Ieri mattina ascoltavo a Radio tre l’intervista alla
giornalista Concita De Gregorio, la quale raccontava dei suoi tre figli adulti
che vivono ancora in casa poiché non hanno una stabile situazione lavorativa ed
economica. Lamentava la giornalista come causa di tale situazione la mancanza
di lavoro. Premetto che ho stima per Concita, sia come persona che
come giornalista, per quanto ella si collochi oggettivamente e soggettivamente
dalla parte della borghesia, sia pure della frazione più
illuminata e progressista.
È vero che lavoro non ce n’è a sufficienza per tutti,
e ce ne sarà sempre meno! Questo è dovuto all’enorme aumento della produttività
del lavoro ottenuta grazie al perfezionamento delle tecniche e allo sviluppo
tecnologico. Dunque il punto è proprio questo, ineludibile. La grande industria
e la sussunzione della scienza a essa, hanno creato una situazione nella quale
la quantità di lavoro erogato nella produzione non è più la fonte principale
per la creazione di ricchezza della società. La quantità di prodotti
disponibili non è determinata dalla quantità del lavoro erogato, ma dalla sua
stessa forza produttiva. E tuttavia la premessa della produzione basata sul
valore è e rimane la quantità di tempo di lavoro immediato, la quantità di
lavoro impiegato, come fattore decisivo della produzione della ricchezza.
Proprio questo fatto porta ad una situazione paradossale, a delle contraddizioni inestinguibili perdurando l’attuale sistema di produzione. Perciò è sempre più urgente arrivare ad un sistema laddove il lavoratore si collochi sempre più accanto al processo di produzione, anziché esserne l’agente principale, e dove il tempo di lavoro dedicato al soddisfacimento dei bisogni degli individui e della società diventi sempre più un fatto marginale, dove insomma il lavoro non sia funzione del profitto per il profitto.
È un anacronismo che nella situazione attuale la
giornata lavorativa normale sia ancora quella fissata un secolo fa. Scriveva il
solito Marx:
«In
questa trasformazione non è né il lavoro immediato, eseguito dall’uomo stesso,
né il tempo che egli lavora, ma l’appropriazione della sua produttività
generale, la sua comprensione della natura e il dominio su di essa attraverso
la sua esistenza di corpo sociale — in una parola, è lo sviluppo dell’individuo
sociale che si presenta come il grande pilone di sostegno della produzione e
della ricchezza. Il furto del tempo di lavoro altrui, su cui poggia la
ricchezza odierna, si presenta come una base miserabile rispetto a questa nuova
base che si è sviluppata nel frattempo e che è stata creata dalla grande
industria stessa.
[Subentra] il libero sviluppo delle individualità, e dunque non la riduzione del
tempo di lavoro necessario per creare pluslavoro, ma in generale la riduzione
del lavoro necessario della società ad un minimo, a cui corrisponde poi la
formazione e lo sviluppo artistico, scientifico ecc. degli individui grazie al
tempo divenuto libero e ai mezzi creati per tutti loro. Il capitale è esso
stesso la contraddizione in processo, per il fatto che tende a ridurre il tempo
di lavoro a un minimo, mentre, d’altro lato, pone il tempo di lavoro come unica
misura e fonte della ricchezza. Esso diminuisce, quindi, il tempo di lavoro
nella forma del tempo di lavoro necessario, per accrescerlo nella forma del
tempo di lavoro superfluo; facendo quindi del tempo di lavoro superfluo – in
misura crescente – la condizione (question de vie et de mort) di quello necessario.»
Il resto sono chiacchiere e tempo perso.
"La quantità di prodotti disponibili non è determinata dalla quantità del lavoro erogato, ma dalla sua stessa forza produttiva". Scusa, ma la forza produttiva non può prescindere dalla quantità/qualità del lavoro erogato. Non capisco. saluti
RispondiEliminaun tempo per produrre una merce, poniamo un'auto, quanto lavoro bisognava erogare? E ora?
Eliminamarx e olympe guardano lungo, al dispiegarsi del sapere sociale che renderà obsoleti il capitale e i suoi proprietari
RispondiEliminastiamo invece a quello che provoca oggi l' introduzione non della singola macchina ma del sistema macchinico
una fabbrica completamente automatizzata,senza salari da pagare, estrarrebbe profitto da quelle concorrenti che lo fossero anche solo un pò meno: alla formazione del prezzo medio concorrerebbero tutte, anche le seconde
La fabbrica-tutta-automatizzata, allora, potrebbe vendere anche un pò sotto il prezzo medio, realizzando comunque un extra profitto rispetto ai concorrenti
a creare profitto non è solo lo sfruttamento della manodopera in senso assoluto; è aumentare il differenziale di sfruttamento della propria (o addirittura altrui) forza lavoro rispetto ai concorrenti, con tutti i mezzi a disposizione: dallo schiavismo alla specializzazione più alta fino alla sua eliminazione grazie alla robotica
l' infima percentuale di quota salario (come disse il fu Marchionne, nelle auto FCA è il 7%) incorporata nel prezzo è oggi, paradossalmente più di ieri, "fattore decisivo della produzione della ricchezza"
è per questo concreto motivo che fra diretti concorrenti (stati, aziende) -cioè a intensità capitalistica comparabile-è ancora lì che si gioca la partita della competizione
Com'é che le parole di Marx mi suonano sempre vere? Sarò malato.
RispondiEliminasperiamo diventi epidemia
EliminaSe tali questioni, la borghesia illuminata, fosse capace di porle nel quotidiano cazzeggio politico cui è costretta (cosa s'ha da fare per campare, persino scrivere editoriali per De Benedetti), allora, forse, l'epidemia marxiana (il «sapere sociale»), avrebbe una più rapida diffusione. Forse.
RispondiEliminascusa la puntualizzazione luca, il sapere sociale, almeno per come lo intendo, non è cosa di idee
Eliminaè l'operaio che parla alla pari con l' ingegnere, su una base di conoscenze funzionali comuni e non sulla base della
grazie della puntualizzazione, anzi. Mi mancano gli operai che parlano alla pari con i Ceo e li mandano pure affanculo.
EliminaE' possibile che io guardi il dito e non la luna, però che i figli di Concita soffrano degli stessi guai dei figli di un non-borghese illuminato (ossia di un non-agganciato-al-carro-spartitorio): ecco, se ci credessi comincerei a credere alle scie chimiche, o, più tradizionalmente, alla Befana.
RispondiEliminaascolta quanto dice nell'intervista l'interessata, poi potrai credere a ciò che vuoi.
Eliminale scie chimiche sono una cazzata, ma la Befana esiste realmente. Nei sogni e nelle speranze di molti bimbi. Forse non oggi ma un tempo certamente sì. Quando un'idea, una credenza, condiziona la nostra vita, in tal senso appartiene alla realtà. Per esempio, questo governo è costituito di ectoplasmi, di personaggi tra i più incredibili, tuttavia ha un impatto che condiziona le nostre vite.