sabato 29 dicembre 2018

Libri sotto l'alberello


Sto leggendo il lavoro Eugenio Di Rienzo, Ciano, la biografia del “genero del regime” edita da Salerno editrice. Un saggio storico con ricchissimo corredo di note che però si legge scorrevolmente come un romanzo. Un libro del tutto diverso dal romanzone di Antonio Scurati, M, che del saggio storico ha le pretese ma non la sostanza, essendo in realtà un libro di “intrattenimento”, una costruzione letteraria che funziona e che per tale motivo piace e batterà nelle vendite il libro di Di Rienzo per mille copie ad una. La ricostruzione di Scurati, lavorata con un certo tipo di distacco che finge pulizia ideologica, tutt'altro che priva di vere e proprie invenzioni, si ferma al 3 gennaio 1925, e dunque non scontenterà più di tanto nessuno. In tal senso l’autore fa il proprio mestiere (*).

Un altro buon libro da accostare a quello di Di Rienzo, e che ho appena terminato, è quello di Gianluca Falanga, Storia di un diplomatico. Luca Pietromarchi al Regio Ministero degli Affari Esteri (1923-1945), edito da Viella. In tal caso il rapporto di vendita con quello di Scurati sarà di diecimila copie ad una. Un motivo in più per tenerlo in considerazione.

(*) Galli Della Loggia del librone di Scurati ha colto solo alcuni errori e imperfezioni, neanche tanto gli svarioni più stucchevoli. Rilevo, per esempio, che a proposito di Amedeo Bordiga, Scurati s’inventa un dialogo con Lenin riportandone il virgolettato. Un Lenin che, secondo Scurati, parla italiano per essere stato “in esilio in Italia”, ossia, nella realtà storica, per aver trascorso due brevi soggiorni a Capri ospite di Gorky.

lunedì 24 dicembre 2018

Giochi di potere


Quando sento paventare i pericoli di un nuovo fascismo, mi viene quasi da sorridere. Non per nulla tempo fa definitivo gli attuali attori della scena politica come degli uccellini di passo. Maschere dietro le quali si nasconde ben altro. Siamo sottoposti a nuove forme di totalitarismo, diverse da quelle classiche del Novecento. Vado subito a degli esempi concreti, così non cambiate canale o non prendete sonno.

Si ricorderà quando irridevamo chi parlava di microchip sottopelle? Ebbene, da un paio d’anni in Svezia tutti hanno una carta elettronica biometrica, l’ha inventata il Ministero del Futuro (esiste!). Pochi mesi fa, sempre il Ministero del Futuro, se n’è inventata un’altra: la carta elettronica si può perdere, quindi ha fatto una proposta per 3.000 volontari affinché si sottoponessero a un esperimento, ossia trasferire la carta digitale sottopelle. In Svezia non è una novità, da tempo si possono anche prenotare i treni con un microchip sottopelle e in fabbriche e università ci sono lavoratori e docenti che ce l’hanno.

sabato 22 dicembre 2018

L'universo parallelo





Questo potrebbe essere l’ultimo Natale di pace, non solo per le minacce di guerra nucleare adombrate nei timori di Putin (è un fatto che gli Stati Uniti d’America rappresentino una minaccia per la pace da quando sono passati da colonia ad impero), senza contare ciò che sta avvenendo a livello di scontro commerciale. Non mi riferisco dunque solo alla situazione internazionale, ma anche alle beghe interne che tanto ci appassionano. Non solo alla legge finanziaria, che ancora il 21 dicembre il Parlamento non conosce e si appresta, nella sua maggioranza, ad approvare a scatola chiusa. Né, per questo fatto, alle grida degli esponenti del Partito democratico. Gli unti del popolo e i fascistoidi sono il prodotto della loro provocazioni, della loro insipienza e idiozia, non solo da ieri ma da decenni. Dovrebbero recitare il mea culpa, ma non lo faranno mai. Non lo farà sicuramente Renzi, cioè l’ultimo chiodo sulla bara del Pd.

Quando dico che questo potrebbe essere l’ultimo Natale di pace, mi riferisco alla “pace sociale”, alle conseguenze che avrà la legge finanziaria che dovrà essere approntata e approvata nel dicembre del 2019 con effetto per gli anni seguenti. Non potrà che essere una legge davvero lacrime e sangue, e altre ne seguiranno andando a colpire i soliti noti, soprattutto loro. Non basterà certo la tassazione sul gioco d’azzardo, i condoni e altri simili escamotage a coprire la voragine di deficit e debito, a frenare la corsa al rialzo del differenziale sui tassi. È un fatto peraltro comune che sempre più i parlamenti e i governi sono chiamati a soddisfare le richieste dei loro creditori piuttosto che i bisogni di coloro che dicono di rappresentare.

Non ci sarà nessuna jacquerie, nessun fascismo se non in maschera, i treni continueranno ad arrivare in regolare ritardo. A tutto provvede da molto tempo la quotidiana melassa televisiva, le jeu du chat et de la souris, dove tutto è buono per l’audience e il relativo mercato della réclame. Il rimbambimento al quale è sottoposto non solo il popolo dei creduloni e degli analfabeti, non solo il popolo che crede alle stigmate di padre Pio, alle madonnine in lacrime, ma tutto quel popolo che si crede furbo e convinto di poterla fare sempre franca, per il quale la politica è solo e tutta merda, oggetto di passatempo serale, stesi sul divano, e di “dibattito” su twitter. Quel popolo che non è migliore di quelle generazioni che si ubriacano nei pub e sballano nelle discoteche, insomma quel popolo del quale ormai tutti facciamo parte e vive in un universo parallelo a quello della realtà.

venerdì 21 dicembre 2018

Questione pratica


La vita ha un senso oppure le attribuiamo un senso che è solo illusione? Sembra questa una di quelle domande “alla Marzullo”, ma in definitiva non così banale poiché ognuno se la pone seriamente, magari anche con una certa frequenza. Chi invece è costretto a concentrarsi nella lotta quotidiana per la propria esistenza, in senso stretto, non ha molto tempo per porsi questa domanda, invece tipica di chi è sazio, di chi non trova altra risposta alla propria esistenza che nella considerazione di sé e del proprio orticello privato.

Stabilire se il senso che vogliamo dare alla nostra pur effimera esistenza corrisponda a realtà o a mera illusione, non è solo questione “filosofica”, ma anzitutto pratica. In tal senso (è il caso di dirlo), ci viene in soccorso una citazione (non ricordo di chi, mi pare di Charles Bukowski): “I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo”.

mercoledì 19 dicembre 2018

Paradossi del nostro tempo


Ieri mattina ascoltavo a Radio tre l’intervista alla giornalista Concita De Gregorio, la quale raccontava dei suoi tre figli adulti che vivono ancora in casa poiché non hanno una stabile situazione lavorativa ed economica. Lamentava la giornalista come causa di tale situazione la mancanza di lavoro. Premetto che ho stima per Concita, sia come persona che come giornalista, per quanto ella si collochi oggettivamente e soggettivamente dalla parte della borghesia, sia pure della frazione più illuminata e progressista.

È vero che lavoro non ce n’è a sufficienza per tutti, e ce ne sarà sempre meno! Questo è dovuto all’enorme aumento della produttività del lavoro ottenuta grazie al perfezionamento delle tecniche e allo sviluppo tecnologico. Dunque il punto è proprio questo, ineludibile. La grande industria e la sussunzione della scienza a essa, hanno creato una situazione nella quale la quantità di lavoro erogato nella produzione non è più la fonte principale per la creazione di ricchezza della società. La quantità di prodotti disponibili non è determinata dalla quantità del lavoro erogato, ma dalla sua stessa forza produttiva. E tuttavia la premessa della produzione basata sul valore è e rimane la quantità di tempo di lavoro immediato, la quantità di lavoro impiegato, come fattore decisivo della produzione della ricchezza.


martedì 18 dicembre 2018

Una risata ci seppellirà



Il superamento della Fornero, sarebbe dunque quota cento? Se già oggi le pensioni medie sono attorno ai mille euro, andare in pensione cinque anni prima, per i maschi, o quattro anni prima, per le donne, significa rimetterci migliaia di euro l’anno. Non serve saper fare di calcolo, intendersi di coefficienti di trasformazione, basta la logica per capire che per moltissimi sarà solo una fregatura. E sicuramente tra le pieghe del provvedimento di altre fregature ce ne saranno per ogni gusto.

Per quanto riguarda il cosiddetto reddito di cittadinanza, come si fa a credere che verranno elargiti 780 euro (ma anche fossero meno) a chi è disoccupato (magari da sempre), in attesa che un’occupazione gli piova dal cielo? Ma chi volete che s’alzi il mattino per andare a “faticare” quando si può campare di sussidio e di lavoretti e traffici in nero? È un’evidente presa in giro, in un paese come il nostro (a Roma sono stati finora "scoperti" 225.000 evasori dell'imposta sui rifiuti, pari a 150.000 utenze). Qui non si tratta semplicemente di “coperture”, ma di buon senso.

Eppure, ad oggi, 18 dicembre, trascorsi 200 giorni di “governo del cambiamento”, in assenza di una sola riga scritta a riguardo, giornali e cazzeggio televisivo continuano a non dire l’unica cosa seria che ci sarebbe da dire:  ma non avete ancora capito con chi abbiamo a che fare?

Ma quale Dante, quali Petrarca e Manzoni e Gadda, agli esami di terza media e di maturità dev’essere tassativo un solo nome: Collodi Carlo.

domenica 16 dicembre 2018

I nuovi apostoli del “popolo”


Le nostre abitudini alimentari, soprattutto fino a ieri, hanno avuto molto a che vedere con la religione, segnatamente con le prescrizioni imposte dalla Chiesa. Le feste erano scandite da precisi rituali alimentari che prevedevano piatti di grasso o di magro, ossia di carne oppure di pesce.

I cosiddetti “precetti” stabilivano con molto cinismo che ci si dovesse astenere dal consumo della carne e da tutti quei prodotti alimentari di derivazione animale nelle giornate di mercoledì, venerdì, sabato e in tutte le vigilie delle altre feste infrasettimanali di particolare rilievo liturgico e religioso. L’astinenza dalle carni era inoltre e rigorosamente prevista durante i quaranta giorni della “quadragesima”, ossia in quello che conosciamo come periodo quaresimale.

Dicevo che tali precetti erano stabiliti con molto cinismo e rispettati con molta ipocrisia poiché la quaresima per i poveri durava tutto l'anno. Il contadino povero non mangiava quasi mai carne e non poteva permettersi di comprare pesce, mentre per i ricchi tali tabù alimentari rendevano la loro dieta più varia e salutare. Infatti, il pesce, soprattutto quello di acqua dolce, potevano permetterselo solo i ricchi e, appunto, i preti. Nei conventi e nelle grandi dimore si allevavano carpe, lucci, tinche, anguille. Sulle loro tavole era servita per esempio lampreda e carpa in gelatina, il tutto innaffiato con quantità incredibili – a leggere le cronache del tempo – di vino.

La carne, anche solo certi tipi di carne, è in ogni credenza religiosa oggetto di proibizioni e limitazioni per i più svariati motivi. Ciò riguarda molto meno o per nulla il pesce. Il cristianesimo si rifà ai vangeli, laddove il pesce ha un posto di tutto privilegio, se non altro perché l'apostolo Pietro, un pescatore professionista sul lago Genézareth, e un suo amico panettiere, fornirono al mitico protagonista di quei racconti il pesce e il pane del famoso miracolo della moltiplicazione.

Ciò dovrebbe farci riflettere su quanta incidenza nella vita di ognuno possono avere le più incredibili balle, come quelle che verranno tra poco approvate in Parlamento dai nuovi apostoli del “popolo”.

domenica 9 dicembre 2018

Basta un nulla


Tra il 2000 e il 2017 in Italia il salario medio annuo è aumentato del'1,4 per cento in termini reali. La differenza è pari a poco più di 400 euro annui, 32 euro se considerati su 13 mensilità. Nello stesso periodo in Germania l’incremento è stato del 13,6 per cento, quasi 5.000 euro annui in più, e in Francia di oltre 6.000 euro, cioè 20,4 punti percentuali in più. 52° Rapporto del Censis sulla situazione del paese.

Ingrati questi francesi, vero? E pensare che molti italiani sarebbero disposti a baciare il culo a chiunque garantisse loro 780 miseri euro il mese a vita.

Anche perché un disoccupato, specie se di lungo corso o considerato  "anziano", deve scontare che si vedrà costretto ad accettare lavori a bassa retribuzione e con un minor valore dei contributi versati. In definitiva ciò produce un effetto al ribasso sulla media delle retribuzioni.

A volte basta un nulla perché tutto cambi nella nostra vita, ma basta ugualmente un nulla perché tutto finisca anche peggio.

sabato 8 dicembre 2018

I veri teppisti



In Francia il gilet giallo è diventato in poche settimane il simbolo di chi il capitalismo ha lasciato sul ciglio della strada. Questo movimento spontaneo e finora genuino, almeno come appare oggi, non è, come sostiene qualcuno, la manifestazione del fallimento del populismo (termine assai equivoco e astratto), bensì il risultato a livello sociale della crisi del sistema politico riformista, dell’idea cioè che il capitalismo sia a lungo compatibile con la vita delle persone reali.

Non dobbiamo quindi stupirci, semmai riflettere sul troppo tempo impiegato da così tanti uomini e donne per uscire dal letargo e dalla rassegnazione, persone la cui esistenza è una lotta quotidiana contro il sistema del profitto per il profitto che desertifica la vita e la terra. Come si è potuto così a lungo tollerare l'arroganza dei poteri economico-finanziari e la fattiva complicità dei politici che rappresentano solo i loro interessi personali e dei loro clienti?

Grazie alla complicità di tutta la melassa borghese che opera per distogliere l'attenzione verso i problemi e le contraddizioni reali facendo molto baccano intorno a dispute politiche in cui i conflitti fasulli tra sinistra e destra finiscono per annoiare e sprofondare nel ridicolo. E ora si stupiscono che in Francia finalmente la gente comune si sia rotta il cazzo e si rivolti contro il sistema che non da oggi permette al capitale di macinare i viventi senza interruzioni.

I veri teppisti stanno al caldo e tramano protetti nei loro covi. Non sono quelli che rompono qualche vetrina del lusso, quelle che scherniscono con cinismo le vittime della crescente pauperizzazione. E comunque i borghesi fingono di temere il lancio di qualche sasso, ma sanno bene che non si possono semplicemente distruggere i simboli per abbattere il loro sistema. Infatti, bruciare una banca non significa far saltare in aria il sistema bancario e la dittatura del denaro.

venerdì 7 dicembre 2018

Terrorismo di Stato



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È passato quasi mezzo secolo da quel 7 dicembre del 1968 quando Mario Capanna e i ragazzi del Movimento studentesco accolsero il pubblico della Prima della Scala con un fitto lancio di uova che fece scempio di pellicce, smoking e abiti da sera. Una contestazione senza precedenti e per questo inaspettata che portò la protesta sulle copertine dei giornali di tutto il mondo. Quei giovani non ce l’avevano con la Scala, ma con il «bel mondo» della Prima, con quella casta ante litteram fatta di vecchia borghesia milanese, nuovi ricchi del boom (i «cumenda» con la fabbrichetta) e potere politico.

Così scriveva il Corriere della sera qualche tempo fa a proposito di ciò che avvenne la sera del 7 dicembre 1968 davanti al teatro alla Scala, denotando tale contestazione come un fenomeno di "inaspettato" folclore. Ciò che gli scagnozzi della borghesia non vogliono ricordare e anzi rimuovere sono i reali motivi di quella contestazione, la quale avveniva a seguito di ciò che era successo il 1 dicembre ad  Avola.

Così scriveva Mauro De Mauro sull’Espresso:

Fino a ieri era noto come il “posto delle mandorle”, le buone, dolcissime, tenere mandorle di Avola. Da oggi non si potrà più nominare senza venir colti da un senso di sgomento e di profonda amarezza. Gli hanno sparato con i mitra. Protestavano per avere una paga uguale a quella dei braccianti di un paese vicino. Due chili di bossoli.

La polizia sparò centinaia di colpi contro i braccianti uccidendone due e ferendone 44.


Seguirono gli anni delle bombe, che la propaganda, ancora una volta con un capovolgimento logico e storico, chiamerà anni di piombo.

mercoledì 5 dicembre 2018

Non copia conforme, ma ...


Tutte le forme di governo sono fondamentalmente espressione di determinati rapporti sociali, ossia di determinati rapporti di classe. Ciò significa che il rapporto sociale fondamentale risulta dalle particolari forme storiche nelle quali viene a rappresentarsi il rapporto sociale tra padroni e schiavi, tra proprietari e non proprietari, anche laddove la proprietà non sia incarnata da una figura sociale individuale e la sottomissione dei non proprietari non sia diretta e personale.

Questo il quadro generale, avendo presente che non esiste un dominio di classe “buono”. Ciò non significa ovviamente che tutte le forme di dominio e di governo siano uguali, sia in rapporto alle varie epoche e sia in rapporto alle situazioni locali, tenendo presente nondimeno le concezioni ideologicamente determinate di chi osserva e descrive tali fenomeni sociali.

Un esempio concreto: quando definisco come cesarismo l’epoca napoleonica, faccio uso di una comoda etichetta, quasi di una metafora, per descrivere un fenomeno comune in alcuni suoi tratti a tutte le forme di governo autocratico; tuttavia, altri tratti a volte ben decisivi possono presentarsi in modo diverso, come in realtà si riscontra nel raffronto tra il cesarismo dell’impero romano e quello napoleonico.

Dunque, certi tratti del cesarismo sono comuni alle forme di governo autocratico di ogni epoca e certi altri aspetti invece differiscono; però, nel concetto di cesarismo, noi abbiamo ben presenti i tratti che caratterizzano a grandi linee l’autocrazia in ogni epoca, che per tale motivo diventano non “eterni” ma bensì “storici”.

L’estensione del concetto non esclude, come detto, che ogni forma storica di simili sistemi di governo presenti di volta in volta anche dei tratti più specifici, tanto che per esempio al concetto di cesarismo possiamo preferirne un altro che ne indica meglio certe peculiarità proprie, cosa che accade per esempio e del pari con il concetto di fascismo.

Quando per esempio definisco certi atteggiamenti e proponimenti politici come fascistici, non intendo dire che certi personaggi o movimenti politici sono la copia conforme del fascismo classico, bensì che essi ne colgono alcuni atteggiamenti caratteristici, tanto più perché tale esperienza è ancora storicamente vicina e soprattutto perché i conti con tale regime non sono mai stati fatti realmente e seriamente, vuoi per un motivo vuoi per altri. Poi sappiamo bene che quando i rapporti sociali dominanti entrano in crisi si alimentano da un lato le nostalgie o i salti di binario dall'altro. Le parti in commedia le recitano fenomeni mediatici come il berlusconismo, renzismo, grillismo e l’analfabetismo di massa coltivato da sempre in questo fantasmagorico paese.

lunedì 3 dicembre 2018

Il senno di poi non fa la storia


Il Sole 24 ore di ieri pubblicava un’intervista a Romano Prodi, in realtà un articolo etnogastronomico a firma di Paolo Bricco (dove il prefisso "etno" sta ovviamente per emiliano). L’unica cosa di rilievo che dice Prodi riguarda la globalizzazione: “La globalizzazione ha fatto una selezione dura e dolorosa, ma ha anche plasmato e migliorato il tessuto produttivo italiano”. Selezione dura e dolorosa soprattutto a spese dei ceti sociali medio-bassi, salvo rilevare “il desiderio di autorità che si è propagato nel mondo”. Non una parola sulle cause di tale insorgente “desiderio” e su ciò che ci riserva.

Prodi pensa invece ai suoi “imprenditori delle piastrelle, che hanno accompagnato e attraversato la nostra storia fin dal Boom economico. Hanno dominato a lungo il mondo”. E ciò mentre, soggiungo a mia volta, la polizia uccideva i braccianti di Avola e la Fiat schedava il popolo sovrano. Tanto per citare.

Il resto dell’intervista è a base di “mortadella, salame, prosciutto crudo e pezzi di parmigiano reggiano portati dall’oste”, e che il Professore – assicura Bricco – “nemmeno guarda” per mantenere la linea. Quindi “tortellini di magro, bistecche di manzo, insalate” e, per finire in gloria, “mascarpone e ananas”.

È quel Prodi silurato da Renzi durante il voto per l’elezione del presidente della repubblica. Un Renzi d’accordo con Berlusconi. Il senno di poi non fa la storia, ma aiuta a comprenderne i paradossi: con Prodi al Quirinale le cose sarebbero andate diversamente ed è probabile che oggi Salvini non sarebbe diventato l’asso pigliatutto.

sabato 1 dicembre 2018

La vera opzione strategica



Ieri sera, il professor Massimo Cacciari, ospite della trasmissione condotta da Dietlinde Gruber, ha sostenuto che il cosiddetto reddito di cittadinanza, o altrimenti chiamato e variamente strutturato, rappresenta un provvedimento di natura “strategica” per far fronte alla crescente disoccupazione di massa dovuta alla sempre minore richiesta di “lavoro necessario”.

Dunque, per Cacciari diventa strategica l’opzione dell’assistenza prima ancora di quella del lavoro. Osservo che ciò crea già in premessa una contrapposizione tra chi lavora e chi, volente o nolente, si fa mantenere dalla carità di Stato. Una contrapposizione che potrebbe diventare esplosiva nel tempo breve in un paese dove oltretutto il lavoro “nero” è pratica diffusissima e dove l’enorme debito pubblico minaccia ogni giorno di far saltare tutto. E crea altresì una dipendenza sul piano politico molto pericolosa, come dimostrano le ultime elezioni che hanno visto il prevalere di una data formazione politica sulla base della promessa di un assegno di mantenimento a tutti coloro che dimostrino di non raggiungere una certa soglia di reddito.

La vera opzione strategica è quella di lavorare meno per lavorare tutti, ma ciò non è praticabile in un’economia capitalistica. E che questa sia l’unica strada percorribile e tutt’altro che utopica, diverrà presto chiaro anche presso i più pragmatici assertori dell’inestinguibile continuità del capitalismo.

Quello cui si deve puntare non è il mantenimento della sopravvivenza attraverso l’assistenzialismo, bensì la rimozione delle condizioni che impediscono ad ognuno di svolgere un’attività lavorativa effettivamente proficua sotto l’aspetto individuale e sociale, e ciò è possibile solo attraverso il cambiamento del modi di produrre e distribuire la ricchezza, nel mutarsi di una società da disumana in umana.