mercoledì 31 agosto 2011

Chi controlla chi?



Districarsi tra le notizie false o solo più verosimili è sempre un’impresa, specie quando ne sei sommerso e i tempi della riflessione s’annullano e la risposta diventa emozionale e deformata a comando della grande regia. Quanto è successo e ancora accade in Libia, solo per fare una situazione che ci sta davanti alle porte di casa, avrebbe dell'inverosimile se non si trattasse invece della pratica corrente del neocolonialismo. Dei “ribelli”, dei quali si dice di conoscere poco o nulla, insorgono contro uno dei tanti regimi dittatoriali, la Libia appunto, e le principali potenze imperialistiche occidentali si premurano di farsi dare dall’Onu (di cui la Libia è paese membro a ogni effetto) il premesso di bombardare le truppe regolari e le infrastrutture di quel paese in difesa “dei civili” e in appoggio ai “ribelli”. Un’assurdità giuridica, sul piano del diritto internazionale, che però diventa evanescente quando in gioco c’è il petrolio.

Appariva chiaro che le bande dei “ribelli”, molti sotto la bandiera dell’ex famigerato re Idriss, non ce l’avrebbero fatta da soli, e quindi, contro la stessa risoluzione dell’Onu che autorizzava il massacro dal cielo, alcuni paesi della Nato inviano le proprie truppe speciali. E così un paese che aveva il più alto reddito pro capite dell’Africa (dopo i bianchi del Sudafrica) è stato devastato al solo scopo di sostenere un’ala ribelle del grande gioco del petrolio, estromettere Gheddafi e i suoi dalla holding libica che controlla giacimenti e contratti (come ho già scritto in febbraio, quando la vicenda non era ancora di moda: qui e qui), causando decine di migliaia di morti, centinaia di migliaia di profughi e fuggitivi, ridotto molte zone della Libia in macerie.

Allo scopo andava bene tutto (la contesa tra “vincitori” si regola dopo, a bottino conquistato), ed ecco una vecchia conoscenza tra coloro che si sono fatti avanti come i capi della "liberata" Tripoli: Abdelhakim Belhadj, che si è descritto come il capo del Consiglio militare di Tripoli, cioè il comandante militare dei ribelli. Il quotidiano arabo Asharq Al-Awsat ha giustamente notato che Belhadj «è anche un ex emiro del Gruppo combattente islamico libico (LIFG), vietato a livello internazionale come organizzazione terroristica a seguito dei fatti del 9 settembre».

Una lunga carriera quella di Belhadj, iniziatoa come jihadista al fianco di Osama bin Laden e con la CIA dei mujaheddin islamici in Afghanistan nel 1988. È tornato in Libia nel 1990, fondando la LIFG e per lanciare un'insurrezione armata contro il governo di Gheddafi. Quindi ha organizzato dei campi di addestramento in Afghanistan. Dopo l'invasione dell'Afghanistan nell'ottobre 2001, Belhadj è riparato in Pakistan e poi in Iraq, dove ha collaborato con il leader di Al Qaeda Abu Musab al-Zarqawi. Catturato dalla CIA nel 2003 in Malesia, è stato sottoposto ad extraordinary rendition di una prigione segreta in Thailandia dove è stato interrogato sotto tortura. È stato poi consegnato (non sembri un paradosso) al regime di Gheddafi nel 2004. Nel 2010, fu rilasciato dopo che lui e altri leader LIFG hanno dichiarato di rinunciare alla lotta armata, se non in paesi musulmani invasi, tra cui Iraq, Afghanistan e Palestina.

Capirci qualcosa in questi intrecci è sempre difficile, ma è evidente che a muovere le fila del terrorismo internazionale non è qualche sprovveduto beduino del deserto. Resta il fatto che la banda di Abdelhakim Belhadj ha saccheggiato i depositi di armi di Gheddafi. Potete scommettere che sentiremo ancora parlare di lui poiché lo scontro tra fazioni (vedi la faccenda dell’uccisione del generale Abdul Fatah Younis) è ancora aperto e parlare di filoisalmisti e filoccidentali in tale contesto ha poco senso. La domanda è sempre la stessa: chi controlla chi?

Queste guerre naturalmente hanno costi economici altissimi anche da parte degli aggressori, proprio nel momento in cui i governi americano e europei tagliano le spese sociali e riducono ogni tipo di prestazione. Non una sola manifestazione di protesta c’è stata contro questa guerra imperialista, e anzi si è assistito al plauso di sostegno convinto da parte di un ferrovecchio dell’internazionalismo sovietico dall’alto del suo scranno istituzionale. 

La foto è di 2 anni fa, scattata in Italia. Grazie a Luca per averla segnalata.


martedì 30 agosto 2011

È tempo che i gabbiani ...



Quando si è deciso di adottare l’euro, era chiaro a tutti che questo fatto avrebbe rappresentato un vantaggio anzitutto per i paesi a economia forte, per la loro eccellenza industriale e distributiva che avrebbe avuto la meglio sul mercato. Con l’euro sarebbe venuta a mancare l’unica difesa per i paesi più deboli, cioè la svalutazione della moneta per rendere più competitive le proprie merci. L’origine dell’instabilità, in radice, se si vuole è tutta qui (salvo le altre considerazioni di economia politica già trattate alla nausea in questo sito).

Con l’euro paesi come la Germania hanno avuto modo di favorire la propria crescita e di garantire grandi profitti alla loro economia. Ora la Merkel dichiara che non ci saranno aiuti per quei paesi che non adotteranno misure drastiche di taglio del bilancio statale, cioè per quei paesi che non saranno disposti ad adottare politiche recessive. Si vuole così curare dei moribondi imponendo loro continui salassi. Ma senza le sue cavie, anche la Germania avrà meno da succhiare e difatti le sue esportazioni già ristagnano e l’economia è a crescita zero, oltre al fatto non trascurabile che le sue banche sono esposte gravemente proprio con le cavie. Insomma, il terrore del debito ci sta portando a una situazione di crisi anche politica simile a quella degli anni Trenta.

Gli speculatori intanto fanno il loro mestiere, dei moribondi non si fidano e perciò vendono i relativi titoli del debito. Al momento la Bce ne sta racimolando parecchia di spazzatura, ma tuttavia in misura assai insufficiente, e anche il fondo Efsf (European Financial Stability Facility) ha attualmente una dotazione del tutto inadeguata allo scopo. In un’Europa, dove peraltro il valore dei patrimoni azionari è di gran lunga superiore ai valori reali, il 58% dei titoli del debito sono in scadenza da qui a due anni. La Germania alla fine si vedrà costretta, anzitutto per salvare le sue banche e sostenere la sua economia, a venire a più miti consigli. E con essa la Francia. La Germania ha però l’andicap giuridico di una costituzione che prevede il pareggio di bilancio e non sarà semplice introdurre degli eurobond che in realtà significano l’assunzione di un debito altrui. Ma quest’ultima è un’inezia rispetto agli interessi in gioco e al macigno che ci sta arrivando in testa.

Ad ogni modo, visto come vanno le cose a livello globale, anche questi aggiustamenti non basteranno. Non è una crisi di ciclo come le altre e sta arrivando il momento in cui le brioches non basteranno più.

Sisifo nel paese dei bastardi



Caro amico e compagno di viaggio, dopo cinque anni di levatacce per prendere la corriera, la testa sui libri il pomeriggio e tutte le feste comandate, finalmente agguantavi il diploma. Poi l’università con lode. Quindi, per concorso e senza raccomandazione (non ne avevi bisogno), entravi nel più prestigioso ente di ricerca. Un anno in America, dove insegnavi, tra l’altro, a cucinare e condire la pasta come si deve. Poi i contatti in Europa, gli studi e le pubblicazioni, il tuo contributo ad alcuni brevetti, insomma i sacrifici e le soddisfazioni di una carriera. Negli ultimi anni, a causa dei tagli di bilancio, il lavoro di ricerca era diventato routine, mera sopravvivenza. Stanco anche della vita di pendolare, mi raccontavi della tua pensione prossima ventura, dell’itinerario progettato, salute permettendo, con tua moglie per la vecchiaia. E invece ieri sera, tornato a casa, affaccendato, sentivi questa notizia: «il calcolo sull'età pensionabile verrà effettuato solo in base agli "effettivi anni di lavoro" e non terrà più conto degli anni di servizio militare prestati e degli anni universitari». Pensasti: la solita boutade di Brunetta-Sacconi-Calderoli. E invece no, da questa mattina sai che non andrai più in pensione tra poco, ma dovrai attendere ancora alcuni anni, incrociando le dita perché nel frattempo questi falliti rancorosi non ne inventino un’altra.

lunedì 29 agosto 2011

Fumo



Il piduista tessera 1816 e il leader della banda di secessionisti si sono incontrati in un’abitazione privata per decidere non già a chi far pagare la crisi, ma i modi e i tempi della purga. La cosiddetta opposizione, cioè i falliti di "sinistra", fingerà la solita protesta a tutto schermo, proponendo liberalizzazioni e privatizzazioni. Il registro è lo stesso e tutti sono d’accordo nell’evitare di tassare chi guadagna oltre 13mila euro al mese e invece di inserire una norma costituzionale sul pareggio di bilancio. Bersani ha scritto, dopo Veltroni, una lettera a Repubblica. Il medico mi ha sconsigliato di leggerle. Il declino e la caduta del sistema si avvale di questi siparietti.

Le due manovre, quella di giugno e l’attuale, raggiungono la cifra complessiva astronomica di 195 miliardi di euro in tre anni, senza contare che parte del decreto avrà effetto anche sui conti pubblici di quest'anno”. Lo scrive il Corriere della Sera. Ora nel mirino ci sono le pensioni. Le nostre, non le loro. E l’impiego pubblico, ma inarrestabile è la moria di posti di lavoro nell’industria e in agricoltura. Poi sigarette, giochi e carburante per auto e da riscaldamento. Le solite cose. Questi miserabili mostrano di non avere fantasia.

Se pensano di aver messo fine alla speculazione sui titoli di stato, si sbagliano. A settembre, dicono gli economisti di Nomura, le agenzie di rating declasseranno nuovamente il debito italiano. Come ho scritto molte volte non siamo al precipizio, ma su un piano inclinato. Sempre più inclinato. All’orizzonte nessuna opposizione sociale degna di questo nome, quindi nessun ostacolo è frapposto alle politiche decise a Francoforte, Berlino e Parigi. Se c’è chi pensa di far fronte alla svolta fondamentale della struttura del sistema internazionale con le proteste, è un venditore di fumo. Il senso totale del movimento, la chiarificazione dei problemi esistenti è di là da venire.

Dal nostro inviato a New York



Titolo di un quotidiano veneto di oggi: «Un nostro giornalista in vacanza a New York racconta l’uragano». Occhiello: «Chiuso nell’albergo». Temerario. Cosa avrà mai potuto raccontare questo sfigato in vacanza ad agosto a NY chiuso in albergo durante un uragano declassato a temporale? La pioggia battente sui vetri delle finestre, i passanti con gli ombrelli, la lista dei cocktail ingollati a spese del giornale? New York è la capitale del mondo è fa notizia che siano stati evacuati forse in trecentomila, meno cioè di quanti abitanti partono normalmente per il week-end.

Quello che l’uragano ha combinato altrove fa meno notizia. Anzi, non ne fa nessuna. Il resto degli Usa conta poco. Il sito Gawker ha fatto una classifica dei peggiori Stati degli Usa, basandosi sull'opinione dei membri della redazione. L'Arizona, è considerato proprio il buco del culo: “Situato nel mezzo del deserto, fa un caldo assurdo ed è abitato solo da vecchi armati di fucile. L'unica cosa positiva? Il Grand Canyon". Il secondo Stato dei peggiori è occupato dall'Alabama, considerato un posto razzista e terra di politici conservatori. “Non è la meta ideale per gli omosessuali”, ha commentato il giornale. Poi viene l’Utah. Cercatelo con Google maps, è talmente roccioso e desertico da essere definito “extraterrestre”, e popolato da “mormoni bigotti”.

E non si creda che goda di considerazione il New Jersey, dal quale si raggiungono facilmente New York e Filadelfia. Secondo la redazione di Gawker, questo è l'unico motivo per cui una persona sceglierebbe di vivere in New Jersey: “Gli abitanti sono orgogliosi del loro stato e permalosi con chi lo critica”. Poi viene il Mississippi, profondo sud, ultimo nelle classifiche di reddito e scolarità, dove “a nessuno importa la cultura o l'istruzione. Sono tutti sovrappeso e non sopportano chi è omosessuale o nero”. La tolleranza verso l’omosessualità è diventata così un parametro sempre più frequente di “qualità” della vita.

La Florida ve la offro in originale: «Florida is a swampy morass of misery and boredom and church and guns and drug-addicted babies. Florida feels like a work of fiction. But it's depressingly real».

Nel Nevada si vivacchia decentemente, se hai modo di divertirti a Las Vegas. “Ma non c'è altro”, commenta Gawker, “se non chilometri e chilometri di deserto disabitato”. Ci sono posti migliori, come l'Oregon, lo Stato di Washington e il Minnesota. Seguiti dalla California, apprezzata per le spiagge, il Vermont, le Hawaii e il Massachusetts. Al primo posto si trova lo stato di New York. Gawker ne apprezza l'apertura mentale e la varietà del paesaggio. Naturalmente se sei bianco e hai la grana, sennò son cazzi pure lì.

venerdì 26 agosto 2011

Siamo in guerra

“Siamo in guerra. E’ una guerra aperta, dichiarata, frontale. È la guerra dei neo-liberisti selvaggi planetari, sostenuti dalla destra più retriva in rappresentanza del capitale bancario privato che sta affondando i loro micidiali colpi nel tentativo di spogliare definitivamente la classe media, vera spina dorsale dell’economia statunitense, e baluardo storico nella produzione di ricchezza collettiva, per costruire un medioevo dittatoriale che ci fa dire con tranquillità che il comunismo sovietico di Breznev era, in paragone, un simpatico esperimento sociale divertente. Lo scenario della battaglia in corso era, per lo più, l’Europa: adesso si è esteso anche qui da noi. O la gente lo capisce e si rimbocca le maniche, o non lo capisce. Se non lo capisce vuol dire che è in malafede oppure è masochista. Oppure nessuno li informa. E’ il vantaggio –magari ancora per poco- di una grande democrazia liberale come quella che abbiamo fondato e difeso e salvaguardato in Usa nei secoli: c’è ancora spazio per dire, spiegare, informare. E’ ciò che noi economisti stiamo tentando di fare, disperatamente, prima che la guerra si concluda con una sconfitta planetaria delle persone per bene che lavorano”.

“Oggi sostenere, come io faccio, di essere l’orgogliosa interprete e modesta, modestissima, erede del pensiero di Keynes, rivisitato e applicato alle necessità del capitalismo globale, viene identificato dai pirati criminali al comando delle grandi banche private, veri e propri bastardi, che sono accecati dall’avidità di casta e dall’accidia faziosa anti-democratica, come una dichiarazione di appartenenza a una guerriglia  comunista. E’ esattamente l’opposto: sto cercando di dare un contributo al salvataggio del capitalismo, e ritengo di avere il diritto/dovere di spiegare agli americani con molta chiarezza come stanno le cose, denunciando le falsificazioni operate dai media costantemente, perché siamo in guerra e guerra sia. Questa non è una crisi economica. I termini recessione, contrazione, addirittura “depressione economica” la cui sola evocazione ci riempie di sgomento, non sono utili né bastevoli per spiegare come stanno le cose. Se si afferma e vince il disegno del gruppo di tecnocrati sorretti politicamente dall’estrema destra planetaria in funzione anti-democratica non ci sarà più sviluppo. In realtà, la destra ha volutamente radicalizzato lo scontro perché intende prendere il potere politico a livello planetario. Siamo in una guerra tra capitale e lavoro. Il che è una follia. Perderanno entrambi. Il capitalismo funziona solo e soltanto quando produce lavoro e quindi ricchezza collettiva e consumo di massa e investimenti strategici”.

Volete sapere chi è questa invasata, questa pericolosa comunista travestita da keynesiana? Christina Romer, ordinario di Economia Politica e Pianificazione Economica delle Nazioni all’Università di Berkeley, ed è stata, inoltre, consulente personale del presidente Obama dal 2007 al 2009. A tale proposito, cioè come consulente presidenziale, ricorda:

“Allora, Obama, diede –dietro mio consiglio- ben 1400 miliardi di dollari in aiuto delle banche. Pensavamo che umiliati dall’esplosione della bolla finanziaria corressero ad assumere persone e creare merci. E invece si sono presi i soldi e li hanno reinvestiti in un’altra bolla finanziaria. Una vera tragedia. Per questo mi dimisi, allora. Oggi, 20 agosto 2011, lo posso dire. Siamo stati truffati. Cedemmo al ricatto delle banche private: o ci date i soldi o mandiamo a picco le borse mondiali. Abbiamo dato loro i soldi. Stanno mandando a picco le borse mondiali perché hanno reinvestito i soldi su se stessi e non nella società. Una vera tragedia. Questo è l’attuale scenario di guerra.”
Dove ha detto queste parole la Romer? Alla tv americana, durante un talk show televisivo sul network ABC, circa una settimana fa, sapendo di avere una platea di telespettatori di circa 50 milioni di persone (ha battuto infatti ogni record di ascolto televisivo). Ve l’immaginate alla tv italiana un economista dire queste cose? La Romer ha poi detto altre cose a riguardo dell’Europa e dell’Italia. Cose che nei democratici media italiani nessuno osa dire:

“Spingere le nazioni europee a immettere il concetto di pareggio di bilancio all’interno del propria costituzione come vogliono fare – così almeno sembra – in Spagna, Italia e Irlanda è un vero golpe e i cittadini devono essere informati. E’ un loro diritto. Così come è bene spiegare che la contrazione del debito pubblico provocherà stagnazione, mentre l’estensione del debito sovrano per stimolare l’economia farebbe di nuovo circolare moneta che dovrebbe servire a produrre le due uniche realtà di cui l’economia reale ha bisogno oggi: lavoro e merci.-Le banche private tengono in pugno i governi ricattandoli perché hanno come obiettivo quello di de-industrializzare il pianeta spostando gli indici economici dai settori manifatturieri a quelli finanziari, il che vuol dire sostituire le merci con la carta straccia, il che vuol dire sostituire il lavoro con la rendita: una catastrofe per l’economia. Ma lo è anche per la psicologia. In tal modo si spingono individui e popoli a diffondere l’idea che la ricchezza non la si costruisce attraverso l’uso, l’applicazione e l’esercizio del lavoro, bensì attraverso l’uso furbo e abile di quotidiane transazioni finanziarie legate a oscillazioni. E’ un abbassamento anche di prospettiva intellettuale. Si spingono individui e nazioni a rinunciare alle strategie di mercato per cercare, invece, come vere e proprie cavallette i campi dove lanciarsi per capitalizzare subito finanza immediata da re-investire subito in qualche altra piazza finanziaria mondiale. Per non parlare del fatto che, quando passano le cavallette dei finanzieri neo-liberisti selvaggi, molto spesso – per non dire quasi sempre – lasciano intere nazioni a secco”.

Ed ecco il punto sull’Italia:

“Lo stato italiano, invece di piagnucolare abbindolando i propri cittadini sul debito pubblico, presentandolo come un cancro, lo aumenti e vada controcorrente. L’Italia ha un debito pubblico che si aggira intorno ai 1.950 miliardi di euro. Portarlo a 2.050 non comporta nessun aggravio SOLO E SOLTANTO SE consente il rilancio alla grande dell’economia in termini di sviluppo. L’Italia può permetterselo. Lo stato lancia un gigantesco piano di rilancio a favore delle istituzioni bancarie, le quali si faranno latori – essendo tutti inter-connessi- presso la Bce. I soldi vengono dati a due condizioni:  
a) le banche disinvestono dalla finanza e danno mutui agevolati alle imprese che producono merci a firma made in Italy.
b) possono avere accesso ai mutui agevolati soltanto le aziende che assumono almeno 10 disoccupati in età tra i 18 e i 35 anni. Quelle aziende si vedono decurtati gli oneri fiscali del 50% se assumono e per il solo fatto di assumere.
c) le banche e le aziende che non intendono investire nella creazione di lavoro e nella produzione delle merci perché preferiscono investire nella finanza internazionale –sempre a rischio di attacco speculativo- vengono tassate del 50%. 
Così, si alzano le tasse e si abbassano le tasse allo stesso tempo. Tutte le banche italiane che hanno usufruito dell’aiuto dello stato nel 2008 (circa 45 miliardi di euro per salvarsi dalla crisi) poiché hanno investito quei soldi in finanza di carta e non in produzioni di merci, devono essere tassate subito nella serie “profitti legati a transizioni finanziarie”. Nel solo 2011 le banche italiane hanno perso in borsa la media del 40% del loro valore. Ma nessuno ricorda che nel 2009 hanno avuto profitti, in alcuni casi, del 150%, e nel 2010 del 60%. Che cosa facciamo? Contiamo i soldi quando le cose vanno male e non li contiamo quando vanno bene? La medicina è una e una sola: l’unica che può salvare l’economia di una nazione come l’Italia, troppo debole dinanzi al ricatto delle banche private francesi e tedesche: disinvestire dalla finanza per produrre merci: così facendo ci si sottrae alla speculazione, si crea lavoro, si produce ricchezza. Le banche vanno sotto il controllo di un mega ufficio del lavoro supra partes che controlla l’efficacia del sistema e lo fa applicare.”.
Il suo punto di vista, il punto di vista della Romer, è quello di una economista borghese che ha ancora fiducia in questo sistema marcio. La differenza con i suoi colleghi, sicuramente con quelli italiani, è che lei è intellettualmente e politicamente onesta.

I brani dell’intervista alla Romer li ho tratti da questo sito.

giovedì 25 agosto 2011

Non è tutto da buttare



Quando si tratta di difendere il portafoglio della medio-alta borghesia, le ringhiose posizioni di Eugenio Scalfari e Vittorio Feltri nella sostanza coincidono. Tutti possono vedere chiaramente in questi giorni ciò che in modo più o meno mascherato avviene da decenni, cioè l’attiva e diretta collaborazione della cosiddetta “sinistra” al trasferimento della ricchezza a favore dei super-ricchi e delle fasce sociali medio alte (sopra i 100mila euro). Tale trasferimento è avvenuto e continua ad attuarsi anzitutto in tre modi: con la riduzione di salari e pensioni, il favoreggiamento dell’evasione fiscale, lo smantellamento e il conseguente saccheggio della proprietà industriale e immobiliare pubblica (si ricorderà la livida faziosità che sempre ricorre nel sostenere che è produttivo ed efficiente solo ciò che è privato). I numeri parlano chiaro, le “riforme” del mercato delle braccia e del welfare portano le firme di entrambi gli schieramenti, il saccheggio dei beni pubblici il marchio trasversale dei grandi potentati multinazionali e della classe digerente nazionale.

Negli anni Novanta c’era da battere la crisi e l’instabilità della lira. Con gli accordi del luglio 1993 fu sepolta definitivamente la scala mobile e ogni adeguamento automatico dei salari. Quella fu la prima e fondamentale vittoria del padronato. Quindi si passò a riformare le pensioni, a più riprese. Basta con i 35 anni di contributi, bensì a 40, poi a 41 e ora si va ben oltre. C’era da entrare nell’euro e si chiesero nuovi sacrifici ai soliti noti. Poi vennero le riforme del mercato del lavoro che introdussero il precariato e il caporalato legale. Ora le donne in pensione a 65 nel pubblico impiego e ora anche nel privato. Tagli alla spesa sociale a tutto spiano, alla scuola (ma incremento abnorme dei contributi a quella privata), e a tutto quello che non porta profitto immediato.

Ha ragione Antonio Polito quando scrive sul Corriere che “il quasi ventennio di Seconda Repubblica non è proprio tutto da buttare”. Per la sua classe, s’intende.

Tigri di carta


Jackson Hole è la località del Wyoming dove si tiene da oggi l'incontro annuale di banchieri centrali ed economisti organizzato dalla Federal Reserve di Kansas City. C’è attesa per il discorso del presidente della Federal, Ben Bernanke, in programma per domani mattina e nel quale annuncerà un QE3 (un terzo quantitative easing), cioè un'ulteriore immissione di liquidità sul mercato attraverso l'acquisto di titoli del Governo americano. Tradotto in soldoni significa che la banca centrale americana farà stampare un’altra enorme massa di biglietti verdi, tra i 500 e i 600mld. Ovvio che il dollaro si deprezzerà, costringendo alla rivalutazione le monete rivali, a cominciare dallo yuan cinese. Anche il candidato repubblicano alla Casa Bianca, Rick Perry, ha già avvertito il presidente della Fed che «stampare altra moneta in un momento come questo negli Stati Uniti, prima delle elezioni, equivarrebbe a un tradimento, la Banca centrale deve aprire i suoi libri contabili e agire con trasparenza». Ma non ha indicato altre vie praticabili per salvare il capitalismo americano dalla catastrofe.

I cinesi di questo indebolimento del dollaro non ne sono contenti, primo perché svaluta la sua montagna di credito, quindi perché ciò provoca inflazione e turbolenze sociali. Come ho già segnalato più volte siamo alla guerra delle valute, come negli anni Trenta. L’appello della Cina agli Stati Uniti per più severe misure di austerità volte a ridurre l'indebitamento, si scontra con le esigenze americane di far fronte alla stagnazione. Del resto Pechino non ha alternative se non acquistare più titoli negli Stati Uniti. Con il riciclo di dollari guadagnati dalle esportazioni verso gli Stati Uniti, la Cina mantiene basso il cambio dello yuan o comunque cerca di non farlo salire troppo rapidamente e mantenere così la competitività delle sue esportazioni. Ciò che Pechino teme è soprattutto una nuova tornata di chiusura di fabbriche, come avvenuto al culmine della crisi finanziaria nel 2008-09, a cui sono seguiti dei disordini interni (di cui si è parlato poco). Anche per questo la scorsa settimana il vice presidente americano, Joe Biden, è stato in visita di quattro giorni in Cina per rassicurare il più grande creditore degli Stati Uniti che "il vostro denaro è al sicuro con noi".

La Cina non è assolutamente in grado di risollevare le sorti dell’economia mondiale e nemmeno di indirizzarla. Come ho scritto di recente, la Cina senza gli Usa (e l’Europa) in un anno ritornerebbe alla ciotola di riso e al libretto rosso. Nei giorni scorsi la Coca-Cola ha annunciato un ulteriore investimento in Cina di 4 miliardi di dollari a partire dal 2012. Caterpillar, il più grande produttore mondiale di macchinari pesanti, ha intenzione di espandersi in Cina, dove ha già 16 impianti. Apple, che ha superato Exxon Mobil ed è diventata la più grande società al mondo per capitalizzazione di mercato, tramite il gigantesco Foxconn sfrutta la manodopera cinese per sfornare iPhone e iPads con i quali ci gingilliamo.

Nonostante la Cina sia la prima potenza demografica e considerata la seconda economia del mondo, bisogna però considerare che nel 2010 ha generato un Prodotto interno lordo (5.900 miliardi di dollari) pari a circa un terzo del Pil dell'Unione europea (16.300 miliardi), mentre la sua popolazione (1.340 milioni di abitanti) è più di due volte e mezzo quella dell'Ue (502 milioni). Detta in altro modo: la Germania ha un Pil (3.300 miliardi) che è più della metà di quello cinese, con una popolazione 16 volte più piccola.

Anche considerando la questione dal lato più ampio, cioè nel quadro dei cosiddetti Bric (Brasile, Russia, India e Cina), si osserva che, pur messi insieme, hanno un Pil (12.500 miliardi di dollari) inferiore a quello degli Usa (14.700), pur avendo una popolazione complessiva 9 volte superiore. Non solo, ma Unione europea e Stati uniti messi insieme continuano a fare la metà del Pil di tutto il pianeta (31.000 miliardi su 62.900). E se a Europa e Usa si somma il Giappone (5.500 miliardi), allora questi tre poli fanno da soli il 60% del Pil globale.

Queste cifre offrono la dimensione attuale del capitalismo e i relativi rapporti di forza tra le diverse nazioni. Perciò, dal punto di vista dei capitalisti (non solo americani) è assai preoccupante sapere, per esempio, che l'indice della Fed di Filadelfia, il quale misura le condizioni del settore manifatturiero nel distretto orientale (circa 250 aziende) ad agosto è sprofondato a quota -30,7. È la performance peggiore dal marzo 2009, quando il Paese era in recessione. Inoltre, le grandi banche hanno rivisto al ribasso le stime di crescita per il 2011: JpMorgan prevede un aumento del Pil dell'1% nell'ultimo trimestre rispetto al 2,5% stimato, così come Goldman Sachs, che ipotizza un misero +1% nella seconda parte dell'anno, a fronte del 2% previsto.

Chiaro che gli Usa debbono fare qualcosa se si vuole tentare di uscire da questa situazione. Il presidente Obama lancerà un piano sull'occupazione dopo il 5 settembre e anche il New York Times, in un editoriale dei giorni scorsi, ha giudicato controproducente il rigore fiscale che infiamma i dirigenti politici europei e statunitensi definendo «punitive» le misure imposte ai paesi debitori. Come scrivevo in un post dell’altro giorno, se la Germania o la Cina vogliono esportare molto di più di quanto consumano, qualcuno deve scialare più di quanto riesca a produrre ed esportare. E può farlo solo a debito e con le conseguenze che vediamo.

mercoledì 24 agosto 2011

L'apporto



La Libia ha un terzo in meno degli abitanti della Lombardia, ma diversamente da questa regione italiana, la Libia è ricca di datteri, come peraltro rilevavo il 22 (qui), 23 (qui) e il 25 febbraio scorso (qua) e poi nei post successivi. Adesso della faccenda dei datteri sono diventati tutti esperti. Ricordate quando Eugenio Scalfari (vedi questo post) liquidava il petrolio libico come uno “dei peggiori” per qualità?

La notte del 18 marzo i cacciabombardieri dell’Impero hanno cercato di far fuori Gheddafi al primo colpo bombardandone la residenza. Dopo cinque mesi sono ancora lì che bombardano. Le truppe speciali francesi, inglesi e del Qatar stanno facendo il resto. Poi arrivano gli “insorti”, i “ribelli”, gli ex alleati e gerarchi del regime, a sfilare per le foto di rito con la bandiera monarchica (chi si ricorda di re Idriss?).

Solo una domanda: ma se il popolo libico era tanto scontento del tiranno, come mai ci sono voluti sei mesi di guerra e cinque di bombardamenti da parte della Nato per aver ragione di poche migliaia di “lealisti”?

Naturalmente gli italiani, voglio dire i fascisti italiani, oggi come ieri, non si fanno mancare niente: «Senza l'apporto dell'Italia, Gheddafi non sarebbe caduto – dice il ministro della Difesa Ignazio La Russa –. Il nostro Paese ha svolto un ruolo fondamentale».

L'Irpef del prete



Molto spesso i ricchi (piccoli, medi e extra-large) ritengono che la ricchezza di cui sono in possesso appartenga loro quasi per diritto divino. Provare a parlare della questione con uno di costoro è impresa disperata. Men che meno possono accettare che essi, in generale, di ricchezza non ne producono nemmeno un grammo, anzi la consumano e la dissipano. È una vecchia storia, non vogliono e non possono ammettere che il loro ingegno, di per sé, non è necessariamente una forza produttiva della ricchezza sociale e che la loro classe, al punto in cui è arrivato lo sviluppo delle forze produttive, non solo non è indispensabile ma si rivela ogni giorno di più inutile e dannosa per l’intera società. Sta di fatto che la direzione del processo produttivo di una grande holding può essere svolta da un laureato in filosofia come Marchionne.

Anche tra i salariati c’è chi ritiene di fare un lavoro massimamente produttivo. Un chirurgo, per esempio, non si accontenta di essere molto utile alla società, ma pretende anche, con il suo lavoro, di essere produttivo alla pari di un salariato che uccide e squarta le proprie vittime in un macello. Impossibile spiegare al luminare di chirurgia che il suo lavoro si scambia con reddito e non con capitale, perciò è sì utile (quando non uccide il paziente) ma improduttivo e anzi portato nel suo espletamento a consumare merci e ricchezza.

Tutto quello che viene versato in imposte e tasse allo Stato, è ricchezza prodotta da lavoratori che hanno scambiato la loro forza-lavoro con capitale. Solo questo tipo di lavoro, sia esso eseguito da un operaio o da un ingegnere, è produttivo di nuovo valore. Viceversa, i lavoratori dei servizi, siano essi la prostituta o il papa, non possono essere pagati che dai salari degli operai produttivi o dai profitti di coloro che li impiegano (e di chi partecipa a questi profitti).

Pertanto (e rispondendo a un lettore del blog), l’Irpef che un gioielliere, un dentista o un prete versano allo Stato, non è altro che una parte del reddito che essi ricevono in cambio dei loro servizi, vuoi la vendita di un orologio, la cura di una carie, la promessa dell’aldilà. L'Irpef che versa l'operaio produttivo, invece, non è parte del reddito, ma del salario. Il fatto che solo da una certa epoca si sia incominciato a pagare imposte di questo tipo dipende, detto alla buona, da diversi motivi legati anzitutto alla produttività (quindi alla produzione di plusvalore) e alle condizioni complessive nelle quali avviene la riproduzione della forza-lavoro.

martedì 23 agosto 2011

Salvare le apparenze e sacrificare la realtà



La proposta di Prodi e di Quadrio Curzio su Il Sole 24ore, non deve stupire. Si tratta solo di un espediente da meretrici per mettere una pezza all’insolvibilità dei clienti. Propongono di creare un fondo europeo costituito dalle riserve auree dei paesi membri come garanzia per emettere eurobond, cioè titoli di debito. Propongono di convogliare nel fondo anche le azioni delle maggiori e migliori società dei vari paesi. L’idea geniale è combattere il Diluvio con la pioggia.

Ricordo una frase di quel reazionario di Raymond Aron, l’antimarxista che non aveva mai avuto la decenza di leggere un rigo di Marx, quando diceva che “Il sistema aureo appartiene al passato, come la marina a vela e la lampada a olio”. In effetti, il sistema aureo sostituì il cambio aureo fino al 1931, ma non servì a correggere gli squilibri del sistema, poiché tali squilibri fanno parte della natura stessa del modo di produzione capitalistico. Con Bretton Woods si ritornò a una simulazione di cambio aureo basato sulla convertibilità teorica del dollaro. Anche il fallimento che ne seguì è noto.

In buona sostanza, la genialata di Prodi parla di costituire un’enorme banco dei pegni dove depositare le fedi nuziali e la catenina della cresima ricevendone cambiali da poter spendere dal droghiere. Quest’ultimo è da intendersi come pusher piuttosto che come pizzicagnolo. Infatti si vuole fornire agli Stati debitori la valuta necessaria (gli eurobond) alla regolazione dei loro impegni verso i creditori. Questo fondo europeo sarebbe un nuovo strumento in mano ai cravattari e gestito dai loro rappresentanti politici à la Prodi, Draghi, Sarkozy, Merkel, ecc..

La causa dell’attuale situazione non è, di per sé, il debito, come si vuol far credere. Da secoli le peggiori coscienze del sistema capitalistico si esercitano sul tema delle eccedenze di esportazione delle maggiori potenze economiche. Si tratta d’immense creazioni di potere d’acquisto che hanno allegramente condotto il mondo capitalistico verso il boom e spinto a livelli folli i prezzi delle merci e a uno slancio a dir poco spettacolare delle azioni sul mercato finanziario.

Detto in altri termini: se la Germania o la Cina, tanto per citare, vogliono esportare molto di più di quanto consumano, qualcuno deve scialare più di quanto riesca a produrre ed esportare. E può farlo solo a debito. L'interdipendenza creditore-debitore è evidente, ed è così che il creditore diventa il padrone del suo debitore e questi s'attacca alla canna del gas. Questo sistema non è diverso da quello degli usurai dell'antica Roma o delle nuove Gerusalemme, di diverso ha solo il patrocinio legale.

Alla fine della canzone il problema ha un solo nome: capitalismo. Ah, caro buon vecchio Marx, quante asinerie ci tocca ancora leggere.

Ci abbiamo il nerbo in culo

Non ho mai creduto alla possibilità che i ricchi italiani paghino qualche obolo in più di tasse sui redditi che non possono evadere. Del resto la ricchezza in Italia è esentasse, circa 300mld di evasione stimati già nel 2008. La lotta di classe, posta così, è un fatto statistico, compreso quello della vendita di barchette e auto di lusso. Se si vuole prendere contatto con il dato empirico, invece, basta farsi un giro per porti e porticcioli, ville e villini, o farsi un giro per strada. Piangono i giornali della borghesia: non è giusto tartassare chi già paga. E anche chi, per motivi politici tutti suoi è d’accordo sull’elemosina di solidarietà, lo dice con un gran sospiro da vittima, come Scalfari: “È vero che la fascia di reddito tra i 90 e 150 mila euro lordi appartiene al nerbo del ceto medio e sarebbe pericoloso penalizzarla perché scoraggerebbe i suoi consumi e i suoi risparmi, ma per i redditi oltre i 150 mila questa preoccupazione è ingiustificata”.

Eh già, vorrai mica scoraggiare chi prende solo 12 mila euro al mese?! Meglio scoraggiare i poveri cristi, aumentare l’Iva al signor Gaspare che dopo solo 37anni di fonderia ciula tutti i mesi all’Inps qualcosa come 800 e rotti euro. È uno di quelli che è costretto a dichiarare meno di 15mila euro l’anno, come la metà dei contribuenti italiani. E in questa metà a basso reddito è compreso quel proprietario di ristorante-pizzeria che sotto l’ombrellone, qualche giorno fa, inveiva contro gli studi di settore e rivendicava il suo diritto di dichiarare 11mila euro d’imponibile (fatto vero).

Solo l’1% dei contribuenti sopravvive con oltre 100mila euro lordi l’anno. Ecco perché Scalfari vuole far intervenire Amnesty International a favore dei redditi fino a 149mila euro. Poche chiacchiere, la lotta di classe i ricchi la sanno fare meglio di tutti,  a partire dal modello 730. Del resto è il salariato che si ammala di più e che manda i figli alla scuola pubblica, quindi è giusto che paghi in proporzione molto di più. Anzi, che paghi solo lui e faccia anche il tifo per la lotta di liberazione dell’Eni in Libia, così potrà pagare di meno la benzina.  

A proposito, il petrolio è diminuito del 20% ma alla pompa non te lo dicono. Avete sentito dire da Bersani che si tratta di un furto continuato della peggior specie? Ha ammonito: “non si usino le pensioni per tappare i buchi”. Il lavoro sporco sulle pensioni è già stato fatto in gran parte, si procede con le tariffe. E rinunciare a qualcuno delle decine di nuovi cacciabombardieri? Votate la proposta, sentiamoci protagonisti della democrazia. Magari s’impietosiscono e ci danno retta.

Ha vinto Giorgio



Eravamo ancora in inverno quando cominciò. Ci dissero che la faccenda sarebbe stata “questione di giorni, non settimane”. A primavera inoltrata, con la solita faccia tosta sostennero che "ipotesi realistiche parlano di 3/4 settimane" per mettere fine a tutto. E invece siamo alla fine dell’estate. Ce n’è voluto di tempo alla Nato e agli emiri per mettere alle corde un tiranno rinchiuso nei suoi bunker di Tripoli.

Scrivevo il 7 maggio:

È chiara una cosa che ormai scrivo fin dal primo giorno: Gheddafi è morto, con lui non è possibile perdere ulteriormente la faccia. Ma un’altra soluzione non sembra in vista. Se si aspetta di prendere la Libia per logoramento la faccenda andrà avanti per mesi e forse più. Urge un’idea, ma non c’è.

Ora possiamo ben considerare che l’unica “idea” è stata quella di sganciare bombe su bombe: 20.000 missioni per 7.500 attacchi, il 16% portati dagli Usa. Più centinaia di “consiglieri”, come riporta il quotidiano Indipendent. Secondo la Stratfor, l’agenzia privata d’intelligence più grande del mondo, senza l’apporto delle forze speciali del terrorismo occidentale i “ribelli” da soli non ce l’avrebbero fatta. L’hanno chiamata “rivolta popolare”, ma è stata anzitutto una catastrofe umanitaria sotto molti punti di vista. Gli italiani un piccolo risultato l’hanno ottenuto proprio oggi: le azioni dell’Eni hanno ripreso a salire.

domenica 21 agosto 2011

L'intelligenza della borghesia

Il capitalismo una volta di più mostra i propri irredimibili limiti storici proprio laddove l'ideologia d'accompagno s'illude ad oltranza di vedervi marcati dei punti di forza: nella riproduzione della forza-lavoro e nella gestione della disoccupazione entro parametri funzionali all'accumulazione. Nel passato prossimo la borghesia si mostrava disponibile a concessioni purché esse servissero a mantenere immutati i rapporti di classe, con i padroni a dominare e gli schiavi ad obbedire. A tale scopo era disposta a cedere allo Stato quote anche rilevanti di plusvalore in funzione anticiclica salvo poi recuperare con gli interessi nei momenti d'espansione.

Ora non è più così, la grande borghesia vuol portare, approfittando della crisi, la sua lotta alle condizioni di vita e di sfruttamento dei salariati alle sue estreme conseguenze. Che si tratti di un gioco pericoloso se ne rende conto anche il plurimiliardario (in euro) Eugenio Scalfari, il quale nel suo editoriale di oggi si chiede se l'"Intelligenza" (con la maiuscola: noblesse oblige!) della borghesia non si sia per caso "addormentata". Lo fa dopo aver chiesto a sua volta ulteriori e più drastiche misure contro i lavoratori e le loro future (?) pensioni.

 

sabato 20 agosto 2011

Pregano ma non pagano

Ci sono giorni in cui il Manifesto dà il meglio di sé. Oggi è uno di quelli e per più di un motivo. Norma Rangeri scrive un editoriale da incorniciare su Vaticano, evasione fiscale, 8 per mille e dintorni. Da non perdere.

venerdì 19 agosto 2011

Carcansi utili idioti per soluzione finale

Dopo averci rotto i coglioni per giorni con il "contributo di solidarietà", ovvero l'obolo che i ricchi dovrebbero versare allo Stato per sostenere i bisogni voluttuari dei poveri (ovviamente in cambio di adeguata contropartita), il Giornale di Feltri, è arrivato all'assioma finale: "L'unica cosa certa è che tutto sta crollando". Un po' come Luigi XVI che salendo le scale che lo conducevano al patibolo, verificato che il suo regime era finito, trovava lo spirito giusto per considerare che dopo di lui ci sarebbe stato solo il Diluvio.

Sempre Nicola Porro scrive che la Borsa di Milano è poca cosa, meno di Apple e di Google messe insieme. Cerca di minimizzare le perdite, comprese quelle non lievi della Finivest. Lo deve fare per tacito contratto se vuole che i suoi padroni continuino a versargli l'assegno per gli alimenti. L'importante è mantenere saldi i rapporti di classe.

Il capitalismo è fallito, si sapeva; ma non è morto. C'è di che essere ottimisti. 80anni or sono ha sofferto la sua più grave crisi prima dell'attuale, ma trovò il modo di risollevarsi con una flebo di 50mln di morti. Anzi, la cura gli consentì di prosperare almeno fino agli anni 1970, qunado cominciò il giochino crisi/ripresa.

Oggi i margini per un'altra carneficina mondiale forse non ci sono, così almeno ci dicono. Ma sappiamo anche che per eseguire degli ordini bastano degli idioti.

mercoledì 17 agosto 2011

La stanno vincendo loro

L'evasione fiscale è stimata in 200 - 300mld di euro. Circa il 20% del Pil. Cifre attendibili che forse peccano per difetto. Se si volesse, con poco sforzo si riuscirebbe a recuperarne un terzo, con il quale pagare gli interessi sul debito e fare altre cosine. Ma non si vuole. Si preferisce tagliare sulle spese, soprattutto quella sociale e quindi deprimere ulteriormente consumi ed economia.

L'evasione fiscale è l'architrave di questo sistema. Con la cosiddetta tassa di solidarietà si colpiscono (di striscio) quei pochi (non molti) che le tasse sono costretti a pagarle o pagarne una parte. Colpendo l'evasione fiscale si andrebbe a rompere le scatole a milioni di evasori (un elettrauto, un avvocato, un imbianchino, un dentista è difficile che rilascino ricevuta, e se la rilasciano non sempre è per l'intero importo).

Non l'ha fatto Prodi, non lo fa tanto meno Berlusconi. Questione di vita o di morte.  Si preferisce quindi tagliare i consumi, erodere i risparmi delle famiglie, costringerle a fare debiti. Fino a quando reggerà? Difficile dirlo, ma reggerà a lungo. Più dura e peggio sarà.

Ha ragione il plurimiliardario (in dollari) Buffet: la lotta di classe c'è e la sta vincendo la borghesia.

domenica 14 agosto 2011

La macchina della vendetta

La macchina della vendetta sta operando a pieno ritmo nelle aule dei tribunali inglesi. I disgraziati che vi sono giudicati se non altro avranno modo di considerare quanto sia vano rischiare anni di galera per una vetrina rotta o per aver asportato un paio di scarpe e delle t-shirt. La prossima volta forse sapranno organizzarsi e coordinarsi secondo obiettivi meno pleonastici.
Se avessero occupato e incendiato il British Museum, la borghesia avrebbe gridato con orrore contro il vandalismo dei nuovi barbari, ma avrebbe avuto finalmente ben chiaro che alla sua guerra di classe, al suo odio, si stava rispondendo in forme adeguate. Forse che la borghesia inglese ha dimostrato di avere qualche sussulto quando durante le guerre dell'oppio andò distrutto gran parte del patrimonio artistico e culturale dell'antica Cina? O ebbe qualche remora a radere al suolo le cattedrali europee?
Del resto si tratta della stessa borghesia indifferente e recidiva agli atti di non gratuita crudeltà che ogni giorno vengono perpetrati in ogni luogo del pianeta. O dobbiamo credere meno barbara la proposta di privatizzare il Partenone e altri tesori a favore dei soliti cravattari? Per non dire del sistematico e inarrestabile saccheggio e distruzione del patrimonio naturale e paesaggistico. Hanno queste azioni forse un peso e un significato tanto diverso dalla distruzione di un museo?
Centinaia di milioni di esseri umani si ammalano e muoiono a causa delle condizioni di sfruttamento e miseria nelle quali sono costrette a sopravvivere. Dovremmo provare pietà, un giorno, per la scomparsa di una classe sociale di sciacalli che si credono il sale della terra?

sabato 13 agosto 2011

Sanguigno come un tarocco

Da un portatile alieno.
Re Giorgio ha interotto i bagni di mare ed è rientrato alla reggia per incontrarsi con l'uomo più ricco e inquisito d'Italia. Il gran sacerdote e il faraone avranno parlato anche di sacrifici umani. 
Come nella migliore tradizione rivoluzionaria il governo di salute pubblica ha pensato anche a modificare il calendario, per il momento le festività da aprile a giugno. Sicuramente l'intento è anche quello di sopprimere, quando cade, anche la quinta domenica del mese. Le maggiori resistenze verranno dal Vaticano, ma si pensa di superarle con il solito do ut des. In tal caso basterà modificare un poco il terzo comandamento. 
Intanto al Senato ogni anno si cambiano le posate, strumento essenziale per i lavori che vi si tengono. Spesa 40mila euro. Lavaggio auto blu 61.000. Manutenzione ordinaria e straordinaria assensori (palazzo Madama, come noto, è un grattacielo di 80 piani) per la modica cifra annuale di 865.000 euro.
Saluti.

giovedì 11 agosto 2011

Buon ferragosto



Con sorpresa ho ricevuto una nuova mail da suor Benedetta del Santissimo Sangue di Gesù. La reverenda mi comunica che in merito allo scherzetto di disseminare tra i libri devozionali della biblioteca conventuale le incisioni erotiche di Hogarth, tra le sorelle è prevalsa la disponibilità al perdono, poiché – inferisco da me – è così bello stizzirsi e ciò nonostante dover amare. E del resto, non è l’oggetto della loro fede fatto a immagine della loro alienazione?

Più grave, rileva la superiora, è l’aver dato in lettura il Concilio dell’amore di Oskar Panizza alla giovane novizia. Suor Benedetta trascura che la rinuncia è la virtù di cui si onora lo schiavo. Vorrei dirle che l’amore della vita è nella totalità dell’amore. Ed è nell’amore sessuale che il corpo impara a revocare il senso di colpa e a scoprirne l’innocenza. Sottratta a questa esperienza, la vita è condannata all’incompiutezza. Non c’è eternità se non nel cuore del presente, nel libero godimento di sé.

Infine, la suora racconta che è prevalso il perdono anche in questo caso e mi comunica che in questo mese d’agosto c’è meno affluenza del solito presso il convento. Dice che questa calma dà sollievo e m’invita a trascorrervi ancora qualche giorno. È fin troppo candida questa badessa nel preporre questioni di mero interesse al desiderio – che lei sa bene essere ingiusto quanto vano – di fare di me una coscienza contrita e devota.

Per questo ho deciso che andrò altrove. Ciao.