mercoledì 19 febbraio 2014

La materia di cui è fatto l'uomo (anche i fiorentini)


Oggi, per motivi precauzionali relativi alla mia salute, non frequento i siti della stampa italiana, e tuttavia avrò comunque modo di parlare in esteso di miserie e prodotti escrementizi.

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Quando visito le gallerie di arte antica, aggirandomi tra teorie di madonne e bambinelli col pisello al vento (vero uomo e vero dio), e tra dame e gentiluomini riccamente vestiti e ritratti in ambienti sontuosi, non manco di andare col pensiero alle miserie e aspri contrasti di classe di quelle epoche che a noi sembrano tanto lontane. La produttività era molto bassa rispetto agli standard attuali, e la ricchezza prodotta appannaggio delle élite che in tal modo potevano consumarla e dissiparla con larghezza. Il volgo viveva in miseria, in cronica denutrizione, laddove il pane, sempre scarso e poi raro in tempi di magri raccolti, costituiva l’alimento principale. Nelle frequenti cattive annate agricole, si moriva letteralmente di fame. Tra miseria e pessime condizioni igienico-sanitarie c’è sempre una stretta correlazione, il cui più genuino prodotto sono certe malattie che diventano endemiche.



Ecco quanto in epoca medicea (granducato), nella Firenze di messer Galilei, gli Uffiziali di Sanità, ossia degli uomini di ceto elevato, scrivevano nei loro rapporti al Serenissimo Granduca in materia d’igiene: “Havendo noi inteso per relazione de’ medici che vanno a visitare gl’infermi poveri, come nelle case loro hanno trovato un puzzo et fettore così grande et insupportabile […] quasi in tutte queste case le volte e cantine son piene d’acqua puzzolente e fetida, che i necessarij [i buglioli] per lo più son pieni e versano nelle dette cantine, che i pozzi da bere per il trapellamento e mescolamento dell’acque putride e fetenti sono guasti e pur tuttavia se ne servono per bere e altri loro bisogni, e che havendo le volte e i pozzi neri pieni nelle loro necessità si servono fin delle stanze nelle quali habitano et ancora delle strade quali si veggono piene d’immondezze …”. Ed inoltre: “molte case dove per meschinità un poco di paglia scussa e sudicia et alcuni hanno pagliericci sudici e fetenti”.

Queste condizioni igienico-ambientali favorivano il diffondersi di epidemie, quali la peste, ma anche il tifo petecchiale della cui diffusione sono responsabili i pidocchi, quali vettori tra la miseria e la malattia. Del resto c’era poca propensione all’acqua e sapone anche nelle classi alte, dove pure ci si grattava assai e di gusto dopo il morso dei pidocchi, favorendo l’invasione delle rickettsie prowazekii.

E come i pidocchi, anche gli ecclesiastici e i religiosi avevano la loro parte di responsabilità nel diffondersi delle malattie, sia a causa che i monasteri versavano sulla pubblica via “fogne, trogoli et immondezze”, sia per come erano tenuti e gestiti gli ospedali, laddove nei singoli letti erano ammassati, d’ordinario e tanto più in tempi di contagio, diversi malati.

Scrivevano i suddetti magistrati: “Habbiamo di più notizia che in molti letti del medesimo spedale sono coltrici et materasse molto fradice [di orina e altro] et in  maniera malconcie per haver servito lungamente a gran numero di malati che esalano grandissimo puzzo et fetore et non di meno servano per altri malati”. E tuttavia, i gestori ecclesiastici di questi orribili luoghi, come tal monsignor Giovanni Mattioli, rifiutavano di recepire le disposizioni dei magistrati richiamandosi all’indipendenza del clero rispetto ai poteri legislativi, giurisdizionali ed esecutivi dello Stato.

Ma una delle cause più perniciose di sporcizia e d’inquinamento da rifiuti organici dipendeva dalle pratiche adottate di volta in volta per lo svuotamento dei pozzi neri. Esistevano i “votapozzi”, i quali dietro compenso si occupavano di vuotare i pozzi e le cantine e di tener distinto il contenuto, ossia la “materia soda”, considerata “bona per il concio” e perciò venduta ai contadini, e la “materia tenera”, detta anche “acquastrone”, che di norme veniva gettata in Arno.

Sennonché la storia va sempre per le strade dell’economia, e i proprietari degli immobili si misero d’accordo con il contadino per la “materia soda”, di modo che il villano andava lui stesso a vuotare il pozzo ed evitava l’intermediazione del “votapozzi”, con vantaggio suo che non pagava il “raccolto” e del padrone dello stabile che evitava la spesa dello spurgo. Tuttavia la “tenera” si continuava a versarla in Arno. Ma ciò significò anche la scomparsa dei professionisti dello “spurgo”, tantoché l’acquastrone veniva buttato malamente in Arno e il mattino dopo i fiorentini trovavano i loro ponti e le rive imbrattate che oltre ad offendere la vista faceva soffrire l’olfatto.

Fu così che furono riabilitati per legge i votapozzi. Ma i padroni degli stabili, spesso ecclesiastici, non ne vollero sapere di pagare di tasca propria per lo spurgo e addossarono la spesa agli affittuari, i quali già non avevano di che mangiare e figuriamoci se dovevano pagare pure per cagare. Perciò conseguenza inevitabile fu che questi inquilini poveri “lascino stare detti pozzi neri pieni e traboccanti e sono necessitati stare e vivere in questi fettori”.

Perciò ad un certo punto si dovette intervenire con fondi pubblici in modo di svuotare 114 cantine colme di liquami (saranno mica state le cantine ove ora sono stati ricavati certi ristorantini di grido?), 24 pozzi neri mescolati con cantine chiuse, 221 i pozzi neri veri e propri “stracolmi e ridondanti”, 18 i pozzi da bere contagiati dalle acque nere, eccetera. Ecco uno dei tanti, infiniti, esempi di come la proprietà privata sia nociva alla salute pubblica e al benessere collettivo.

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Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità.
Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero.
Proverbio Arabo


Le cose di cui sopra le ho tratte da un gradevole libretto (*) del fu Carlo Cipolla, il quale, come sovente accade agli accademici, non perse l’occasione per motivi tutt’altro che scientifici di farsi gratuito patrocinatore di quelle classi che si protestano incolpevoli di quelle nequizie sociali le cui cause sogliono invece addebitate alla “natura delle cose”.

Oggi [il Cipolla Carlo scrive negli anni 1970 del XX sec.] c’è parecchia gente che per un verso o per l’altro pare ossessionata dall’idea della lotta di classe e sembra convinta che nei secoli dei secoli i cosiddetti ricchi abbiano trascorso i loro giorni e le loro notti insonni nel satanico impegno di escogitare nuovi modi e maniere per sfruttare i cosiddetti poveri nelle forme più efficienti e crudeli possibili. Che sfruttamento ci sia sempre stato e ce ne sia tutt’ora sarebbe stupido ed assurdo negare. Ma nell’analisi delle società e dei rapporti tra le classi sociali, più che lo sfruttamento colpisce l’ignoranza che in genere quelli che stanno meglio nutrono nei riguardi delle miserie di quelli che stanno peggio (p. 59).

Non occorre un eccessivo sforzo per comprendere che il paralogismo del Cipolla è peggio del buco, e che la sua difesa ha del comico. Sarebbe l’ignoranza dei ricchi a riguardo della condizione dei poveri a tener salva la loro coscienza di sfruttatori, dunque un fattore soggettivo. Si tratta di uno sproposito che non si lascerebbe correre nemmeno a uno studente d’oggi. Proprio “nell’analisi delle società e dei rapporti tra le classi sociali” viene in luce che i “cosiddetti ricchi” (come altro definirli, classe dominante? oh no, troppo marxisteggiante), non solo in quanto persone, ma in quanto personificazione di categorie economiche, incarnazione di determinati rapporti e di determinati interessi di classe, agiscono nel senso e in forza delle leggi economiche della loro epoca, prescindendo dal fatto che il singolo, dal punto di vista etico o morale, possa elevarsi soggettivamente al di sopra di esse.



(*) I pidocchi e il Granduca, Il Mulino.

4 commenti:

  1. Consolidata letteratura profilattica consiglia l'estensione della dieta all'alimentazione catodica. Dieta che non può essere episodica ma protratta nel tempo - qb -. Internet con moderazione selettiva.

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