giovedì 17 gennaio 2019

L'ingenuo prof. Canfora


Ieri sera, durante una trasmissione televisiva, il prof. Luciano Canfora ha affermato che chi considera l’innovazione tecnologica come una delle cause della riduzione della domanda di forza-lavoro ha una visione “ingenua” dell’economia. Semmai è invece proprio Canfora ad avere una visione ingenua, cioè idealistica, del modo di produzione capitalistico e delle sue leggi.

Partiamo propedeutici, giammai per chi sta sul palco ma per la platea.



Scopo di ogni capitalista non è quello di produrre merci ma quello di incrementare il proprio saggio di profitto (*), vale a dire il rapporto tra capitale complessivo investito e quota di plusvalore (**). Per ottenere questo scopo, il capitalista ha una strada maestra da percorrere, cioè quella della diminuzione dei costi, anzitutto quello del lavoro. Ciò si deve tradurre nella diminuzione della quota di lavoro presente mediamente in ogni singola merce, vale a dire nel produrre più merci con la stessa quantità di lavoro.

Per diminuire il costo del lavoro si può agire con l'intensificazione dello sfruttamento del lavoro, con l’aumentare la durata della giornata lavorativa a parità di salario oppure con la riduzione del salario stesso e amenità del genere. Una cosa non esclude l’altra, anzi è equipollente, ma tutto ciò trova dei limiti oggettivi e normativi. Ecco perché il capitalista è costretto all’innovazione tecnologica e al perfezionamento delle tecniche di produzione per aumentare la produttività, cioè lo sfruttamento, del lavoro. Dal punto di vista del capitale complessivo ciò si esprime come necessità assoluta, cioè adesione alle leggi proprie dell’accumulazione capitalistica. Si può vedere in tutto ciò la “missione storica” del capitale (***).

Il capitale tende ad allargare e diversificare la produzione, e ciò richiede in genere una quota aggiuntiva di forza-lavoro; tuttavia la tendenza fondamentale e prevalente resta la diminuzione del costo del lavoro e l’aumento della produttività della forza-lavoro. Ciò avviene prevalentemente, come detto, attraverso lo sviluppo tecnologico e il miglioramento delle tecniche di produzione. Come chiunque può constatare, ciò comporta di riffa o di raffa la riduzione progressiva di forza-lavoro sia in rapporto alla stessa quota di produzione (ma ciò vale anche per molti “servizi”), sia tenendo conto del suo allargamento e diversificazione.

Questa legge di tendenza, che qui ho richiamato solo per certi aspetti, volgarizzandola, è stata analizzata e dimostrata da Marx in generale e in dettaglio. Nei suoi effetti concreti essa è diventata senso comune, tuttavia nel circo politico-mediatico ogni cosa vale l’altra e dunque si può tranquillamente ignorarla e anzi negarla.

(*) Scopo della produzione capitalistica non è il processo vitale della società dei produttori, bensì la conservazione e la valorizzazione del capitale, dunque la produzione è solo produzione per il capitale.
La categoria del saggio di profitto svolge un ruolo fondamentale nell’economia politica, in quanto il suo movimento è alla base della crisi del modo di produzione capitalistico. Infatti, la tendenza storica dell’accumulazione capitalistica consiste in un aumento della composizione organica del capitale e, di conseguenza, in una caduta del saggio del profitto.
Le leggi del movimento del saggio di profitto non coincidono con quelle del saggio del plusvalore, da cui peraltro il saggio del profitto si distingue fin dall’inizio anche quantitativamente. Il saggio di profitto può scendere, anche se il plusvalore reale sale. Il saggio di profitto può salire, anche se il plusvalore reale scende. Questa legge è «sotto ogni aspetto la legge più importante della moderna economia politica […] È la legge più importante dal punto di vista storico».

(**) Se il termine plusvalore non piace, vi appare troppo marxisteggiante, potete usare un alias tranquillizzante: “valore aggiunto”. Per quanto poi tale espressione porti fuori strada relativamente ad altre questioncelle, sul tipo confondere saggio del profitto e saggio del plusvalore, e via-via a cascata (vedi QUI e QUI).

(***) Storicamente il modo di produzione capitalistico è un mezzo potente per lo sviluppo della forza produttiva materiale e la creazione di un corrispondente mercato mondiale, ma esso è al tempo stesso la contraddizione costante tra questo suo compito storico e i rapporti di produzione sociali che gli corrispondono.

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