mercoledì 28 febbraio 2018

Non si tratta semplicemente di un rapporto tra macchine e uomini



Quanto più la scienza s’incorpora nel capitale sotto forma di tecnologia, tanto più essa si erge contro il lavoro come potenza estranea e ad esso ostile.

Agli effetti pratici noi lo possiamo constatare con la modificazione del rapporto tra gli elementi costitutivi della composizione organica del capitale, vale a dire nell’aumento della parte costante in rapporto a quella variabile. Nell’aumento del lavoro morto, passato, rispetto a quello vivo (*).

È ben noto che il mutare del rapporto tra i due fattori della produzione, cioè capitale costante e capitale variabile, ha come conseguenza la caduta del saggio del profitto, come tendenza progressiva. 

Vi è da considerare, inoltre, un altro rapporto oltre a quello descritto, ossia il rapporto tra il tempo di lavoro pagato e quello non pagato, da cui è dato il saggio del plusvalore (**).

Il saggio del plusvalore non indica soltanto il rapporto tra il tempo di lavoro pagato e quello non pagato, ma un rapporto di sfruttamento e quindi di antagonismo. L’aumento del saggio del plusvalore è insieme crescita dello sfruttamento e acutizzazione dell’antagonismo di classe. Il fatto che quest’ultimo, in certi periodi storici sia meglio assorbito, incanalato e controllato dal sistema di dominio borghese, non vuol dire che esso, da latente, non possa esplodere socialmente come antagonismo assoluto e dirompente.

martedì 27 febbraio 2018

Elezioni: non debemus, non possumus, non volumus


I risultati elettorali nei paesi europei e negli Usa – e dunque anche il risultato che si avrà nelle elezioni italiane di domenica prossima – mettono in luce che a essere sotto accusa sono i fenomeni provocati dalla globalizzazione (per usare un termine borghesemente corrente).

Tale quadro è aggravato da un lato dal declino atlantico e dalle divisioni europee, dall’altro dall’emergere di potenze che nel XX secolo stavano sostanzialmente ai margini della contesa imperialistica mondiale, quali anzitutto la Cina, ma anche l’India, l’Iran, la Turchia, ecc..

Sembra quasi di assistere a una riedizione, su scala mondiale, della Guerra dei Trent’anni, quando nessuna delle potenze europee aveva capacità di leadership ed erano in lotta tra loro per l’egemonia senza riuscire a trovare un equilibrio.

lunedì 26 febbraio 2018

Le auto che volano


Secondo quanto riporta il Financial Times, il gruppo FCA si preparerebbe ad interrompere la produzione di vetture a gasolio a partire dal 2022, con una decisione che verrà ufficializzata in occasione della presentazione del piano industriale per il prossimo quadriennio, fissata per il primo giugno.

Lo scandalo del diesel ha dato una mano, e i costi per rendere la tecnologia in linea con gli standard delle emissioni non sono certo lievi. Anche per questo motivo, da parte sua, la Volkswagen ha annunciato d’investire entro il 2030 nell’auto elettrica 20 miliardi di euro e altri 50 miliardi per le batterie. Si punta soprattutto a un miglioramento delle prestazioni energetiche delle batterie a ioni di litio con elettrolita solido, in modo da ottenere un rendimento simile al gasolio.

Nondimeno la Cina – un paese capace d’idee strategiche di lungo periodo – ha avviato un piano per indirizzare una quota della produzione verso l’auto elettrica, e nessun costruttore di stazza globale può ignorare quello che è diventato il primo mercato mondiale. E tutto ciò non potrà non aprire una guerra dei motori tra i titani dell’industria automobilistica.

Pertanto, anche se “la grande prosperità tedesca non è più sufficiente a se stessa”, per dirla con il ministro degli Esteri Sigmar Gabriel, la Germania e la Cina mantengono una visione strategica. Viceversa, queste tendenze di fondo di strategia economica e politica non scuscitano in Italia, almeno a livello di dibattito pubblico (ma temo anche a livello di vertici economici e politici), alcuna riflessione nella definizione dei propri interessi.

Il mondo è un altro mondo ma qui da noi il carnevale non finisce mai, nemmeno dopo il 4 marzo, e già si è sentito un Pulcinella promettere un milione di auto elettriche nei prossimi due anni. Come volete che ci prendano sul serio all’estero quando si sentono stupidaggini come queste e, per altro verso, quando la capitale resta bloccata per cinque centimetri di neve? Ahó, semo a Roma, mica a Juneau. Perciò a che cosa servono gli pneumatici da neve posto che alle prossime elezioni ci prometteranno le auto che volano?

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domenica 25 febbraio 2018

Pane e ...


Da molto tempo è mutata la forma propria del denaro quale mezzo di circolazione, ossia non usa più il denaro nelle forme metalliche quali l’oro e l’argento. La funzione della moneta si è resa infine indipendente dall’oro, tanto più dopo l’esonero del gold exchange standard del 1971. Il denaro è rappresentato essenzialmente da surrogati, da cedole di carta, o addirittura da virtualità elettroniche. Le monete virtuali segnano una volta di più il processo, non da oggi in atto, di demonetizzazione del denaro

Questi segni del valore, oltre a funzionare come vera moneta, sono anche falsa moneta, appunto perché non possono mai essere altro che un segno dell’oro. L’eccessiva e trasbordante emissione di una qualsiasi forma di questo tipo di denaro, con qualsivoglia denominazione monetaria, viola le leggi della circolazione semplice, e presto o tardi tali leggi finiscono sempre per imporsi (*).

I famosi bulbi di tulipano avevano dalla loro un’oggettività e una potenziale bellezza incommensurabile rispetto agli odierni rappresentanti del valore.

Il denaro effettivo è custodito in lingotti d’oro presso le banche centrali, il FMI e altri organismi. I governi sanno bene che solo quello è vero denaro, non moneta fittizia a corso forzoso o surrogati scambiati sulla fiducia (chiamiamola così). Non ha alcuna importanza se quei lingotti sono marchiati con il punzone di uno Stato piuttosto che con il nome di Ebenezer Scrooge.

La tesaurizzazione dell’oro muove proprio dal fatto che esso rappresenta dell’equivalente generale, ad onta di quello che molti credono sulla fine della funzione dell’oro quale misura dei valori.

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venerdì 23 febbraio 2018

Sopra e sotto la cintura


Nei giorni pari si scopre l’acqua calda, e cioè che i paesi dove la manodopera costa di meno possono avvantaggiarsi in termini di competitività.

Nei giorni dispari è la volta dell’acqua tiepida: la competitività non è data solo dal costo del lavoro, ma dalla produttività.

L’Italia è il secondo paese esportatore d’Europa, dunque quanto a competitività delle sue merci è dietro solo alla Germania.

Resta da spiegare per quale motivo un operaio tedesco e un operaio italiano, di pari livello, guadagnino l’uno il doppio dell’altro, e quello che guadagna di meno lavora mediamente per più ore di quello che ha un salario più alto.

giovedì 22 febbraio 2018

Che cos'è il genio?


«È fantasia, intuizione, decisione e velocità di esecuzione» (cit.).

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A proposito di fantasia, leggete questa: 


Freddo siberiano in Sardegna!


Il virus marxiano



Questo mattina su radiotre ho seguito il dibattito su (neo)fascismo e antifascismo. Anche interventi di buon senso, per carità, nei quali viene citata la distinzione tra il rigurgito odierno e il fascismo storico, e quindi la mancanza di “educazione alla democrazia”, il disagio sociale con accompagno di sfiducia nelle istituzioni, l’immigrazione e via di seguito. Si è udito anche un cenno – mero omaggio alla “complessità” del tema – alla “crisi” e all’incapacità di risposta da parte della politica e delle istituzioni. La parola “capitalismo”, al solito, è bandita. Come se la crisi e ciò che ne consegue fosse causa di un virus proveniente da Marte e del quale non è creanza parlare in pubblico e in termini espliciti.

È nota a tutti l’ouverture de Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte, nella quale Marx, si richiama a un passo di Hegel, laddove il filosofo di Schdùagert osservava che tutti i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire, due volte. Marx chiosa che Hegel aveva dimenticato di aggiungere che la prima volta si presentano come tragedia, la seconda volta come farsa. Nel caso del fascismo si potrebbe, alla luce dei fatti, sostenere che la farsa del nuovo impero mutava ben presto in disfatta e immane tragedia.

La borghesia ha sempre buon gioco nel cambiare nome e forma alla propria dittatura (*). Con ciò non voglio sostenere che le libertà nella società democratica borghese siano da disprezzare, tutt’altro. Esse sono da tenere in massima considerazione, tuttavia non va trascurata l’effettualità dei rapporti sociali, e anzitutto il rapporto di proprietà del capitale sulla forza-lavoro, che si distingue solo per la forma da altre più dirette forme di asservimento del lavoratore. Una forma prodotta sempre di nuovo e che prescinde da quale sia lo statuto giuridico e politico-sociale di riferimento.

Infatti sbaglia chi, alla luce della Costituzione, pretenda di caratterizzare tale rapporto sussumendo lavoratore e capitalista in un rapporto di parità, facendo in tal modo l’apologia di un’uguaglianza solo fittizia e dissolvendo la differenza specifica.

(*) Dopo la rivoluzione del luglio 1830, il banchiere liberale Laffitte si lascia sfuggire: “D'ora innanzi regneranno i banchieri”. Sta accompagnando il suo compare, il duca di Orléans, cioè Luigi Filippo, in trionfo all'Hôtel de Ville, centro del movimento repubblicano. Durante tale visita, Luigi Filippo s'impegnò a rispettare i diritti costituzionali e, col tricolore in mano, si affacciò alla finestra insieme al veterano della Rivoluzione francese Lafayette, che lo abbracciò presentandolo al popolo come "re cittadino" e definendo il suo regno la migliore delle repubbliche!

Nel 1847 Parigi insorge contro la monarchia di Luigi Filippo, il quale difenderà “la migliore delle repubbliche” fucilando migliaia di operai. L’insurrezione si trasforma in rivoluzione e finalmente, nel febbraio 1848, è proclamata la seconda repubblica. I francesi per la prima volta possono votare, ed eleggono presidente il nipote di Napoleone. Il quale, ironia della storia, si chiama come i monarchi dell’ancien régime: Carlo Luigi. Con un colpo di Stato, si fa incoronare imperatore. Addio repubblica e suffragio universale. A comandare, comunque e sempre, è la borghesia, qualunque sia la frazione vincente.


Se l’acchiappo ...


Càpita di cercare un libro tra gli scaffali di casa e di non trovarlo, magari di scoprirne un altro del quale non si aveva ricordo di averlo acquistato, letto o magari solo sfogliato. Toh, sembra dirti, ho atteso per anni e finalmente ti degni. Un po’ ti vergogni. E invece no, questa volta, da ieri, cerco solo e proprio lui, famigerato. Proprio non si fa trovare, s’è offeso sentendosi trascurato, negletto. Si sta vendicando del fatto che l’ho riposto o troppo in alto o troppo in basso. I libri sono vanitosi, ci tengono a stare in bellavista, su scaffali importanti e non d’ordine secondario. Tra prestigiosi colleghi, dandosi arie, non stretti tra libracci plebei. Né il ricercato posso invocarlo per nome, ma solo indagare con gli occhi. Sono furbi, e alcuni, come questo disgraziato, anche un po’ carogne. Appena scoprono che li stai cercando si defilano apposta. Si burlano di te, per dirla carina. E non voglio dargli troppa soddisfazione. Ma se l’acchiappo, poi non lo mollo più. Ed è quello che vuole, sia chiaro, ma intanto mi fa soffrire. Molto.

mercoledì 21 febbraio 2018

Senza fare nulla


21 febbraio 1916, ore 7,15. Il principe ereditario Guglielmo, comandante in capo della 5ª Armata (*) e il capo di stato maggiore, Erich Falkenhayn, lanciano un imponente attacco, l’operazione “Gericht”, sulla città di Verdun e le sue fortificazioni.

In poche ore le posizioni francesi sono bersagliate da un milione di colpi, il tuono dei bombardamenti si può sentire a oltre 150 km. Per il loro attacco su Verdun i tedeschi dispiegano un’arma terrificante: il lanciafiamme.

Scriveva lo scrittore Jean Giono nel suo diario di quei giorni:

«Siamo in nove in una buca, nulla ci tirerà fuori di qui. Abbiamo mangiato e dobbiamo andare di corpo. Il primo di noi a sentire lo stimolo si arrampica fuori. Ora è lì da due giorni, a tre metri da noi, ucciso, con i pantaloni abbassati.

Facciamo i nostri bisogni sulla carta e poi la lanciamo fuori. La carta finisce. La facciamo nei nostri zaini. La battaglia di Verdun prosegue, ce la facciamo in mano. La dissenteria ci scorre tra le dita, defechiamo sempre, la facciamo dove dormiamo. Siamo divorati dalle fiamme della sete; beviamo la nostra urina. Se restiamo su questo campo di battaglia è perché non ci lasciano andare via.»

Due sottotenenti francesi vengono fucilati perché dopo lo sfondamento tedesco si erano ritirati.

Durante la battaglia di Verdun, tedeschi e francesi si scambiano oltre venti milioni di colpi d’artiglieria.

I soliti farabutti al servizio della propaganda chiamarono quel luogo “sacro”, un luogo “di sacrificio e consacrazione”.  

Oggi quei fantasmi ritornano in gioco grazie al fatto che la nostra coscienza scruta il mondo così com’è, senza fare nulla.

(*) L’armata era comandata di fatto dal generale Konstantin Schmidt Knobelsdorf.

martedì 20 febbraio 2018

Sabbie mobili


Sempre aderente ai fatti.


Buffone. Finge indignazione perché una multinazionale vuole licenziare 500 operai. Dov’è vissuto finora, in una spa a sei stelle? I più anziani ricorderanno quando si parlava di “sistema imperialistico delle multinazionali”. Tanto tempo fa. Un’espressione che fu irrisa dai giornalisti grandi firme e gentaglia così. Avevano gli occhi chiusi e le orecchie tappate dai biglietti da 100.000 lire.

La realtà è testarda e s’impone anche a quelli che non vogliono vedere e sentire: gli Stati, la UE e le altre organizzazioni imperialistiche non sono altro che espressione degli interessi del grande capitale. Dal punto di vista industriale, finanziario, fiscale, il capitale monopolistico, in un’atmosfera di palese corruzione e parossistica fine del mondo, è il padrone assoluto del pianeta, e concentra i profitti nel circuito di una speculazione internazionale la cui demenziale inutilità è quotata in borsa.

Il lavoro ha perso l’interesse che gli riconosceva un padronato al quale assicurava la ricchezza. Oggi può essere acquistato ovunque, al prezzo più basso e alle condizioni desiderate. Al lavoro ormai non resta che la stima lontana e impersonale dei chiacchieroni della televisione e dei giornali finanziati dalla pubblicità delle stesse multinazionali che sfruttano e licenziano.

Votate, votate per chi volete, ma votate. Poi ci penseranno loro a dividersi poltrone e prebende, a intascare stipendi e rimborsi, e con aerei di Stato volare a Bruxelles e Berlino per omaggiare e farsi ridere dietro. Agli operai della Embraco, frazione del popolo sovrano che affonda nelle sabbie mobili dell’indifferenza, non resterà che prendersela col destino cinico & baro, con i manager della multinazionale, assenti, mentre gli azionisti potranno già accarezzare l’idea di dividendi più cospicui.

lunedì 19 febbraio 2018

Ogni tanto ci provo



Che cos’è rimasto del comunismo del Novecento? L’idea che fosse la soluzione sbagliata a dei problemi reali. Porsi una domanda è viepiù necessario: si possono definire comuniste delle società burocratiche fondate sul dominio statale nazionale, dove tutto e tutti obbediscono alla logica di quella realtà, secondo gli interessi particolari imposti dal grado di sviluppo del paese?

Come poteva venire in mente a Lenin e agli altri bolscevichi, pur nella temperie di quegli anni, di parlare di rivoluzione mondiale laddove più di tre quarti dell’umanità viveva ancora in società in gran parte semifeudali, se non più arretrate? L’internazionalismo poteva appartenere alla burocrazia dello Stato russo-sovietico solo come proclamazione illusoria al servizio dei suoi reali interessi

giovedì 15 febbraio 2018

Pensioni: la tagliola e la corda



Andare tardi in pensione è un vantaggio per pochi, ossia un privilegio di classe. Per gli altri è solo una condanna, perché il lavoro per chi sta negli ultimi gradini della scala sociale non è solo pagato poco, è schiavitù.

Se lo Stato non ce la fa a sostenere la previdenza sociale non è solo per ragioni di sperequazione e privilegi incredibili, ma è questione che riguarda la distribuzione della ricchezza sociale, che dunque va vista anzitutto dal lato della fiscalità e della spesa sociale: evasione/elusione di tutti i tipi e dissipazione del denaro pubblico sotto ogni forma.

Pertanto la questione della sostenibilità previdenziale, prima ancora di essere un problema economico-finanziario, riguarda le scelte politiche, direttamente i rapporti tra le classi sociali. Rapporti di forza, come sempre, in un quadro sociale dov’è assente una classe dirigente omogenea, coesa, attiva, attenta. Siamo succubi invece di forze parassitarie, rapaci e incapaci di politiche di equità sociale e sviluppo.

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Ho simulato sul sito dell’Inps la cosiddetta Ape volontaria con dati calibrati su un'ipotetico lavoratore con 64 anni di età e 40 di contributi, che nel 2021 maturerà sia la pensione di vecchiaia sia quella contributiva, cioè quella che degli stronzi hanno chiamato anticipata. Ho simulato che maturerebbe una pensione lorda di 1.750 euro (circa 1.400 netti).

Ebbene, per avere con l'Ape 1.036 euro netti (dunque un assegno molto più basso di quello previsto per la pensione) per 36 rate (in totale 37.296 euro), a partire dal 2021 e fino al 2040 dovrebbe pagare 226,36 euro mensili per 240 ratei di rimborso, un totale di circa 53.800 euro. Una differenza di 16.504 euro circa. Credo bene che le Banche fanno utili miliardari e le assicurazioni stacchino dividendi.

La chiamano flessibilità in uscita. Farabutti. Bisogna essere con l’acqua alla gola, o pazzi, per cadere in una simile tagliola.


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Sintomatico ma scontato: ieri sera, il Nobel per la vanità Brunetta Renato, ospite dalla piddina Gruber, a domanda precisa sull'età e i contributi che secondo il programma di F.I. sarebbero necessari per la pensione, non ha risposto adducendo "complessità della materia". Nemmeno il programma della lista di Bersani e della sorridente Boldrini dice nulla di preciso nel merito: meglio restare nel vago. Le proposte di Lega e 5stelle, 41 di contributi e quota 100, non specificano nulla in dettaglio, e celano, a mio avviso (nemo profeta in patria) delle insidie, fatta la tara di tutta un'altra serie di considerazioni politiche e finanziarie. Spiace scriverlo ma l'unica proposta chiara è quella del Pd, ossia mantenere sostanzialmente inalterata la Monti-Fornero. Della serie: scegliete voi a quale corda impiccarvi, da parte mia non voglio né dare soddisfazione e tantomeno legittimare il boia. 

mercoledì 14 febbraio 2018

Dobbiamo dir grazie ai napoletani se ...



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L’8 febbraio del 1848, veniva presentato al re Ferdinando II di Borbone il disegno di Costituzione; il giorno dopo era discusso dal Consiglio di Stato; e, la sera del 10, il re vi apponeva la firma, cosicché l’11 febbraio venne pubblicato.

Francesco Bozzelli ne era stato l’estensore sulla base della Costituzione francese del 1830. Ebbe a canzonarlo il Settembrini: “Credeva di avere scritto il codice di Solone, che avrebbe reso lui immortale e il popolo felicissimo”. E tuttavia senza quel processo che portò alla Costituzione napoletana (che tanto scontento portò a Palermo e in Sicilia) e poi a quella Toscana, non si sarebbe avuto quel movimento di popolo (classi medio-alte) di Piemonte e Liguria che condusse allo Statuto Albertino.

martedì 13 febbraio 2018

Scegliere una canzone


Sono anni che non guardo più un telegiornale, per il semplice motivo che mi annoiano e incupiscono. Non mi piace la sguaiataggine dei mezzibusti, il modo assertivo con il quale riportano le opinioni del capo politico pro tempore, né m’interessa prendere parte alle psicosi collettive, per esempio sapere in quanti pezzi è stato fatto il corpo di una povera ragazza prima di metterlo in due valige.

Per un aggiornamento delle bugie leggo qualche giornale, anche perché l’odore della carta mi ricorda la mia giovinezza, quando ancora si poteva distinguere destra e sinistra, e per un’idea o una passione si rischiava qualcosa in proprio, insomma quando ancora si respiravano dei momenti di libertà e si potevano incontrare persone autentiche.

Per farla breve e venire al dunque, ieri sera ho visto uno spicchio di un Tg, non importa quale. Ad incuriosirmi, questo il motivo della sosta mentre passavo davanti al televisore, un sondaggio sulle intenzioni di voto e non voto. Ebbene gli astemi al voto venivano dati a circa il 32 per cento, gli indecisi, cioè coloro che non hanno ancora deciso a quale brigante votarsi o se non votare affatto, a circa il 12 virgola qualcosa per cento. Insomma, un 44 per cento circa degli aventi diritto al voto. Questo dato illumina più di ogni altra considerazione la situazione di stanchezza, sfiducia, rassegnazione, e quella di tanti che si sono riscossi dall’illusione che il proprio voto possa cambiare le cose o contare qualcosa.

Del restante 56 per cento, non sono pochi quelli che dicono di non sapere per chi votare, ma andranno al seggio lo stesso, adducendo motivazioni quali, per esempio: altri prima di noi “sono morti per darci questo diritto”. S’è per questo, ne sono morti non pochi anche per il motivo opposto!

Decine di migliaia di persone sono state uccise solo perché rivendicavano un’idea diversa di ciò che altri consideravano la “vera” religione. La fede politica diventò poi la nuova religione e il voto l’atto fondamentale di essa, la democrazia. Anche in Iran, in Russia, negli Usa, si vota. Ma negli Usa, si dirà (ma sono sempre di meno a dirlo), c’è la “vera” democrazia.

Un rapporto conflittuale tra ciò che crediamo di essere e ciò che in realtà siamo. Difficile far comprendere che non siamo noi i giocatori, ma solo i pedoni sulla scacchiera.

È risaputo che chi controlla certi meccanismi, in primis i media, controlla il voto. I grandi media sono controllati ampiamente dai grandi partiti, quando non sono direttamente di proprietà di un capo partito, oppure sono proprietà di affaristi che in cambio del loro appoggio a una lista elettorale s’aspettano concrete contropartite.

Alla fine riusciranno a convincere non pochi di quel 12 per cento d’indecisi che non possono sottrarsi alla competizione e dunque dovranno scegliere una canzone.

domenica 11 febbraio 2018

Sul fascismo



Il post che segue richiede circa cinque minuti di lettura, dunque non è calibrato sulle aspettative e le consuetudini della maggior parte dei lettori addestrati ad una comunicazione molto più rapidità, perciò consiglio ad essi, se lo vogliono, di limitarsi alla prima parte.

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L’ultimo editoriale del professor Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere della sera, dal titolo Il vuoto socio-culturale e l’illegalità da arginare, merita attenzione per vari motivi. Esso parte da una premessa storica, l’avvento del fascismo, per giungere ad altre considerazioni sull’oggi. Prenderò le premesse anch’io (si parva licet) dalla medesima premessa del professore per poi terminare la prima parte del post con una didascalica considerazione sul nostro presente.

Scrive il professore:

«Chi ha letto qualche libro lo sa. La ragione forse più importante che determinò la vittoria del fascismo nel 1922 fu lo scardinamento dell’applicazione della legge avutasi negli anni precedenti. Uno scardinamento che ebbe due momenti: dapprima, durante il cosiddetto biennio rosso, il governo si mostrò di un’assoluta indulgenza nel tollerare da parte dei socialisti le violenze di piazza, il sobillamento continuo e in mille modi alla violazione dell’ordine pubblico e al sabotaggio, le minacce e le aggressioni, verbali e non, contro i rappresentanti dell’ordine e dell’esercito.

In un secondo tempo, nel 1920-21, quando contro le cose e le persone delle leghe contadine, del movimento operaio e dei comuni socialisti, si scatenò in risposta la violenza fascista — più mirata, più organizzata e più feroce — il governo centrale ne ordinò, sì, a più riprese e anche con forza la repressione, ma senz’alcun esito. Ciò che accadde, infatti, fu la virtuale insubordinazione delle forze dell’ordine, dell’esercito e dell’apparato giudiziario. Le quali, consenzienti vasti settori dell’opinione pubblica borghese, si rifiutarono silenziosamente di esercitare contro i «neri» quell’azione repressiva che in precedenza non era stata esercitata contro i «rossi». Fu grazie a tale catena di eventi che la democrazia italiana corse alla rovina».

Il professor Galli ha letto sicuramente più libri di me sull’argomento (è il suo mestiere), ma qualche librino l’ho letto anch’io, e mi sono fatta un’idea però abbastanza diversa da quello che racconta nel suo editoriale.

giovedì 8 febbraio 2018

Parlare di corda in casa dell’impiccato




Non voglio negare che le preoccupazioni espresse sul futuro del lavoro e sull’impreparazione ad affrontarlo non siano giustificate, a parte il modo totalmente ideologico con il quale tali preoccupazioni sono abitualmente spiattellate al pubblico.

Proprio nel modo di affrontare tale tema risulta completamente assente, cioè rimossa, l’altra faccia della questione, che riguarda il presente e il domani poiché rappresenta la reale e fondamentale questione sulla quale, si voglia o no, ci si dovrà confrontare.

Posto che molti lavori saranno sostituiti sempre più dalle macchine, va da sé che non è più tanto il lavoro a presentarsi come incluso nel processo di produzione, quanto piuttosto l’uomo a porsi in rapporto al processo di produzione come sorvegliante e regolatore.

mercoledì 7 febbraio 2018

Allodole


Combattere il neofascismo – ammesso che si faccia non solo a parole ­– di per sé è come combattere la febbre. Paracetamolo, quand’è necessario, ma la febbre, come sappiamo, è un sintomo. E il neofascismo è appunto un sintomo del quale vanno ricercate le cause e le responsabilità nella situazione sociale concreta e nel lungo periodo.

Negli ultimi decenni assistiamo a un mutamento di portata storica, dapprima lento e poi via via sempre più pressante, a seguito di quella che chiamano globalizzazione. Entra in crisi l’impalcatura dello Stato nazionale, e della rappresentanza politica è definitivamente superata l’impostazione e il carattere classista.

Tutto ciò – deve essere ben chiaro – ha origine prima della rinascita dei populismi e dei nazionalismi, ben prima dell’incattivirsi della situazione sociale a causa delle ondate migratorie, del precariato di massa.  Quanto voluto e desiderato, e quanto invece indotto spontaneamente, da un lato dallo sviluppo capitalistico e dall’altro dalla sua crisi (l’uno non esclude l’altra), è questione lunga e complessa.

Ad ogni modo, non si può spiegare il vuoto di rappresentanza politica se non si parte da un’analisi di cos’è successo ai partiti (e al sindacato) che un tempo rappresentavano le cosiddette istanze dei lavoratori e dei ceti sociali più deboli.

La borghesia può congratularsi con i suoi specialisti per il grado di spoliticizzazione raggiunto presso un paio di generazioni, e per l'istituzionalizzazione del malcontento, veicolato artatamente dai media, che addormenta la gente invece di mobilitarla.

La sensazione che altri metteranno a posto le cose, ingenera una buona coscienza, dispensa dall'attività e dalle responsabilità in prima persona, rende meno debole l'illusione che basti apporre una croce su una scheda per salvarsi l'anima.

Non si può spiegare Grillo e Renzi senza indagare la parabola che ha condotto al grillismo e al renzismo, e dunque la mancata resistenza al neoliberismo e invece l’entusiastica e convinta adesione ad esso.

Altrimenti come avrebbe fatto un partito, fondato da un comico che si dichiara né di destra né di sinistra e dunque sicuramente reazionario, a raggiungere il 25% alle sue prime elezioni, se non si fosse trovato davanti a sé praterie aperte?

È sufficiente vedere cosa sta accadendo in queste ore a proposito del nuovo contratto di lavoro dei metalmeccanici tedeschi. Non si tratta di una vittoria e nemmeno di un pareggio, cioè di un do ut des, bensì di una sconfitta, laddove è data la possibilità ai padroni di allungare la settimana lavorativa da 35 a 40 ore. Su un anno, fatta la tara delle festività e delle ferie, sono più di 200 ore a cranio. È questo il punto vero del successo padronale, il ritorno alle 40 ore! Il padrone le può acquisatre tutte oppure in parte, dipende dal ciclo produttivo. Su base volontaria? Abbiamo presente quali sono i rapporti di forza all’interno dei luoghi di lavoro? Peraltro la faccenda delle 28 ore da sei mesi a un massimo di ventiquattro è solo uno specchietto per le allodole e riguarda solo una parte minoritaria della forza-lavoro tedesca, e di tale minoranza solo taluni casi.

martedì 6 febbraio 2018

Una società che non ha più tempo per la vita e non ha più un domani davanti a sé



Abbiamo, apparentemente, una giornata per tutto, per qualunque memoria o celebrazione, pro o contro. E dunque anche la giornata contro lo spreco alimentare. Che è una vera e propria ipocrisia: che senso ha parlare dello spreco di cibo, o di qualunque altra questione del genere, senza inquadrare la questione nella totalità del sistema? È come parlare del crollo delle borse senza inquadrare il fenomeno nelle sue reali cause, dunque sproloquiare, per esempio, sull’aumento delle retribuzioni negli Stati Uniti (bella questa!) o per le rivendicazioni salariali in Germania.

Questo sistema, raggiunto lo stadio supremo della produzione mercantile, ha esasperato bisogno dello spreco e della dissipazione, così come della falsificazione insensata degli alimenti. Pensiamo solo, ab ovo, allo spreco e distruzione di suolo coltivabile. Senza spreco e dissipazione per il capitalismo si metterebbe ancora peggio. Per la scienza borghese, cioè per la scienza al servizio del capitale, soltanto il quantitativo è metodologicamente serio, e il qualitativo non è altro che incerta decorazione soggettiva.

Una società nella quale tutto è entrato nella sfera dei beni economici: l’acqua, la pioggia, l’aria che respiriamo. E nella quale i produttori non hanno controllo su niente, ai quali si chiede solo di produrre sempre di più. Anzi, essi vengono offesi se solo s’azzardano a rivendicare tutele e contratti decenti. In fondo che cosa vogliono questi operai la cui produttività è sempre scarsa?

La natura non è indifferente a tutto questo, e non lo è la storia umana, che non potrà essere salvata se non con l’abolizione del lavoro-merce. Il riformismo, di qualunque colore politico, ha il proprio scacco garantito in anticipo. Politici da strapazzo che non sanno e non possono parlare alla gente con il cuore. Giornalisti, economisti e simili fannulloni che sanno solo falsificare la richiesta di una discussione onesta e razionale sui rapporti di potere esistenti e su qualsiasi altra questione.

Politici e media che hanno, bisogna dirlo, buon gioco nel trasformare le contraddizioni del sistema in un conflitto tra generazioni o tra proletariato e sottoproletariato. E poi quando accadono certi fatti si stracciano per finta le vesti, come se il neofascismo si fosse realmente combattuto, e non sia invece considerato come un semplice fenomeno marginale, villano e triviale. Come se ciò che abbiamo davanti fosse il prodotto di un tiro del destino, di qualche isolato imbecille, e non invece un prodotto scientemente coltivato e giocato nella contrapposizione politica.