Se vi dicessero che potete prendere a prestito i soldi praticamente a zero interessi cosa fareste? A Wall Street, la prima classe del Titanic capitalistico, ieri si festeggiava. Infatti il FOMC (Federal Open Market Committee) della Federal Reserve ha deciso di tenere il tasso d’interesse prossimo allo zero stante la recessione in atto. Il comunicato della FOMC è l’implicito riconoscimento del fallimento delle sue politiche degli ultimi anni (*).
La fissazione, fino almeno al 2013, di credito illimitato e quasi gratis è un vantaggio enorme per le banche e i fondi speculativi di ogni genere. L’élite finanziaria ora può star sicura e dar corso a nuove bolle finanziarie e favolosi guadagni.
Per quanto riguarda il debito pubblico, il FOMC si è detto disponibile ad esaminar la situazione e a prendere in considerazione una nuova serie di cosiddetto "quantitative easing", cioè l'equivalente elettronico di stampare centinaia di miliardi di dollari per l'acquisto di buoni del tesoro e altri titoli (**).
Lungi dal risolvere le cause della crisi, irrisolvibili nella dinamica dell’accumulazione capitalistica, questa politica non fa che amplificarle. Il brusco calo del dollaro ha alimentato le tensioni commerciali a livello internazionale, e in tal modo gli Stati Uniti sfruttano la condizione privilegiata del dollaro come valuta di riserva mondiale per far salire i prezzi delle esportazioni delle nazioni rivali e ridurre i prezzi delle merci prodotte negli Stati Uniti. Queste svalutazioni competitive sono una vera e propria guerra commerciale, come succedeva negli anni Trenta del Novecento, sono cioè uno strumento di scarico della crisi del capitalismo americano sul resto del mondo. Si tratta tuttavia di una risposta che segue il modello cinese e tedesco basato sullo sfruttamento sistematico dei surplus dell’export per potenziare la crescita a spese di altre nazioni in deficit.
Gli Usa, non meno che i paesi europei, vogliono mantenere alta la disoccupazione, al fine di utilizzare il disagio sociale che ne deriva per costringere i lavoratori ad accettare tagli dei salari e il peggioramento delle condizioni di vita e lavoro. Questa è la politica consapevole dell'amministrazione Obama, così come dei gangster europei e dei loro sistemi politici nel loro complesso, cioè di quella democrazia di facciata dietro la quale si nascondono le manovre e gli interessi delle élite economiche e una dittatura di fatto (***).
(*) Indicators suggest a deterioration in overall labor market conditions in recent months, and the unemployment rate has moved up. Household spending has flattened out, investment in nonresidential structures is still weak, and the housing sector remains depressed.
(**) The Committee will regularly review the size and composition of its securities holdings and is prepared to adjust those holdings as appropriate.
(***) Non basta che le condizioni di lavoro si presentino come capitale a un polo e che all’altro polo si presentino uomini che non hanno altro da vendere che la propria forza-lavoro. E non basta neppure costringere questi uomini a vendersi volontariamente. Man mano che la produzione capitalistica procede, si sviluppa una classe operaia che per educazione, tradizione, abitudine, riconosce come leggi naturali ovvie le esigenze di quel modo di produzione. L’organizzazione del processo di produzione capitalistico sviluppato spezza ogni resistenza; la costante produzione di una sovrappopolazione relativa tiene la legge dell’offerta e della domanda di lavoro, e quindi il salario lavorativo, entro un binario che corrisponde ai bisogni di valorizzazione del capitale; la silenziosa coazione dei rapporti economici appone il suggello al dominio del capitalista sull’operaio (Karl Marx, Il Capitale, I, cap. 24-7).
Il brano di Marx con tre asterischi, a quale parte del post si riferisce?
RispondiEliminaNon è segnalato, se ci fa caso.
O si riferisce, al post, nel suo insieme?
Sera
fatto. molte grazie
RispondiEliminaSULL'INGHILTERRA,CONSIGLIO LA LETTURA DI QUESTO LINK:
RispondiEliminahttp://laclasseoperaia.blogspot.com/2011/08/inghilterra-crisi-sociale-senza.html