Nei suoi aspetti più eclatanti questa crisi è senz’altro una crisi finanziaria, di speculazione ma soprattutto di sostenibilità del debito pubblico degli Stati. Tuttavia, come scrivevo l’altro giorno, ogni crisi assume caratteristiche particolari che possono più o meno differenziarla dalle precedenti, ma all’origine delle crisi però stanno le medesime contraddizioni fondamentali.
E qual è la contraddizione fondamentale? Per gli economisti borghesi si tratta del “problema della crescita”, del ristagno dei consumi e degli investimenti, i quali in realtà rappresentano solo dei fenomeni che trovano la loro causa altrove. Non è una novità che la domanda, intesa come domanda sociale, è il riflesso della distribuzione del reddito di una società. Quindi, come spiegava Marx, “la struttura della distribuzione è interamente determinata dalla struttura della produzione”. Ed è in tale ambito che va individuata la causa fondamentale. Ci sono dunque pochi capitali? Keynes spiegò che in un periodo di crisi spesso il capitale scompare dal processo produttivo, non fisicamente, ma perché gli investitori perdono fiducia nel futuro (*). Ma tranquilli, non si tratta di una causa di ordine psicologico. Il capitalismo la esprime attraverso l’indicatore più importante dei rapporti di produzione borghesi: il saggio di profitto. La formazione di un’immensa massa sovrabbondante e vagante di capitale monetario, la conseguente speculazione nei mercati finanziari, le crisi cicliche che si susseguono per svalorizzare questa pletora di capitali, non sono altro che conseguenze dell'insufficiente capacità di auto valorizzazione del capitale nella sfera della produzione. In altri termini la caduta tendenziale del saggio generale del profitto rappresenta uno degli indici più chiari dei limiti storici del modo di produzione capitalista; perciò è negata e attaccata dagli economisti, dai funzionari e apologeti della borghesia i quali preferiscono incentrare piuttosto la materia della loro “analisi” sui problemi della circolazione e del consumo (**). Del resto, detto tra parentesi, in ogni epoca le classi dominanti hanno tentato di dipingersi come ultime classi della storia conducendo un’opera di falsificazione storica e politica tesa alla “dimostrazione” della propria insuperabilità.
Scrive Marx in tema di caduta tendenziale del saggio generale del profitto:
«L’aumentata massa dei mezzi di produzione destinati ad essere trasformati in capitale ha sempre a sua disposizione, per sfruttarla, una popolazione operaia accresciuta e perfino eccessiva. Nell’evoluzione del processo di produzione e accumulazione deve dunque esservi aumento della massa del plusvalore acquisita e suscettibile di esserlo e quindi della massa assoluta del profitto acquisita dal capitale sociale, ma le stesse leggi della produzione e della accumulazione aumentano in proporzione crescente, insiema alla massa, il valore del capitale costante più rapidamente di quanto avviene nella parte variabile del capital convertita in lavoro vivo. Le stesse leggi producono quindi per il capitale sociale un aumento della massa assoluta del profitto e una diminuzione del saggio del profitto».
Per dettagli: Il Capitale, Libro III, terza sezione, cap. 13, anche in questo sito.
E andiamo al dunque: a gennaio la Federal Reserve indicava con ottimismo una crescita tra il 3,4 e il 3,9 %, rivista al ribasso già ad aprile tra il 3,1 e il 3,3 % e poi ancora ulteriormente sino alle recenti previsioni tra il 2,7 e il 2,9 %. Di revisione in revisione, il primo trimestre ha visto una crescita estremamente recessiva ovvero dello 0,4%. Va un po’ meglio nel secondo trimestre, ma perché – ci dicono – la crescita è stata sostenuta dagli inventari per un ulteriore 1,3%, cioè grazie alle scorte. Tuttavia il quadro ci dice una sola cosa: i consumi non corrispondono alle aspettative di fabbricanti e rivenditori. Data la crisi fiscale degli Stati, il sostegno diretto e indiretto, cioè il rilancio del consumo attraverso l’espansione della spesa pubblica, non può più avvenire come prima, anzi, la spesa pubblica in tutti i paesi viene colpita da tagli draconiani. È il fallimento del riformismo, delle politiche neo-keynesiane, sostituite man mano da quelle neo-liberiste, cioè, in definitiva e nel medio periodo, la toppa che è peggio del buco.
La dinamica classica del modo di produzione capitalistico è una dinamica sostanzialmente ciclica all’interno della quale fasi di recessione si alternano a fasi di crescita e viceversa. Questa ciclicità esiste sempre, ma quando la recessione congiunturale si somma con la tendenza di fondo, cioè con la crisi generale (fatto salvo che i cicli positivi di un’area economica possono coincidere con i cicli negativi di un’altra area) si determina una situazione estremamente instabile nella quale un crack generale e profondo è possibile in ogni momento.
«A un dato punto del loro sviluppo le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (il che è l’equivalente giuridico di tale espressione) dentro dei quali esse forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura» ( Karl Marx, Prefazione a Per la critica dell’economica politica, 1859).
Alle gravi difficoltà determinate dalla crisi economica, si somma anche una crisi politica che si manifesta nella sempre maggiore incapacità da parte degli organismi/istituzioni nazionali e internazionali di fronteggiare nuove manifestazioni di questa crisi e come incapacità a porvi rimedi efficaci e duraturi. D’altra parte, è la natura stessa del modo di produzione capitalistico che rende sostanzialmente non risolutivi o inutili e spesso controproducenti i tentativi di dare un carattere di “equilibrio” e “stabilità” alla sua economia. Questi due aspetti della crisi, economica e politica, determinano una situazione di sostanziale ingovernabilità del sistema capitalistico e lo sviluppo di uno scontro sempre più aperto tra le varie frazioni del grande capitale monopolistico. Questo scontro per la spartizione dei mercati e delle aree strategiche tende a trascendere dal piano economico-finanziario a quello politico-militare. E questa non è una novità del XXI secolo.
(*) Keynes fu il “consigliori” ispiratore degli accordi di 1944 di Bretton Woods dai quali prese le mosse la costituzione di organismi sovranazionali di controllo economico, politico e finanziario come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale.
(**) “Bisogna diffondere l’ignoranza, così anche l’acqua calda sarà una emozionante scoperta” (Altan).
Alla luce di quanto detto finora su questa ennesima crisi, resta da capire e prevedere i suoi sviluppi. In fondo se sappiamo le basi, dovremmo poter prevedere anche gli esiti. Un bel post su questo come lo vede?
RispondiEliminavedremo
RispondiEliminaciao
Da qualche anno c'è una grossa puzza di guerra mondiale.
RispondiEliminaGran bel post.
mi è piaciuto e l'ho messo anche sul mio blog
RispondiEliminaL'Avamposto degli Incompatibili
grazie cassandra
RispondiEliminaciao Olivia, benvenuta