mercoledì 19 dicembre 2018

Paradossi del nostro tempo


Ieri mattina ascoltavo a Radio tre l’intervista alla giornalista Concita De Gregorio, la quale raccontava dei suoi tre figli adulti che vivono ancora in casa poiché non hanno una stabile situazione lavorativa ed economica. Lamentava la giornalista come causa di tale situazione la mancanza di lavoro. Premetto che ho stima per Concita, sia come persona che come giornalista, per quanto ella si collochi oggettivamente e soggettivamente dalla parte della borghesia, sia pure della frazione più illuminata e progressista.

È vero che lavoro non ce n’è a sufficienza per tutti, e ce ne sarà sempre meno! Questo è dovuto all’enorme aumento della produttività del lavoro ottenuta grazie al perfezionamento delle tecniche e allo sviluppo tecnologico. Dunque il punto è proprio questo, ineludibile. La grande industria e la sussunzione della scienza a essa, hanno creato una situazione nella quale la quantità di lavoro erogato nella produzione non è più la fonte principale per la creazione di ricchezza della società. La quantità di prodotti disponibili non è determinata dalla quantità del lavoro erogato, ma dalla sua stessa forza produttiva. E tuttavia la premessa della produzione basata sul valore è e rimane la quantità di tempo di lavoro immediato, la quantità di lavoro impiegato, come fattore decisivo della produzione della ricchezza.



Proprio questo fatto porta ad una situazione paradossale, a delle contraddizioni inestinguibili perdurando l’attuale sistema di produzione. Perciò è sempre più urgente arrivare ad un sistema laddove il lavoratore si collochi sempre più accanto al processo di produzione, anziché esserne l’agente principale, e dove il tempo di lavoro dedicato al soddisfacimento dei bisogni degli individui e della società diventi sempre più un fatto marginale, dove insomma il lavoro non sia funzione del profitto per il profitto.

È un anacronismo che nella situazione attuale la giornata lavorativa normale sia ancora quella fissata un secolo fa. Scriveva il solito Marx:

«In questa trasformazione non è né il lavoro immediato, eseguito dall’uomo stesso, né il tempo che egli lavora, ma l’appropriazione della sua produttività generale, la sua comprensione della natura e il dominio su di essa attraverso la sua esistenza di corpo sociale — in una parola, è lo sviluppo dell’individuo sociale che si presenta come il grande pilone di sostegno della produzione e della ricchezza. Il furto del tempo di lavoro altrui, su cui poggia la ricchezza odierna, si presenta come una base miserabile rispetto a questa nuova base che si è sviluppata nel frattempo e che è stata creata dalla grande industria stessa.

[Subentra] il libero sviluppo delle individualità, e dunque non la riduzione del tempo di lavoro necessario per creare pluslavoro, ma in generale la riduzione del lavoro necessario della società ad un minimo, a cui corrisponde poi la formazione e lo sviluppo artistico, scientifico ecc. degli individui grazie al tempo divenuto libero e ai mezzi creati per tutti loro. Il capitale è esso stesso la contraddizione in processo, per il fatto che tende a ridurre il tempo di lavoro a un minimo, mentre, d’altro lato, pone il tempo di lavoro come unica misura e fonte della ricchezza. Esso diminuisce, quindi, il tempo di lavoro nella forma del tempo di lavoro necessario, per accrescerlo nella forma del tempo di lavoro superfluo; facendo quindi del tempo di lavoro superfluo – in misura crescente – la condizione (question de vie et de mort) di quello necessario.»

Il resto sono chiacchiere e tempo perso.

10 commenti:

  1. "La quantità di prodotti disponibili non è determinata dalla quantità del lavoro erogato, ma dalla sua stessa forza produttiva". Scusa, ma la forza produttiva non può prescindere dalla quantità/qualità del lavoro erogato. Non capisco. saluti

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    1. un tempo per produrre una merce, poniamo un'auto, quanto lavoro bisognava erogare? E ora?

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  2. marx e olympe guardano lungo, al dispiegarsi del sapere sociale che renderà obsoleti il capitale e i suoi proprietari

    stiamo invece a quello che provoca oggi l' introduzione non della singola macchina ma del sistema macchinico

    una fabbrica completamente automatizzata,senza salari da pagare, estrarrebbe profitto da quelle concorrenti che lo fossero anche solo un pò meno: alla formazione del prezzo medio concorrerebbero tutte, anche le seconde

    La fabbrica-tutta-automatizzata, allora, potrebbe vendere anche un pò sotto il prezzo medio, realizzando comunque un extra profitto rispetto ai concorrenti

    a creare profitto non è solo lo sfruttamento della manodopera in senso assoluto; è aumentare il differenziale di sfruttamento della propria (o addirittura altrui) forza lavoro rispetto ai concorrenti, con tutti i mezzi a disposizione: dallo schiavismo alla specializzazione più alta fino alla sua eliminazione grazie alla robotica

    l' infima percentuale di quota salario (come disse il fu Marchionne, nelle auto FCA è il 7%) incorporata nel prezzo è oggi, paradossalmente più di ieri, "fattore decisivo della produzione della ricchezza"

    è per questo concreto motivo che fra diretti concorrenti (stati, aziende) -cioè a intensità capitalistica comparabile-è ancora lì che si gioca la partita della competizione

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  3. Com'é che le parole di Marx mi suonano sempre vere? Sarò malato.

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  4. Se tali questioni, la borghesia illuminata, fosse capace di porle nel quotidiano cazzeggio politico cui è costretta (cosa s'ha da fare per campare, persino scrivere editoriali per De Benedetti), allora, forse, l'epidemia marxiana (il «sapere sociale»), avrebbe una più rapida diffusione. Forse.

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    1. scusa la puntualizzazione luca, il sapere sociale, almeno per come lo intendo, non è cosa di idee

      è l'operaio che parla alla pari con l' ingegnere, su una base di conoscenze funzionali comuni e non sulla base della

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    2. grazie della puntualizzazione, anzi. Mi mancano gli operai che parlano alla pari con i Ceo e li mandano pure affanculo.

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  5. E' possibile che io guardi il dito e non la luna, però che i figli di Concita soffrano degli stessi guai dei figli di un non-borghese illuminato (ossia di un non-agganciato-al-carro-spartitorio): ecco, se ci credessi comincerei a credere alle scie chimiche, o, più tradizionalmente, alla Befana.

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    1. ascolta quanto dice nell'intervista l'interessata, poi potrai credere a ciò che vuoi.
      le scie chimiche sono una cazzata, ma la Befana esiste realmente. Nei sogni e nelle speranze di molti bimbi. Forse non oggi ma un tempo certamente sì. Quando un'idea, una credenza, condiziona la nostra vita, in tal senso appartiene alla realtà. Per esempio, questo governo è costituito di ectoplasmi, di personaggi tra i più incredibili, tuttavia ha un impatto che condiziona le nostre vite.

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