di Donatello Santarone - il manifesto, 4 Agosto 2010
Recensione a: Karl Marx, L'alienzaione, Donzelli, pp. 128, euro 7
Nella sobria ed elegante collanina de «gli essenziali» - nata per riproporre alcuni temi classici utili al presente - l'editore Donzelli propone una sintetica antologia di testi marxiani sul tema dell'alienazione presentati da Marcello Musto. Si tratta di un concetto centrale nella riflessione del filosofo di Treviri che il curatore, docente alla York University di Toronto, colloca nella sua introduzione all'interno della più generale trattazione di questa problematica. Non solo, dunque, rispetto alle teorie di Hegel e Feuerbach e degli economisti classici o di Lukács – che sono, sempre molto brevemente, trattate nella prima parte – ma anche nel confronto con le principali concezioni novecentesche dell'alienazione (Heidegger, Marcuse, la psicoanalisi e l'esistenzialismo francese).
Tra queste due parti, il curatore inserisce un «riassunto» della posizione giovanile marxiana (i Manoscritti economico-filosofici del 1844) e, dopo di esse, il dibattito marxista sull'alienazione (e l'interpretazione di Marx) del Novecento. L'idea è quella, per evitare di appesantire il volumetto con un'introduzione che riprendesse esclusivamente i temi già trattati nelle pagine della raccolta (e riassunti nei paragrafetti introduttivi che guidano il lettore alla lettura dei differenti frammenti), di mostrare l'originalità della concezione marxiana dell'alienazione anche nel confronto con i principali filosofi del Novecento.
Posseduti dalle cose
Nella seconda parte l'introduzione esamina esclusivamente il testo di Marx, in particolare la sua concezione matura dell'alienazione, esposta nei Grundrisse e nel Capitale (feticismo dal punto di vista della merce e reificazione da quello delle relazioni umane). Inoltre, Marcello Musto presenta le misure concepite da Marx per superare l'alienazione (ed alla differenza rispetto alla posizione giovanile, che si limitava a prospettare un «superamento della proprietà privata») e disegnare il profilo della società post-capitalistica che emergerebbe in seguito al superamento dell'alienazione.
Quel che emerge è la peculiarità della posizione di Marx, il quale «mediante la categoria di lavoro alienato non solo estese la problematica dell'alienazione dalla sfera filosofica, religiosa e politica a quella economica della produzione materiale, ma fece di quest'ultima anche il presupposto per poter comprendere e superare le prime». Per Marx, infatti, l'alienazione coincide «con una precisa realtà economica e con un fenomeno specifico: il lavoro salariato e la trasformazione dei prodotti del lavoro in oggetti che si contrappongono ai loro produttori». La ricchezza e l'attualità di questa posizione - che Musto rintraccia nell'intera produzione marxiana - si offrono al lettore già dalle prime riflessioni presenti nei Manoscritti del '44: «Con la messa in valore del mondo delle cose cresce in rapporto diretto la svalutazione del mondo degli uomini». Nell'odierno capitalismo globalizzato, nel quale la dittatura delle merci permea le regioni più intime delle persone, questa affermazione marxiana consente, ad esempio, di comprendere il potente potere evocativo ed educativo contenuto nelle «cose», le quali non sono solo oggetti dotati di valore di scambio ma sofisticati dispositivi cognitivi volti a persuadere della superiorità del mondo del capitale, promessa di felicità e ricchezze eterne. Non sono quindi gli uomini che usano le «cose», ma, sostiene Marx, le «cose» si impossessano degli uomini i quali trasferiscono sulle merci, e non su altri uomini, la loro essenza umana ormai estraniata. Tutto questo per Marx non scaturisce da un indistinto «disagio della civiltà», da «un'età dell'ansia» indecifrabile, ma è determinato storicamente dai rapporti capitalistici di produzione che hanno reso i produttori sempre più dipendenti dai prodotti e dalla proprietà privata di quei prodotti (in una foto inedita scattata ad Hong Kong da Franco Fortini nel suo viaggio in Cina del 1955 si vede un bambino che dorme in una sorta di emporio circondato da merci di ogni tipo e sotto la didascalia di Fortini che commenta con una frase di Marx: «il prodotto produce il produttore»).
Nei Manoscritti del '44, i quali furono scritti da un Marx ventiseienne e furono pubblicati postumi solo nel 1932, vengono analizzati i processi di alienazione che coinvolgono quattro momenti dell'esistenza operaia. Nella società borghese, infatti, il lavoratore è alienato: dal prodotto del suo lavoro, nell'attività lavorativa, dal genere umano, dagli altri uomini. Comprendere e combattere «questa potenza estranea sopra l'uomo» è ciò che rende complicato e contraddittorio il processo storico e il tentativo di immaginare un diverso presente. Nelle odierne società a capitalismo avanzato la coscienza della condizione umana alienata, la percezione del carattere distruttivo della merce e del denaro (in quanto merce) sulle persone sono quotidianamente e in maniera molecolare ostacolate da una gigantesca struttura ideologico-materiale (media, tempo «libero» mercificato, intrattenimento, pubblicità, centri commerciali) che lavora incessantemente a divaricare la condizione materiale dei lavoratori dalle loro rappresentazioni simboliche, facendo proprio di queste ultime il luogo della rassegnazione e del consenso passivo.
Oltre il consumo
Questa contraddittorietà è, d'altra parte, proprio nel carattere dinamico e mutevole del capitale.
Come scrive Marx nel 1856, nel discorso tenuto in occasione del quinto anniversario del giornale operaio «The People's Paper», la nostra è un'epoca in cui «da un lato sono nate forze industriali e scientifiche di cui nessun'epoca precedente della storia umana ebbe mai presentimento. Dall'altro, esistono sintomi di decadenza che superano di gran lunga gli orrori tramandatici sulla fine dell'impero romano. Ogni cosa oggi sembra portare in se stessa la sua contraddizione. Macchine, dotate del meraviglioso potere di ridurre e potenziare il lavoro umano, fanno morire l'uomo di fame e lo ammazzano di lavoro. Un misterioso e fatale incantesimo trasforma le nuove sorgenti della ricchezza in fonti di miseria».
Nei Grundrisse e poi nel Capitale Marx si sofferma sulla spoliazione di saperi e competenze che la moderna produzione borghese ha determinato nel passaggio dal lavoro rurale, artigianale, semi-industriale del medioevo al lavoro nella fabbrica moderna del capitalismo. Tale processo ha portato le condizioni di lavoro sempre più distanti, autonome, separate dall'esistenza degli operai, «come un modo di essere del capitale e quindi anche come organizzato dai capitalisti indipendentemente dai lavoratori». In un sistema quale quello regolato dal capitale, in cui la messa in valore delle cose e la perenne rincorsa a maggiori profitti confligge con le dimensioni non mercantili dell'esistenza, lo spazio riservato ad attività fondate sul valore d'uso delle conoscenze, dei saperi, dell'arte, uno spazio in cui sia centrale la relazione umana e intellettuale non finalizzata all'accumulazione privata e al profitto, rischia di divenire sempre più residuale ed ininfluente.
Quando Marx parla di «uomo onnilaterale», quando propone la riduzione della giornata lavorativa per consentire agli operai di coltivare le amicizie, di educare i figli, di partecipare alla vita politica, di andare ad una conferenza, di ascoltare musica o di dipingere, egli tratteggia la figura di un uomo finalmente libero dalla servitù del lavoro salariato, un uomo non più schiavo delle merci, un uomo finalmente disalienato e disposto ai più alti godimenti dello spirito.
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