mercoledì 1 novembre 2017

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Nella sua essenza il capitalismo non è cambiato e non può mutare, e tuttavia negli ultimi decenni ha sviluppato la sua forma storica definitiva, quella della grande centralizzazione monopolistica nell’ambito della cosiddetta globalizzazione, anche se non ha ancora mostrato, se non per cenni, la struttura dei rapporti sociali che andranno a sostituire, nel tempo lungo, quelli attuali. Sono però già presenti i motivi della sua rivoluzione sociale e antropologica, e siamo testimoni del rapido estinguersi di un mondo che per certi aspetti durava da sempre.

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Che in questi nostri anni non aggraziati s’avanzi un filone pieno di barbarie credo non si possa negare. Pur deplorando i comportamenti della società di cui si fa parte, sappiamo di non essere immuni delle sue stesse colpe e ci interroghiamo sul domani che intuiamo irto di ancor maggiori difficoltà e terribili agguati.

Ci chiediamo se la nostra civiltà potrà sopravvivere all’irrompere di strati etnici e sociali che fino a pochi anni fa ne erano estranei, ma dovremmo ancor più chiederci se crediamo realmente possibile che questo sistema possa sostenere ancora a lungo il peso delle proprie contraddizioni. Su questo punto le astrazioni di politici ed economisti creano solo illusioni e miti, in un quadro di estesa connivenza e tortuose miserie.

Nonostante tutti i progressi della scienza e della tecnologia non siamo riusciti ad assicurare alla società una base più umana e siamo impotenti di fronte a una disgregazione e un caos che fomenta paure esplicite e inquietudini segrete. È vero che nel mondo talune estreme povertà paiono diminuire, ma è altrettanto certo che nell’insieme, tanto più in rapporto allo sviluppo economico raggiunto, le diseguaglianze si sono fatte sempre più stridenti e intollerabili.

E perciò appare stucchevole e falso il dibattito (si fa per dire) politico e culturale attorno ai grandi temi della nostra epoca, un dibattito schematicamente semplicistico per ciò che riguarda la realtà effettiva del capitalismo, che anzi viene in ogni modo esorcizzato nel nome, come se a rimettere a posto le cose bastasse qualche decimale di Pil di una ripresa economica instabile e momentanea.


Settori sempre più ampi della società avvertono il peso insopportabile di questa inconcludenza e decadenza, e non sarà certo, per quanto riguarda i casi nostri, l’ampio vivaio di aspiranti dittatorelli che potrà rovesciare le sorti, già segnate, di un paese sempre più spaccato tra chi tira la carretta con sempre maggiore difficoltà e coloro che proprio da tale debolezza e difficoltà traggono ulteriore profitto.

10 commenti:

  1. Quel "sua" corsivo del primo periodo è al contempo inquietante e carico di aspettative.
    Dialettica del linguaggio :)

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  2. "Sono però già presenti i motivi della sua rivoluzione sociale e antropologica".
    È possibile che lei faccia qualche esempio sui motivi già presenti?
    Grazie

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    1. caro Anonimo, le suggerisco di adottare un nike, per es.: Oblomov

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    2. "Sono però già presenti i motivi della sua rivoluzione sociale e antropologica".
      È possibile che lei faccia qualche esempio sui motivi già presenti?
      Grazie, Oblomov.

      P.S: forse voleva scrivere nick (name) e non nike.

      Saluti da Oblomov.

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  3. i commentatori hanno giustamente sottolineato il succo del post e della questione

    Provo a rispondere per me

    La novità del capitalismo odierno è il tutt'uno composto da rapporti di produzione e forze produttive."Le forze produttive sono più che mai mediate dai rapporti di produzione; forse così completamente che essi proprio per questo appaiono come l’essenza; si sono completamente trasformati in una seconda natura." Per questo oggi il lavoro non solo è ancora la base reale dell' accumulazione, ma più estesamente è replicare il rapporto di sfruttamento e dominio in ogni momento, capillarmente.

    Questo io intendo come Sua rivoluzione sociale

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