Ci vuole il metodo dialettico per cogliere nel berlusconismo, come già nei bonapartismi di ieri, la risultante di contraddizioni che permettono l'enfiarsi del potere esecutivo nella paralisi reciproca delle fazioni di classe.
Karl Marx, nella seconda prefazione a “Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte”, capolavoro della scienza marxista della politica e testo imprescindibile sul piano del metodo per l’analisi del mutamento politico, scrive parole che, mutatis mutandis, ben s’attagliano alla situazione nostra odierna. Ne avevo già accennato l’altro giorno in questo post, nel quale appunto sostenevo che Marx aveva già raccontato tutto con il solito anticipo di secoli. Eccone un esempio:
Victor Hugò si limita a un’invettiva amara e piena di sarcasmo, contro l’autore responsabile del colpo di stato. L’avvenimento in sé gli appare come un fulmine a ciel sereno. Egli non vede in esso altro che l'atto di violenza di un individuo. Non si accorge che ingrandisce questo individuo invece di rimpicciolirlo, in quanto gli attribuisce una potenza di iniziativa personale che non avrebbe esempi nella storia del mondo.
Proudhon, dal canto suo, cerca di rappresentare il colpo di stato come il risultato di una precedente evoluzione storica; ma la ricostruzione storica dei colpo di stato si trasforma in lui in una apologia storica dell'eroe del colpo di stato. Egli cade nell’errore dei nostri cosiddetti storici oggettivi. Io mostro, invece, come in Francia la lotta di classe creò delle circostanze e una situazione che resero possibile a un personaggio mediocre e grottesco di far la parte dell'eroe.
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