domenica 9 febbraio 2014

Cittadini?


Prendo per buone le parole e i dati del Governatore della Banca d’Italia, il quale ha detto testualmente:

«Come in altri paesi il forte e protratto calo dell'attività economica ha pesato in misura maggiore sui giovani: il tasso di occupazione per quelli di età compresa tra i 15 e i 24 anni, escludendo gli studenti dalla popolazione di riferimento, è sceso al 43% dal 61% del 2007; dal 74% al 66% per la classe di età dai 25 ai 34 anni».

Se leggiamo i dati al “contrario”, cioè dal lato della disoccupazione, rileviamo che il suo tasso è salito, per la popolazione compresa tra i 15 e i 24 anni, escludendo gli studenti dalla popolazione di riferimento, dal 39% del 2007 all’attuale 57 per cento. Il tasso di disoccupazione per la fascia d’età compresa tra i 25 ai 34 anni, è salito dal 26% al 34%. Resta da capire come esso si attesti, alla luce dei dati citati, solo al 13% del totale, ma prendiamo per buona la cosa.

Questi dati ci dicono che oltre un terzo degli uomini e delle donne, nella fascia d’età (tra i 25 ai 34 anni) che per molteplici aspetti è la più importante e decisiva della loro vita, sono esclusi dal lavoro. Non dovrebbe stupire poi, a fronte di tali statistiche, il bassissimo tasso di natalità, posto che la domanda di forza-lavoro regola necessariamente la produzione di popolazione, come di ogni altra merce (lo dico per gli idealisti e idioti equipollenti: è una legge, non un’ipotesi).


Un sistema sociale che ha a fondamento un’economia le cui leggi operano nel senso che se l’offerta di lavoro è più alta della domanda una parte della popolazione viene esclusa dal lavoro, è un sistema sociale che pone la condizione di questa popolazione alla condizione di esistenza di ogni altra merce. 

Dunque, di là degli incantesimi favolistici della Costituzione democratica borghese, l’operaio e il salariato stanno alla stregua delle foglie sugli alberi d’autunno, come diceva quel fascistone di Ungaretti, ossia alla condizione di una merce, ed è una fortuna per loro trovare un acquirente. Deriva incontestabilmente che la domanda da cui dipende la loro vita è ostaggio e capriccio dei ricchi e dei capitalisti (es.: se Benettòn decide di chiudere i negozi perché gli bastano e avanzano le concessioni autostradali, si capisce bene che la sorte dei suoi schiavi è legata al suo capriccio). Laddove il capitalista rischia al massimo il proprio capitale o il suo profitto, il salariato rischia la propria vita o quantomeno di peggiorarne alquanto le sue condizioni.

In altri termini, laddove la divisione del lavoro aumenta la forza produttiva del lavoro e questi l’accumulazione di capitali e il benessere crescente della società, la stessa dinamica espone l’operaio a una concorrenza sempre maggiore, lo rende sempre più dipendente dal capitalista che lo spinge a una crescente superproduzione. Finché giunge la crisi. La disoccupazione, la povertà, l’umiliazione, l’infelicità (leggere A. Smith al riguardo), sono paradossalmente il prodotto del lavoro del salariato, della ricchezza da lui stesso prodotta. La sua condizione deriva dalla natura stessa del lavoro nelle attuali condizioni.

Ecco dunque, esattamente e sostanzialmente, il motivo per il quale ogni Costituzione democratica borghese è un inganno, ossia perché maschera i reali rapporti sociali, li idealizza articolandoli in una serie di principi che non hanno alcun contatto con la società reale. Non c’è alcuna effettiva corrispondenza tra gli ideali di giustizia e uguaglianza sociale proclamati e quegli stessi rapporti sociali fondati sull’interesse privato che in ogni momento sono in contrasto con gli interessi del salariato. Non si tratta di rapporti tra cittadini – figura sociologica astratta – ricomposti entro un quadro giuridico paritario, bensì di rapporti tra padroni e schiavi regolati da un contratto sociale sbilanciato in premessa per chi ha il "rozzo" bisogno di vendersi per vivere. Ed è tale "rozzo" bisogno dell'operaio la fonte di guadagno del padrone e di ogni altra prosaica conseguenza.

La Costituzione borghese è dunque la consacrazione sul piano giuridico di specifici rapporti di classe, anzitutto essa sanziona il diritto del potere d’acquisto del capitale, ossia la dominanza del capitale sul lavoro essendo il capitale anzitutto il potere di governo sul lavoro e i suoi prodotti.


Far comprendere questa realtà al buon operaio e salariato è impresa, in generale, praticamente impossibile in tempi in cui gode per un certo periodo di un relativo e incidentale benessere, che egli crede definitivo.  In tali periodi di autostordimento si sviluppa una classe operaia che per educazione, tradizione, abitudine, riconosce come leggi naturali ovvie le esigenze di questo modo di produzione. Solo nelle epoche in cui il contrasto di classe, ossia fra capitale e lavoro, diventa più crudo, in cui la crisi mette in risalto le contraddizioni del sistema, comincia a farsi largo qualche dubbio, rintuzzato subito dagli specialisti del rispetto della “legalità” e della Costituzione.

14 commenti:

  1. Convengo per intero con quanto argomentato, anche sull'«inganno» contrattualista. Nondimeno, limitandomi per conoscenza soltanto a quella italiana, nella Costituzione vi sono articoli che sono a difesa e mettono al centro il "lavoro" e non il "capitale", il cui rispetto e la cui applicazione sarebbero, in parte, "rivoluzionari", penso per esempio agli articoli 36, 41 e 42. In quest'ultimo, tra l'altro, si legge: «La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale». Per curiosità: è mai stato applicato tale passaggio? Sono un ingenuo per non dire coglione, ma se avessi il potere, sarebbe da tempo che avrei espropriato un bel po' di stabilimenti alla Fiat, tanto per dirne una, e senza indennizzo, visti e considerati gli aiuti che tale azienda anglo-olandese ha ricevuto.

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    1. Tutte le costituzioni hanno in comune il fatto che, stando sul terreno della moderna società borghese, sono più o meno evolute dal punto di vista dei rapporti di produzione capitalistici. Per quanto esse siano avanzate non fanno altro che stabilire che l’operaio salariato ha il permesso di lavorare per la propria vita, di riprodursi entro determinate condizioni, cioè di vivere solo in quanto lavora, per un certo tempo, gratuitamente per il capitalista.

      Dice l’art. 42 della costituzione: “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”.

      Ma dov’è che il lavoro del salariato crea a quest’ultimo una proprietà se non al massimo negli angusti limiti della proprietà domestica? Chiaro dunque che è riconosciuta e garantita dalla legge anzitutto la proprietà borghese.

      Recita l’art. 36: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”.

      Un essere si considera indipendente soltanto quando è padrone di sé, ed è padrone di sé soltanto quando è debitore a stesso della propria esistenza. Un uomo che vive della grazia altrui, che è dipendente per la propria vita da un altro uomo, diventa lo schiavo di quell’uomo qualunque sia il livello di retribuzione e ogni altra tutela giuridica.

      Infine, quanto al fatto che «La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale», ciò avveniva anche in passato, e si tratta sempre di atti che si concretizzano sulla base dei rapporti di forza in essere. Prova ad espropriare le banche …..

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    2. Luca chiede se l'art. 42 fu mai applicato. Il primo ad applicarlo, nella storia repubblicana, fu La Pira a Firenze in 2 casi emblematici: il Pignone (che divenne Nuovo Pignone dopo la nazionalizzazione), industria che stava cessando le sue attività e che per le pressioni di La Pira fu nazionalizzata e riprese forza e vigore di caratura internazionale, e l'espropiazione per pubblica utilità delle case sfitte. Erano gli anni '50. Quello che accadde dopo la breve parentesi destrorsa dal '56 al '62 è storia conosciuta.
      Senza quell'art. e l'applicazione che se ne fece, l'Italia, il cui ceto dirigente era di un calibro adesso manco immaginabile, riusci a diventare una potenza industriale primaria nel panorama internazionale: primi nella chimica, nell'energia, nell'industria pesante... persino i privati dovettero confrontarsi con una competenza manageriale non improvvisata come quella cui assistiamo adesso: si pensi alla storia dell'Olivetti.
      Era un bene ? Un male? Era quello che era. Certamente i salari italiani erano i più alti d'Europa, e la sua competitività industriale era indubbia. Oggi a malapena resiste una meccanica terzista solo per le ultime abilità delle maestranze, ma già con il tempo in scadenza.

      Altro è il ragionamento del curatore del blog. Che spesso, anzi ormai sempre più volentieri, evita di ragionare sulla complessità del '900 e la crisi di un paradigma che ha visto anche il socialismo, come dapprima lo stesso capitalismo come l'altra faccia della medaglia paradigmatica, infliggere, come solo la miseria dell'uomo sa compiere, gravi sciagure ad egli stesso (all'uomo, s'intende... le forme organizzative che egli adotta sono solo accidentalità storiche!).
      La società e la cultura borghesi sono 700 anni almeno che è comparsa e che, attraverso la strutturazione spaziale delle relazioni sociali (prima che produttive) domina e predomina sul mondo. Ciò che di nuovo si affaccia, e che già annuncia la tragedia umana che determinerà, lo si deve innanzitutto rintracciare proprio nelle determinazioni spirituali (chiamiamole così in senso lato e non stretto, affinchè ci si liberi anche dalla confusione modernista dell'umanesimo divenuto scienza!) che si strutturano e si tessono nello spazio generale della interazione fra gli uomini.
      Questa è l'unica certa intuizione di Casaleggio (e non solo... e non ci riferisce affatto a Grillo!).
      Piacerà o non piacerà... ma la storia non soffre di narcisismo. E non si compiace per nulla affatto.

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    3. magari le piacerebbe che io replicassi, vero?

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  2. Gentile Olympe, attendo un tuo post sulla candidatura di Alexis Tsipras alle prossime elezioni europee. Sono molto interessata ad un tuo parere.

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    1. Cara Assunta, ho smesso di credere e sperare in tante cose da molto tempo. sulla possibilità di cambiare per via elettorale non ci ho mai creduto. mai.
      quanto potrà raccogliere Tsipras a livello europeo? con quali aggregazioni? la sinistra sedicente tale è già compromessa irreversibilmente con questo sistema, e poi cosa potrebbero fare concretamente secondo te? ciao

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  3. Si può pensare che al relativo benessere raggiunto, vada unita una diffusa interpretazione della tecnoscienza che suggerisce un certo livello di ottimismo, quasi un atto di fede, dove il peggio non può succedere perchè si troverà una soluzione ancora non immaginata.

    Le banche non possono essere espropriate: farebbero la 3a guerra mondiale e in giro preventivamente un pò sparpagliata la fanno già.

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  4. Anche molti capitalisti (lungi da me difenderli) stanno come "le foglie sugli alberi d'autunno". Spesso se un'azienda non delocalizza o non taglia stipendi muore, e con essa il capitalista che ne è a capo. Non sempre si tratta di "capricci", a volte sono necessità ineluttabili. Il vero dramma del capitalismo è infatti questo: che rende instabili tutti, non solo gli "ultimi".

    Io non ho la sua stessa cultura in materia, ma da quel poco che vedo, mi sembra che il capitalismo sia un meccanismo autosufficiente, che seleziona da sé i vincitori e i perdenti senza guardare in faccia nessuno. Le elite americane (per fare un esempio a caso) possono essere sostituite facilmente da nuove elite (ad esempio asiatiche o australiane, non cambia niente) se queste obbediscono in maniera più efficiente ai comandamenti del capitalismo. Il capitalismo non ha bisogno di un'elite di attori economici spietati che agisca per proprio tornaconto: quelli sono semplicemente suoi servitori, al pari degli operai salariati. Che poi si sentano personalmente vincitori e si sentano investiti di chissà quale missione non ha alcuna rilevanza: anche se lo fossero, lo sono in maniera incidentale, casuale, dato che devono le loro fortune a circostanze favorevoli in quel determinato momento, che potrebbero anche cambiare inaspettatamente. Quello che voglio dire è che il capitalismo mi sembra indipendente dalla volontà degli uomini, anche dei più forti: è una sorta di Intelligenza Artificiale invisibile che qualcuno ha avviato tempo fa e che adesso ha superato anche i suoi creatori, sa auto-gestirsi ed è in grado di migliorarsi autonomamente, come avviene sui film di fantascienza. E per farlo piega gli uomini ai suoi voleri, usandoli come pedine, siano essi salariati o direttori di banca.

    Il capitalismo sposta l'asticella del "merito" (altro concetto totem di quest'epoca) in maniera totalmente artificiale, in base ai bisogni suoi: non in base ai bisogni della classe più forte. Il capitalismo è un virus che si auto-replica e usa gli organismi ospiti che più lo aggradano; che li premi o li punisca è del tutto irrilevante. Prova ne è che anche il capitalista arricchitosi con una determinata attività produttiva potrebbe trovarsi disoccupato domani se spunta fuori gente che fa il suo stesso mestiere a un prezzo più basso (magari in Cina) o se un'innovazione tecnologica è capace di sostituire il suo lavoro. Sa quanti ne ho conosciuti di lavoratori "meritevoli e competenti" disarcionati da gente solo un pochino più sveglia e "smart" di loro?

    Chi serve oggi, potrebbe non servire più domani, in maniera del tutto inaspettata e decisa da cause che non hanno niente a che vedere con la sua volontà o la sua forza economica.

    Cordialmente.

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    1. le suggerisco, se non l'ha già letto, un opuscolo scritto oltre 160 anni fa che conserva ancora una certa freschezza: il manifesto del partito comunista di Marx ed Engels.

      quanto a come agisca il caso e la necessità, mi permetto segnalarle un mio scarabocchio:
      http://diciottobrumaio.blogspot.it/2013/04/la-bonta.html

      molti saluti

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    2. Questo è oggi, alla fine della traiettoria della civiltà concentrazionaria del borgo, l'inumanità del paradigma socio-capitalistico e di tutto l'apparato discorsivo che l'ha sorretto e che ne ha fissato l'ordine delle relazioni cognitive e relazionali. La replicazione automatizzata dell'ordine del discorso (socio-capitalistico) cosa è se non la quintessenza (economica) e la piena maturità di questo paradigma che nell'astrazione totalizzante della misura dell'equivalente (il denaro) fonda le sue geometrie finali?

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    3. questa mattina ho mangiato due fette biscottate con il miele e bevuto una tazza di orzo

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    4. Oh, cara Olympe! Sei cosí ingiusta a sottrarti all’agone. Noi miserabili, infingardi spettatori del tuo diario non aspettiamo altro. A replicar la tua replica alle insidie degli eterodossi, per la nostra salvezza.

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  5. @ N.O.I.

    Sì, avevamo dei salari più alti d'Europa, e allora? Potrei anche rispondere facendo un osservazione sulle pensione dell'epoca, o sulla sanità, o sulle statistiche allora inesistenti e/o parziali per vederne lo stato reale delle cose. Sarebbe una discussione infinita e quasi retorica. Appunto, proprio e per l'ennesima volta condotta a sviare il discorso parlando del nulla e, ancora peggio, non parlando dell'essenziale.

    Siamo nella situazione in cui siamo proprio perché la massa di voi non ha ancora capito dove sta la causa dei nostri mali, ossia la proprietà privata borghese. E lo sviluppo così esponenziale fu proprio per ricostruire l'immensa proprietà privata borghese con soldi pubblici, appunto, con il lavoro dell'operaio, all'inizio direttamente e poi privatizzando il resto.

    Adesso che, finalmente, la borghesia ha ricostruito e privatizzato tutta l'argenteria del paese, e scambiando l'inutile liretta con una valuta forte e internazionalmente riconosciuta, rivalutando di fatto molte volte il proprio capitale, adesso ci hanno lasciato da soli con il nostro debito, prendendosi i loro profitti accumulati (il nostro lavoro morto e dei nostri padri).

    Parli di quei piccoli capitalisti, ossia le PMI? Se parli di loro, parli di utili idioti, che alla borghesia non interessano: sono terzisti, subappaltatori, le nicchie; non hanno e non avevano mai un importante potere contrattuale, perché tappavano piccole buche lasciate dai grandi.

    E adesso cosa volete?
    Vorreste obbligare loro a ritornare in "Patria" ad essere al servizio del Duce/Fuehrer? A me e a quelli come me poco ci cambia se siamo a servire il Duce o il capitalista di turno, sia esso in Italia o in Olanda, o altrove.

    NOI NON VOGLIAMO ESSERE AL SERVIZIO DI NESSUNO! IO NON SONO IN VENDITA E NON MI VENDERO' MAI!

    Piuttosto muoio di fame.

    Ad maiora

    PS: Un caloroso saluto Olympe.

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