Il processo di valorizzazione del capitale procede in modo assolutamente indipendente dalla volontà sia dei singoli soggetti e sia del collettivo umano. Alla sua base vi sono leggi che agiscono con la stessa forza delle leggi di natura.

Questo è un concetto essenziale, prescindendo dal quale si brancola nell’oscurità delle cause che muovono la società borghese e le sue inesauribili contraddizioni, a cominciare dalla crescita e polarizzazione della ricchezza, rivoluzioni tecnologiche e disoccupazione, eccetera.

Quella chiamata globalizzazione, non è un fenomeno nuovo. Vero è che negli ultimi due secoli il processo di concentrazione, centralizzzazione e internazionalizzazione del capitale ha subito un’accelerazione sempre maggiore. Costante è l’incentivo – indotto dalle necessità della valorizzazione – all’innovazione tecnologica e di conseguenza la produttività del lavoro raggiunge gradi sempre più elevati. È però altrettanto vero che questo processo storico è iniziato non meno di cinque secoli or sono con l’espansione europea e lo sfruttamento dei giacimenti di forza-lavoro e materie prime più remoti.



Per farsene una prima ragione è sufficiente leggere un pamphlet scritto 170 anni or sono, la cui freschezza resta tale che Rampini potrebbe in gran parte ricopiarlo e spacciarlo come propria elaborazione. Sotto il suo nome ne venderebbe milioni di copie senza bisogno di violare diritti d’autore e copyright.

Tutto è stato o verrà, presto o tardi, raggiunto da questo fenomeno storico. Tutto è messo a valore e profitto da parte di una dinamica economica che non conosce limiti e confini, poiché il capitalismo non è tarato sui bisogni umani (non per questi nobili propositi investe il capitalista) ma sulle esigenze pressoché infinite e puramente quantitative del processo di valorizzazione del capitale. Per dirla in termini comprensibili a tutti: il capitale è obbligato a creare più capitale, pena l’arresto del sistema, con tutti gli effetti contraddittori che sono alla base delle fortune di economisti, scrittori e giornalisti alla Rampini.


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